14 ago 2014

Una nota al commento del consigliere Cacopardo

(chiedo scusa ai miei lettori, ma ho avuto strani inserimenti all'interno del blog che hanno stravolto il contenuto dei miei post. Reimposto la nota ed il commento della scorsa settimana)

di domenico Cacopardo
Ieri, sul suo giornale.. il direttore Magnaschi ha scritto un editoriale che è il manifesto di un razionale approccio verso la novità costituita da Renzi e dal suo governo. 

Soprattutto, rifiuto dei pregiudizi generazionali, professionali e politici. E questo, al di là d’ogni polemica del presente e del passato, è corretto e deontologicamente doveroso.

Partiamo brevemente dal passato. Sappiamo tutti che il complesso dei problemi, delle difficoltà, delle ruberie di cui soffre l’Italia viene da lontano. E che ventidue anni di seconda Repubblica li hanno sistematicamente aggravati. Anche durante i governi di Mario Monti, largamente incapace di incidere su qualcosa di diverso che fossero i pensionati (le solite pecore da tosare), e di Enrico Letta, troppo timido rispetto all’Europa e ai potentati interni.

E non ignoriamo le questioni fondamentali che si annidano nel sistema burocratico. Pensiamo al prestigioso ministero del Tesoro (ora dell’Economia), invaso da esterni dai curricula più o meno prestigiosi, e, a proposito della Ragioneria generale, all’ultimo vero capo della stessa, il diciassettesimo, capace di governarla e di mantenere un rapporto costruttivo con le autorità politiche, che risponde al nome di Andrea Monorchio, sostituito nel 2002. 

Una delle fondamentali cause del disastro amministrativo è la riforma proposta e realizzata da Franco Bassanini. Sulla base di una illusoria terzietà dei massimi dirigenti, è stato immaginato un sistema che, allo stipendio base, aggiungesse una indennità di funzione, capace di portare i massimi livelli non lontano dal milione di euro annuali, per il numero di anni (tre o cinque) di incarico apicale. Ovviamente, caduto il governo Amato nel 2001, la gran parte dei burocrati di vertice si è precipitata da Gianni Letta (cardinale officiante i riti di nomina) protestando contro la protervia del centro-sinistra (che li aveva nominati) e giurando fedeltà al rientrato Silvio Berlusconi. C’era una fondamentale ragione perché queste persone si inginocchiassero al vincitore: una munifica insperata retribuzione annua che doveva essere salvaguardata a qualsiasi prezzo. Alla fine, modificate le norme Bassanini da Frattini, tutti i dirigenti apicali, tranne tre o quattro, vennero confermati, e la vita continuò, per loro, allegramente come prima.

La riprova che la questione sia proprio lì, nell’organizzazione dello Stato, si trova nella pratica impossibilità di attuare efficacemente qualsiasi politica di governo: dalla tutela della pubblica incolumità negli stadi, alla lotta alle contraffazioni e al commercio illegale (ricordo il caso di Ponte Sant’Angelo a Roma), dalle opere pubbliche (le recente Brebemi si è potuta realizzare perché è stata trattata come opera privata affidata a Banca Intesa) all’Expo, dall’Alta velocità al Mose, tutto si muove in modo esterno allo Stato e alle sue strutture, con le illegalità che un Paese abituato alle malversazioni come il nostro conosce bene.

Sia quindi benvenuto un cambiamento radicale, generazionale, professionale e politico. Ricorda da vicino l’ingresso nelle stanze dei bottoni (senza bottoni) della nuova generazione socialista, nel 1980, governo Cossiga 2, Dc-Psi, e lo sgomento con cui veniva guardata dai vecchi della politica e dei ministeri.

Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato.

E occorre altresì che i media nazionali non abbassino mai la guardia di una critica non pregiudiziale, rivolta a valorizzare le novità positive e a condannare tutto ciò che è inutile o sbagliato.

C’è una constatazione da ribadire: non c’è un dopo-Renzi. Il premier deve andare avanti sino a concludere il processo di riforma costituzionale (criticabile ma ineludibile) e le altre riforme, prima fra tutte la nuova legge elettorale.

Le osservazioni non sono questione di gufi e rosiconi. 

Chi scrive con onestà intellettuale è un alleato del governo, soprattutto quando ne rileva manchevolezze ed errori. 




Questo commento di Domenico Cacopardo può essere condivisibile o no, per me lo rimane solo in parte... poiché, pur affrontando generiche problematiche di rinnovamento... finisce col definire solo in parte l'annoso problema del cattivo funzionamento della politica. Per dirla in termini sportivi (anche se non è mai stata mia abitudine osare simili accostamenti)... un vero cambiamento non potrà mai definirsi in modo funzionale concentrandosi essenzialmente sulla sostituzione delle figure politiche, poichè occorre ridefinire il ripristino del campo nel quale si gioca la partita.

La differenza tra chi come Domenico Cacopardo ha vissuto all'interno dei gangli dell'amministrazione Statale (quindi in un certo qual modo.. anche integrato)..e coloro che ne hanno partecipato solo fruendone degli scarsi servizi... rimane difficile da mettere a confronto. Il punto di vista risulta essere sostanzialmente diverso e porta a pensare come, per molti cittadini, ogni ricerca di vero cambiamento non potrà mai restare compiuta senza partire da una vera ristrutturazione dello stesso edificio all'interno del quale la stessa politica si muove e lavora.

Ora.. il consigliere Cacopardo scrive: “Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato”.Ciò non può che essere condivisibile, tranne il fatto che non potrà solo rifiutarsi solo un passato di figure politiche poco innovative in favore di figure nuove... senza cambiare l'impalcato di un edificio la cui struttura istituzionale non riesca a rinnovarsi anche in termini di funzionamento. Qualunque bravo ed onesto politico, se impantanato nel vecchio giro anomalo di un sistema poco efficiente, rimarrà sempre costretto nel giro di compromessi e dei conseguenti risultati tutt'oggi presenti.

Ma anche cambiare la struttura di questo edificio non resta semplice e non dovrebbe mai affrontarsi con premure e tattiche decisioniste che devastano la validità degli stessi principi (come recentemente operato dal sindaco d'Italia). Quindi rifiutare il passato.. non può mai esimerci dallo spingerci verso la ricerca un reale funzionamento del sistema.... non cambiando il quale, ogni più semplice ricambio di figure, potrebbe risultare inutile. 

Ritengo che un cambiamento debba affrontarsi con ordine ed equilibrio... rinnovando certamente le figure, ma non dimenticando che queste devono muoversi in un ambito nuovo che deve avere come fine necessario l'utilità di tutto il complesso istituzionale attraverso il metodo del funzionamento.
vincenzo cacopardo

Nuovo commento all'articolo di Domenico Cacopardo


Boy scout e governo di domenico cacopardo
Le ultime esternazioni di Matteo Renzi al raduno dei boy-scout confermano la problematicità della sua presidenza e non fanno sperare nel superamento degli ostacoli europei. Ultimo Mario Draghi, che si riteneva alleato del nuovo corso italiano e si è rivelato, invece, critico delle lentezze e delle timidezze del processo riformista.

