24 gen 2013

Il Montepaschi... ed i titoli tossici



RIDIMENSIONAMENTO e REGOLAMENTAZIONE



Il recente caso MPS impone ancora una volta di fare chiarezza sugli errati percorsi degli Istituti Bancari ed il loro continuo uso di titoli che consentono di scambiare dei pagamenti collegati all’andamento di tassi di interesse, indici o valute. Questi strumenti, utilizzati recentemente anche dall’ Mps per coprire perdite, in un certo senso “puniscono” in maniera pesante chi li utilizza, poiché… è ormai definitivamente provato che siano “tossici”.
Ci si chiede a questo punto cosa potrebbero temere i correntisti e gli azionisti poichè la banca, quotata in Borsa, fa presagire un crollo verticale del titolo e non vi è dubbio.. che i nostri cittadini difficilmente potranno continuare a fidarsi degli Istituti bancari nazionali.. per le singolari gestioni assegnate a personaggi fin troppo legati al carro della politica.
E’ chiaro che sarà molto difficile far fallire un Istituto che esiste dal 1472…al contrario sarà più probabile che esso potrà essere nazionalizzato. Ma l’argomento apre ancora una volta la questione del funzionamento di una politica legata all’economia finanziaria ed al rapporto degli Istituti bancari con i cittadini ed il mondo dell’impresa.    

“In un futuro non lontano potrebbe arrivare il momento di fornire nuove idee e regole a supporto e dovrà essere proprio la classe politica ad indicare una diversa direzione al sistema. E’ proprio di idee e di regole chiare che si ha bisogno in questo difficile campo. Una nuova cultura suggerita da chi avrebbe un dovere di controllo su una economia che incide fin troppo sugli equilibri e sugli interessi degli stessi cittadini.”
Sono passati tredici anni da quando scrissi queste parole sul mio piccolo pamphlet “la politica ed il cambiamento” e, nonostante io non sia certamente un tecnico ed abbia una scarsa conoscenza della dottrina economica, mi accorgo che esse suggerivano, con una certa lungimiranza, possibili contenimenti ai vari pericoli incombenti.

L’indirizzo politico degli Istituti bancari del nostro Paese sembra non prendere alcuna strada: Mai una economia di sviluppo in linea con la realtà, nessun impegno  adeguato verso un intervento a favore dello sviluppo delle aziende.
Una politica di Stato dovrebbe avere come scopo principale quello di aggregare in modo omogeneo la società che governa, immedesimandosi con più attenzione nelle problematiche della loro crescita, fornendo quindi, le adeguate regole e le giuste  garanzie alla società civile del nostro Paese. 
vincenzo Cacopardo


23 gen 2013

La politica chiusa in se stessa


La componente pragmatica nella politica e nel sociale" 

