19 feb 2015

Considerazioni sulle odierne contrapposizioni religiose nel mondo

Il difficile rapporto di integrazione fra i popoli condizionati da una cultura mentale che sconfina in insensati conflitti”
di vincenzo cacopardo

Quello che oggi dovrebbe far riflettere è il constatare un certo radicalismo come manifestazione eccessiva sulle posizioni di tipo religioso che finiscono col generare discordia tra i popoli del pianeta. Si distinguono oggi diverse religioni che finiscono col determinare e condizionare la vita degli esseri umani attraverso principi e valori sociali diversi: Cristiani, cattolici e protestanti,ortodossi, ebrei, mussulmani,orientali antichi, mormoni, spiritualisti, avventisti, testimoni di Geova...etc


Di queste sembrano contrapporsi con violenza soprattutto due dottrine religiose più significative in termini di seguaci: la religione cristiana e quella  islamica, che generano sempre più una netta separazione culturale tra l'Occidente  e l'Oriente.

Una certa forma mentis ormai edificata nella società sembra condurre l'individuo e plasmarlo nel sistema rendendolo.. non più come un essere pensante a se, ma come dominato da un insegnamento che col tempo determina la sua coscienza.. mettendolo in relazione con le comunità nelle quali... il pensiero religioso... finisce con l'incidere in un assoluto culturale. Anche in questo caso, come in altri, l'individuo rimane bloccato da una forte percezione connaturata attraverso insegnamenti appresi durante la sua crescita... restando nella forte convinzione di essere nel giusto. Molti aderenti ad una religione considerano la propria fede più influente o diffusa di quanto non sia nella realtà e ne rimangono aggrappati per motivi congeniti.

Tutto ciò non accadrebbe se la visione sociale e politica per l'integrazione dei popoli rimanesse laica, separata da un pensiero esistenziale che dovrebbe mantenersi in una sfera individuale e... soprattutto..se non si avessero tali certezze in merito all'identificazione di un'entità divina superiore.

Quello che in realtà veramente conta è il messaggio sia esso di Cristo o di Maometto. Noi occidentali naturalmente abbiamo avuto un insegnamento spinto verso una dottrina religiosa cristiana e da questa dovremmo ricavarne il meglio senza incidere oltre il dovuto sul pensiero delle altre culture religiose..D'altronde l'essenza del messaggio cristiano sta proprio nell'amore e nel rispetto verso gli altri e questo basterebbe per poter interporsi e relazionarsi serenamente con un pensiero diverso dal nostro...

Non è facile, nè rispettoso porsi come critico o arbitro in materie di questo tipo così delicate ed appartenenti allo spirito ed alla sensibilità di ognuno, ma si può di certo affermare la linea sottile che unisce le due religioni:  Per i mussulmani il Corano, così come lo si legge oggi, rappresenta il messaggio rivelato quattordici secoli fa dal loro Dio a Maometto, per i cristiani è stato lo stesso riguardo ad un Vangelo rivelato da Cristo ai suoi discepoli credenti o ancora prima.. con le tavole di Mosè. 

Il Corano è foriero di alcuni elementi fondamentali: monoteismo senza termini mediani fra Dio creatore e l'universo creato; una provvidenza divina che si estende ai singoli individui; un'immortalità personale con un'eternità di felicità o di dolore a seconda della condotta tenuta nella vita terrena. Il messaggio di Cristo non ha forse i suoi punti in comune nella sua evangelizzazione? La differenza la fanno solo gli esseri umani quando con il loro strapotere o la loro limitata cultura si pongono su questi temi con supponenza e mancanza di umiltà e rispetto.


Qualunque ostentazione verso l’individuazione del Divino potrebbe rappresentare una visione troppo azzardata e persino superba.. se espressa da un essere umano. Ciò.. anche in considerazione delle Sacre scritture che potrebbero essere state elaborate volutamente costruendo attorno alla figura di un uomo religioso, un ambito spirituale, mistico e fin troppo trascendente. Oggi tutto questo ci porta persino alle guerre ed è davvero contraddittorio leggere sacri testi e pensare che "il sacro" stesso possa portare l'uomo alla bestialità spargendo del sangue. Il modo di agire di ogni uomo dovrebbe basarsi su una visione prettamente umana della propria permanenza in questo mondo: Quando tanti pensano di avere avuto il dono di aver trovato Dio (forse… peccando un po’ di presunzione)…altri, non ostentando alcuna sicurezza… continuano a cercarlo ..analizzando con maggior senso critico ed equilibrio, l’ipotesi di una sua esistenza .. non ponendolo mai come ostacolo ad una integrazione fra i popoli.

Ricercare attraverso un proprio pensiero è un compito doveroso e necessario per l’uomo ...(sia esso occidentale od orientale)..in tanti, invece, si privano di questo.., restando appesi ad una visione di superficie e da credenze universali acquisite per tradizione: Sono coloro che meno si pongono in profondità le domande sulla esistenza.. finendo col risultare i più pericolosi. L’ignoto e l’ultraterreno rimangono le vere incognite che coinvolgono l’essere umano che, seppur credente, non può riuscire a percepirne il senso, ma sono anche i misteri che sembrano ostacolare la difficile ricerca del suo equilibrio terreno. 

