22 ago 2014

Un commento alla nuova analisi di Domenico Cacopardo



Dateci un progetto

Il battello è in mare aperto, nella tempesta. Il capitano è al primo comando, sin qui ha governato barchette, e l’equipaggio è composto, in parte, da neofiti. Il naufragio è possibile, probabile. 

Solo l’istinto di conservazione ci spinge a tenere duro scrutando l’orizzonte in cerca di una rassicurante rada.

Questo è il momento che l’Italia vive e le notizie che si susseguono confermano l’idea che non ci sia un progetto complessivo rispetto al quale i provvedimenti di riforma si susseguano con coerenza. 

No. Purtroppo il progetto non c’è né ci sarà. L’Europa, dal canto suo, si fonda su un unico pilastro: un’austerità che ha come capitello il Fiscal compact. Il resto è illusione e propaganda.

Anche la presunta elasticità per spingere al rilancio un continente in recessione non trova reali sostegni in una burocrazia tetragona a ogni novità, incapace di trar lezione dai propri errori: e di errori di valutazione è lastricato il percorso comunitario dal 2007 a oggi. 

La stessa Bce ha sbagliato ogni previsione e si ritrova prigioniera della Germania e della Bundesbank ancorate al rifiuto di ogni sforzo che possa coinvolgere il risparmiatore tedesco nel disastro del debito pubblico italiano. Anche se, in misura insufficiente e tardiva, il contribuente tedesco ha partecipato al salvataggio di Grecia, Spagna, Portogallo e via dicendo. Ma là, in quelle aree, c’era una spiccata esposizione delle banche germaniche, quelle stesse banche che all’inizio della crisi si erano rapidamente alleggerite dei titoli italiani, contribuendo al tracollo del 2011. 

Certo, lo sappiamo tutti, c’è un problema di credibilità del nostro Paese a Bruxelles: ed esso non può essere risolto con una girandola di dichiarazioni cui corrispondono solo buone intenzioni e mezze riforme in itinere. La questione viene da lontano, dallo sconsiderato modo di presentarsi sul palcoscenico internazionale di Silvio Berlusconi, nonostante la seria politica di Tremonti che s’era rifiutato di scodinzolare (come altri, dopo di lui) davanti a commissari, funzionari e banchieri rivendicando un approccio pragmatico alla crisi, contenimento degli effetti evitando ogni choc.

Purtroppo, in questo momento, dobbiamo fare i conti pure con le sprovvedute idee di esponenti della maggioranza, nel governo e fuori. Cesare Damiano, il ministro del lavoro dello scasso delle pensioni (con la revoca dell’allungamento dell’età lavorativa) e altre sciocchezze vetero-marxiste, e che oggi ricopre il delicato ruolo di presidente della commissione lavoro, se ne esce con un ennesimo divieto a toccare l’art. 18. Tema sul quale anche Renzi svicola ricorrendo al noto benaltrismo («Il problema non è l’art. 18 ma la riforma complessiva»). Non capisce, l’esimio onorevole Damiano, che le sue semplici dichiarazioni contribuiscono ad accentuare l’incertezza del Paese e degli imprenditori. E dimentica che solo gli imprenditori possono invertire i dati della disoccupazione, investendo i loro denari.

L’altro sconsiderato dichiaratore è il ministro Poletti che immagina (e con lui il premier) un’operazione sulle pensioni al di sopra dei 3.500 euro in busta paga, allargando il contributo di solidarietà già istituito, dichiarato incostituzionale e reintrodotto.

Per carità, bisogna fare tornare i conti, certo. Ma perché nessuno, nel governo, affronta il problema delle oltre 10.000 società pubbliche e dei centri di spreco che rappresentano?

Se Renzi non affronterà, sul serio, il radicale taglio della spesa pubblica, riproducendo quel deficit spending che alimentò Dc e Pci e che ora alimenta gli eredi, non usciremo dalla crisi e continueremo ad avvitarci tra tasse crescenti e recessione.

Questo è il punto: cambiare verso non a parole, ma coi fatti.




Taglio alla spesa..ma anche utili progetti per la crescita...uno fra questi....

La crisi è davvero profonda.. ed ormai siamo tanto avvitati in tasse e recessione da non poter riuscire a venirne fuori se non attraverso un cambiamento sistemico che possa radicalmente mutare l'impostazione socio economica a livello internazionale. 

E' vero..il fiscal compact..sembra procedere inesorabilmente e con estrema decisione.. imposto da un'Europa che non pare guardare ad una crescita reale. Sembriamo imbrigliati in un circolo vizioso dal quale è impossibile uscirne..Si continua a procedere secondo schemi finanziari guidati dalle potenze economiche in base a principi che non potranno mai portare vantaggi reali all'economia..il tutto con continui sacrifici da parte di chi lavora onestamente...Ma che senso può mai avere tutto questo?..quale fine potrà rendere?

La visione dall'esterno sull'operato di questo governo appare misera, insufficiente e sempre più spesso inadeguata ... cioè priva di vere idee che possano rimettere in moto il motore di una economia già da tempo bloccato.

Scrive bene Domenico a proposito del taglio alle spese, che potrebbero essere contenute, ma credo che il problema dovrebbe anche essere considerato nell'ottica degli investimenti più utili a beneficio del Paese. Nessuno ad esempio si concentra con dovuta attenzione al grande patrimonio del sud e alla sua potenziale crescita basata investendo nelle necessarie infrastrutture di cui avrebbe bisogno. Come ho già avuto modo di sottolineare, al sud manca ormai una politica capace di immedesimarsi positivamente sullo sviluppo del proprio territorio..capitalizzarlo..renderlo attivo e funzionale...farlo crescere in modo adeguato.

Se da parte dello Stato centrale non si riesce ancora a capire l'importanza di rimettere ordine e potenziare il patrimonio di gran parte del meridione attraverso un piano ed un progetto studiato in base alle esigenze territoriali, nello stesso mezzogiorno.. sembrano non esistere figure politiche capaci di rendersi attive e predisposte per un suo appropriato sviluppo. Ma un simile studio, affrontato col dovuto metodo, potrebbe forse essere utile alla necessità che abbiamo di renderci credibili a Bruxelles. 