di vincenzo cacopardo

Oggi, l’azione del pragmatismo regna sovrana, tanto da non potere più essere considerata come espressione di un pensiero filosofico, ma un’effettiva patologia supportata da un sistema sociale ormai malato.  Un fenomeno sempre in aumento, probabilmente intensificato dall’evidente difficoltà della vita odierna che costringe ad una visione sempre più pratica e concreta. Un’ espressione che sembra non risparmiare nessun essere vivente, un modo di porsi con il quale l’uomo spera di proteggersi dagli odierni eventi sociali: Egli resta imprigionato da questa forma mentis di concretezza poiché pensa che non vi potrà mai essere alcuna alternativa per una propria difesa in seno al freddo incedere del vivere contemporaneo.
Questo fenomeno, per via di paure ed incertezze definitesi nel tempo, sembra stia chiudendo l’uomo in se stesso, a tal punto, da costringerlo ad alienarsi dai suoi doni più preziosi:  ideali, creatività, idee e sogni… cioè, da quella parte del mondo fantastico così importante e determinante per la crescita dell’individuo nella stessa società.
Se è vero che in alcune manifestazioni artistiche, teatrali, cinematografiche e letterarie odierne, vengono rappresentati e posti alcuni valori fantastici e creativi…come fondamentali componenti dell’essere umano…è anche visibile come,.. nella vita quotidiana di tutti i giorni, ci si imbatta in un mondo che materializza e razionalizza la qualunque imponendosi persino nelle fondamentali dottrine sociali.
Anche la politica sembra oggi imbrigliata in questa mentalità, tanto condizionata da mettere in primo piano solo un nesso con la realtà e sminuendo ogni riferimento verso ideali ed inventiva.
-Ma la realtà non è forse una costruzione tangibile delle idee? La speranza di una crescita senza idee e creatività sembra essere seriamente compromessa dall’enorme ostacolo posto da una forma mentale proiettata in direzione di una visione forzatamente realistica delle cose che si riflette inevitabilmente sui rapporti reciproci, nel lavoro e di conseguenza anche su una cultura. Potremmo, di conseguenza,  affermare che si è andata costruendo l’opinabile cultura di una concretezza forzata.. non esattamente in linea con lo spirito dell’essere umano, che per natura resta assai predisposto ad ogni potenziale creativo.
Quando si insiste in modo forzato e pedissequo nel ricercare le possibili soluzioni partendo dalla  logica realistica del sistema esistente, non si fa altro che rinviare ed aggravare la problematica di ogni possibile crescita: bisognerebbe, invece, domandarsi  se questa stessa logica realistica, costruita su un sistema ormai vecchio, potrà mai essere predisposta ad accettare possibili idee innovative. Se, altrimenti, un sistema non dovrebbe rinnovarsi e di conseguenza anche le sue logiche cambiare. Ma come si può cambiare se si è bloccati da una visione fin troppo pragmatica che frena inevitabilmente ogni possibilità di rinnovamento?
Ecco che allora.. potrebbe sorgere il ragionevole dubbio se, questa forma mentale, non può essere voluta e sostenuta da poteri forti che frenano lo sviluppo ed il cambiamento della società in direzione di vere e significative innovazioni, per la paura che un mutamento possa stravolgere ogni stabilità e sicurezza.
Ma possiamo davvero dare un senso positivo a tale stabilità? possiamo davvero ritenerla sicura e democratica? 
Nel campo dell’economia, i grandi luminari non fanno che dettare il loro programma in una visione che non può che essere realistica e concreta, in quanto l’economia è una materia che guarda prettamente ai numeri ed al riscontro con una realtà precisa. A differenza di loro, la politica non può permettersi di sottostare a qualsiasi programma economico, ma deve invece analizzarlo ed indirizzarlo verso una società che reclama una più equa gestione economica al servizio della comunità. Poiché nella visione di una politica entra il sociale, il lavoro, lo sviluppo, il welfare etc., non può che essere l’economia al servizio dei principi di una politica di ogni Paese e non, viceversa:- Se così non fosse, nella nostra Carta Costituzionale vi sarebbe scritto di un ulteriore potere: quello dell’economia.
In ogni campo del sociale ed a maggior ragione oggi, una visione troppo ostentata del pragmatismo, non può mai far sperare in una crescita, al contrario, trascinerà avanti un popolo al servizio di un sistema malato. Se, come oggi, ci si adatta lavorando nel proprio campo, senza l’apporto di una vera e rivoluzionaria ricerca, si rimarrà sempre immobili in un sistema dal quale si attinge ma, al quale, non sarà mai reso un contributo per il giusto efficace cambiamento. 
Ciò porta ad un inevitabile stallo dove lo stesso sistema si costringe in un percorso viziato che tenderà sempre a riparare falle senza innovare mai nulla. In seguito si continuerà ad adattarsi, come oggi si usa, ai cosiddetti modelli esterofili che nulla possono se non accentuare tali difficoltà, in quanto  non esattamente in linea con la cultura territoriale e la storia del nostro Paese.
Persino un padre del pragmatismo, W. James, affermava che "vero è tutto quello che contribuisce ad arricchire la nostra potenzialità creativa". 
Questo dovrebbe ispirarci a comprendere come, un forzato uso del pragmatismo, non potrà agevolare alcuna innovazione, ma potrebbe continuare a frenare lo sviluppo delle idee! La politica non può trascurare questo fondamentale aspetto: Nessuna politica può più pensare di costruire innovazione e sviluppo adattandosi al rigido paradigma di un sistema che tende a frenare lo sviluppo delle idee.

UN FUTURO COSTRUITO SULLA QUALITA'




L'attuale crisi economica è il risultato di un sistema finanziario e bancario mondiale che non può più funzionare. Molti hanno sempre dato la colpa di tutto ciò al capitalismo e ad un certo liberismo guidato dai potenti uomini d'affari, i quali, non si sono mai curati delle possibili ripercussioni sull'economia reale e quindi delle crisi che si sarebbero riversate nei vari settori produttivi, dimostrando solo di voler giungere all'accumulazione di ricchezze personali, mediante operazioni speculative di alta finanza.

Il problema principale sta nel fatto che la politica non si è mai veramente interessata a regolamentare questo sistema. In teoria si può affermare che una delle principali cause della povertà sia dovuta alle banche, ma non v'è dubbio che le motivazioni dei fenomeni come la povertà sono molteplici e molto più legate a cattive scelte operate dalla politica. Tuttavia l'azione degli istituti bancari continua ad influenzare notevolmente determinati processi di crescita.Per superare questa situazione si dovrebbe rilanciare l'economia reale e di questo, deve farsene responsabile proprio la classe politica.