Certo, il raduno dei boy-scout era una ghiotta occasione per riprendere quel discorso demagogico e populista (sì, proprio populista) che, insieme al linguaggio diretto e ‘giovane’, ha determinato il successo di Renzi nelle primarie Pd prima e nel Paese, poi. L’errore, tuttavia, si annidava nei particolari che non sono stati messi in conto, come troppo spesso accade.

«Ora che la musica è cambiata e la politica rialza la testa riformando se stessa c’è chi vorrebbe commissariarla», ha detto il premier riprendendo una constatazione giusta (la politica è tornata al centro della scena) e una preoccupazione fondata. Non è, infatti, che l’Europa pensi alla Troika per fare un dispetto agli italiani e, tra essi, l’exsindaco di Firenze. È che l’Europa, per difendere se stessa e gli stati membri, compresa l’Italia, bloccherà qualsiasi azione difforme dai principi accettati col Fiscal compact e interverrà per realizzare quei processi di risanamento e omologazione che tanti buoni risultati stanno dando in Spagna, Grecia e altre realtà difficili. Questa posizione comunitaria non si esorcizza con un comizio agli scout, si smina soltanto facendo le riforme che ci sono richieste.

Certo, la scelta di affrontare la Costituzione è stata una scelta coraggiosa. Altri avrebbero lasciato lì, dov’è dal 1947, il macigno di un bicameralismo perfetto, e gli altri macigni, compreso quello dell’eccesso di poteri assegnati alle regioni. Quando la riforma del Senato e del titolo V sarà compiuta, tutto diventerà più facile, visto che il processo decisionale risulterà semplificato e la governabilità più agevole. 

Ma Renzi scivola anche col Financial Times (il valoroso ambasciatore Varricchio in partenza per la prestigiosa sede di Washington dov’era, quando il premier esternava?): «l’Italia sa cosa fare … gli Stati dovranno indicare alla Commissione via e ricette per venire fuori dalle secche …» Qui, l’errore è più marchiano e cerca di nascondere gli errori commessi nell’approccio all’Unione, soprattutto dopo le elezioni europee che gli hanno dato una storica vittoria.

Peccando di provincialismo, con un eccesso di self-confidence, Renzi ha ritenuto di avercela fatta: la Merkel lo riteneva simpatico, Hollande lo abbracciava in pubblico manifestandogli pieno sostegno e Cameron lo considerava una valida opportunità per l’Italia.

Invece di tessere la tela delle alleanze, come ci eravamo ripetutamente permessi di suggerire su queste colonne, il governo se n’è uscito con l’indisponente candidatura della Mogherini e in una serie di errori tattici che renderanno molto complesso l’appuntamento di fine mese per la nomina della nuova Commissione. La medesima presidenza di turno italiana non ha costruito quell’attenzione generale sui dossier critici europei. In anni lontani, il nostro semestre aveva determinato una serie coordinata di azioni diplomatiche che ci aveva resi protagonisti e guida dei processi decisionali comunitari.

Non si può nascondere che il drive di Renzi a livello europeo è nettamente scemato e che quindi, il comizio di San Rossore (e quelli che intende pronunciare in giro per il Paese) aveva il solo scopo di ricaricare il mondo dei suoi fan. 

Non scongiura, però, le ombre che gravano sulla legge di stabilità 2015, il più impegnativo dei prossimi appuntamenti. Lì parleranno i numeri. E i numeri non si piegano all’oratoria. Pretendono fatti concreti.



E' ormai una storia risaputa quella del nuovo sindaco d'Italia che persiste in quello che il cugino Domenico definisce “populismo” e che io, invece, sottolineo come un vero “peccato di presunzione” che va ben oltre al più dimesso tentativo di infondere speranza tra i nostri cittadini.

Ma al di là di ogni tentativo sul tema del lavoro e dell'economia.. che già di per sé si dimostra in ritardo rispetto alla premura del Paese, quello di aver voluto affrontare in simile modo il tema della Costituzione, più che essere una scelta coraggiosa, mi è sembrata essere stata scellerata e priva di quell'essenziale equilibrio che in politica non dovrebbe mai mancare..(principio che l'attuale Premier sembra sconoscere del tutto). 

E' vero..quando la riforma del Senato e del titolo V saranno compiute (e non dimentichiamoci di una legge elettorale ad hoc che presto si imporrà) , tutto diventerà più facile, visto che il processo decisionale risulterà semplificato e la governabilità più agevole, come giustamente specifica Domenico, ma quali conseguenze potrebbero esservi? Nessuno si domanda veramente quali risultati opposti potrebbero nascere in reazione ad un simile sistema non approfondito con la giusta analisi e deciso unicamente per fini di una governabilità sicura che costringerà la politica in ulteriori compromessi e continue anomalie...Questi temi dovrebbero essere esaminati in termini di una funzionalità corretta ed a favore di una democrazia ed invece..si continuano ad affrontare solo al fine di imporre, con la forza di normative capziose e poco funzionali, una più comoda attività governativa.
Possiamo quindi ridere... se pur con amarezza, quando ci si vuole far credere che viviamo in un regime democratico.... 

Per quanto concerne il resto...la legge di stabilità rimarra sempre lì e come anche sottolineato dal consigliere Cacopardo, la realtà dei suoi numeri non si piegherà alla ipocrita comunicazione di chi continua a prendere per i fondelli un popolo asservito (in modo quasi masochista) ad un sistema che pare presentarsi con continue anomalie e disfunzioni.
vincenzo cacopardo 








11 ago 2014

Napolitano .. vittima di una premura imposta..