E' difficile quindi comprendere come e perchè l'individuo resti intrappolato in questa forma mentale che lo condiziona nei rapporti con gli altri esseri umani quando la loro stessa condizione è assai piccola ed infinitesimale rispetto ad una entità soprannaturale della quale non potranno che avere soltanto una percezione e mai una reale certezza. 


La sfera religiosa rimane individuale e preziosa come il proprio pensiero, ma non dovrebbe mai intaccare i rapporti di integrazione fra i popoli.   

18 feb 2015

Una nota la nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul prossimo conflitto in Libia


Ormai lo scontro sembra certo...ma come avverrà..in che modo? Possiamo solo sperare in una «peace enforcing», per imporre la pace attraverso l’uso della forza con estrema precauzione.

Il nostro Paese come anche la Francia, è in difficoltà finanziarie e non v'è dubbio che una responsabilità collettiva dovrebbe essere presa dall'Unione europea. In qualunque modo si svolgerà un attacco da parte del nostro Paese esso comporterà dei pericolosissimi rischi anche per i militari stessi che... operanti in quel territori... ove fossero presi prigionieri... sarebbero di certo decapitati.

Ma non possiamo essere ipocriti nel sottovalutare il temibile Califfato, in un territorio con le coste così vicine alle nostre che, in vista della moltitudine di sbarchi prevista, rappresenta oggi un vero pericolo per tutto l'Occidente. 

E' vero!..è inutile nascondere che nel passato furono fatti enormi errori con una guerra in Libia per togliere di mezzo la tirannia di un colonnello (che tutto sommato manteneva un certo ordine), lasciando, appresso, il territorio nelle mani di nessuno, ma è anche vero che in tutto ciò.. l'Italia ha avuto minori responsabilità rispetto ad altri Paesi che oggi dovrebbero intervenire. 

Vi sono stati di certo motivi di carattere economico, ma, anche di questi, oggi, l'Italia ne paga più di tutti il prezzo..poichè lascia un mercato in essere con la Libia (si parla di circa due miliardi) e potrebbe perdere anche.. il già precario.. beneficio dell'energia che ci viene inviata.

Immaginiamo un aeroporto e un gasdotto nelle mani di un califfato disposto a tutto. Immaginiamo aerei civili pronti a partire verso le nostre capitali carichi di prigionieri e materiale esplosivo..L'intervento occorre...ed anche in fretta poichè gli errori si stanno pagando e potrebbero pagarsi più caramente...Speriamo che lo “sgangherato governo “ possa muoversi con una strategia accurata e non con il solito uso della semplificazione!

In ballo sembra esservi la sopravvivenza di un Occidente, ma sarà sicuramente il nostro Paese (tra l'altro il più vicino alle coste libiche), a pagarne le maggiori conseguenze. La via di una pace attraverso la forza appare quindi doversi studiare con l'Europa.. con fretta ed estrema precauzione.
vincenzo cacopardo



IRRESPONSABILI EVOLUZIONI di domenico cacopardo
È difficile seguire gli irresponsabili, continui cambiamenti di linea del governo Renzi, che, spesso, sembra più una combriccola di buontemponi fiorentini alla «Amici miei», che l’esecutivo di un Paese importante come l’Italia. La politica estera è il terreno su cui si misura più propriamente la capacità di essere protagonisti autorevoli e ascoltati.

Già l’esperienza del semestre italiano di presidenza europea, con l’infelice esordio della candidatura di un’inesistente Federica Mogherini all’inesistente incarico di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, era stata indicativa. Ora, il pasticcio «immigrazione illegale e Libia» ha messo in luce un dilettantismo così spiccato da superare le più pessimistiche aspettative.

Mettiamo in fila l’accaduto. Paolo Gentiloni, ministro degli esteri, persona cauta e riflessiva (non dichiarerebbe se non avesse sentito il primo ministro), dichiara che occorre combattere il terrorismo, ormai sulla «Quarta sponda» mediterranea. Subito dopo, Roberta Pinotti, ministro della difesa, annuncia che ci sono 5000 militari italiani pronti a capeggiare un corpo d’intervento in Libia. Matteo Renzi, in modo equivoco, concorda, salvo poi, tra domenica e lunedì, chiamarsi fuori e riferirsi all’Onu come sede di una qualsiasi iniziativa per contrastare l’avanzata dei tagliagole dell’Isis. Una questione, l’Isis in Libia, che si intreccia, come avevamo scritto la settimana scorsa, con l’arrivo della massa di immigrati illegali, di cui fa parte una modesta percentuale di rifugiati politici.

In proposito, fonti dei nostri servizi (Aise) fanno filtrare la notizia di 600.000 persone in attesa d’imbarco verso l’Italia.

Naturalmente, s’è visto di tutto, in particolare il ritorno di tutti i pacifisti ch’erano, da qualche tempo, a riposo.

