5 dic 2015

Una nota alla cronaca di Giulio Ambrosetti sull'Autonomia siciliana

Questa interessante cronaca che espone Giulio Ambrosetti affronta un'analisi sul difficile percorso di una Regione che, malgrado la forza di uno Statuto Autonomo, non ha saputo gestire una politica in favore del proprio sviluppo. Sarebbe opportuno anche mettere in evidenza la differenza tra un'Autonomia e un'Indipendenza, poichè sembrano essere in tanti i cittadini che, nella confusione, non ne hanno ancora ben percepito la differenza. E' chiaro che se si resta nel campo dell'autonomia si rimane in un ambito di regole in favore della Regione che lo mantiene. Ma rimane davvero impensabile poter proiettarsi oggi in direzione di una indipendenza in un momento storico come quello odierno.

-L'indipendenza e la situazione in cui un un Popolo non è più sottomesso all'autorità di un altro: Il territorio che diventa indipendente è libero da qualsiasi vincolo o peso preesistente prima dell'indipendenza... L'indipendenza si identifica quindi in un'emancipazione da un potere altrui.
-L'Autonomia invece, è quella situazione in cui continuano ad esistere alcuni vincoli istituzionali tra i territori ed i popoli: Il potere assoluto lo mantiene sempre lo Stato su una Regione, sebbene nel caso della presenza di uno Statuto.. vi sono delle regole che per determinate competenze variano rendendo le decisioni autonome.
Non vì è dubbio che nello Statuto siciliano vi siano i presupposti per poter rendere più autonome alcune decisioni in favore del proprio territorio di competenza...e questo non è poco..se non fosse che negli anni passati non vi è stata una politica capace di sostenerlo in favore di una politica più efficiente e lungimirante. Se avessimo davvero conquistato una indipendenza, con i risultati di una politica agli occhi di tutti, oggi saremmo ancora più in default e..probabilmente tagliati fuori da ogni altra possibilità di sviluppo...diversamente se avessimo condotto con sapienza una Autonomia con equilibrio e spirito costruttivo attraverso ciò che uno Statuto ci ha sempre offerto.

L'opportuna premessa non intende sminuire la puntuale cronistoria di Ambrosetti che rispecchia in pieno il modo quasi leggero con cui si affronta tutt'oggi l'argomento: Un'Autonomia è sostenibile..una indipendenza resta quasi impossibile !

Al di là dei nomi che Giulio sottolinea con evidenza, quello che al sottoscritto preme chiarire.. è il fatto che in un territorio come il nostro... ricco di valori naturali straordinari.. non si dovrebbe nemmeno porre il dubbio dell'importanza di avere avuto uno Statuto Autonomo con in quale si sarebbe potuto procedere in favore di quei pricipi più consoni per la salvaguardia e la promozione degli stessi...Qualunque politica governativa ha mancato nel suo ruolo di portatrice di idee attraverso l'uso di uno strumento che avrebbe reso facile la strada di uno sviluppo sicuramente più logico e congenito.
Vincenzo cacopardo