Uno studio serio per lo sviluppo di questa parte del territorio che muore ogni giorno di più, al fine di non trascinare nel baratro anche quella che sembra essere la differente realtà del Nord industrializzato..già di per sé penalizzata dall'austera economia di questi anni.
vincenzo cacopardo














19 ago 2014

La giustizia: una riforma che non può mirare alla semplificazione..


il ministro per la giustizia Orlando
di vincenzo cacopardo
Non si può dar torto a chi vuole mettere in ordine la giustizia attraverso una riforma che possa renderle maggior funzionamento, ma non si può nemmeno criticare un ordine giudiziario da tempo privo delle risorse occorrenti perchè tale funzionamento diventi realtà. Piercamillo Davigo, oggi consigliere di Cassazione, in un dibattito, ha sentenziato che la riforma messa in cantiere dal ministro di Giustizia Andrea Orlando «si occupa di cose sostanzialmente inutili». Dal canto suo il ministro ritiene invece utile la sua riforma del processo civile, per il sovraffollamento di ben cinquemilioni di cause ferme e una media di 940 giorni per una prima definizione.
A chi dare ragione? Pur restando critico per certi aspetti nei riguardi di alcuni magistrati, credo sia da ritenersi valida l'attenuante da parte degli stessi per la gran mole di cause impossibili da esaminare senza le dovute risorse che possano offrire maggior organico alla stessa organizzazione giurisdizionale. In base a ciò è anche da ritenersi difficile poter affrontare con serietà il tema della responsabilità civile dei magistrati che, con cognizione di causa.. si rifugiano sul numero sproporzionato di processi proposti quasi volutamente da una autentica lobby di avvocati, e che, sempre secondo l'alto magistrato, pare vivere irresponsabilmente di nuove cause pretestuose.
Per questo motivo lo stesso Davigo afferma che il governo sta cercando in tutti i modi di fissare una durata massima dei processi invece di cercarne di ridurre il numero al fine di snellire l'attività ed il difficile lavoro della magistratura. Secondo il magistrato quindi, occorre disincentivare il ricorso alle cause, civili e penali.
Non c'è alcuna certezza che una riforma sulla responsabilità dei giudici possa assicurare tempi più rapidi ai processi e migliore qualità della giustizia, inoltre credo che bisogna stare attenti a valutare meglio il differente operato del giudicante da quello del requirente, il quale potrebbe con maggior facilità operare in modo scorretto venendone sempre fuori adducendo futili motivi di opportunità. Una seria riforma della giustizia, oggi, dovrebbe sottolineare di più la differenza tra questi due ruoli, ponendo responsabilità diverse sull'attività del requirente, ma offrendo a tutta la struttura quelle risorse necessarie senza le quali, nessuna vera riforma potrà mai risultare utile: Il magistrato non ha nulla che assomigli ad una squadra di aiuti e assistenti che lo possano assistere come nel caso di un primario.
Ricordiamoci del lavoro complesso che svolge un magistrato che deve fare tutto da solo per il compito assegnatogli: deve assumere le prove, esaminare i documenti, ricercare i precedenti, scrivere le sentenze oltre naturalmente tutti i vari provvedimenti. Costringere un magistrato ormai esperto a scrivere fatti puramente storici o una motivazione che qualunque uditore potrebbe benissimo scrivere al suo posto, rappresenta un chiarissimo spreco delle risorse umane di quella che dovrebbe considerarsi “azienda giustizia”.Il suo lavoro potrebbe essere messo a confronto con quello che potrebbe svolgere un primario ospedaliero qualora gli si imponesse di far lui le analisi cliniche o le radiografie e persino praticare le iniezioni prescritte. Tutto ciò è un chiaro spreco di intollerabili proporzioni al quale bisognerebbe porre rimedio circondando il magistrato esperto, di un gruppo di ausiliari, magistrati come lui, anche se con minore esperienza, ai quali possa essere affidata la assunzione delle prove,la ricerca dei precedenti, lo studio giuridico pertinente ed in fine, la stesura delle sentenze. In questo caso, il vantaggio che ne deriverebbe sarebbe principalmente di qualità, ma anche di una riforma che guardi con maggiore attenzione alla velocità per la soluzione dei casi e con un incremento notevole della produzione complessiva.
Come siamo ormai abituati a constatare, questo governo si muove per  il suo percorso senza alcuna logica di funzionamento, ma con l'esclusivo principio della fretta e della semplificazione ..per poter stabilire riforme che mirino al risparmio, persino quando l'argomento, come in questo caso, risulta essere strettamente legato alla libertà e la dignità dell'essere umano.



Claudio Martelli: un politico condizionato nel suo intuito riformatore

UNA INTERESSANTE LETTURA ESTIVA  
"RICORDATI DI VIVERE"


Nel libro di Claudio Martelli “ricordati di vivere” l'autore mettendo in evidenza le sue intense esperienze politiche, esprime argomenti sociali utili ed interessanti. Ne ho riscontrato uno, tra i tanti, che mi ha colpito inerente il capitolo “tre volte Adriano”..
Martelli, facendo riferimento al tracciato del programma del suo Partito d'allora per la riforma del Welfare ed i tre criteri ispiratori da lui stesso proposti (efficienza, efficacia, equità)... scrive in proposito:

A differenza dell'Uguaglianza, l'equità non appiattisce le differenze, ma le riconosce tosando i privilegi, risarcendo i torti e gli svantaggi, premiando il merito e tutelando i bisogni”. Incorrendo nella censura, amichevole, ma severa di Norberto Bobbio che affermava : “Equità ed uguaglianza sono sinonimi! “. Rimandandomi, quindi, ad una bibliografia in cui c'era la prova che il significato di equità o corrisponde a quello dell'uguaglianza o evapora nell'aria. Replicai che tutto ciò che chiamiamo e amiamo col nome di liberal socialismo ruota intorno al tentativo di conciliare libertà ed uguaglianza in una sintesi superiore, più comprensiva e più mobile. Argomentai: “il significato di equo è più vicino a quello di giusto che a quello di eguale e la giustizia sociale non consiste nel livellare, nell'appiattire; deve piuttosto mobilitarsi e aderire utilmente ai casi individuali e alle diseguaglianze reali o per correggerle o per risarcirle”