Alla base della crisi c'è quindi un problema del sistema bancario finanziario e monetario che sta ormai giungendo al collasso. Ma anche aiutare l'economia reale rappresenterebbe un limite se l'azione dei governi non andasse oltre. Per porre fine in maniera definitiva a tutto ciò, è necessario partire dalla radice del problema, dalla sua causa primaria e cioè, da un sistema bancario malato che deve essere assolutamente riformato.

La crisi finanziaria si è originata e sviluppata per l'eccesso di indebitamento che per oltre due decenni è stato consentito a banche, imprese e famiglie: per evitare questo eccesso di debito privato potesse avere effetti dirompenti sull'economia reale, si è dovuto far crescere il debito pubblico. Per scongiurare questo nuovo rischio occorreva già da tempo, a livello europeo, applicare una regolamentazione più rigida sulla speculazione finanziaria, invece, anche il nostro Paese, ha finito col seguire modelli esterofili, che oggi rischiano la bancarotta. L’indirizzo politico nei confronti degli istituti bancari del nostro Paese, sembra non prendere alcuna strada: Non una linea di economia di sviluppo uniforme con una realtà, nessun impegno  adeguato verso un intervento a favore dello sviluppo delle aziende e del lavoro.

Le banche dovrebbero tornare a fare le banche! Oggi potrebbero entrare in “equity”  con le aziende e sposare per un periodo di tempo la loro crescita, portandole verso un reale sviluppo. Dovrebbero basare la loro crescita sulle stesse idee che le aziende propongono, entrando in capitale ed aiutandole per l’avvio, fino ad un limitato periodo stabilito in base al progetto.

Grandi esperti e luminari dell’economia mondiale continueranno a dare il loro indispensabile contributo, ma non potranno che essere le forze della politica di ogni Paese a fungere da guardiani e poiché il problema è e sarà sempre di carattere internazionale, toccherà ad una politica internazionale studiare, organizzare e coordinare con l’obiettivo di assicurare stabilità economica e livelli occupazionali più corretti.

Vi sono grandi temi di politica che non possono che essere valutati, controllati e guidati a livello internazionale, se non mondiale, uno di questi è il tema dell’economia, altri sono: il fenomeno ecologico ambientale, l’immigrazione e la criminalità organizzata. Per questi temi, qualunque scelta operata da ogni singolo Paese, non potrà mai sortire un utile risultato senza l’apporto e la condivisione di tutti gli altri Paesi dell’area internazionale.


Dovrà essere la classe politica nel suo insieme a dover guidare un processo evolutivo dell’economia al fine di proteggere gli interessi dei Paesi. Un futuro che, per quanto riguarda il nostro Paese può svilupparsi solo attraverso idee e qualità, suggerite da chi avrebbe anche un dovere di controllo su una economia che incide ormai fin troppo sugli equilibri e gli interessi.

Ntuttavia nessuna nostra politica parla oggi in termini di qualità e di idee ed anche il nostro sistema economico ha sempre preteso di marciare e vivere cinicamente di riflesso ad un’economia globale forzata da una primaria esigenza di produzione: La nostra Nazione, forte di un passato che ha arricchito culturalmente il resto del mondo, sarebbe sicuramente in grado di impegnarsi per dettare nuove regole che possano equilibrare e migliorare qualitativamente il percorso di una nuova politica economica internazionale. Un percorso dettato da idee che possano essere anche il risultato di una ricerca culturale profonda e poste in proiezione con più ottimismo.


Il nostro Paese potrà riuscire a venir fuori dalla odierna sfida dei mercati economici solo attraverso una strada che possa metterlo in giusta competizione con gli altri paesi. Una competizione oggi si può vincere solo con un percorso basato sulla “qualità”. Prezioso aggettivo sempre appartenuto alla storia ed alla tradizione della nostra Nazione.







                                