Proviamo, tra cronaca e storia, a ricostruire, per sommi capi, i tanti tentativi di rilanciare l’Autonomia siciliana. Dal ‘Milazzismo’ a Piersanti Mattarella. Dalle intuizioni di Rino Nicolosi al trasformismo di Raffaele Lombardo. Un racconto che arriva fino ai nostri giorni. Con la facoltà di Giurisprudenza di Palermo fucina di tanti leader, da Sergio D’Antoni a Vito Riggio, da Luigi Cocilovo a Leoluca Orlando
Sulla rete, in queste ore, si discute, e molto, della spaccatura avvenuta in Sicilia Nazione. Sulla vicenda sono già intervenuto dando ragione al professore Massimo Costa. Torno sull’argomento per porre alcune domande al variegato (e complicato) mondo dell’autonomismo e dell’indipendentismo siciliano. Sono domande che ruotano tra i miei pensieri da molto tempo. Oggi ne parlo a ruota libera.
Conosco il professore Costa da tanti anni. Per la precisione, dal 1996, quando il professore Andrea Piraino, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Palermo, esponente di punta del libero pensiero dei cattolici impegnati nel sociale, praticamente in quasi-solitudine, ha posto il tema del rilancio dell’Autonomia siciliana e, in generale, della questione siciliana. Di quegli anni ricordo il tentativo di valorizzare il pensiero sturziano, coniugandolo con i bisogni di una Sicilia già allora in affanno.
Mi piace ricordare il professore Piraino perché, nella sua idea di rilancio dell’Autonomia siciliana e, in generale, della questione siciliana – ripeto: anno di grazia 1996 – c’erano tanti temi che, da ragazzino, sentivo enunciare da mio padre: erano i temi legati all’esperienza di Piersanti Mattarella presidente della Regione: riforma della pubblica amministrazione, ‘trasparenza amministrativa’, lotta senza quartiere alla mafia e alla mentalità mafiosa con i fatti e non con le chiacchiere e gli affari (legge antiracket, con annessi business, e gestione truffaldina dei beni sequestrati alla mafia).
In quell’anno ebbi modo di lavorare insieme ad alcune persone che conoscevo e stimavo (per esempio, Beppe De Santis, ‘funambolico’ e vulcanico ex sindacalista della Cgil, genio e sregolatezza e comunque ‘inafferrabile’ per definizione: infatti è ‘sparito’). Tra le tante persone conosciute ricordo anche il professore Costa, che forse non faceva parte del gruppo messo su dal professore Piraino.
Il professore Costa l’ho incontrato un altro paio di volte. Nei primi anni del 2000, quando iniziava la sua azione ‘pastorale’ di autonomista. E poi quando si è candidato alle elezioni comunali di Palermo. Lo seguo da allora con interesse. Ed è sempre stato in prima fila in difesa dell’Autonomia.
L’esperienza di Raffaele Lombardo – iniziata nella prima metà del 2000 – sembrava un fatto politico interessante. Nuovo, no. Chi segue la politica regionale (nel mio caso la seguo per lavoro dal 1985 e anche da appassionato di storia dell’Autonomia) sa che ci sono stati tanti tentativi di rilanciare l’Autonomia siciliana. Il più serio di tutti è stato quello messo in atto da Giuseppe Alessi, il primo presidente della Regione, all’indomani della ‘famigerata’ sentenza della Corte Costituzionale – se non ricordo male, correva l’anno 1957 – che ‘assorbiva’ le competenze per l’Alta Corte per la Sicilia.
Una sentenza abusiva, italiana, da Promessi sposi con un finale scritto male, che toglieva alla nostra Regione la possibilità di difendersi.
Alessi diceva che l’Alta Corte per la Sicilia era stata sepolta viva”, perché lo Stato non ha mai avuto il coraggio di abrogarla con una legge costituzionale. Grazie a Franco Nicastro – parlo del giornalista e storico dell’Autonomia siciliana, tra i principali protagonisti diSicilia domani, periodico che è andato in stampa negli anni ’60 e ’70 del secolo passato – persona che vedo poco, verso la quale nutro tantissima stima, ho potuto leggere nelle edizioni di Sala d’Ercole di quegli anni, quello che, sulla ‘sepoltura’ dell’Alta Corte, scriveva il professore Giuseppe Montalbano, giurista, all’epoca esponente di spicco del Pci.
Ma la cosa più intelligente provò a farla Giuseppe Alessi, che spedì in Baviera un suo amico. L’ex presidente della Regione, dopo la discutibile sentenza della Corte Costituzionale, aveva capito che, senza l’Alta Corte, l’Autonomia siciliana era finita in un binario morto. Da qui l’idea di costituire una Dc siciliana federata alla Democrazia Cristiana nazionale. Don Luigi Sturzo, che allora era ancora in vita (sarebbe venuto a mancare qualche anno dopo) era d’accordo? Non lo sapremo mai con certezza.
In ogni caso, l’idea di una DC siciliana federata allo Scudocrociato nazionale venne intercettata dai ‘capi’ romani di questo partito. Sembra – così mi hanno raccontato – da Andreotti, che con la Sicilia ha sempre avuto un rapporto particolare, ancor prima che Salvo Lima, dopo essere stato messo alla porta dalla corrente di Giovanni Gioia, approdasse nella sua corrente. Ai ‘numi tutelari’ romani della DC l’idea ‘antiascarismo’ di Alessi non andava a genio, vuoi perché i democristiani siciliani, a Piazza del Gesù, li volevano ‘ascari’, vuoi perché temevano di non poter controllare Alessi, che in quanto fondatore della DC e figura autorevole assai, non prendeva ordini da nessuno. Così i ‘capi’ di quello che allora era partito di maggioranza decisero di ‘promuovere e rimuovere’ Alessi: l’avrebbero candidato ‘a vita’ nel collegio senatoriale di Caltagirone-Gela, cioè nel collegio più sicuro d’Italia. E così fu.
Un altro politico che ha giocato la carta del rilancio dell’Autonomia, appena un anno dopo l’abolizione dell’Alta Corte, è stato un altro democristiano: Silvio Milazzo. Più furbo che politicamente intelligente, Milazzo è stati il protagonista di una stagione politica al chiaroscuro passata alla storia come ‘Milazzismo’. Un’eterogenea alleanza tra un ‘pezzo’ di DC, monarchici, fascisti, socialisti e comunisti contro la DC ufficiale. Un’operazione ‘benedetta’ anche da don Luigi Sturzo contro Amintore Fanfani, che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di segretario nazionale della DC, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri. In pratica, Fanfani era quello che oggi è Renzi (che oggi è un po’ più forte, in proporzione, perché ha dietro la Germania della signora Merkel, mentre Fanfani, in quanto sostenitore dell’allora presidente dell’ENI, Enrico Mattei, aveva contro mezzo mondo, americani, francesi e ‘Sette sorelle’ in testa: queste ultime erano le multinazionali del petrolio) e mezza DC lo voleva a tutti i costi ‘sbarellare’.
L’operazione riuscì, solo che in Sicilia Milazzo decise di continuare l’avventura, strumentalizzato dal Pci di Emanuele Macaluso e dall’avvocato Vito Guarrasi, una coppia che godeva dell’appoggio del ‘Migliore’, al secolo Palmiro Togliatti, segretario nazionale del Pci. Quest’ultimo, con l’operazione Milazzo – che nella seconda parte era mediata dalla mafia – s’illudeva di rompere l’unità politica dei cattolici. L’operazione Milazzo, è noto, finì male per Milazzo e bene per i personaggi che avevano voluto il secondo e il terzo governo Milazzo: ci riferiamo a Nino e Ignazio Salvo, che durante il ‘milazzismo’ acquisirono il controllo delle esattorie siciliane, e a un gruppo di imprenditori catanesi che, trent’anni dopo, sarebbero passati alla storia come ‘I Cavalieri’ dell’Apocalisse’, ovvero i notiCavalieri del Lavoro di Catania.