Astuzia ed ipocrisia di un premier
di vincenzo cacopardo
Sempre più astuto e determinato nelle parole il sindaco d'Italia persevera nella sua battaglia..una battaglia che appare più personale e di dimostrazione verso quei gufi da lui spesso richiamati. Il premier usa  meno il noi ed a proposito di Draghi dichiara "Sono d'accordo con lui quando dice che l'Italia ha bisogno di riforme, ma come farle lo decido io, non la Troika, ne' la Bce, ne' la Commissione Europea" ed aggiunge: Faremo cose rivoluzionarie". Facendo persino notare che nemmeno nelle dittature si fanno le riforme cosi' velocemente. Il riferimento è sicuramente verso la riforma del Senato, affrontata con tanta premura e confusione.. da far pensare non poco a quanto possano contare per Renzi i fondamentali e la funzionalità delle istituzioni. Vedremo in seguito come andrà a finire con i successivi passi ed il futuro referendum.
Intanto...con protervia e senza un minimo di umiltà nei confronti dei processi naturali con i quali si devono affrontare simili scelte, Il sindaco d'Italia, orgoglioso dei risultati (Senato e 80 euro) continua con le dichiarazioni, dimostrazione di una ambizione illimitata, assicurando i mercati che non ci saranno sforamenti ed asserendo che non ha alcuna intenzione di sfondare il tetto del 3%. Poi...(passando con la solita maestria comunicativa al noi)..afferma ”Noi pensiamo di migliorare la crescita nel secondo semestre e il risultato sara' il 2,9%. Non supereremo il 3% perche' e' una questione di credibilita' e di reputazione per l'Italia, anche se altri dovessero superare quella soglia".
Il suo Pd che lo ha appoggiato in questo suo cammino dovrà assumersi tutte le responsabilità nel futuro... poiché ha persino perseverato (per ovvia opportunità) nel sottovalutare i valori essenziali di un giusto processo democratico. Ma le domande logiche di tutti coloro che continuano ad essere identificati come “i gufi malefici” restano sempre valide: -non potrebbe tutto ciò portare ad un peggioramento i cui esiti devastanti potranno essere visibili più in là? Chi ha deciso che questa figura di profeta (come lo fu un altro nel recente passato)...possa avere il divino dono di traghettare la Nazione verso un giusto avvenire alzando le acque del grande fiume come fece Mosè?
Per quanto riguarda le sue scelte sugli 80 euro.. non si scorgono ancora sufficienti elementi positivi sull'economia della Nazione, mentre su quella riforma quasi imposta del Senato, non siamo ancora in grado di conoscerne i risultati di lì a venire..e non è nemmeno detto che possano essere positivi o persino fattibili.
Per quanto riguarda le scelte costituzionali..ciò che si è verificato riguardo al Senato e si verificherà di certo nella definizione di una legge elettorale, rappresenta una autentica vergogna nei confronti della politica istituzionale delle nostra Nazione. Desta stupore l'assenza di un garante come il nostro Presidente della Repubblica Napolitano...apparso, riguardo alla riforma del Senato,  più vittima di una certa premura..un Capo dello Stato che sembra aver dimenticato l'opera dei più attenti costituzionalisti...i quali mai avrebbero ridotto in simile modo un'alta Camera. Mai si sarebbe dovuto rendere questo compito così delicato ad un governo (tra l'altro definito senza elezioni). Scelte diverse e più funzionali sarebbero potute essere fatte con maggior considerazione e meno fretta...una premura avallata proprio dal Capo dello Stato.. che doveva servire solo a favorire l'immagine dell'uomo determinato...Atto penoso oltre che umiliante per le stesse istituzioni.
Quello che oggi sicuramente si scorge da parte dell'ambizioso sindaco d'Italia è il voler procedere con la forza di un trattore senza alcuna considerazione su alternative più valide e di primaria importanza..indirizzate verso la fiscalità, il lavoro, il mezzogiorno, il mercato esterno, la qualità, l'attività creditizia in favore delle aziende... etc, che sicuramente, al contrario di altre riforme, appartengono ad una attività governativa.
Ma la capacità comunicativa del sindaco d'Italia esplode sempre con un usuale ipocrita finale "se qualcuno afferma che la parola d'ordine e' paura o timore, si sappia che la parola d'ordine e' coraggio".
L'arte di scambiare il coraggio con l'azzardo ed il relativo pericolo di un ritorno devastante per il lavoro ed i mercati è tipico di Renzi e fa parte del suo ruolo.. tutto concentrato nel rendere fiducioso il Paese...La sua è proprio una sfida personale che non esprime il rispetto necessario nei confronti delle enormi problematiche.. e questa è la ragione per la quale tutti i suoi percorsi vengono imposti di fretta e quasi sommariamente.. senza un vero studio ed una ricerca di vero funzionamento.  La sua è solo una meta da raggiungere..non importa quale, come e perchè..

10 ago 2014

la posta di Paolo Speciale

La democrazia incompiuta 
di Paolo Speciale
L'interrogarsi sul sistema perfetto ed il tentativo – reiterato – di scovarlo ed istituirlo è la storia e l'evoluzione dell'uomo sociale.
E questo princìpio non tiene conto dei confini geografico-politici: ciascuno ha agito ed agisce secondo modelli o valori più o meno condivisibili.
Possiamo parlare oggi della sussistenza di democrazie compiute? O forse è più opportuno considerarle cresciute - ma mai abbastanza - ed in continuo “affinamento”?
Stante che la perfezione non è di questo mondo, proviamo a guardare lo stato di questo processo evolutivo in casa nostra.
Facendo a meno volentieri di un vuoto preliminare nozionismo, possiamo dire che da tempo ci si è accorti della ingravescente inadeguatezza della vigente legislazione elettorale e della progressiva dissoluzione della effettiva rappresentanza parlamentare.
L'attuale maggioranza di governo è in sé una anomalia ormai istituzionalizzata oltre ogni ragionevole tempo, perché se da un lato identifica più efficacemente la collettività attraverso la compresenza di forze politiche intuitivamente e tradizionalmente opposte dal punto di vista del consenso, nel contempo, volendo considerare causa strumentale e quindi impropria di essa l'emergenza economico sociale (di portata anche transnazionale), finisce con lo stimolare quella parte di opinione pubblica e di informazione che non le riconosce la necessaria autorevolezza per agire – e non parliamo qui certo di legittimità – e per generare un impulso fecondo soprattutto nel settore economico e sociale.
Quando poi il nostro premier, forse particolarmente sensibile soltanto al ruolo di gestore dell'emergenza istituzionale insieme al Capo dello Stato, si ostina a concentrare l'attività di un ramo del Parlamento alla propria non necessaria o comunque prioritaria autoriforma, opera suo malgrado una dannosa ed inutile commistione tra due parti del programma di governo che dovrebbero rimanere distinte: quella che attiene alle riforme istituzionali e quella che rimanda alla necessità di intervenire sulla riduzione del debito pubblico con il contestuale rilancio dell'economia attraverso tagli meno populistici e più efficaci della diminuzione del numero dei senatori.
Questo esecutivo diventa giorno dopo giorno sempre più vulnerabile a causa della sopraggiunta e prevedibile sua identificazione con la popolarità – nel bene e nel male – del suo capo e di qualche ministro (o ministra, se è lecito usare questo termine), che determina di fatto la priorità dell'immagine sull'azione concreta. E' un boomerang forse non previsto al quale, se proprio non si vuole andare a votare, si può opporre una maggiore e più attiva partecipazione di altre espressioni politiche presenti nella maggioranza e diverse dal PD che, in atto inspiegabilmente silenti, tornerebbero così a legittimare agli occhi di molti questo insolito condominio e alleggerirebbero quella pressione mediatica che grava sul presidente del consiglio e che, alla fine della fiera, fa male soltanto al Paese.
Anche questo, perchè no, è assunzione di responsabilità propria di governo e valido contributo alla costante ricerca di quel sistema che siamo condannati a cercare per sempre.



nuovo articolo di Domenico Cacopardo


Tacciono i cannoni. di domenico cacopardo

Finalmente. 