Le parole di Martelli sul tema forniscono una spiegazione personale, ma chiara del concetto di equità, (principio tra l'altro ripreso nel recente passato dallo stesso Monti a capo del governo dei tecnici). Una spiegazione che offre al lettore di questo scritto un ulteriore pensiero sul quale poter riflettere in profondità. In questo bel libro, sia per il contenuto storico... che per il pensiero aperto dell'allora giovane rampante politico, vengono toccati altri argomenti che offrono l'opportunità di ulteriori analisi a beneficio dello studio del forum.

Martelli dimostra una sensibilità politica straordinaria soprattutto nei riguardi del suo stesso partito.. che sembra, però, esser rimasta condizionata da una logica politica di quei tempi.. limitandone il personale intuito innovativo.
vincenzo cacopardo

18 ago 2014

Una nota al nuovo commento del consigliere Cacopardo del 18 agosto





LA FORTUNA: UN'AMANTE CAPRICCIOSA
di domenico cacopardo

La fortuna ha accompagnato, sin qui, Matteo Renzi. Essa, però, è un’amante capricciosa, pronta ad abbandonarti proprio sul più bello, quando cominci a contare su di lei e sulle sue grazie. Ultimamente, s’è manifestata intorno a Ferragosto: dopo le perplessità suscitate dai dati sulla decrescita del Pil nazionale, quelli delle altre nazioni europee, simili ai nostri, hanno ridato fiato al premier e al suo governo.

C’è da aggiungere che la strategia dell’attenzione messa in campo nei giorni scorsi, con le escursioni nelle realtà produttive e critiche dal Nord al Sud e alla Sicilia, rappresenta una novità assoluta per la seconda Repubblica.

Nella prima avevamo visto un ministro, Gianni De Michelis delle Partecipazioni Statali, girare per le fabbriche in crisi, quelle più infiltrate dai brigatisti e spiegare ciò che il Paese chiedeva ai lavoratori, in cambio di un sovrumano sforzo di risanamento (solo all’Iri 30.000 miliardi). Il coraggio fu premiato, tanto che abbastanza rapidamente la conflittualità scemò sino a rientrare in limiti fisiologici.

Oggi, Renzi affronta uomini e questioni, compresi i problemi indicati da Mario Draghi. L’ha raggiunto a Città della Pieve dove il banchiere era in ferie. 

Pensa al concreto, non bada all’etichetta lo «scout» fiorentino. Non si fa smontare dallo scherno dei saggi, né dalle difficoltà dei problemi.

In fin dei conti, siamo in mezzo a un mare tempestoso. La nostra imbarcazione è una vecchia carretta. Il comandante è un giovane alle prime armi che, prima, ha governato soltanto qualche barchetta. L’equipaggio: in gran parte neofiti come lui. La ragione ci dice che il naufragio è dietro l’angolo. L’istinto di conservazione ci spinge a rimanere a galla, in attesa di acque meno agitate.

Ecco, nella città umbra uno spiraglio sembra essersi aperto: uno scambio.

L’accettazione di una lieve (ma quanto lieve?) tutela europea che ci indichi le priorità nelle riforme, nel bilancio 2014, nella legge di stabilità 2015, nel deficit e nel debito. In cambio, avremmo –questo la presidenza del consiglio lascia incautamente filtrare- una certa elasticità proprio sui conti, in modo da poter utilizzare, per esempio, la Cassa depositi e prestiti come ente finanziatore di imprese e opere pubbliche, accompagnando gli impegni di spesa della Cassa con una garanzia totale dello Stato (come fa la Germania con l’omologo istituto). Dimenticano gli autori delle indiscrezioni pilotate che una così larga garanzia dello Stato allarga i suoi impegni di firma, in sostanza allarga in modo improprio il debito pubblico, quasi fuori controllo da Monti in poi.

L’altra ragione di fiducia (la fortuna di cui sopra) è l’assenza di una Commissione europea in carica e la prossima (fine mese) nomina della nuova. In essa, noi non svolgeremo alcuna seria funzione di governo avendo optato per una specie di ministero degli esteri, l’ectoplasma che non è mai decollato, indicando per il ruolo la ministra Mogherini, soprannominata, nell’ambiente, Moscerini per indicare il suo peso politico. Però, potremmo pesare nelle nomine che contano, a partire dal commissario agli affari economici che dovrebbe essere un socialista.

Che sia un vero amico dell’Italia è, più che una speranza, un’illusione.




La fortuna ha sicuramente aiutato Matteo Renzi..ormai storico e stoico sindaco d'Italia .”La fortuna aiuta gli audaci” (come recita una celebre frase latina) ed il riferimento di Domenico sulla mancata crescita degli altri Paesi della comunità rimane opportuna, ma quanto può durare si chiede? Quanto ancora il tempo potrà garantire al nostro Paese una possibile crescità? 

l'Italia sembra non avere ancora una vera strategia. La Commissione europea rimanda a settembre il piano italiano sui nuovi fondi europei. La prossima partita europea vale per l'Italia 41 miliardi e mezzo in sette anni. Cifra che dovrebbe raddoppiare in considerazione del cofinanziamento nazionale., quelli relativi al settennato 2014-2020. 

Ma mancano programmi di sviluppo con un relativo cronoprogramma indispensabile per sbloccare anche i singoli piani regionali. Manca la ricerca, manca l'innovazione, la competitività, lo sviluppo tecnologico, manca un effettivo piano per il lavoro e manca soprattutto una cultura politica efficiente.