Per completezza di cronaca va detto che i deputati dell’Msi parteciparono solo al primo governo Milazzo (l’unica cosa da salvare di quest’esperienza); mentre nei due successivi governi Milazzo, condizionati dalla mafia, si chiamarono fuori, lasciando il campo ai monarchici, a qualche socialista ‘inciucione’ e, soprattutto, al Pci di Macaluso, ma non al Pci di Girolamo Li Causi e di Pio La Torre, che erano contrari all’operazione Milazzo e, soprattutto, al secondo e al terzo governo Milazzo, governi condizionati dai mafiosi.
Negli anni successivi non sono mancati i tentativi di rilanciare l’Autonomia siciliana. Ma l’unica esperienza seria è quella diPiersanti Mattarella. Che si è conclusa in modo tragico. Nelle sue memorie, l’onorevole Salvatore Natoli, figura storica del Partito repubblicano italiano in Sicilia, assessore del governo Mattarella, tra i tanti particolari, ricorda che il presidente della Regione, nelle ultime settimane del 1979 (Mattarella verrà trucidato il 6 Gennaio del 1980 a Palermo), si era recato più volte a Roma. Anche allora – e questo me lo confermava mio padre che le cose della DC siciliana la conosceva bene – si vociferava di un nuovo soggetto politico d’ispirazione cattolica. Difficile, oggi, appurare altri particolari di questa storia. Ma un fatto è certo: Piersanti Mattarella era perfettamente cosciente dei problemi del suo partito in Sicilia e sapeva – ad esempio – che Vito Cincimino (che non era solo il responsabile per gli enti locali della Dc di Palermo, ma era anche ‘altro’, molto ‘altro’) non era un estimatore della sua azione politica e dell’azione politica di Calogero Mannino e di Rosario Nicoletti, per citare altri due dirigenti di primo piano della DC siciliana di quegli anni.
Negli anni ’80 c’è un timido tentativo di rilancio dell’Autonomia. Ci prova l’allora deputato regionale Leopoldo Pullara, in rottura con il suo partito (il Pri), dando vita al Movimento di azione per l’Autonomia. Ma è un’operazione ‘pilotata’ a metà dal Pci siciliano retto in quegli anni da Luigi Colaianni. Risultato: un fallimento.
Un rilancio dell’Autonomia lo si ha con la presidenza di Rino Nicolosi. Che paga a caro prezzo il tentativo di liberarsi dalla stretta ‘consociativa’ dell’Assemblea regionale siciliana, permeata da regolamenti cervellotici e truffaldini che invadevano l’azione del governo (come le nomine dell’esecutivo che debbono passare dal vaglio delle commissioni legislative: cosa ancora in parte in atto). Su alcune cose Nicolosi è un innovativo e un sincero autonomista, in altre cose gioca in retroguardia: chi scrive, nel 1989, gli chiese: “Presidente, perché avete abbandonato l’articolo 38 dello Statuto?”. Risposta: “Se metto in mezzo l’articolo 38 il mio partito, a Roma, mi blocca una parte dei fondi della legge 64. Non ci conviene”.
Il presidente parlava della legge nazionale n. 64 del 1986, forse il più importante intervento straordinario in favore del Sud messo in campo dallo Stato: 120 mila miliardi di vecchie lire che, per i tre quarti, finiranno in opere pubbliche mediate da grandi aziende del Nord Italia e dalle mafie, mentre il restante quarto di questo fondi, negli anni subito successivi a Tangentopoli, verrà utilizzato per lo stabilimento Fiat nel Basento, in Basilicata.
Che non è mai stato innamorato del’Autonomia siciliana, pur essendo un docente universitario di Diritto pubblico regionale, èLeoluca Orlando. Nemmeno per un momento, negli anni della Rete, Orlando si occuperà di Sicilia e di Autonomia. Verrà eletto all’Ars nel 1991. Ma resterà in Assemblea pochi mesi. Nel 1992 verrà eletto al Parlamento nazionale. Di lui e del suo disinteresse vero i temi dell’Autonomia si ricorderanno, forse ‘inconsciamente’, i siciliani, che nel 2001 gli preferiranno Totò Cuffaro.
Gli anni ’90, per l’Autonomia siciliana, sono un disastro. Si salva solo la già citata esperienza del professore Piraino. Il 2000, invece, è il decennio della rinascita e della caduta. C’è l’esperienza dei tanti movimenti autonomisti e indipendentisti che tornano a prendere piede. Forse è a questi movimenti che s’ispira Raffaele Lombardo, quando, a metà del 2000, lascia l’UDC per fondare il Movimento per l’Autonomia. Esperienza politica, quella di Lombardo, che inizia bene, prosegue male e finisce peggio, tra clientelismo becero e, soprattutto, malgoverno. Non possiamo non ricordare una Finanziaria regionale – assessore all’Economia era Gaetano Armao – con oltre 80 norme impugnate. Un disastro politico. Un ‘raro’ esempio di norme raffazzonate-contrattate tra Aula e corridoi. Da dimenticare.
In tutti questi anni abbiamo visto il professore Massimo Costa darsi un gran da fare. Unica figura che riesce quanto meno discutere con i protagonisti delle infinite sigle dell’Autonomismo e dell’Indipendentismo siciliano. Detto questo, siamo rimasti stupiti quando abbiamo visto il professore Costa in coppia con Armao. E restavamo basiti nel vedere Armao che diventava il ‘leader’, con il professore Costa messo un po’ in ombra.
Lo possiamo dire? Ci sembrava una storia già vista. Ma possibile che ogni cosa politica made in Palermo debba nascere dalla facoltà di Giurisprudenza del capoluogo siciliano? Abbiamo iniziato con Lauro Chiazzese. La Cisl ha preso da questa facoltà Sergio D’Antoni, Vito Riggio e Luigi Cocilovo. Per non parlare del già citato Leoluca Orlando che calca la scena politica dal 1985. E prima di lui c’è Sergio Mattarella – docente di Diritto parlamentare sempre in questa facoltà – in politica dal 1981 e oggi Presidente della Repubblica. Ora si era presentato Armao – altro docente di questa facoltà – in versione autonomista-indipendentista.
Ragazzi, basta! Basta con questa facoltà di Giurisprudenza di Palermo! Anche perché, a parte Cocilovo – di certo il meno dannoso di questa ‘nidiata’ – non è che questi personaggi abbiano fatto crescere la nostra sempre più disastrata Isola. Se in Sicilia siamo dove siamo – e siamo messi male, no? – con rispetto parlando, il ‘merito’ è anche loro. Orlando, che da trent’anni ‘strumintia’ al Comune di Palermo, dopo averci regalato migliaia di precari, pur di far partire tre diseconomiche linee di Tram ci vorrebbe appioppare le ZTL. Sempre per la cronaca, Orlando e Riggio (che ormai vola alto, visto che è eterno presidente dell’ENAC) hanno regalato all’Assemblea regionale siciliana i già citati regolamenti consociativi dell’Ars (in quegli anni Piersanti Mattarella non poteva seguire tutto: e queste cose oscene – vere e proprie ‘teratologie’, in bilico tra Diritto & Parlamento blocca-governi – debbono essergli sfuggite). Mentre Sergio Mattarella, se debbo essere sincero, non mi ha mai fatto sognare.
Insomma almeno l’Indipendentismo facciamolo in modo diverso!
Giulio Ambrosetti