E non per merito della comunità internazionale, dell’Onu, degli Stati Uniti o dell’Ue. 
Ma soltanto per la decisione unilaterale del governo israeliano di concludere le operazioni e di far rientrare in caserma soldati e carri armati. Certo, l’iniziativa dell’Egitto è stata utile e determinante: avendo in mano l’unica porta di accesso legale a Gaza, è riuscita a portare a un tavolo di discussione i rappresentanti di Hamas mentre, a un altro tavolo, esaminava le varie opzioni con i rappresentanti di Israele.
L’elemento fondamentale, dal punto di vista tattico, è la distruzione dei tunnel dai quali i militanti armati di Hamas, palestinesi e non, potevano sbucare nel territorio nemico e aggredire civili e militari.

Sino alle ultime ostilità, questi tunnel perfettamente operativi non erano stati utilizzati. Solo qualche azione sporadica. Erano lì, pronti per Armageddon, l’apocalittica battaglia finale in cui l’unica posta in palio sarebbe stata lo sterminio degli ebrei e del loro Stato.
L’averli distrutti, ha un innegabile valore tattico, come valore tattico hanno le più recenti ostilità e quelle precedenti, tutte mirate a scompaginare i preparativi di Hamas e a rinviare di qualche anno la resa dei conti.

Dobbiamo, però, riconoscere che l’unica via d’uscita accettabile è la pace. Per raggiungerla, queste piccole sanguinose guerre non servono, anzi rafforzano le posizioni degli estremisti, sempre più agguerriti e diffusi nel mondo islamico, talché, oggi, possiamo contare due sedicenti califfati, quello siro-iraqeno e quello libico.

Ci vuole, quindi, una seria iniziativa verso il mondo islamico moderato che, ancora oggi, è largamente maggioritario, nonostante le minacce continue degli estremisti e il ricatto della solidarietà di schieramento religioso. Un valore, quello dello schieramento religioso, mai onorato sino in fondo nella storia.

Ciò che manca, per imboccare questa strada, è l’impegno diplomatico delle grandi potenze. 
Certo, la diplomazia non basta se non è accompagnata dalla forza, dalla capacità cioè di imporre le decisioni e le scelte della comunità internazionale.
Niente di nuovo, naturalmente, se ricordiamo, per esempio, il protocollo di Troppau, del 1820, con il quale Austria, Prussia e Russia, cioè l’Europa intera del tempo, si assumevano l’impegno di garantire ordine legale e stabilità del continente.
Del resto, con la fine del mondo bipolare Usa-Urss s’è tornati alla politica internazionale del primo Novecento e ai canoni definiti dalla pace di Westfalia.

Mancano dunque, prima di tutto, gli Stati Uniti, incapaci di onorare le loro responsabilità storiche. E, poi, l’Unione europea che, dopo i disastri del 2011 (Libia, Siria etc.), non riesce a esprimere una qualunque linea politica.

Non è un paradosso sostenere che il conflitto dei giorni scorsi -che ha visto Israele entrare a Gaza- è dovuto proprio alla mancanza di garanzie internazionali e di un serio approccio politico Usa-Ue all’Islam moderato capace di dissuadere i tanti doppiogiochisti dello scacchiere dal continuare nel sostegno sotterraneo, ma non troppo, alle varie organizzazioni terroristiche schierate in campo.
A questo punto, dobbiamo aspettare, tra due anni, il nuovo presidente Usa, augurandoci che la deriva retorico-verbale di Obama sia sostituita dall’antica concretezza.
Da lì, non dall’inesistente Europa dei nostri giorni, si deve ripartire.

6 ago 2014

Gufi o aquile..?


di vincenzo cacopardo

E allora ...dove sono i gufi? Dove sono i tenebrosi pennuti così tanto paventati dall'ambizioso Premier? Ormai anche il nostro ministro dell'economia pare rendersi conto di quanto difficile sia riprendere a crescere se non si attuano delle riforme più appropriate.

Mancano riforme strutturali più adatte e i tanto declamati 80 euro al mese.. non sembrano produrre alcun beneficio alla spinta economica del Paese. L'economia non funziona ma si dà ancora credito al giovane sindaco d'Italia che con la solita aria gradassa continua a dare risposte assicurative. Si continua a cercare un capro espiatorio sulla governabilità sicura e la certezza della loro durata...dimenticando l'importanza di alcune scelte strutturali non del tutto appropriate.

Anche il lamento del ministro Padoan appare superfluo in considerazione del fatto che tutto ciò poteva conoscersi e proprio sul bonus degli ottanta euro, di cui oggi si fa una enorme fatica a trovarne le risorse, il ministro risponde oggi con tono più sottomesso..che si farà il possibile per renderlo permanente....Si farà il possibile..ma non avevamo la massima sicurezza da parte del giovane Premier?

Sembra ormai scontato che le promesse sull'aumento per le fascie più deboli (ossia le pensioni minime) non verranno rispettate. Se a ciò aggiungiamo che della crescita promessa dal Premier fissata tra lo 0,8% e l'1,5% nel 2015 non ne vedremo l'ombra, temendo anzi che vi possa essere un segno meno, possimo renderci conto di come le parole di Renzi rimangano ancora aria fritta.

Il ministro Padoan insiste promettendo che non ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva ed aggiunge, quasi fosse la conquista del secolo, che mentre alcuni dati continuano a risultare negativi...quelli sui consumi e l'esportazioni risultano moderatamente positivi. In tal modo, confermando una certa fatica ad uscire dalla crisi.... spera di rendere fiducia alle famiglie italiane.

La strada proposta dal sindaco d'Italia non appare dunque solida..anzi sembra pian piano presentarsi piena di enormi ostacoli ed offrire speranze solo effimere. In questo percorso assai azzardato..non sapendo dare altre risposte e rimanendo privi di vere idee innovative, si tende a dare la colpa unicamente alla mancanza di una governabilità sicura, finendo col trovare sempre ragioni per incidere sfavorevolmente sui principi essenziali di una democrazia, ma mai sui possibili errori supportati dall'ambizione delle figure e dalla loro mancanza di umiltà rispetto alle difficili problematiche.

Siamo dunque gufi...o aquile che volano più in alto?.... 

un commento alla nuova interessante critica di Domenico Cacopardo



LE PETIT NAPOLEON di domenico Cacopardo

I primi sei mesi di governo hanno conferito un’aura di invincibilità al nostro premier, paragonato spesso, per l’avvio folgorante, e noi per primi, al Napoleone degli esordi, della Convenzione e della Campagna d’Italia. Sono molti i meriti che Renzi ha acquisito dal giorno in cui ha conquistato il Pd, l’8 dicembre del 2013.

Il primo è di avere rimesso al centro la politica, riesumando, anche qui, la tecnica bonapartista della conquista della posizione centrale. Dopo la vittoria nel partito, ha rovesciato il tavolo stringendo un patto (che oggi possiamo dire di ferro) con l’odiato (e invidiato) nemico del popolo, Silvio Berlusconi. Si è costruito così due maggioranze intercambiabili e prone ai suoi desideri: quella della coalizione al governo e quella delle riforme istituzionali, più ampia.