Sappiamo tutti che senza l'assenso di Bruxelles non arrivano i soldi e tutto si congela. Con lo svantaggio per l'Italia di partire male e in ritardo sui fondi strutturali, per l'ennesima volta. Bruxelles sembra essere tassativa: Senza piani e strategie chiari ed efficaci, non c'è alcuna autorizzazione. Anche perché..l'Italia non sembra avere del tutto risolto i propri problemi di governance. La sua pubblica amministrazione non è efficiente e ben funzionante. Questi fondi restano quindi a rischio.

La fortuna aiuta gli audaci..ma audaci non vuol dire solo determinati ed assoluti..E' necessario affrontare i pesanti problemi in un'ottica più aperta al confronto interno e meno conflittuale in termini di contrapposizioni, ma è anche necessario potervi far fronte con la forza di figure più adatte e competenti. 
L'amante capricciosa, come spesso accade. potrebbe rivelarsi assai inopportuna.
vincenzo cacopardo

il calcio senza rigore di Domenico Cacopardo



Nell’Italia delle tutele e della prevenzione, nell’Italia che ha adottato il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 tutto volto a garantire la moralità nelle aziende, pubbliche e private, c’è un’isola alternativa, nella quale i principi di onorabilità hanno una interpretazione elastica e non valgono come altrove.

Parliamo della Federazione italiana gioco calcio, della quale ci siamo già occupati prima delle celebrazione del rito elettorale di lunedì 11 scorso.

Processato e condannato 5 volte: 4 mesi di reclusione (1970) per falsità continuata in titolo di credito (in concorso con altri); 2 mesi e 28 giorni (1994) per evasione fiscale e dell’Iva; 3 mesi (1996) per omissione di versamento di ritenute previdenziali e assicurative; 3 mesi (1998) per omissione o falsità in denunce obbligatorie; 3 mesi (1998) per abuso d’ufficio per violazione norme anti-inquinamento.

Questo distinto signore, con simili precedenti, risponde al nome di Carlo Tavecchio ed è stato legittimamente eletto nel 1999 (a un anno dall’ultima condanna) presidente della Lega nazionale dilettanti e nel 2014 presidente della Federazione italiana gioco calcio, di cui era vicepresidente dal 2007.

Lui stesso (e i suoi sostenitori gli hanno fatto eco) ha dichiarato di avere ottenuto la riabilitazione e che, quindi, ogni preclusione di tipo etico nei suoi confronti non aveva fondamento giuridico.

Di certo, però, la preclusione sarebbe dovuta valere nel 1999, alla nomina nella Lega dilettanti: era passato solo un anno dall’ultima condanna.

Abbiamo dato un’occhiata in giro e abbiamo incontrato Enrico Preziosi (uno dei maggiori supporter di Tavecchio) presidente del Genoa. Anche il suo nome riporta a una carriera tormentata, nella quale si trova persino un'ordinanza di custodia cautelare (arresti domiciliari) per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio riguardo al fallimento del Como (calcio). Un reato, quindi, strettamente connesso allo sport. Nel 2008, in base al "pacchetto sicurezza", Preziosi ha patteggiato davanti al tribunale di Como una condanna a 23 mesi di reclusione (indultata) per il reato di bancarotta fraudolenta . Come si sa, il patteggiamento è un’ammissione di colpevolezza. Non pago dell’avventura giudiziaria, Preziosi viene anche condannato dalla Commissione disciplinare della Federcalcio(2007) cinque anni di inibizione (dall’attività calcistica) per la gestione economica della sua ex società Como. 

Il nostro gentiluomo ha poi confidato alla stampa di aver condotto in prima persona la trattativa per trasferire alcuni giocatori all'Inter. La confidenza gli è costata un nuovo procedimento disciplinare, in quanto in quel momento era ancora inibito. A dimostrazione del valore attribuito alle sentenze sportive. Vi è stata poi la vicenda Genoa-Venezia: nel 2005 Preziosi è entrato nel registro degli indagati, accusato di associazione a delinquere e frode sportiva. Nel 2006 è stato scagionato dalla prima accusa (associazione a delinquere) ma, nel 2007, è stato condannato a 4 mesi di reclusione per il reato di frode sportiva (partita Genoa-Venezia, truccata). Condanna confermata (2008) nel Processo d'appello. A seguito dell'annullamento della sentenza di condanna da parte della Cassazione (2010), è stato rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Genova che (2011) ha ripristinato la condannai. Infine, tralasciando il resto, nel febbraio 2013 Preziosi è indagato per il mancato versamento dell'Iva per il 2011 (8 milioni di euro). Il 19 luglio 2013 (un anno fa) in primo grado è stato condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione.

Non andiamo oltre nell’analisi dei precedenti di personaggi del calcio italiano.

Abbiamo però letto con attenzione lo statuto della Federcalcio, il Noif (norme organizzative) e il codice etico della stessa e abbiamo constatato come non ci sia un articolo che inibisca l’assunzione di cariche sportive da parte di Tavecchio e Preziosi: nell’ampia casistica dei divieti (ampia ma molto più ristretta di quella di cui alla legge 8 giugno 2001, n. 231) non ci sono i reati fiscali, la frode sportiva e simili sciocchezzuole.

E qui ci sarebbe il varco per Malagò: un commissario ad acta o un commissario tout-court che riscriva statuto e codice etico rendendoli conformi alle esigenze etiche affermatesi nel Paese.

Il disordine amministrativo è certificato proprio dall'attività e dalle decisioni della Federcalcio. 

 domenico Cacopardo



14 ago 2014

Una nota al commento del consigliere Cacopardo

(chiedo scusa ai miei lettori, ma ho avuto strani inserimenti all'interno del blog che hanno stravolto il contenuto dei miei post. Reimposto la nota ed il commento della scorsa settimana)

di domenico Cacopardo
Ieri, sul suo giornale.. il direttore Magnaschi ha scritto un editoriale che è il manifesto di un razionale approccio verso la novità costituita da Renzi e dal suo governo. 