4 dic 2015

La critica forte di Vecchioni alla Sicilia

di vincenzo cacopardo
Si può mai dare torto a Roberto Vecchioni che nel suo intervento all’Università di Palermo nell’aula magna della facoltà di Ingegneria offende la Sicilia definendola come un' isola di merda?

Al di là del fatto che non è proprio l'isola alla quale dover imputare il termine dispregiativo.. ma ai suoi abitanti che, avendo avuto in dono una terra tanto bella non l'hanno mai saputa mantenere non agevolando il suo naturale splendore....Pur non condividendo il termine usato da Vecchioni ..la definizione in dispregio ci sta tutta..poichè resta evidente a tutti l' indecenza nella quale sembra esser condannata.

"In tutti i posti - ha detto Vecchioni - ci sono tre file di macchine in mezzo alla strada e si deve passare con una fatica tremenda, è inutile mascherarsi dietro il fatto che hai il mare più bello del mondo e che hai questo e quello, non basta. "La filosofia e la poesia antiche hanno insegnato cos’è la bellezza e la verità, la non paura degli altri, in Sicilia - ha aggiunto -questo non c’è, c’è tutto il contrario. E mi sono chiesto prima di arrivare qui, se dovevo dirle queste cose a voi ragazzi: Perché non gl’invento una sviolinata? Come siete bravi, avete inventato la Magna Grecia?
Il famoso cantautore ha anche dichiarato che non ama una Sicilia che non si difende e che rovina la sua intelligenza e la sua cultura .. concludendo il suo discorso con una nota forte “Mi dà un fastidio tremendo che la Sicilia non sia all’altezza di se stessa".
Difficile potergli dar torto..visto lo stato preoccupante di un'isola alla quale non mancherebbe nulla per le immense qualità naturali che riflette, se non fosse che non è mai stata governata con sapienza e lungimiranza. La politica non ha saputo offrire progetti ed idee più congeniali.. ed in tanti decenni si è visto il cammino sterile delle sue istituzioni sottomesse a priorità differenti da quelle più indispensabili e naturali..a volte solo per scopi personali inverosimili. Manca un progetto serio per la Sicilia..come ne manca uno per il Mezzogiorno..tra l'altro da tempo abbandonato dall'attenzione di un governo che si esprime prevalentemente in favore di un Nord più industrializzato.
Vecchioni sembra aver ragione sebbene l' indirizzo alla critica non sia perfettamente esatto poichè dovrebbe essere rivolto a chi fin'ora l'ha governata ...Per dirla con una metafora che già allora ripeteva il mio genitore: "u presepe è beddu ..i pasturi un serbunu!"


piccola nota sull'articolo di Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana



Il vice-direttore del settimanale “Famiglia Cristiana” , responsabile dell’edizione online del giornale, specializzato sugli avvenimenti Esteri, con questo articolo mette un punto deciso su una realtà politica internazionale. Una politica estera spesso manipolata a favore di quell'americanismo accentratore che pare voler dominare ancora in un terrirorio mediorientale lontanissimo dai suoi confini..Scaglione rappresenta quella che ancora oggi appare una realtà dominante che continua a mettere da un lato il buono (gli Stati Uniti con la Nato) contrapposto a quello cattivo denominato impero del male (la Russia) . Lo fa con sottile ironia, ma anche con dovuto rispetto nel quadro di una realtà ormai quasi difficile da avversare, mettendo in evidenza tutta l'ipocrisia di un'Europa che.. restando immobile...riversa miliardi di Euro ad uno stato della Nato di sicuro assai ambiguo.
Vincenzo cacopardo

PER FORTUNA C'È L'IMPERO DEL MALE!

Di Fulvio Scaglione

su famiglia cristiana

Noi occidentali siamo proprio fortunati! Sappiamo che la Russia è l'impero del male e che, quindi, nulla dalla Russia può venire che non sia menzogna. Pensate che disastro, se non fosse così.
Se non fosse così, dovremmo pensare che la Turchia, un Paese a cui l'Unione Europea, per mano della signora Mogherini (appunto Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dicesi sicurezza!) vorrebbe consegnare 3 miliardi per controllare i confini e impedire che i profughi siriani si riversino verso l'Europa, usa uno dei suoi confini, quello con la Siria, per fare affari con i jihadisti che mettono a ferro e fuoco la Siria, producendo appunto quei profughi. Un bellissimo sistema, quello turco, per guadagnare tre volte su un'unica tragedia: comprando petrolio e opere d'arte dall'Isis; vendendo all'Isis armi e altre attrezzature e facendo passare i foreign fighters che vanno a rinforzare le sue file; infine, obbligandoci a versare milioni se non vogliamo veder arrivare i profughi.Certo, l'impero del male ha prodotto foto e testimonianze.

E anche chi scrive, visitando il Kurdistan iracheno, non ha mancato di notare le centinaia e centinaia di autobotti che ogni giorno partono per la Turchia, cariche di petrolio "clandestino", quello che il Kurdistandovrebbe vendere attraverso il ministero del Petrolio di Baghdad e invece vende per conto proprio. Qualche tempo fa, inoltre, Hisham al-Brifkani, iracheno e presidente della commissione Energia della provincia di Ninive, aveva pubblicamente detto che le forniture di petrolio contrabbandato dall’Isis in Turchia avevano raggiunto un massimo di 10 mila barili al giorno, per assestarsi poi sui 2 mila barili, anche se molti altri esperti parlavano di un potenziale da 250 mila barili al giorno.

Ma non importa, per fortuna l'ha detto l'impero del male e noi sappiamo che son tutte frottole. Il che ci tranquillizza a cascata. Perchè se la Turchia è amica dell'Isis, che cosa sono gli amici della Turchia? Barack Obama, per esempioIl superdemocratico Nobel per la Pace che, quando la Turchia abbatte un aereo russo dice "la Turchia ha diritto a difendere i suoi confini" come se la Turchia fosse stata attaccata, e quando i russi mostrano le foto dei traffici al confine ribatte "la Turchia non c'entra"? Se non sapessimo che l'impero del male mente sempre, potremmo persino pensare che è Obama a mentire. E' Obama che spalleggia gli amici dei terroristi. E' Obama che finge di combattere l'Isis, lasciandogli invece aperte tutte le porte di rifornimento: quelle della Turchia, certo, ma anche quelle del Golfo Persico, le cui monarchie continuano imperterrite a distribuire quattrini e armi ai jihadisti.Dovremmo persino pensare (ma qui siamo proprio al colmo) che i satelliti del Pentagono hanno qualche disfunzione. Se un aereo russo esplode sul Sinai, dopo un paio d'ora sanno dirti per filo e per segno che cos'è successo. Ma se lunghissime colonne di autobotti attraversano il deserto (o una non meno lunga colonna di mezzi e blindati carichi di miliziani solca per ore il deserto per raggiungere Palmira) non vedono nulla. Misteri della tecnologia.

Non è dunque una gran fortuna sapere che l'impero del male mente sempre? E che sospiro di sollievo sapere che in ogni caso, a tenerlo a bada, c'è la Nato. L'Alleanza militare che per due anni ha taciuto sui maneggi della Turchia, e sul transito di armi e foreign fighters verso la Siria, ma si è tanto tanto preoccupata dei bombardamenti russi sui ribelli. E che adesso, di fronte al generale smandrappamento dei suoi amici, e al "liberi tutti" nell'intervento anti-Isis in Siria (Germania, Francia e Gran Bretagna perché l'opinione pubblica non sopporta più le ciance, la Cina in nome di vecchi alleanze), non sa far altro che organizzare qualche provocazione a base di aerei abbattuti, Governi ucraini all'attacco e inviti al Montenegro.