Ha avuto fortuna. È stato aiutato dagli sciocchi errori di Grillo e della sua improbabile armata: il comico genovese, che dall’entrata in politica lucra i dividendi di un blog largamente usato dai pubblicitari, aveva avuto in mano per qualche settimana il Paese. Il segretario del Pd, Bersani, gli aveva porto in un piatto d’argento e in diretta streaming l’azione governativa, secondo le sue contraddittorie, inconsistenti e spesso sciocche proposte.

Ebro dell’inaspettato successo elettorale, Grillo aveva rifiutato, ridicolizzando l’interlocutore (Bersani stesso).

Gli autobus, nella storia, passano una sola volta e lui l’aveva perduto.

Ed è stato aiutato dall’algida signorilità di Enrico Letta, rimosso come un qualunque impiegato del comune di Firenze.

Dunque, occorre riconoscergli anche l’archiviazione degli eredi del Pci e l’avvio di una stagione di trasformazioni epocali. Per il Senato siamo agli sgoccioli ed è lecito immaginare che questa settimana la prima lettura di Palazzo Madama sarà compiuta. 

Il resto, cioè le riforme annunciate e in via di approvazione, sono al 90% aria fritta, nel senso che la loro funzione non è quella di trasformare la burocrazia, la giustizia, il mercato del lavoro, le pensioni, ma solo quella di permettere al capo e ai suoi evanescenti collaboratori di annunciarle come compiute. Un’operazione immagine (un tempo si chiamava propaganda).

Nella cavalcata di questi mesi sono, però, già visibili i limiti della politica del premier e il suo orizzonte.

La trasformazione dell’Italia costituzionale in una Repubblica monocamerale con preponderanza dell’esecutivo e del suo presidente, si presenta come una serie di successive battaglie parlamentari, tutte da vincere. Siamo appena agli inizi e il percorso sarà accidentato. 

Certo, come disse Mao Tse Dong, «La lunga marcia cominciò con un passo.» Nel caso di Renzi, tutto è legato al modello di governo, accentrato e ben lontano da quello definito dai padri costituenti proprio per evitare il pericolo rappresentato da gente come lui. L’altro elemento critico è e sarà l’economia, scienza che non si può addomesticare con le parole.

Infine, il giovanotto fiorentino ha accoppiato a rovinose cadute diplomatiche, alcune iniziative che ci fanno ritenere che possegga un buon intuito. La visita ad al-Sīsī, presidente egiziano, è un passo importante verso il fronte islamico moderato (l’unico che può determinare la pace in Medio Oriente) e per una politica attiva verso la Libia. E, a proposito di Libia, l’avere tenuto sino a ora le posizioni con il mantenimento in vita della nostra ambasciata (la sola tra quelle occidentali) ci può restituire il ruolo perduto per la sconsiderata iniziativa di Sarkozy e delle truppe francesi nel 2011.

Insomma, per tornare al confronto bonapartista, la campagna di Russia è ancora lontana e Renzi può felicemente godere della gloria che arride agli audaci, ai fortunati, ai furbi e, perché no, ai capaci.



IL PREGIUDICATO E... LO SPREGIUDICATO

Una critica equilibrata e ricca di argomenti che Domenico Cacopardo esprime al meglio e con chiara scrittura. Il paragone con la figura di Napoleone sembra opportuno...ed il patto con l'odiato nemico del popolo.. pare rinforzarsi. 

Si..è vero!..il Premier è stato persino fortunato... aiutato dagli errori commessi da altri e messi in evidenza nella critica di Domenico, ma la sua sete di ambizione lo condannerà poiché appare totalmente privo di umiltà nell'affrontare le immense problematiche.

Tuttavia non è strano in un Paese come il nostro (dove tutto pare possibile) vedere insieme un pregiudicato ed uno spregiudicato (divisi da una sola s) dettare il programma e le regole della futura politica...ed è sempre il popolo, in parte ingannato ed in gran parte ignorante, a volere tutto ciò. 

In quanto all'intuito, lo stesso cugino Domenico, potrebbe insegnarci che... se non posto per un buon fine e solo per usi fin troppo grandiosi e personali, non potrà mai ottenere i risultati che si vorrebbero. I gufi sembrano quasi scomparsi dall'immaginario del premier...ma penso che ben presto arriveranno le volpi.. (compagnie spesso presenti nella compagine del suo alleato per le riforme).

Il Paese sembra proiettato verso lo sconquasso economico...ed il popolo.. testardo quanto mai....invece di ponderare con equilibrio ed una maggiore conoscenza i programmi....continua a nutrire speranze verso queste figure comunicative capaci di incantare.
vincenzo cacopardo

5 ago 2014

un commento ad un nuovo articolo di Domenico Cacopardo



Hic et nunc  di domenico Cacopardo

Ormai la questione è di vita o di morte per Renzi, il suo governo, il suo partito e, in qualche modo, l’Italia.

Lo scontro sulla riforma del Senato è di quelli che definiscono vinti e vincitori per i prossimi anni. La ratio appare evidente: semplificare i meccanismi decisionali dello Stato eliminando la facoltà di ricatto consegnata dalla Costituzione più bella del mondo (dichiarazione del noto costituzionalista e pensatore Roberto Benigni) ai gruppi organizzati. 

A parte le vedove della prima Repubblica, capeggiate da Rodotà e Zagrebelsky, non c’è una lacrima da versare sulla fine di quel potere di ricatto che tanto è costato a tutti noi. E penso ai danni procurati al Paese, per esempio, dai Verdi, pronti a tutte le battaglie e a tutti i cedimenti in relazione ai rapporti ufficiali e ufficiosi con il governo di turno.

Tuttavia, le cose non sono così semplici. Mentre disinnesca i partitini e i gruppetti, Renzi consegna un altro enorme potere di ricatto alle regioni, centri di spesa al di fuori di ogni controllo: il nuovo Senato, infatti, sarà composto di rappresentanti regionali, che voteranno poche cose, ma cruciali come la legge di bilancio e le riforme costituzionali. 

La legge di bilancio è la norma fondamentale dello Stato: sottoporla al voto di rappresentanti regionali fa cadere tutti gli aspetti positivi della riforma del Senato e dimostra la pochezza di Renzi e del suo disegno (se così si può chiamare una macchia di colori che compone un quadro astratto di difficile interpretazione).

Certo, è possibile che il premier pensi a un working in progress e, cioè, a successive modifiche dell’assetto istituzionale. E una rettifica dei contenuti che dia alla riforma una coerenza interna non indebolirebbe il supponente ragazzo fiorentino, anzi gli darebbe un briciolo dell’autorevolezza che non ha. 

Non lo farà: circondato da modesti yes-men, da qualche professore trombato, da excomandante di vigili urbani ed exsegretario comunali, ispirato dal prolifico endocrinologo di fiducia, Matteo Renzi insisterà sull’approvazione del suo progetto, cozzando contro l’ostruzionismo delle opposizioni. 