v cacopardo




22 gen 2013

Nessuna politica credibile… senza una vera ricerca


Le ultime proposte di Monti circa il dimezzamento dei Parlamentari,  non convincono a fondo: sembra che il Professore affronti il problema del non funzionamento della nostra politica in termini di quantità rappresentativa senza approfondire le origini del problema che si evidenziano di più in un contesto qualitativo.
La retorica, quindi...continua!..persino con Mario Monti..che sembrava colui che aveva meglio compreso l’importanza di dare qualità al percorso per una efficace politica: Proporre il dimezzamento dei parlamentari senza approfondire certi aspetti primari non sembra una grande idea…anzi appare assai banale! Una proposta già suggerita, persino populisticamente, da tanti altri…
Ma cosa ce ne facciamo della metà dei parlamentari se poi questi, pur indicati come capaci (e questo sarà tutto da verificare) non trovano una base funzionale del sistema politico sulla quale far marciare le loro proposte  in modo utile e fattivo?
Quali sono dunque le effettive  proposte di Monti e del suo Movimento…quando sembrava averci incantato con la sua rottura nei confronti di un bipolarismo? Quali alternative all’asse orizzontale Destra-Sinistra? Quale il funzionamento di una nuova politica bicamerale?
Non si scorgono ancora idee precise..ma ancor di più dispiace non ascoltare da nessuna parte politica proposte per una necessaria ricerca in proposito: La parola “ricerca” sembra non appartenere al vocabolario della politica che non riesce a percepire l’importanza di uno studio approfondito in direzione di percorsi più utili. Ci si continua a concentrare sull’onestà delle figure da eleggere…sottovalutando le capacità e l’impegno di un lavoro di ricerca primario che dovrebbe servire a poter fornire le basi di un nuovo percorso.
Non v’è dubbio che oggi si pone una seria questione di rappresentanza della politica ed il cittadino appare quasi nauseato da chiunque lo rappresenti in Parlamento. Un argomento di principale importanza appare proprio quello della rappresentanza del ruolo dei Partiti che, oggettivamente, non potranno mai essere eliminati per l’importanza del ruolo che assumono, ma che devono sicuramente porsi delle regole più precise sia per la loro specifica funzione che per il loro sostentamento. I Partiti devono spingere, assecondare, devono, ricercare, interpretare, mediare, ideare…insomma, svolgere quell’azione induttiva per la determinazione di ogni programma: Sono il vero motore di ricerca, ma tutto ciò potrà avere una validità, solo se attraverso un contatto diretto con i cittadini.
L’attenzione deve perciò essere concentrata su questo.. e non sulla necessità di voler far parte di un Parlamento a tutti i costi…. Tanti oggi darebbero l’anima per poter essere eletti e, pur non nutrendo alcuna passione verso la seria politica, innegabilmente confermata da un disinteresse nei confronti della ricerca delle idee, continuano ad adattarsi ad un lavoro di routine. Mai come oggi,… il primo lavoro… dovrebbe essere quello di condurre studi seri ed approfonditi in seno al proprio Partito o Movimento che sia….
La governabilità è un fine! Nessuna governabilità sarà mai capace di resistere alla mancanza di una indispensabile base di appoggio.. ..unico mezzo per raggiungere il suo utile fine.  
vincenzo Cacopardo

I Partiti... e la ricerca della governabilità



 







 Sentir parlare ancora di un Paese che ha bisogno di governabilità…mi fa inevitabilmente tornare ad un passato nel quale l’unico scopo era l’accaparramento di un potere a prescindere dalla capacità di poterlo esercitare a beneficio di una politica stabile e duratura.  Sembra che tutti i Partiti stiano dimenticando l’importanza del giusto percorso politico che si deve alla politica giocando sulla pelle dei cittadini…e …mi domando…cosa significa la consueta retorica: dobbiamo dare una governabilità al Paese!
Ma vi sembra che una governabilità possa essere una cosa della quale si può disporre a prescindere? Lo ripeterò fino a quando non avrò più alcuna possibilità di scriverlo: la governabilità è un fine! Ed ogni fine si può determinare solo se vi è un mezzo che possa sostenerlo!
Più si corre verso l’improvvisata determinazione di una governabilità…più si reprimono le necessarie riforme! Paradossalmente.. ogni determinazione di una governabilità costruita senza un giusto mezzo, potrà solo fare muro contro la ricerca del desiderato cambiamento.
Se i Partiti ritengono di omettere l’importanza di un logico percorso che possa dare alla governabilità sostanza ed equilibrio, dovrebbero.. allora.. sparire, poiché il loro compito non avrebbe alcuna ragione di esistere.  La ricerca dei mezzi necessari per dare sostanza ed affidabilità ad un governo restano propedeutici ad ogni retorica sulla determinazione di esso.
Difficile poter continuare su questo piano e sperare in una politica di cambiamento! Chi vive nella politica... a differenza di chi vive della politica... può riuscire a percepire l’importanza di un vero rivoluzionamento dei compiti che dovrebbero spettare ai Partiti: Se un Partito ha una coscienza e sa dare un senso alle parole crescita ed innovazione, si può allora pensare che resti immobile spettatore solo per un proprio tornaconto se, altrimenti, non percepisce il valore stesso del cambiamento, poiché non riesce a comprenderlo, la sua struttura organizzativa apparirà sempre parassitaria in un sistema ancor più malato.
Vincenzo Cacopardo



19 gen 2013

Principio di legalità e posizionamento della politica




Sullo “studio e analisi” del mio blog, un post dedica un’analisi al tema della  “legalità”...quando questa si lega in modo specifico alla “comunicazione” di chi vorrebbe proporsi per far politica.  
Recenti casi che vedono i Magistrati impegnati in politica e che tendono a costruire un proprio consenso attraverso il principio della legalità, ben si adattano alle analisi critiche da me sempre sostenute....