Quindi che gran fortuna che l'impero del male menta sempre. Se no, sai quanto ci dovremmo preoccupare?
Fulvio Scaglione

3 dic 2015

Una nota al recente articolo del consigliere Cacopardo sul confronto di Parigi sull'iquinamento ambientale

Quello che mi riesce sempre difficile da comprendere da parte di Domenico è il riferirsi di continuo alla figura di Papa Francesco individuandolo come un qualunque portatore di posizioni politiche. Ripeterò fino alla nausea: Il Papa deve fare il Papa e quando accusa la società mondiale.. sia per un problema riguardante la pace o l'ambiente o la fame, non intende ..ne potrebbe mai farlo...per introdursi in un dialogo politico e men che mai per dettare soluzioni che appartengono solo ed unicamente alla politica internazionale. Ma come non si può comprendere che nella sua opera di evangelizzazione in ogni parte del mondo.. non possa mai esimersi dal dettare quei principi che appartengono al credo cristiano?

Detto questo sta alla politica trovare le giuste soluzioni sia che si tratti di convivenza e di integrazione fra i popoli o sull'argomento in cui Domenico pone maggiore attenzione: l'ambiente e l'inquinamento. Basterebbe..come lui stesso scrive.. un serio impegno di quei paesi a cui lui stesso fa riferimento per iniziare a ridurre l’inquinamento atmosferico.

Nel contempo però..non si può non tenere in considerazione un certo disinvolto modo di procedere di alcune aziende che per profitto non si preoccupano di venire incontro ad una situazione atmosferica spesso sottovalutata. Prova ne è il recente esempio degli scarichi delle auto della Wolksvagen e delle altre case automobilistiche che, per motivi di sicuro interesse, fregandosene.. hanno contribuito ad immetere nell'aria una enorme quantità di prodotto inquinante.

Non posso infine che concordare con quello che scrive Domenico circa la Conferenza di Parigi sull’ambiente...affermando che si è trattato di una grande operazione di marketing a favore di lobby interessate alla cosiddetta «Green economy» e di un colossale tentativo di distogliere l’opinione pubblica mondiale dai problemi reali.
Vincenzo cacopardo


Se fosse vivo Carlo Marx, probabilmente, contesterebbe inorridito i suoi attuali epigoni per la sceneggiata ambientalista messa in scena a Parigi. E ricorderebbe che la questione è sempre quella dei rapporti tra capitale e lavoro e che, in fondo alla strada intravvista nella capitale francese, c’è una ulteriore perdita di potere della classe operaia a scapito del sempiterno e sempre vincente capitale. Ed è così. Come in questa direzione vanno i discorsi sulla «crescita zero» o sulla «decrescita felice», che piace, quest’ultima, ai gonzi alla Grillo e seguaci, incapaci di ragionare in termini politici e sociali sui danni che l’interrompersi dei processi di sviluppo provocherebbe nel mondo globalizzato.
Anche il papa, con la nota enciclica «Laudato si», si attesta sulla linea dello sviluppo zero per salvaguardare i valori ambientali, dimenticando ciò ch’egli stesso dice a proposito della fame del mondo. Insomma, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca e si ci vogliono nuove risorse per la sopravvivenza delle donne e degli uomini del pianeta, occorre trovarle, crearle, distribuirle, utilizzando anche gli ogm, aborriti da quei furbissimi degli italiani che stanno rimanendo indietro nella genetica, una delle scienze più innovative che l’uomo abbia tra le mani. Mi viene in mente un «meeting» cui partecipai negli anni ’80 alla Genentech, un colosso della genetica, che vantava tra i suoi più accreditati scienziati un giovane calabrese, il dottor Crea, che poi creò una propria company. E il panorama di novità utili all’uomo soprattutto a quello in difficoltà per le condizioni ambientali e climatiche.
C’è una sottile questione che sta dietro l’ecologismo d’accatto di cui tanti si fanno paladini: in una società paralizzata dai veti ecologici, il livellamento si realizza in basso e, perciò, i mediocri e gli ignoranti possono ritenere di valere quanti i preparati e i volenterosi.
Queste considerazioni, tuttavia, non intendono svalutare il lavoro che si compie nella direzione del miglioramento delle condizioni ambientali, lottando contro l’inquinamento in generale e contro quello chimico.
In particolare, all’osso, la questione è la riduzione del rilascio di CO2 nell’atmosfera e riguarda specialmente Stati Uniti, Cina e, in misura minore, l’India. Basterebbe quindi un serio impegno di questi tre paesi per iniziare a ridurre l’inquinamento atmosferico.
Gli interessi che presiedono, peraltro, alle iniziative tipo questa di Parigi sono, all’evidenza, interessi imprenditoriali e capitalistici: e la «Green economy» è un’eccellente occasione per fare buoni affari.
Sul tema si misura spesso il professor Franco Battaglia, dell’Università di Modena, che critica l’ambientalismo e vi si oppone perché è una ideologia fondata su convinzioni che nulla hanno a che fare con la realtà delle cose. Un esempio: «Una dozzina d’anni fa gli ambientalisti decisero che i campi magnetici dai cavi di trasmissione d’energia elettrica provocassero la leucemia ai bambini e chiedevano a gran voce che si interrassero quei cavi. La verità è che l’elettrosmog non esiste; anche se esistesse (e non esiste) esso sarebbe responsabile di 2 dei 400 casi di leucemia infantile l’anno; il grottesco è che il 90% di esposizione a quei campi è dovuto agli impianti domestici e l’interramento dei cavi di trasmissione sui tralicci non avrebbe avuto alcun effetto e i casi di leucemia attribuibili all’elettrosmog rimarrebbero 2. Orbene, la spesa che proponevano si affrontasse per quell’interramento era di 30 miliardi di euro. Con tutti quei soldi si salvano dalla leucemia tutti e 400 i bambini (e dal cancro tutti noi).»
È il caso del Muos (Mobile User Objective System), il sistema contro il quale in Sicilia combattono alcune centinaia di disinformati, utili per mettere in difficoltà in governo e per portare fieno alla cascina malsana dei 5Stelle. Il Muos è un sistema di comunicazioni satellitari ad alta frequenza e banda stretta, composto da quattro satelliti e quattro stazioni a terra, una delle quali è stabilita a Niscemi, che sostituirà tutti gli esistenti apparati di monitoraggio militare che tanto hanno contribuito sin qui al mantenimento della pace. Se è vero, come è vero che la terza Guerra mondiale è iniziata, il Muos è uno degli strumenti per non perderla.
Il professor Battaglia enuncia anche le 10 maggiori balle ambientali che circolano. Ne segnaliamo alcune: il clima è causato dall’uomo (falso); possiamo ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020 (neanche dello 0.20%); Chernobyl ha causato 100.000 morti (ne ha causati 3; il cibo biologico è il migliore (è il peggiore); l’agricoltura con Ogm (organismi geneticamente migliorati) è il male (è la migliore tecnica che abbiamo); l’energia dal sole è l’energia del futuro (l’energia dal sole è l’energia del passato, quando la schiavitù non era tabù e il pianeta era abitato da mezzo miliardo di anime); il nucleare è pericolosissimo (è la tecnologia di produzione elettrica più sicura che c’è); dobbiamo rinunciare al nucleare (impossibile: in Europa è la prima fonte d’energia elettrica; non vi abbiamo rinunciato neanche noi italiani, che ne abbiamo fatto un altro bene d’importazione, per il quale paghiamo alla Francia, ogni anno, l’equivalente di 1 reattore nucleare; uno scherzo che dura da 20 anni: 1/4 del parco nucleare francese l’abbiamo pagato noi, contribuenti italiani; dobbiamo affidarci all’eolico e al fotovoltaico (tecnologie fraudolente).
Insomma, il vero bilancio che si può trarre dalla Conferenza di Parigi sull’ambiente è che si è trattato di una grande operazione di marketing a favore di lobby interessate alla cosiddetta «Green economy» e di un colossale tentativo di distogliere l’opinione pubblica mondiale dai problemi reali del nostro mondo contemporaneo. Il primo dei quali è la crescita del terrorismo, favorito da alcuni stati canaglia, ma soprattutto da stati non sono canaglia e che consideriamo amici.
E che, la questione «ambiente» indirizza ancora, nel pendolo della storia, verso il protagonismo del capitale e dei poteri finanziari a scapito della diffusione della ricchezza e della democrazia.
La conclusione, perciò e per il momento, l’unica è: «diffidate», «diffidiamo» e cerchiamo di capire cosa c’è dietro o avanti a ognuna delle proposizioni che escono dal confronto parigino.
Domenico Cacopardo