Soprattutto, rifiuto dei pregiudizi generazionali, professionali e politici. E questo, al di là d’ogni polemica del presente e del passato, è corretto e deontologicamente doveroso.

Partiamo brevemente dal passato. Sappiamo tutti che il complesso dei problemi, delle difficoltà, delle ruberie di cui soffre l’Italia viene da lontano. E che ventidue anni di seconda Repubblica li hanno sistematicamente aggravati. Anche durante i governi di Mario Monti, largamente incapace di incidere su qualcosa di diverso che fossero i pensionati (le solite pecore da tosare), e di Enrico Letta, troppo timido rispetto all’Europa e ai potentati interni.

E non ignoriamo le questioni fondamentali che si annidano nel sistema burocratico. Pensiamo al prestigioso ministero del Tesoro (ora dell’Economia), invaso da esterni dai curricula più o meno prestigiosi, e, a proposito della Ragioneria generale, all’ultimo vero capo della stessa, il diciassettesimo, capace di governarla e di mantenere un rapporto costruttivo con le autorità politiche, che risponde al nome di Andrea Monorchio, sostituito nel 2002. 

Una delle fondamentali cause del disastro amministrativo è la riforma proposta e realizzata da Franco Bassanini. Sulla base di una illusoria terzietà dei massimi dirigenti, è stato immaginato un sistema che, allo stipendio base, aggiungesse una indennità di funzione, capace di portare i massimi livelli non lontano dal milione di euro annuali, per il numero di anni (tre o cinque) di incarico apicale. Ovviamente, caduto il governo Amato nel 2001, la gran parte dei burocrati di vertice si è precipitata da Gianni Letta (cardinale officiante i riti di nomina) protestando contro la protervia del centro-sinistra (che li aveva nominati) e giurando fedeltà al rientrato Silvio Berlusconi. C’era una fondamentale ragione perché queste persone si inginocchiassero al vincitore: una munifica insperata retribuzione annua che doveva essere salvaguardata a qualsiasi prezzo. Alla fine, modificate le norme Bassanini da Frattini, tutti i dirigenti apicali, tranne tre o quattro, vennero confermati, e la vita continuò, per loro, allegramente come prima.

La riprova che la questione sia proprio lì, nell’organizzazione dello Stato, si trova nella pratica impossibilità di attuare efficacemente qualsiasi politica di governo: dalla tutela della pubblica incolumità negli stadi, alla lotta alle contraffazioni e al commercio illegale (ricordo il caso di Ponte Sant’Angelo a Roma), dalle opere pubbliche (le recente Brebemi si è potuta realizzare perché è stata trattata come opera privata affidata a Banca Intesa) all’Expo, dall’Alta velocità al Mose, tutto si muove in modo esterno allo Stato e alle sue strutture, con le illegalità che un Paese abituato alle malversazioni come il nostro conosce bene.

Sia quindi benvenuto un cambiamento radicale, generazionale, professionale e politico. Ricorda da vicino l’ingresso nelle stanze dei bottoni (senza bottoni) della nuova generazione socialista, nel 1980, governo Cossiga 2, Dc-Psi, e lo sgomento con cui veniva guardata dai vecchi della politica e dei ministeri.

Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato.

E occorre altresì che i media nazionali non abbassino mai la guardia di una critica non pregiudiziale, rivolta a valorizzare le novità positive e a condannare tutto ciò che è inutile o sbagliato.

C’è una constatazione da ribadire: non c’è un dopo-Renzi. Il premier deve andare avanti sino a concludere il processo di riforma costituzionale (criticabile ma ineludibile) e le altre riforme, prima fra tutte la nuova legge elettorale.

Le osservazioni non sono questione di gufi e rosiconi. 

Chi scrive con onestà intellettuale è un alleato del governo, soprattutto quando ne rileva manchevolezze ed errori. 




Questo commento di Domenico Cacopardo può essere condivisibile o no, per me lo rimane solo in parte... poiché, pur affrontando generiche problematiche di rinnovamento... finisce col definire solo in parte l'annoso problema del cattivo funzionamento della politica. Per dirla in termini sportivi (anche se non è mai stata mia abitudine osare simili accostamenti)... un vero cambiamento non potrà mai definirsi in modo funzionale concentrandosi essenzialmente sulla sostituzione delle figure politiche, poichè occorre ridefinire il ripristino del campo nel quale si gioca la partita.

La differenza tra chi come Domenico Cacopardo ha vissuto all'interno dei gangli dell'amministrazione Statale (quindi in un certo qual modo.. anche integrato)..e coloro che ne hanno partecipato solo fruendone degli scarsi servizi... rimane difficile da mettere a confronto. Il punto di vista risulta essere sostanzialmente diverso e porta a pensare come, per molti cittadini, ogni ricerca di vero cambiamento non potrà mai restare compiuta senza partire da una vera ristrutturazione dello stesso edificio all'interno del quale la stessa politica si muove e lavora.

Ora.. il consigliere Cacopardo scrive: “Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato”.Ciò non può che essere condivisibile, tranne il fatto che non potrà solo rifiutarsi solo un passato di figure politiche poco innovative in favore di figure nuove... senza cambiare l'impalcato di un edificio la cui struttura istituzionale non riesca a rinnovarsi anche in termini di funzionamento. Qualunque bravo ed onesto politico, se impantanato nel vecchio giro anomalo di un sistema poco efficiente, rimarrà sempre costretto nel giro di compromessi e dei conseguenti risultati tutt'oggi presenti.

Ma anche cambiare la struttura di questo edificio non resta semplice e non dovrebbe mai affrontarsi con premure e tattiche decisioniste che devastano la validità degli stessi principi (come recentemente operato dal sindaco d'Italia). Quindi rifiutare il passato.. non può mai esimerci dallo spingerci verso la ricerca un reale funzionamento del sistema.... non cambiando il quale, ogni più semplice ricambio di figure, potrebbe risultare inutile. 