Nella fattispecie, l’argomento in questione è indirizzato nei confronti della “comunicazione” di chi opera per una politica di dialogo con i cittadini.... politica di base per la ricerca delle soluzioni, che si differenzia in modo evidente da quella di chi opera in ruolo amministrativo per gli interessi e la difesa dei principi istituzionali.

La legalità è sicuramente un principio sul quale lavorare, ma è sopratutto un valore da ricercare, poiché, se è vero che senza un principio di legalità non cresce sviluppo, è anche vero che senza un funzionale sviluppo, non potrà mai affermarsi un giusto processo di legalità. Chi oggi si avvia nella carriera politica con la pretesa di una ricerca di cambiamento della società…deve comprendere che il funzionamento del sistema dovrebbe essere visto come un principio fondamentale anteposto a quello della legalità. Un pensiero che non può essere interpretato in modo diverso se non attraverso un’ottica che tende a porre la legalità come il fine costruttivo di un valore ed il funzionamento del sistema come mezzo per dare corpo allo stesso principio. Tema difficile da affrontare soprattutto con chi, in questi anni, del termine “legalità” ne ha fatto abbondantemente uso al fine di costruirsi una propria immagine.

Sappiamo bene che ogni bel concetto di “legalità” può e deve essere indirizzato nei riguardi della classe politica che amministra la cosa pubblica. L’obbiettivo è fondamentale!.. Ma appare  persino retorico farne continuo uso da chi dovrebbe proporsi in politica con i pensieri, le idee e le soluzioni. Il vero politico dovrebbe salvaguardare il diritto alla “legalità”, attraverso una procedura più utile e costruttiva, impedendo che il suo essenziale concetto possa confondersi con “legalismo”.

E’ fin troppo logico che, in linea di principio, tutti vorrebbero il rispetto per una legalità! Ma politicamente sarebbe più utile agire per il suo fine e quindi per un valore da ricercare attraverso un vero funzionamento delle regole.

A volte,(soprattutto quando questi è un magistrato entrato in politica) la strumentalizzazione continua del termine, rischia di mettere alla ribalta chiunque usi il tema della “legalità”, come l’unico onesto legittimato a giudicare chi non lo è. La paura è, quindi, quella di non determinare un giusto risultato costruttivo. Sarebbe più utile partire da un principio che pone la legalità come il fine di un obbiettivo della politica, invece che innalzarlo come l’importante vessillo di una battaglia o come mezzo per la conquista di un consenso. La pretesa di una “legalità”, per quanto giusta possa essere in linea di principio, non potrà che camminare di pari passo con il buon funzionamento di una società… …insomma: non si potrà mai pretendere dai cittadini il vero rispetto per un sistema quando lo stesso, mal funzionante, finisce col frustrare altri e più importanti principi come quelli della giustizia e di una vera democrazia.

Spesso alcuni cittadini, non protetti nei loro diritti, sono costretti a difendersi con qualche piccolo atto illecito dalle indifferenti istituzioni che non lasciano loro alcuna alternativa. Dall’illecito all’illegale..poi.. il passo è breve….

Un politico oggi,,.. può solo illudersi di riuscire a costruire un valido sistema di legalità se non attraverso un’azione che comporti una efficienza nei servizi e nelle pubbliche amministrazioni.

Si pone oggi forte il problema di attività illegali più pesanti come mafia, camorra e ndrangheta… E’ fondamentale andare a sradicare questi fenomeni criminosi non solo attraverso una buona azione repressiva, ma anteponendo un’azione preventiva accompagnata da una logica culturale e territoriale costruttiva. E’ indiscutibile la lotta contro questi fenomeni che rappresentano una sfida contro lo Stato, ma si riuscirebbe a farlo meglio se ci si dedicasse con più impegno a far funzionare preventivamente l’apparato organizzativo del nostro sistema con più metodo:  Con uno sforzo che deve essere prevalentemente affidato ad una produttiva politica di idee….

Ma se lo sforzo di chi determina una politica di pensiero, di idee e di ricerca, resta concentrato sul tema della legalità come “principio” ed assai meno sullo studio del funzionamento e delle regole da attuare per la ricerca del valore da raggiungere, si continuerà a costruirvi attorno molta demagogia senza poter arrivare alla soluzione del vero problema.

Si vuole così evidenziare il logico e diverso  compito spettante ad un politico amministratore il quale, essendo legittimato ad amministrare la cosa pubblica, deve prodigarsi per il rispetto delle regole attraverso un messaggio costruito sui principi di legalità e con l’uso della forza pubblica  o dei mezzi messi a sua disposizione… Compito repressivo assai diverso da quello preventivo spettante ad una differente classe politica di pensiero che, come già detto, deve promuoversi e comunicare attraverso le idee e le proposte.