2 dic 2015

Il "passio" dell'architetto Palmeri

Verrà presentato domani presso l'Hotel Villa Esperia di Mondello un nuovo progetto denominato "il Passio" .Una proposta per il restyling di Via Emerico Amari. Sappiamo che in questo momento l'area di via Emerico Amari continua ad essere sede dei lavori che porteranno al completamento dell’anello ferroviario.
 


L'idea dell'architetto Palmeri è
quella di poter trasformare la natura di questa via, valorizzandola..Una indicazione per un naturale collegamento di due luoghi rappresentativi per la città di Palermo: il “Teatro Politeama” e il “Porto”.Il progetto prevede un percorso pedonale pavimentato. Sono anche previsti due filari di alberi a medio fusto, un sistema di illuminazione e di sedute che si porranno come elementi di continuità del tratto in esame.
L’iter progettuale del porto rispetto alla struttura ed alle esigenze della sua città resta fondamentale. In questi ultimi anni si è dato molto spazio alla riqualificazione del porto attraverso l’obiettivo di un rilancio offrendo un miglioramento dei servizi con un’attenzione rivolta alla armonizzazione dei flussi ed al servizio nella fruizione del territorio urbano. Ma i quartieri del centro storico rappresentano oggi un punto di incontro che mette in evidenza l’indicazione di una serie di percorsi tra la città vecchia, le piazze ed il mare. Il progetto di Palmeri mette a frutto questa indicazione realizzando una vera integrazione dei valori architettonici del centro storico con quelli paesaggistici ed ambientali del porto.
In questo contesto “il porto” assume un ruolo fondamentale e, nella sua espanzione progettuale, e non può non tener conto dell’importante completamento in armonia con la sua città. Lo studio e la valorizzazione del Waterfront dovrà conseguentemente tenere in considerazione gli aspetti logistici ed ambientali da sposare insieme con le esigenze dell’ amministrazione comunale.
Questo progetto, al di là di ogni considerazione in proposito, deve essere visto come un'idea sulla quale costruirne altre. Palmeri, con genialità e la dovuta umiltà, non definisce un progetto in assoluto, ma lo propone come idea di spinta per il riscontro di altre idee in proposito. E lo fa in concomitanza della presentazione di un Movimento (Insieme di può) in marcia verso nuove proposte..
Uno spunto per portare avanti una riflessione seria su quanto lo sviluppo di questa città deve potersi affrontare nell'ottica di una lungimirante creatività ed attraverso la logica di innovazione..Si potrà definire come un'idea per un nuovo Ingresso alla città e nel contempo..una nuova Piazza di accoglienza..ma anche una Promenade od un nuovo collegamento Città-Porto..l'importante è aver portato una nuova brezza in direzione di nuove idee che possano scuotere l'interesse di una città che pare continuamente sonnecchiare in proposito.
vincenzo cacopardo



E allora ...dove sono i gufi?


di vincenzo cacopardo
A conti fatti sembra che l'aumento dei posti di lavoro sia stato di poche migliaia di unità... e le stime del Pil non aiutano di certo la crescita. Il Premier..con la solita presunzione che non gli fa mai difetto.. aveva da poco sottolineato una serie di dati ben diversi parlando di 300mila in più nell’ultimo anno e di segnali di ripartenza sufficienti osservando come il nostro Paese corre più in avanti rispetto alla Germania.

Ma la realtà appare ben diversa!

Dove sono i tenebrosi pennuti così tanto paventati dall'ambizioso Premier? Ormai ci si rende conto di quanto questo parlare a sproposito del sindaco d'Italia sull'incremento del lavoro grazie alle sue poco utili riforme è servito a poco e di quanto difficile sia riprendere a crescere se non se ne attuano di più appropriate.

Sembra ormai scontato che le promesse sull'aumento per le fascie più deboli (ossia le pensioni minime) non verranno rispettate. Se a ciò aggiungiamo che della crescita promessa dal Premier fissata tra lo 0,8% e l'1,5% nel 2015 non ne vedremo l'ombra, temendo, al contrario, che vi possa essere un segno meno e possimo renderci conto di come le parole di Renzi rimangano ancora aria fritta.