A questo punto, deve farcela. 

Il benaltrismo, di cui s’è fatto portavoce Massimo Mucchetti su questo giornale, non aiuta. Anzi, l’ostruzionismo, concretamente, rinvia ogni decisione sui temi vitali dell’economia e della società, visto che le cosiddette riforme (altre) presentate in Parlamento non sono riforme in senso stretto: solo rimasticature di leggi già approvate e immeritate punizioni di alcune categorie sociali, in gran parte essenziali per il funzionamento dello Stato.

L’esito della battaglia appare oggi scontato a meno di una defezione, sempre possibile, di Berlusconi.

I tempi rimangono nebulosi, consegnati alle indecisioni e all’inesperienza atonica di Grasso, uso più ai corridoi ovattati delle procure che alle calde battaglie parlamentari.

Dopo, verranno i problemi veri. È appena uscita una classifica Ocse sulla pressione fiscale: nei paesi del panel che ci pone al primo posto come pressione fiscale, compresa l’economia nera e criminale. I dati del Pil in vari paesi dell’Unione, a cominciare dalla Spagna e dalla Grecia, sono stupefacenti: superiori all’1,5% dimostrano che le riforme non fatte dal fallimentare Monti (mercato del lavoro, prima di tutto) funzionano e danno speranze per il futuro.

E poi, la nuova legge di stabilità, che si dovrà far carico di una situazione peggiore del 2011, quella che portò al golpe bianco di Bce e Bankitalia: un premier normale, non un’anatra zoppa come Berlusconi, avrebbe dovuto immediatamente rimuovere n governatore che s’era permesso di firmare un ultimatum al governo del suo Paese.

Oggi, però, proprio la Bce che ci aveva condannato, ci sostiene nonostante il peggioramento del rapporto debito pubblico/Pil (al 135%). 

Nonostante gli aiutini, non credo che, nel cruciale autunno 2014, questo governo sarà capace di affrontare con efficacia l’appuntamento con le riforme vere.

Mi rendo conto che il discorso sembra contraddittorio: ma a nessuno conviene che la prova di forza in corso veda soccombente la compagine ministeriale. Il disastro che cerchiamo di rinviare e di evitare sarebbe immediato.



"Hic et nunc"...ossia "qui e subito"..senza alcun differimento nello spazio e nel tempo..Non si potrebbe meglio rappresentare un simile lavoro (vago ed sbrigativo) condotto oggi dal premier Renzi.

Persino ogni forma di "working in progress" del sindaco d'Italia è pensata ad hoc per il funzionamento di un governo più forte e deciso..per fornire allo stesso.. quella autorevolezza che tende a dare forza ad un decisionismo senza limiti.

Domenico Cacoapardo sottolinea le indecisioni e l’inesperienza atonica di Grasso... e su questo non gli si può dare torto. Evidenzia il benaltrismo di cui si è fatto portavoce Muchetti e l’esito di questa battaglia che appare oggi scontato a meno di una defezione di Berlusconi. Rimangono sempre in piedi i veri problemi strutturali di questa Nazione: ..la mancanza di una vera crescita..un forte peso fiscale che opprime le aziende..una legge di stabilità che tiene lo stesso Paese nell' insidia costante.

Al di là di come possa pensarla l'esperto cugino Domenico..che da un lato incoraggia lo stesso governo e dall'altro riscontra le enormi problematiche in arrivo per il prossimo anno...io penso che Matteo Renzi si sia soffermato con piglio sulla legge del Senato per dimostrare all'unione europea la propria capacità di determinazione, ma ancora di più... per poter costruire una base futura di governabilità più forte e comoda che possa rendergli maggior forza e sicurezza. Per far questo, persino incoraggiato e protetto dal muro del silenzio offerto dalla maggioranza del proprio Partito, sta mettendo a rischio ogni forma di democrazia. 

Il suo scopo è quello di poter governare tranquillo con una forza parlamentare di una sola Camera determinata da un sistema bipartitico che metterà a tacere definitivamente la restante gran parte soccombente. Vuole poter governare con la forza di un falso sistema di democrazia che purtroppo sembra piacere al popolo che continua a sostenerlo.

In questa storia quello che poco convince è il ruolo di un Partito come il PD che invece di proteggere un paradigma di vera democrazia.. offre il fianco ( forse solo per opportunità e voglia di potere) ad un sistema ipocrita che inganna quella gran parte del Paese che ancora ignora le regole democratiche ed il vero fine di un a governabilità. 
vincenzo cacopardo

4 ago 2014

Un richiamo al governo del sindaco d'Italia


Il commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, ha richiamato il governo, avvisando di non continuare a dirottare altrove risorse, al fine di non rendere impossibile ridurre il peso fiscale. Nei fatti Cottarelli e la stessa Ragioneria hanno messo in avviso il governo sulla impossibilità di utilizzare il risparmio per ridurre una possibile tassazione sul lavoro.
Quelle della Ragioneria e del commissario sono state delle autentiche critiche nei confronti di un modo di governare non esattemente nella logica di una crescita ..Un richiamo alla stessa Ministra Madia che sembra essersi affrettata a rivedere il Decreto legge PA, la quale ha subito dichiarato che verranno presentati dallo stesso governo alcuni emendamenti soppressivi per correggere qualche punto al fine di sbloccare i pensionamenti per l'istruzione. Si cambieranno alcune soglie, ma non per tutti i dipendenti pubblici.
Continua dunque con una certa improvvisazione il lavoro di un governo che sembra innanzitutto aver premura di chiudere di gran fretta la riforma del Senato e pare dimenticare che il Paese continua a navigare con un carico fiscale del 53% .


Il nuovo Senato sembra ormai correre verso un traguardo che lo vedrà pieno di contraddizioni e con i nuovi rappresentanti che potranno votare la legge di bilancio con una ulteriore capacità di ricatto. Un governo che sembra in grado di voler e poter far tutto... con risultati precari che ancora non siamo in grado di valutare. La figura ed il determinismo del giovane sindaco d'Italia piace al nostro popolo che rimane sempre affascinato dal giovane boy scout fiorentino ...ma tra le improvvisazioni di alcune sue Ministre e le chiacchiere continue...sembra che Renzi continui una ricerca più verso i gufi che lo contrastano...che verso un preciso obiettivo..... le sue magie non sembrano ancora venir fuori!    

vincenzo cacopardo

UNA INTERESSANTE NOTA DI SARO NEIL VIZZINI IN ARMONIA CON IL PENSIERO E LO STUDIO DEL FORUM

"Lo Stato asociale" di saro neil vizzini


Intendiamoci subito facendo una distinzione fondamentale, che seppur prevista dalla Costituzione italiana è ampiamente passata di moda: una cosa è lo Stato, altra i partiti politici. Lo Stato di per sé non è nemico del cittadino. È stata la partitocrazia e il consociativismo a renderlo tale.