L’importanza di un giusto posizionamento della comunicazione politica, rappresenta oggi la chiave  fondamentale per poter ottenere risultati positivi in termini di riscontro con la società civile. Solo così si riuscirà a determinare quella differenza della politica che intende comunicare coerentemente per costruire, da quella politica “politicante” che si esprime ostentando ingannevoli  vessilli al solo fine di crearsi un consenso.

vincenzo Cacopardo

Un commento di Domenico Cacopardo

La rivoluzione di Ingroia svanisce nell'utopia
Dalla Gazzatta di Parma del 18/01/2013 - Domenico Cacopardo

Rivoluzione civile è la lista che fa capo al magistrato antimafia Antonio Ingroia e che comprende l’Italia dei valori (Di Pietro), i Comunisti italiani (Diliberto), Rifondazione comunista (Ferrero), i Verdi (Bonelli), gli Arancione (de Magistris), Azione civile de medesimo Ingroia e La rete 2018 (del perenne Leoluca Orlando).
Per farcene un’idea riprendiamo in sintesi il programma e tralasciamo le ultime esternazioni dei suoi esponenti: legalità e solidarietà; Stato laico; scuola pubblica che valorizzi insegnanti e studenti; politica antimafia volta all’eliminazione della mafia; sviluppo economico che rispetti l’ambiente; pace e disarmo; cultura motore dello sviluppo; imprenditoria libera di sviluppare i propri progetti senza burocrazia e tasse; partiti fuori dalle imprese; informazione non soggetta a bavagli; selezione dei candidati secondo competenza, merito e cambiamento; la questione morale pratica comune; reintroduzione del falso in bilancio; ritorno al reintegro dei lavoratori in azienda; conflitto di interessi; abolizione leggi ad personam.
Il decalogo di questi rivoluzionari (civili) si compone di tre tipi di proposizione: banalità; affermazioni vetero-radicali e corporative; contraddizioni. Risparmiamoci le banalità: ne sentiamo tante che soffermarci su queste è inutile.
Veniamo alle altre critiche. Sulla scuola al primo punto c’è la valorizzazione degli insegnanti. Come sappiamo, la scuola italiana è in fondo alle classifiche Ocse: il suo vizio di origine è quello di non avere messo al centro della sua missione gli studenti, il nostro capitale del futuro. Gli insegnanti non sono una categoria a sé stante: debbono dare il servizio richiesto loro dalla società e migliorare capacità e impegno.
Che la cultura possa essere motore di sviluppo è discutibile: la sostanza dello sviluppo è figlia dell’impresa, grande, media e piccola, dell’artigianato e del commercio. La selezione dei candidati al Parlamento è la sublimazione del pensiero radicale.
Cosa significa competenza? Su che cosa occorre essere competenti per proporre la propria candidatura? E il merito? Un
merito che si conquista nel proprio posto di lavoro? La scelta per cambiamento? Riguarda Leoluca Orlando in pista da un quarantennio? Di Pietro da un ventennio? Diliberto, da un trentennio?
La riforma della riforma Fornero in materia di licenziamenti è contraddittoria con il desiderio di una imprenditoria libera.
Mancano del tutto, nei dieci punti, le questioni più cruciali, a partire dall’Europa e dalla politica di bilancio. E anche le più
particolari, nostre, come la Tav e l’Ilva, sulle quali nulla dice.
I rivoluzionari civili non si pongono il problema delle risorse, della compatibilità delle finanze pubbliche italiane con i trattati, liberamente firmati e ratificati, e del rientro del debito pubblico. Affermazioni generiche e velleitarie che denotano un’operazione utopia. Può l’utopia rappresentare la soluzione dei problemi quotidiani dell’Italia e dei suoi cittadini? E i suoi interpreti possono darci fiducia sulla loro capacità di condurre in porto le loro idee?
Prendiamo Ingroia, il numero 1: lascia la magistratura palermitana alla vigilia o quasi della celebrazione del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia. L’inchiesta lo aveva visto protagonista assoluto. Il processo presenta molte incognite. Se la Procura lo perdesse ombre gravi si stenderebbero sul suo operato. L’etica avrebbe voluto che il numero uno dei magistrati del pool combattesse sino alla fine del processo, difendendo il proprio operato, le proprie convinzioni, le proprie accuse. Dopo Palermo, Ingroia viene designato dal Governo italiano di Mario Monti a rappresentare l’Italia in un’Agenzia Onu per la lotta alla criminalità internazionale, dedita al commercio delle droghe. Sede il Guatemala. A nomina ottenuta, Antonio Ingroia risiede prevalentemente in Italia, partecipa a decine di pubbliche manifestazioni preparatorie della sua discesa in politica. In Guatemala sporadiche scappate. Cura il proprio progetto politico, che è quello di cui parliamo oggi.
Una sola domanda: perché ha accettato l’incarico presso le Nazioni Unite? Con l’Onu, comunque, il problema non è Ingroia e la sua spregiudicatezza nell’abbandonare un lavoro a due mesi dall’incarico. Il problema è dell’Italia, considerata ancora una volta incapace di esprimere competenze e professionalità affidabili, capaci di contribuire alla missione affidata.
Fermiamoci qui e riflettiamo.