Mancano riforme strutturali più adatte e i tanto declamati 80 euro al mese.. come l'osannato “job's act”...non sembrano aver prodotto alcun beneficio alla spinta economica del Paese. L'economia non funziona ma si continua a dare ancora credito al giovane Premier che con la solita aria gradassa continua a dare risposte assicurative. Si continua a cercare un capro espiatorio sulla governabilità sicura e la certezza della loro durata...dimenticando l'importanza di alcune scelte strutturali non del tutto appropriate.

Pare al contrario.. assodato che l'intervento di Draghi con l'immissione di sostanziosi finanziamenti e l'incremento dell'esportazione dovuta al ridotto peso dell'Euro,,e persino.. la diminuzione del costo della materia prima come il petrolio, rappresentano l'unico vantaggio di questa debole economia nazionale voluta tutta in forza a principi non esattamente in linea con il bisogno di una economia reale più di sostanza.

La strada proposta dal sindaco d'Italia non appare dunque solida..anzi sembra pian piano presentarsi piena di enormi ostacoli ed offrire speranze solo effimere. In questo percorso assai azzardato..non sapendo dare altre risposte e rimanendo privi di vere idee innovative, si è sempre teso a dare la colpa unicamente alla mancanza di una governabilità sicura, finendo col trovare sempre ragioni per incidere sfavorevolmente sui principi essenziali di una democrazia, ma mai sui possibili errori supportati dall'ambizione delle figure e dalla loro mancanza di umiltà rispetto alle difficili problematiche esistenti.

Siamo dunque gufi...o aquile che volano più in alto?.... 


1 dic 2015

INSIEME SI PUO'.. il giovane movimento che intende custodire i valori

CAMBIA LA REGIONE..NON CAMBIARE REGIONE!
Tra un pilone e l'altro che cede..un turismo bloccato da servizi inefficienti..l'incuria per i propri beni artistici, l'indolenza di una politica ormai piegata dalla mancanza totale di idee..sorge in modo quasi ingegnoso una nuova proposta politica regionale basata su un percorso che partendo dai valori...ricerca e definisce la nuova immagine di una realtà mediterranea che merita di più.
Il 3 dicembre alle ore 17,00 all'hotel Villa Esperia di Mondello verranno esposte le proposte la dell'architetto Salvatore Palmeri su un progetto della città denomito “Il passio”.. Nel contesto vi sarà anche la presentazione della giovane organizzazione politica ”INSIEME SU PUO'” fondata da Alfio Di Costa. Il nuovo Movimento si propone un nuovo percorso sulla politica e sul sociale in un territorio regionale ormai disastrato e dimenticato da una politica che pare guardare altrove.
Nel progetto del giovane Movimento vi è in primo piano la cura di tutti i valori fondamentali dell'isola ...dal territorio, all'agricoltura, all'ambiente, il turismo, l'arte, l'artigianato locale, non come usuale percorso di una retorica politica, ma come utile promozione per una crescita innovativa sulla quale costruire i principi fondamentali di un'agenda politica che possa guardare ad un futuro più efficiente e congeniale per l'individuazione delle più utili infrastrutture.
Il Governo nazionale pare togliere risorse alla Sicilia e per giustificare il suo operato, si attacca l’Autonomia della Regione falsificando una realtà: Le campagne politiche restano non omogenee e le responsabilità su uno Statuto che sembrano appartenere ad altri... vengono riversate tout-court contro tutti coloro che in Sicilia non hanno colpe e che da tempo aspettano una risposta concreta su uno sviluppo più confacente.

La Sicilia sembra morire giorno per giorno racchiusa nel suo pessimismo causato dall'impotenza di una politica più decisa e funzionale. INSIEME SI PUO' si propone di scuotere dal torpore e dal cinismo quei cittadini che hanno voglia di farla crescere al fine di tutelare i vantaggi di uno Statuto Autonomo e poterne salvaguardare alla base i valori.

-Dare impulso ai valori ...significa potenziare una qualità! -Penso sia finito il tempo della rassegnazione e della sonnolenza di quest'isola..bisogna reagire..e reagire significa dare   forza ai propri valori! Adesso dobbiamo riflettere in forza di una nuova forma mentis.. dando impulso e funzione alle nostre qualità territoriali!" Queste le parole del presidente fondatore del movimento Alfio Di Costa  che auspica il successo di una iniziativa che i cittadini di una Regione meritano ed attendono da tempo.

L'evento prevederà anche un dibattico con chiunque vorrà intervenire..inoltre si approfondiranno con impegno le strategie e l'organizzazione politica sul territorio.

vincenzo cacopardo


30 nov 2015

Un commento sulla nuova analisi di Domenico Cacopardo sul conflitto mediorientale.

E' uno schema sicuramente convincente quello che ci propone Domenico Cacopardo in questa puntuale analisi che chiarisce i vari punti di questa contesa islamica mediorientale.
Puntualizzare il fallimento dei mille bombardamenti su Raqqa e sulle posizioni dell’Isis è opportuno. Bombe che non potranno cancellare il dolore dei Francesi per la strage del 13 Novembre e che mettono in luce questo gesto come un estremo atto del presidente Hollande, il quale, avendo perso consenso politico nel proprio Paese, pare voler usare volutamente la forza per smorzare l'avanzata politica della LePen, Come suggerisce Domenico... un atto napoleonico di chi non appare per nulla un vero Napoleone.

Giusta ed appropriata anche la considerazione sullo stato d’assedio per l’arresto di quattro o cinque sospetti, nella città di Bruxelles che è davvero apparsa una retata al buio, realizzata secondo metodi da Seconda guerra mondiale. Da un'altro lato risulta logico anche il superamento di ogni ghettizzazione e la presa di una posizione più decisa da parte di tutti quei musulmani propensi ad accettare le regole di una società occidentale al fine di poterne accettare i principi liberali della democrazia, tra cui l'indispensabile tolleranza.. a cui Domenico Cacopardo fa riferimento.

La mia convinzione è che la divisione sunniti-sciiti non potrà mai spiegare in toto la tremenda realtà di tutto quello che sta avvenendo in in Medio Oriente. Credo sia semplificativo ridurre il tutto in questa ottica. Nel passato le comunità orientali hanno alternato momenti di convivenza più o meno stabile a periodi di forte contrapposizione e questo è avvenuto persino in funzione del mutare delle differenti condizioni politiche. Mi domando quindi se per disarmare il conflitto religioso tra sunniti e sciiti sia necessario privarlo della sua componente politica. Se.. in tal modo..si possa rinunciare a quell’identificazione tra la sfera secolare religiosa e quella dell’Islam politico.
vincenzo cacopardo




Mano a mano che passano i giorni e le informazioni si completano, va formandosi un’idea meno nebulosa di quanto è successo, compresa l’ultima strage di Tunisi.
La azzardo.
Ci sono due realtà autonome che, di solito, operano in sintonia, nel senso che ciò che combina quella esterna fa comodo all’interna. La realtà che ho definito «interna» è il sedicente Stato islamico,intorno al quale gli interessi sono fluidi e i sostegni variabili. 