«Siamo entrati in una fase pre-Montesquieu», spiegava Leonardo Sciascia citando. La Costituzione di carta di Mario D’Antonio (Giuffrè Editore), «i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario,ndr), che dovrebbero restare indipendenti, si sono riunificati nella partitocrazia. Cioè i partiti fanno le leggi, le fanno eseguire e le fanno giudicare. Quando c’è questo una democrazia non esiste più».
In parlamento, prosegue Sciascia nel video assemblato per YouTube, siedono 600 anime morte. Gente che non è mai intervenuta. E che forse neanche ha un punto di vista suo personale su quello che vota. Siamo dunque di fronte a una casta e ai suoi fantocci. La situazione peggiore per delegare loro una riforma istituzionale, ammesso e non concesso che questa sia cruciale per uscire dalla palude della crisi dove sempre loro ci hanno relegato e ci costringono a restare.
E la contingenza è delle peggiori. «La crisi incide sugli assetti sociali della popolazione e sul welfare pubblico. Il ceto medio risulta sempre più fragile, la disoccupazione giovanile ha assunto proporzioni insostenibili e le fasce più anziane della popolazione, vuoi per il prolungarsi della vita media, vuoi per la carenza delle strutture di supporto e per l’impossibilità di molte famiglie di farsene carico, necessitano di assistenza e protezione».
È il quadro, quanto mai preoccupante che emerge dal Rapporto “Un neo-welfare per l’Italia. Autoprotezione, mutualità e cooperazione”, edito da FrancoAngeli (240 pagine), e commissionato dalla società cooperativa assicurativa Assimoco a Ermeneia, Studi & Strategie di Sistema. Rapporto presentato lo scorso 14 maggio presso la Biblioteca della Camera dei Deputati nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto a Roma. E che vuole essere uno strumento scientifico utile a chi desidera trovare risposte concrete per intraprendere un percorso che porti a un rinnovamento della fiducia e a nuove soluzioni di protezione sul piano sociale ed economico.
Il grande tema dunque, più di qualsiasi riforma elettorale o costituzionale, è la crisi dello Stato sociale. Ridotto in passivo dall’azione congiunta della corruzione e della speculazione sul debito degli Stati sovrani. Chi scrive, ad esempio, a 42 anni sapeva già che non avrà mai una pensione.
Un altro dato messo in luce dall’indagine e relativo al fatto che «esiste un doppio livello di consapevolezza nella popolazione che, da un lato, riconosce i segnali di un cambiamento profondo del ciclo di convivenza e, dall’altro, sottolinea la necessità di assumere maggiore responsabilità in tema di autoprotezione individuale, familiare e collettiva».
Il campione di popolazione intervistato (2000 questionari validi, raccolti attraverso un panel telematico, costituto da circa 1000 famiglie italiane, nel cui ambito hanno risposto i singoli individui da i 18 anni in su) registra in maniera significativa il passaggio di coesistenza che oggi stiamo vivendo e ciò emerge soprattutto considerando tre aspetti.
«Il primo riguarda i mutamenti profondi di ciclo che la crisi ha bruscamente accentuato: il 63,4% degli intervistati riconosce l’inversione di tendenza rispetto alle aspettative sociali, ossia è consapevole del fatto che il ciclo precedente si presentava all’insegna della crescita sempre e comunque (più lavoro, più reddito, più welfare pubblico), mentre quello attuale suscita aspettative contrarie (meno lavoro, meno reddito, meno welfare pubblico). Il secondo aspetto riguarda la diffusa necessità di porre maggiore attenzione agli aspetti relazionali e alla solidarietà delle persone (49,5% di consensi), mentre il mood relativo al precedente ciclo vedeva il prevalere di spinte individualistiche. Il terzo aspetto è relativo a quel 54% degli intervistati che ammette che l’attuale situazione economica problematica ricorda come ogni generazione debba affrontare la discontinuità  delle condizioni  di vita rispetto alle  generazioni precedenti e questo deve servire a trovare modalità diverse di vivere che sfidano il modo di pensare degli italiani, il modo di agire e di fare progetti per il futuro».
E se in Italia la questione è particolarmente sentita, per entrambi i motivi che l’hanno determinata, anche all’estero non è da meno. Il Rapporto infatti analizza la situazione in Germania, dove di recente è stata abbassata l’età pensionabile. Mentre negli Stati Uniti d’America fa ancora discute il passaggio dalla sanità privata a quella pubblica con il programma Obamacare.
Tante le domande e i dubbi che assillano cittadini, tecnici e politici attenti ai mutamenti sociali (invero pochi): lo Stato è ancora in grado di sopportare i costi di un welfare organizzato ancora come ai tempi della rivoluzione industriale? Quale modello adottare invece? E ancora: ci si può fidare delle imprese private nell’espletamento di questi servizi pubblici? O si rischia ancora un darwinismo sociale come quello determinato dalle assicurazioni sanitarie private in America?
Proprio il Rapporto Assimoco sottolinea come «un’organizzazione economica moderna non può più operare senza la consapevolezza di trovarsi di fronte a un consumatore che è al contempo un cittadino e che chiede a voce sempre più alta un’impresa che sia economica, ma anche civica».
Un fenomeno che esiste già e che è chiamato Corporate Social Responsibility (responsabilità sociale d’impresa), in forza dei cui principi di solidarietà molte aziende, di ogni settore merceologico, che finanziano progetti sociali d’ogni genere (scuola, ambiente, assistenza, sanità, ecc.). E se i più critici dicono che lo fanno solo per un fatto d’immagine e reputazione e per lo stesso motivo che funzionano.
Ma una cosa è un progetto filantropico altro gestire la previdenza o l’assistenza infortuni di un’intera nazione. Per cui è necessario coniugare al meglio profitto e responsabilità sociale. Ed è qui che entra in gioco un patrimonio tutto italiano: le cooperative. Tema a cui dovrebbe essere sensibile l’attuale Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che proprio da quel mondo arriva.
Il Governo italiano sostiene però che per uscire dalla crisi è necessario modificare la Costituzione, rendere il Senato non elettivo e introdurre una legge elettorale identica a quella bocciata dalla Corte Costituzionale solo sei mesi fa. Strano che in quell’America che tanto piace ai democratici italiani in quasi 250 anni non hanno mai pensato di cambiare la Costituzione, eppure di crisi ce ne sono state.
s.n. Vizzini



28 lug 2014

il "caos agitato" di Domenico Cacopardo


IL "CAOS AGITATO" del consigliere Domenico Cacopardo

La giornata parlamentare del 24 luglio sarà ricordata per la scomposta agitazione delle minoranze nei confronti di Renzi e della sua ampia maggioranza. Anche la manifestazione davanti al Quirinale va iscritta nell’albo del dilettantismo politico, venato dallo squadrismo riportato alla ribalta dai distintissimi esponenti del M5S. Insomma, un caos agitato che ha portato acqua al mulino del premier e al suo riformismo pop. Chiamiamo pop il cosiddetto riformismo di Renzi perché è privo di un disegno coerente e compiuto e consiste in un «happening» continuo, nel quale il mondo si divide in sodali-dipendenti e nemici.