Ritengo che un cambiamento debba affrontarsi con ordine ed equilibrio... rinnovando certamente le figure, ma non dimenticando che queste devono muoversi in un ambito nuovo che deve avere come fine necessario l'utilità di tutto il complesso istituzionale attraverso il metodo del funzionamento.
vincenzo cacopardo

Nuovo commento all'articolo di Domenico Cacopardo


Boy scout e governo di domenico cacopardo
Le ultime esternazioni di Matteo Renzi al raduno dei boy-scout confermano la problematicità della sua presidenza e non fanno sperare nel superamento degli ostacoli europei. Ultimo Mario Draghi, che si riteneva alleato del nuovo corso italiano e si è rivelato, invece, critico delle lentezze e delle timidezze del processo riformista.

Certo, il raduno dei boy-scout era una ghiotta occasione per riprendere quel discorso demagogico e populista (sì, proprio populista) che, insieme al linguaggio diretto e ‘giovane’, ha determinato il successo di Renzi nelle primarie Pd prima e nel Paese, poi. L’errore, tuttavia, si annidava nei particolari che non sono stati messi in conto, come troppo spesso accade.

«Ora che la musica è cambiata e la politica rialza la testa riformando se stessa c’è chi vorrebbe commissariarla», ha detto il premier riprendendo una constatazione giusta (la politica è tornata al centro della scena) e una preoccupazione fondata. Non è, infatti, che l’Europa pensi alla Troika per fare un dispetto agli italiani e, tra essi, l’exsindaco di Firenze. È che l’Europa, per difendere se stessa e gli stati membri, compresa l’Italia, bloccherà qualsiasi azione difforme dai principi accettati col Fiscal compact e interverrà per realizzare quei processi di risanamento e omologazione che tanti buoni risultati stanno dando in Spagna, Grecia e altre realtà difficili. Questa posizione comunitaria non si esorcizza con un comizio agli scout, si smina soltanto facendo le riforme che ci sono richieste.

Certo, la scelta di affrontare la Costituzione è stata una scelta coraggiosa. Altri avrebbero lasciato lì, dov’è dal 1947, il macigno di un bicameralismo perfetto, e gli altri macigni, compreso quello dell’eccesso di poteri assegnati alle regioni. Quando la riforma del Senato e del titolo V sarà compiuta, tutto diventerà più facile, visto che il processo decisionale risulterà semplificato e la governabilità più agevole. 

Ma Renzi scivola anche col Financial Times (il valoroso ambasciatore Varricchio in partenza per la prestigiosa sede di Washington dov’era, quando il premier esternava?): «l’Italia sa cosa fare … gli Stati dovranno indicare alla Commissione via e ricette per venire fuori dalle secche …» Qui, l’errore è più marchiano e cerca di nascondere gli errori commessi nell’approccio all’Unione, soprattutto dopo le elezioni europee che gli hanno dato una storica vittoria.

Peccando di provincialismo, con un eccesso di self-confidence, Renzi ha ritenuto di avercela fatta: la Merkel lo riteneva simpatico, Hollande lo abbracciava in pubblico manifestandogli pieno sostegno e Cameron lo considerava una valida opportunità per l’Italia.

Invece di tessere la tela delle alleanze, come ci eravamo ripetutamente permessi di suggerire su queste colonne, il governo se n’è uscito con l’indisponente candidatura della Mogherini e in una serie di errori tattici che renderanno molto complesso l’appuntamento di fine mese per la nomina della nuova Commissione. La medesima presidenza di turno italiana non ha costruito quell’attenzione generale sui dossier critici europei. In anni lontani, il nostro semestre aveva determinato una serie coordinata di azioni diplomatiche che ci aveva resi protagonisti e guida dei processi decisionali comunitari.

Non si può nascondere che il drive di Renzi a livello europeo è nettamente scemato e che quindi, il comizio di San Rossore (e quelli che intende pronunciare in giro per il Paese) aveva il solo scopo di ricaricare il mondo dei suoi fan. 

Non scongiura, però, le ombre che gravano sulla legge di stabilità 2015, il più impegnativo dei prossimi appuntamenti. Lì parleranno i numeri. E i numeri non si piegano all’oratoria. Pretendono fatti concreti.



E' ormai una storia risaputa quella del nuovo sindaco d'Italia che persiste in quello che il cugino Domenico definisce “populismo” e che io, invece, sottolineo come un vero “peccato di presunzione” che va ben oltre al più dimesso tentativo di infondere speranza tra i nostri cittadini.

Ma al di là di ogni tentativo sul tema del lavoro e dell'economia.. che già di per sé si dimostra in ritardo rispetto alla premura del Paese, quello di aver voluto affrontare in simile modo il tema della Costituzione, più che essere una scelta coraggiosa, mi è sembrata essere stata scellerata e priva di quell'essenziale equilibrio che in politica non dovrebbe mai mancare..(principio che l'attuale Premier sembra sconoscere del tutto). 

E' vero..quando la riforma del Senato e del titolo V saranno compiute (e non dimentichiamoci di una legge elettorale ad hoc che presto si imporrà) , tutto diventerà più facile, visto che il processo decisionale risulterà semplificato e la governabilità più agevole, come giustamente specifica Domenico, ma quali conseguenze potrebbero esservi? Nessuno si domanda veramente quali risultati opposti potrebbero nascere in reazione ad un simile sistema non approfondito con la giusta analisi e deciso unicamente per fini di una governabilità sicura che costringerà la politica in ulteriori compromessi e continue anomalie...Questi temi dovrebbero essere esaminati in termini di una funzionalità corretta ed a favore di una democrazia ed invece..si continuano ad affrontare solo al fine di imporre, con la forza di normative capziose e poco funzionali, una più comoda attività governativa.
Possiamo quindi ridere... se pur con amarezza, quando ci si vuole far credere che viviamo in un regime democratico.... 