Questa entità nasce sullo scontento dei sunniti per la scelta sciita degli americani riesce, in modo inatteso, a combinare la realtàiraqena e quella siriana. 
In Siria, come in Iraq, i sunniti,
maggioranza, sono ai margini del potere politico e militare e
subiscono anche i danni economici derivanti dal privilegio altrui. 
favore dell’Isis sono di sicuro l’Arabia saudita, 
gli emirati e laTurchia che, dall’intervento USA in Iraq (Seconda guerra del golfo)
ha subito una perdita netta di influenza. Ricordo che, in questo
conflitto, i turchi rifiutarono agli americani il passaggio di truppe
dal loro territorio. Anche gli Stati Uniti non hanno in realtà una
posizione netta: fa loro comodo la presenza dell’Isis nello
scacchiere perché è di contenimento alla crescita sciita e perché,
per converso, rende necessaria agli equilibri locali la presenza
americana.

L’arrivo dei russi ha sparigliato: ogni settimana
rendeva più vicina la fine di Assad e una nuova sistemazione
politica della zona, mentre con l’arrivo dei militari dell’Armata che
fu rossa, il progetto è andato in fumo. All’inizio, i francesi erano
andati solo per non lasciare agli USA il monopolio della lotta
contro Assad (e, dopo, contro l’Isis), visto che (pochi lo ricordano)
la Siria è stata per diversi decenni sotto amministrazione francese.
Successivamente, consumatosi il 13 novembre, nella cieca furia
guerresca di Hollande (Napoleone il piccolissimo), si sono
presentati in forze per contribuire a una battaglia nella quale non
potranno incidere più di tanto.
L’entità «esterna», presente ovunque in Europa, ma anche negli
Stati Uniti, è costituita da cittadini europei di seconda o terza
generazione che sono vissuti e stanno vivendo attraverso il disagio
sociale dei ghetti periferici, dell’emarginazione e della
disoccupazione endemica e di quella specifica derivata dalla crisi
del 2008. Si tratta di giovani che hanno commesso (di frequente)
piccoli reati, che, per sopravvivere, si sono dedicati allo spaccio e
che odiano la società in cui vivono, non perché sia cristiana, ma
perché li «tiene» in condizione di inferiorità strutturale.
Se non ci fosse stato lo Stato islamico ora e, prima, Al Qaeda a
fornire una piattaforma ideologica, sarebbero gli eredi delle
Brigate rosse e della Rote armee fraktion.
Hanno invece trovato a disposizione un’ideologia specifica (il
Corano) che valorizza l’essere islamici e un’organizzazione di
riferimento: i viaggi e la militanza nelle forze islamiste, utile per la
guerra in Medio Oriente, ma soprattutto per il «training» militare
di coloro che hanno poi assunto il nome di «Foreign fighter». Tutta
gente che ha attraversato l’Europa, la Turchia arrivando in Siria e
in Iraq senza alcun controllo.
Si potrebbe capire che i servizi di sicurezza dei paesi 
europei abbiano lasciato loro libertà dimovimento per poterli monitorare, 
non altrimenti, come in effetti,
è stato, una libertà di movimento assoluta.

Il vantaggio di questo sistema è che la «realtà» esterna opera e si
organizza con lo schema della geometria variabile e della
disponibilità materiale di uomini pronti al sacrificio.
Intendiamoci, l’ortodossia non è condizione indispensabile per
operare, come dimostrano la Francia e il Belgio: gli ultimi
terroristi, infatti, assumevano tranquillamente alcol e, di fatto,
avevano abitudini occidentali. Basta l’ideologia (politica) mutuata
dal Corano e dalla sua attuazione integralista.
Certo, le moschee hanno rappresentato e rappresentano un buon
cancello d’ingresso nel mondo del fondamentalismo combattente:
offrono conforto materiale ai correligionari, ragioni per
differenziarsi dalla società in cui vivono e una visione coranica di
superiorità dei «fedeli» sugli «infedeli» che sono anche ingiusti,
visto che, nella pratica quotidiana, credono in valori che i
musulmani aborriscono.
Se questo schema è convincente, si capiscono tutte le difficoltà
incontrate, tranne una: il clamoroso fallimento dei sevizi di
«intelligence» francesi (e belgi) presi allo scoperto per due volte
dall’iniziativa dei gruppi di terroristi che hanno attaccato Charlie
Ebdo prima e Parigi il 13 novembre.
Un fallimento che mille bombardamenti su Raqqa e sulle posizioni
dell’Isis non potranno far dimenticare e di cui i francesi, mano a
mano che l’emozione si sarà placata per lasciare il passo alla lucida
razionalità, chiederanno conto e addebiteranno al governo in
carica. Non si capisce nemmeno perché Bruxelles sia stata messa
in stato d’assedio per l’arresto di quattro o cinque sospetti, una
retata al buio, realizzata secondo metodi da Seconda guerra
mondiale.
Certo, tutto questo milita per una maggiore integrazione europea
in materia di sicurezza e di una risposta unitaria all’aggressione.
Ma comporterebbe una politica per l’occupazione e per la casa che
miri alla reale integrazione di coloro che abbiamo accolto tra di
noi, superando ogni ghettizzazione. E una condizione3
irrinunciabile: che anche i musulmani accettino i principi liberali
della democrazia e, tra questi, la tolleranza.
Non sarà facile né rapido: le parole di vuoto buonismo, genere
Boldrini, non servono a nulla, anzi accentuano il rancore in chi lo
nutre. Nel 2012, Barak Obama dichiarò alle Nazioni Unite: «Il
futuro non deve appartenere a chi calunnia il Profeta …» Quindi
-follia- dovrebbe appartenere a chi va in giro ad ammazzare i
calunniatori, cioè coloro che hanno il diritto costituzionale di
criticare il Corano e il suo Profeta.
Intanto, mentre la consapevolezza cresce, occorre che i servizi
segreti abbiano la possibilità di lavorare come lavorò Carlo Alberto
Dalla Chiesa: carta bianca per bonificare i luoghi nei quali si coltiva
e cresce il fondamentalismo terrorista.

Domenico Cacopardo