18 gen 2013

Il gioco delle parti in una politica senza riforme


Il quadro politico odierno evidenzia un chiaro vantaggio del PD e della sua coalizione dimostrando difficile, a questo punto, possibili variazioni in proposito. Questo vantaggio renderà alla coalizione una vittoria con un ricco premio di maggioranza alla Camera,.. ma sappiamo bene che per poter governare, si deve poter ottenere un'altra maggioranza al Senato.. dove non esistono premi e dove, questa, viene determinata attraverso la conquista dei seggi ottenuti col voto delle singole Regioni.  Una maggioranza potrebbe quindi essere definita attraverso un ulteriore patto  da stabilire con altri Partiti.
Ma quali potrebbero essere le strategie del PD… se non quella dei più probabili legami con il Movimento di Ingroia il quale..poi.., non è detto riesca a portare un sufficiente numero di Senatori per ottenerla?
Una lettura..simile ad un gioco delle parti... è quella che potrebbe prevedere un inserimento del Movimento del Professor Monti che, entrando con un appoggio esterno per salvare la necessaria governabilità..chiederà in cambio ciò per cui il suo Movimento si è sempre proposto di realizzare: Le indispensabili riforme. A quel punto si tergiverserà per circa sei mesi/un annetto, in attesa di mettere mano e definire il suddetto schema delle importanti riforme, ma ciò sarà destinato a condizionare in modo pesante il rapporto del PD con l’ala della coalizione più esposta a sinistra. Questo.. porterà ad un arresto del cambiamento proposto da Mario Monti, il quale si vedrà subito costretto a togliere ogni appoggio. Passeranno..allora..pochi mesi ed il Governo…con la precaria situazione imposta dalle evidenti posizioni compromissorie, non troverà sblocco…decretando la sua definitiva caduta. Con molta probabilità, il sistematico gioco delle parti, vedrà paradossalmente passare il pallino in mano ad una nuova formazione governativa guidata da Monti ed appoggiata dallo stesso PD, escludendo il Partito di Vendola.. fino ad un punto di rottura che porterà direttamente a nuove elezioni.
La solita durata dei due anni e mezzo che permetterà la tranquillità di tutti parlamentari ai fini del diritto alla pensione, ma non necessaria alla stabilità di cui il Paese avrebbe bisogno. Un gioco di coalizioni ed appoggi che non potranno che portare a nulla se non si intuisce l’importanza di dare mano ad innovative riforme. L’on Bersani dovrebbe essere uno dei primi a comprenderlo potendo proporre, allo stesso Monti, di mettere mano alle nuove regole della politica,... ma i vecchi schemi delle posizioni destra -sinistra sembrano essere più interessanti e convenienti per i vecchi Partiti.
vincenzo Cacopardo