Per quanto concerne il resto...la legge di stabilità rimarra sempre lì e come anche sottolineato dal consigliere Cacopardo, la realtà dei suoi numeri non si piegherà alla ipocrita comunicazione di chi continua a prendere per i fondelli un popolo asservito (in modo quasi masochista) ad un sistema che pare presentarsi con continue anomalie e disfunzioni.
vincenzo cacopardo 








11 ago 2014

Napolitano .. vittima di una premura imposta..

Astuzia ed ipocrisia di un premier
di vincenzo cacopardo
Sempre più astuto e determinato nelle parole il sindaco d'Italia persevera nella sua battaglia..una battaglia che appare più personale e di dimostrazione verso quei gufi da lui spesso richiamati. Il premier usa  meno il noi ed a proposito di Draghi dichiara "Sono d'accordo con lui quando dice che l'Italia ha bisogno di riforme, ma come farle lo decido io, non la Troika, ne' la Bce, ne' la Commissione Europea" ed aggiunge: Faremo cose rivoluzionarie". Facendo persino notare che nemmeno nelle dittature si fanno le riforme cosi' velocemente. Il riferimento è sicuramente verso la riforma del Senato, affrontata con tanta premura e confusione.. da far pensare non poco a quanto possano contare per Renzi i fondamentali e la funzionalità delle istituzioni. Vedremo in seguito come andrà a finire con i successivi passi ed il futuro referendum.
Intanto...con protervia e senza un minimo di umiltà nei confronti dei processi naturali con i quali si devono affrontare simili scelte, Il sindaco d'Italia, orgoglioso dei risultati (Senato e 80 euro) continua con le dichiarazioni, dimostrazione di una ambizione illimitata, assicurando i mercati che non ci saranno sforamenti ed asserendo che non ha alcuna intenzione di sfondare il tetto del 3%. Poi...(passando con la solita maestria comunicativa al noi)..afferma ”Noi pensiamo di migliorare la crescita nel secondo semestre e il risultato sara' il 2,9%. Non supereremo il 3% perche' e' una questione di credibilita' e di reputazione per l'Italia, anche se altri dovessero superare quella soglia".
Il suo Pd che lo ha appoggiato in questo suo cammino dovrà assumersi tutte le responsabilità nel futuro... poiché ha persino perseverato (per ovvia opportunità) nel sottovalutare i valori essenziali di un giusto processo democratico. Ma le domande logiche di tutti coloro che continuano ad essere identificati come “i gufi malefici” restano sempre valide: -non potrebbe tutto ciò portare ad un peggioramento i cui esiti devastanti potranno essere visibili più in là? Chi ha deciso che questa figura di profeta (come lo fu un altro nel recente passato)...possa avere il divino dono di traghettare la Nazione verso un giusto avvenire alzando le acque del grande fiume come fece Mosè?
Per quanto riguarda le sue scelte sugli 80 euro.. non si scorgono ancora sufficienti elementi positivi sull'economia della Nazione, mentre su quella riforma quasi imposta del Senato, non siamo ancora in grado di conoscerne i risultati di lì a venire..e non è nemmeno detto che possano essere positivi o persino fattibili.
Per quanto riguarda le scelte costituzionali..ciò che si è verificato riguardo al Senato e si verificherà di certo nella definizione di una legge elettorale, rappresenta una autentica vergogna nei confronti della politica istituzionale delle nostra Nazione. Desta stupore l'assenza di un garante come il nostro Presidente della Repubblica Napolitano...apparso, riguardo alla riforma del Senato,  più vittima di una certa premura..un Capo dello Stato che sembra aver dimenticato l'opera dei più attenti costituzionalisti...i quali mai avrebbero ridotto in simile modo un'alta Camera. Mai si sarebbe dovuto rendere questo compito così delicato ad un governo (tra l'altro definito senza elezioni). Scelte diverse e più funzionali sarebbero potute essere fatte con maggior considerazione e meno fretta...una premura avallata proprio dal Capo dello Stato.. che doveva servire solo a favorire l'immagine dell'uomo determinato...Atto penoso oltre che umiliante per le stesse istituzioni.
Quello che oggi sicuramente si scorge da parte dell'ambizioso sindaco d'Italia è il voler procedere con la forza di un trattore senza alcuna considerazione su alternative più valide e di primaria importanza..indirizzate verso la fiscalità, il lavoro, il mezzogiorno, il mercato esterno, la qualità, l'attività creditizia in favore delle aziende... etc, che sicuramente, al contrario di altre riforme, appartengono ad una attività governativa.
Ma la capacità comunicativa del sindaco d'Italia esplode sempre con un usuale ipocrita finale "se qualcuno afferma che la parola d'ordine e' paura o timore, si sappia che la parola d'ordine e' coraggio".
L'arte di scambiare il coraggio con l'azzardo ed il relativo pericolo di un ritorno devastante per il lavoro ed i mercati è tipico di Renzi e fa parte del suo ruolo.. tutto concentrato nel rendere fiducioso il Paese...La sua è proprio una sfida personale che non esprime il rispetto necessario nei confronti delle enormi problematiche.. e questa è la ragione per la quale tutti i suoi percorsi vengono imposti di fretta e quasi sommariamente.. senza un vero studio ed una ricerca di vero funzionamento.  La sua è solo una meta da raggiungere..non importa quale, come e perchè..