Il pasticcio nasce nelle insufficienze di Pietro Grasso, presidente del Senato e nel suo comportamento ondivago. L’ammissione del voto segreto su alcuni emendamenti in accettazione dei desideri dei grillini, ma contro la maggioranza, ha poi suscitato il severo richiamo del Quirinale e la decisione della conferenza dei capigruppo di porre il limite dell’8 agosto. È evidente che 8000 emendamenti dovevano, nella mente degli strateghi che hanno scelto questa strada, costringere il governo a desistere o a trattare. 

Ma è altrettanto chiaro che la resa di Renzi sarebbe stata totale, in quanto non c’era una seconda linea di riserva. 

Perciò, la maggioranza non aveva altra strada che indicare una data limite per il dibattito. Altrimenti, il Parlamento sarebbe stato inchiodato per mesi sulla riforma del Senato e del titolo V, dimenticando tutta l’imponente, spesso inutile, produzione legislativa.

La parola «elezioni», pronunciata da Giachetti e dal cerchio magico renziano era un’arma spuntata. Napolitano, nonostante l’impegno anomalo nel sostegno del governo (già manifestato per Monti e Letta, con il finale che s’è visto), non può concedere le elezioni durante il semestre italiano di presidenza. E che la resa di fronte al ricatto degli emendatori, avrebbe cuociuto a fuoco lento il ministero per condurlo presto alla fine (successore designato Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia con funzioni commissariali).

Questo non significa che il futuro della riforma è assicurato. Tutt’altro, viste le incertezze del premier, ignaro delle trappole parlamentari e digiuno di troppi capitoli dell’Abc della politica.

Immaginate che la fascinosa Boschi, riprendendo le parole di Renzi, per negare un disegno autoritario, ha annunciato un referendum sulla riforma, dimenticando che il referendum è dovuto (non dal governo, ma dal sistema) se le riforme costituzionali non raggiungono la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento. 

Troppi fronti aperti tutti insieme, una specie di palingenesi alla tedesca, nemici a Est, nemici a Ovest, a Nord e a Sud: sappiamo come andò a finire e quali ferite una simile guerra inferse ai tedeschi.



Su questa strada il «boy-scout» fiorentino non andrà lontano. Ma i pericoli che corre, purtroppo, coinvolgono Giorgio Napolitano e la medesima Repubblica, dato che si manifestano in una congiuntura economica che sfiora la tragedia: il messaggio di fiducia di Renzi non è passato; la mossa degli 80 euro inutile; l’economia peggiora; il bilancio anche, visto che si sono decise spese dimenticando i vincoli europei.
Troppo per Renzi, troppo per tutti noi.

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sulla crisi internazionale



L'ANARCHIA REGOLA IL MONDO di domenico Cacopardo
Già dalla pace di Westfalia del 1648 s’era imposto un ordine internazionale, poi dissolto da Napoleone I, restaurato dal Congresso di Vienna, dissolto da Napoleone III, varie volte scomparso e restaurato, sino al mondo bipolare Usa-Urss che, in qualche modo, aveva stabilito un sistema di diritto internazionale, fondato sull’equilibrio del terrore, che ha retto per quasi cinquant’anni. Poi, è accaduto che l’America monopolizzasse i rapporti tra gli stati, diventando, per mano di Bush padre e di Bush figlio il gendarme del mondo.

Le cose si sono rapidamente complicate: la Cina soprattutto ha assunto il ruolo di seconda (o prima) tigre, mentre il mondo islamico ha percepito come un «liberi tutti» l’uscita degli Stati Uniti dall’Iraq e la personale promozione della democrazia operata da Obama a partire dall’Egitto.

Il mondo occidentale, per l’insipienza del presidente americano, ancora più evidente da quando Hillary Clinton è stata sostituita dall’imbarazzante John Kerry al dipartimento di Stato, e per la stupida «Grandeur» di Sarkozy, cui ha tenuto mano il governo di sua maestà britannica, è tornato all’ininfluenza, registrando una serie di gravi sconfitte, e si trova incastrato in una situazione senza vie d’uscita. L’Egitto, per forza propria (della borghesia laica soprattutto), è uscito dalla spirale dell’integralismo medievale dei Fratelli musulmani, ma la Siria è precipitata in una guerra civile nella quale gli alleati dei «nostri» sono gli stessi terroristi che hanno fondato un califfato islamico, nel quale i cristiani sono perseguitati e, con essi, le donne cui è stata imposta l’infibulazione obbligatoria. La Libia è ai materassi. E la cosa non ci dispiace, visto che gli italiani sono stati di fatto estromessi dai francesi che hanno insuperabili difficoltà a stabilizzare la situazione. Non sembra che facciamo parte della medesima comunità che l’ipocrisia degli attuali statisti chiama Unione. 

Sull’Ucraina, il gioco è oscuro e comunque lontano dagli interessi italiani. Dobbiamo realisticamente, poiché non vogliamo estrarre l’olio e il gas dell’Adriatico, né le centrali a combustibile nucleare, prendere atto che senza il gas russo possiamo chiudere quel poco che rimane aperto.

La guerra Israele-Hamas è un altro frutto avvelenato dell’anarchia mondiale. In assenza di un ordine internazionale con riferimenti certi e politiche chiare, è evidente che per Israele –il popolo ebreo ha crediti irredimibili verso l’umanità- era necessario combattere una battaglia di contenimento nei confronti del movimento terroristico di Hamas. Purtroppo i media italiani si alimentano delle informazioni della propaganda islamica e non riescono ad avere un atteggiamento equilibrato nei confronti di una tragedia che si sta consumando dalla Shoa in poi. 

Chi può offrire garanzie a chi? Solo le armi possono garantire una tregua di un paio di anni e poi si ricomincerà. Ricordo che gli israeliani, circa 8.000.000, in un mare arabo, non hanno speranze di sopravvivere se non in un contesto di forzata pacificazione generale. Quindi, Netanyahu sa benissimo, come lo sapevano i maggiorenti del Ghetto di Varsavia, che il suo Paese ha gli anni contati e, di fronte al silenzio generale (incredibile quelli tedesco, americano, francese, italiano e via di questo passo) non può che combattere.



In questa situazione, opera la missione italiana «Mare nostrum»: un impegno umanitario che, però, incentiva oggettivamente l’afflusso di disperati in Italia. E l’Europa, abbia il coraggio di dirlo Alfano, non condivide la politica italiana della «Porta aperta» che disperde nel continente gente di tutte le specie, compresi terroristi, portatrice di malattie endemiche e incontrollabili. Se l’Unione si occuperà del problema, vorrà porre una barriera, del genere di quella costruita dagli spagnoli. Una barriera nel Mediterraneo, significa blocco e respingimento. Con buona pace delle tante anime belle che aprono le braccia degli altri.