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15 gen 2013

La mossa avventata di Mario Monti















Un commento di Alberto Cacopardo
Potrei sbagliarmi, ma mi sembra che la decisione di Monti di entrare in campo alle prossime elezioni sia stata una mossa avventata. Avventata non solo dal punto di vista della sua aspirazione a guidare il governo, ma soprattutto da quello dell’interesse generale del paese.
Già nel settembre scorso, su mio blog, avevo argomentato che la successione di Monti a se stesso era qualcosa di pressoché inevitabile. Monti è stato ed è, in questo frangente storico in cui versa l’Italia, un personaggio praticamente insostituibile.
E non per la qualità delle sue scelte di politica fiscale (quali tagli e quali tasse), che non sono state particolarmente felici, ma per tutt’altra ragione.
Gli atti decisivi del professore sono stati soprattutto due, due atti la cui portata è ben presente a tutti gli osservatori accorti, ma sfugge invece all’attuale percezione dell’opinione pubblica (non sfuggirà agli storici). Il primo è stato quando, nel dicembre 2011, poco dopo la chiusura della sua prima manovra, ha dichiarato al mondo intero che di misure di austerità non c’era più bisogno e ormai si trattava di passare alla “crescita”. Data l’entità obiettivamente esigua della manovra (appena trenta miliardi su un debito già vicino ai duemila), la pretesa era tutt’altro che scontata. L’avesse avanzata un Berlusconi (o sia pure un Bersani) gli avrebbero riso dietro. Solo Monti, grazie alla sua padronanza da insider dei meccanismi dei mercati finanziari, al suo personale prestigio, al peso delle sue relazioni internazionali e alla sua personale abilità, aveva i mezzi per orchestrare l’accettazione di una svolta così audace da parte dei centri di potere che contano in Germania, in America e a livello globale. Monti dichiarava in pratica: non ci faremo trattare come la Grecia. Nessuno sa bene come abbia fatto, ma è riuscito ad imporsi alla Merkel. E’ stata questa svolta ad aprire la strada alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine inaugurate di lì a poco da Draghi, che, iniettando mille miliardi di liquidità nel sistema bancario, misero il primo argine agli attacchi della speculazione contro l’Italia.
Poi, quando gli effetti dell’Ltro andarono inevitabilmente esaurendo e la speculazione tornò all’attacco in primavera, Monti, anziché fare marcia indietro, rincarava la dose e, fra maggio e giugno, puntava l’indice sul vero problema, la necessità di contenere i tassi d’interesse. Invocando misure europee a questo scopo, quello che fu chiamato il “muro anti-spread”. Era quel che, fino ad allora, la Germania aveva sempre caparbiamente rifiutato. Ancora una volta, nessuno sa bene come abbia fatto, ma Monti riusciva ad imporsi alla Merkel. Il secondo punto di svolta arrivò con la frenetica e ambigua trattativa al vertice europeo di Bruxelles del 28 e 29 giugno, in seguito alla quale il muro di dinieghi opposto dalla Germania iniziò a sgretolarsi, aprendo la strada alle trattative coperte del mese di luglio che sfociarono infine nella dichiarazione di Draghi a Londra a fine mese: “believe me, it will be enough”. Quella che segnò, in modo irreversibile, l’inizio dell’uscita dalla crisi.
E’ futile chiedersi, come fanno tanti, se il merito sia stato più di Draghi o di Monti. Le due cose sono strettamente collegate. Draghi non avrebbe mai potuto compiere né la mossa del dicembre, né quella del luglio se non avesse avuto le spalle coperte in Germania. E il riluttante assenso tedesco fu negoziato soprattutto da Monti, non da Draghi, che ovviamente si occupò soprattutto, e con considerevole abilità, delle modalità e delle forme con cui realizzare l’obbiettivo.
Ecco quali sono i veri meriti di Monti, non certo le sue scelte in fatto di Imu, di benzina o di pensioni. Che tutto questo non sia sbandierato agli occhi dell’opinione pubblica non può stupire: c’è stata una battaglia all’ultimo sangue, condotta in guanti bianchi e per lo più nell’ombra. Nessuno dei poteri che l’ha combattuta ha interesse a pubblicizzarla, né chi l’ha vinta, né chi l’ha persa.
Quello che conta è che Monti l’ha vinta: e che nessun altro avrebbe potuto condurre in porto questa impresa che lui stesso definì “difficilissima”.
Perché nessun altro? Perché chi comanda sui paesi del mondo non sono i governi, non sono i politici, ma sono i potentati finanziari, pubblici e soprattutto privati. E gli uomini che sono abbastanza addentro ai potentati finanziari da poter compiere imprese come questa sono pochissimi. Questa è la tristissima realtà. Questa è la realtà che rende Monti ancora indispensabile.
Dov’è dunque la sua avventatezza?
Se Monti non si fosse presentato in prima persona, avrebbe avuto la certezza, salvo un’improbabile vittoria della destra, di riprendere il governo del paese. O in veste di premier, qualora il centro-sinistra mancasse la maggioranza al senato, o in veste almeno di prestigiosissimo plenipotenziario all’Economia in caso contrario. Comunque avrebbe avuto il Pd nella sua maggioranza.
Adesso che corre alle elezioni, nel primo caso otterrà al massimo lo stesso risultato, nel secondo non si sa proprio come andrà a finire. Un governo di centro-sinistra senza Monti sarebbe quanto meno un azzardo, uno contro Monti rischierebbe la catastrofe.
Purtroppo, in questo momento il futuro dell’Italia è ancora a rischio. Purtroppo è interesse generale del paese che quest’uomo resti al comando della sua economia. Chi scrive, come è ben chiaro a chi conosce questo blog, condivide ben poco gli orientamenti politici di Monti. Ma in questo momento c’è una sola priorità: impedire che si scateni un nuovo attacco all’Italia, che stavolta potrebbe essere fatale. Troppo debole e incerto è lo scudo europeo, troppo forti gli interessi contrari. Impedire il naufragio dell’Italia è il primo passo indispensabile perché sia superato quell’assetto finanziario globale che ha rapinato ai popoli la loro sovranità e ha innalzato una formidabile muraglia contro la giustizia, l’equità e la democrazia.
Da questo punto di vista dunque, schierandosi a queste elezioni per una delle parti in causa anziché mantenere il suo profilo super partes, Monti ha fatto una mossa avventata. Speriamo che non l’abbia a rimpiangere.
Alberto Cacopardo