10 ago 2014

la posta di Paolo Speciale

La democrazia incompiuta 
di Paolo Speciale
L'interrogarsi sul sistema perfetto ed il tentativo – reiterato – di scovarlo ed istituirlo è la storia e l'evoluzione dell'uomo sociale.
E questo princìpio non tiene conto dei confini geografico-politici: ciascuno ha agito ed agisce secondo modelli o valori più o meno condivisibili.
Possiamo parlare oggi della sussistenza di democrazie compiute? O forse è più opportuno considerarle cresciute - ma mai abbastanza - ed in continuo “affinamento”?
Stante che la perfezione non è di questo mondo, proviamo a guardare lo stato di questo processo evolutivo in casa nostra.
Facendo a meno volentieri di un vuoto preliminare nozionismo, possiamo dire che da tempo ci si è accorti della ingravescente inadeguatezza della vigente legislazione elettorale e della progressiva dissoluzione della effettiva rappresentanza parlamentare.
L'attuale maggioranza di governo è in sé una anomalia ormai istituzionalizzata oltre ogni ragionevole tempo, perché se da un lato identifica più efficacemente la collettività attraverso la compresenza di forze politiche intuitivamente e tradizionalmente opposte dal punto di vista del consenso, nel contempo, volendo considerare causa strumentale e quindi impropria di essa l'emergenza economico sociale (di portata anche transnazionale), finisce con lo stimolare quella parte di opinione pubblica e di informazione che non le riconosce la necessaria autorevolezza per agire – e non parliamo qui certo di legittimità – e per generare un impulso fecondo soprattutto nel settore economico e sociale.
Quando poi il nostro premier, forse particolarmente sensibile soltanto al ruolo di gestore dell'emergenza istituzionale insieme al Capo dello Stato, si ostina a concentrare l'attività di un ramo del Parlamento alla propria non necessaria o comunque prioritaria autoriforma, opera suo malgrado una dannosa ed inutile commistione tra due parti del programma di governo che dovrebbero rimanere distinte: quella che attiene alle riforme istituzionali e quella che rimanda alla necessità di intervenire sulla riduzione del debito pubblico con il contestuale rilancio dell'economia attraverso tagli meno populistici e più efficaci della diminuzione del numero dei senatori.
Questo esecutivo diventa giorno dopo giorno sempre più vulnerabile a causa della sopraggiunta e prevedibile sua identificazione con la popolarità – nel bene e nel male – del suo capo e di qualche ministro (o ministra, se è lecito usare questo termine), che determina di fatto la priorità dell'immagine sull'azione concreta. E' un boomerang forse non previsto al quale, se proprio non si vuole andare a votare, si può opporre una maggiore e più attiva partecipazione di altre espressioni politiche presenti nella maggioranza e diverse dal PD che, in atto inspiegabilmente silenti, tornerebbero così a legittimare agli occhi di molti questo insolito condominio e alleggerirebbero quella pressione mediatica che grava sul presidente del consiglio e che, alla fine della fiera, fa male soltanto al Paese.
Anche questo, perchè no, è assunzione di responsabilità propria di governo e valido contributo alla costante ricerca di quel sistema che siamo condannati a cercare per sempre.



nuovo articolo di Domenico Cacopardo


Tacciono i cannoni. di domenico cacopardo

Finalmente. 

E non per merito della comunità internazionale, dell’Onu, degli Stati Uniti o dell’Ue. 
Ma soltanto per la decisione unilaterale del governo israeliano di concludere le operazioni e di far rientrare in caserma soldati e carri armati. Certo, l’iniziativa dell’Egitto è stata utile e determinante: avendo in mano l’unica porta di accesso legale a Gaza, è riuscita a portare a un tavolo di discussione i rappresentanti di Hamas mentre, a un altro tavolo, esaminava le varie opzioni con i rappresentanti di Israele.
L’elemento fondamentale, dal punto di vista tattico, è la distruzione dei tunnel dai quali i militanti armati di Hamas, palestinesi e non, potevano sbucare nel territorio nemico e aggredire civili e militari.

Sino alle ultime ostilità, questi tunnel perfettamente operativi non erano stati utilizzati. Solo qualche azione sporadica. Erano lì, pronti per Armageddon, l’apocalittica battaglia finale in cui l’unica posta in palio sarebbe stata lo sterminio degli ebrei e del loro Stato.
L’averli distrutti, ha un innegabile valore tattico, come valore tattico hanno le più recenti ostilità e quelle precedenti, tutte mirate a scompaginare i preparativi di Hamas e a rinviare di qualche anno la resa dei conti.

Dobbiamo, però, riconoscere che l’unica via d’uscita accettabile è la pace. Per raggiungerla, queste piccole sanguinose guerre non servono, anzi rafforzano le posizioni degli estremisti, sempre più agguerriti e diffusi nel mondo islamico, talché, oggi, possiamo contare due sedicenti califfati, quello siro-iraqeno e quello libico.

Ci vuole, quindi, una seria iniziativa verso il mondo islamico moderato che, ancora oggi, è largamente maggioritario, nonostante le minacce continue degli estremisti e il ricatto della solidarietà di schieramento religioso. Un valore, quello dello schieramento religioso, mai onorato sino in fondo nella storia.

Ciò che manca, per imboccare questa strada, è l’impegno diplomatico delle grandi potenze. 
Certo, la diplomazia non basta se non è accompagnata dalla forza, dalla capacità cioè di imporre le decisioni e le scelte della comunità internazionale.
Niente di nuovo, naturalmente, se ricordiamo, per esempio, il protocollo di Troppau, del 1820, con il quale Austria, Prussia e Russia, cioè l’Europa intera del tempo, si assumevano l’impegno di garantire ordine legale e stabilità del continente.
Del resto, con la fine del mondo bipolare Usa-Urss s’è tornati alla politica internazionale del primo Novecento e ai canoni definiti dalla pace di Westfalia.

Mancano dunque, prima di tutto, gli Stati Uniti, incapaci di onorare le loro responsabilità storiche. E, poi, l’Unione europea che, dopo i disastri del 2011 (Libia, Siria etc.), non riesce a esprimere una qualunque linea politica.

Non è un paradosso sostenere che il conflitto dei giorni scorsi -che ha visto Israele entrare a Gaza- è dovuto proprio alla mancanza di garanzie internazionali e di un serio approccio politico Usa-Ue all’Islam moderato capace di dissuadere i tanti doppiogiochisti dello scacchiere dal continuare nel sostegno sotterraneo, ma non troppo, alle varie organizzazioni terroristiche schierate in campo.
A questo punto, dobbiamo aspettare, tra due anni, il nuovo presidente Usa, augurandoci che la deriva retorico-verbale di Obama sia sostituita dall’antica concretezza.
Da lì, non dall’inesistente Europa dei nostri giorni, si deve ripartire.