Partiamo dalla presenza degli jihadisti in Libia. Si ritiene che siano tra i 12000 e i 15000 e che siano in espansione numerica e territoriale. Poiché laggiù si combatte una guerra tribale da un lato e politico-religiosa (gli aderenti all’Isis) dall’altro, risulta evidente che c’è una sproporzione di motivazioni e che, fatalmente, i radicali islamici sono destinati a prevalere, consolidando una conquista che, come uno «Scacco matto» cambia la geografia del Nord-Africa.

Si dice: «Fatti loro».

Invece, sono anche fatti nostri e per due sostanziosi motivi: il primo riguarda le nostre necessità energetiche (olio e gas) fortemente legate alle risorse libiche, sostenute da contratti (Eni) a lungo termine; in secondo luogo le esigenze di sicurezza. La caduta della Libia renderebbe precaria la situazione in tutta la regione, investendo Tunisia, Algeria e il medesimo Egitto. 

Se questo è il problema, dobbiamo ammettere che la sua soluzione è al di fuori della nostra portata. I 5000 uomini della Pinotti fanno ridere per la macroscopica sottovalutazione delle esigenze militari. Ce ne vorrebbero almeno 50000 per mettere in sicurezza alcune zone e città costiere, impedendo all’Isis di «prendere» in mano la nazione. Quindi, l’operazione è di scala militare e costi non sostenibili dalla sola Italia né, probabilmente, da una coalizione con la Francia e la Spagna. 

Si dice: se la vedano gli arabi; costituiscano loro una forza di intervento e di «peace enforcing»; noi li aiuteremo. Com’è accaduto in passato, la forza degli estremisti religiosi islamici è tale da rendere probabile che qualsiasi formazione militare composta da musulmani, schierata contro di loro, sia destinata a squagliarsi per l’irresistibile attrazione del fondamentalismo. 

Perciò, invocare l’Onu è manifestazione d’ignoranza del ruolo delle Nazioni Unite e delle loro capacità operative. L’unico corpo di Caschi blu operativo in questo momento è in Congo e registra il totale fallimento della propria missione.

Le sedi, pertanto, di qualsiasi iniziativa sono la Nato e l’Unione europea. Attualmente, non è prevedibile la definizione di una politica comune di contenimento e contrasto dell’jihadismo mediterraneo.

Cosa resta sulle nostre spalle? Resta l’immigrazione con le sue inattese dimensioni, prossime a diventare bibliche, se almeno metà di coloro che sarebbero pronti a imbarcarsi ci riuscisse nei prossimi mesi. 

L’altro giorno una motovedetta della Guardia costiera (disarmata?), minacciata coi «Kalashnikov» dai trafficanti non ha reagito, restituendo loro i gommoni dell’orrore. In un Paese normale, il comandante dell’unità sarebbe stato sottoposto a procedimento disciplinare militare. In Italia invece, uno dei capi della Guardia costiera ha sostenuto che la motovedetta era armata e che non si è ritenuto di contrastare i banditi per il timore di conseguenze per i migranti raccolti dal natante italiano. Come se banditi in fuga con la cassaforte (e i gommoni sono la cassaforte dei trafficanti, visto l’uso che ne fanno) fossero stati intercettati dai Carabinieri, che avrebbero recuperato la cassaforte. Ma, vista la loro (dei furfanti) minaccia armata, i Carabinieri, impauriti delle possibili conseguenze sui passanti, gliel’avessero restituita. Nel caso motovedetta, i gommoni erano vuoti, visto che i migranti erano già stati raccolti. 

Quindi rimane forte e pesante il pericolo di invasione di un numero enorme di clandestini e la necessità di impedirla. Un’ipotesi è la ripetizione dell’«Operazione Albania», quando la Marina militare (anni ’90) fu mandata a distruggere gli scafi nei porti albanesi per bloccare il tragico traffico di uomini. E, questa ipotesi, è al momento l’unica iniziativa fattibile, in attesa che l’aggravarsi della crisi spinga il «concerto» della Nazioni a scendere in campo.






16 feb 2015

Un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Libia



di domenico Cacopardo
Che, a questo punto, sia emerso in tutta la sua gravità, anche per noi italiani, il pericolo Isis, appare evidente, vista la crescente presenza dello Stato islamico terrorista nell’exLibia, quasi del tutto conquistata. Ci manca poco infatti che Tobruk e Tripoli siano sommerse dalla moltitudine di tagliagole che ha infestato il mondo arabo. Anche se Tobruk e Tripoli non sono ancora cadute, i militanti della Jihad sono presenti in forze nel Sud della Tunisia e dell’Algeria, in Ciad e in Mali, a testimonianza di una manovra che non si arresta e si avvia a coinvolgere tutto il mondo islamico (basta pensare, oltre che alla Siria e all’Iraq, anche alla Nigeria, all’Afghanistan e al Pakistan, sempre sull’orlo, quest’ultimo, di finire nelle mani dei taliban).

Un pericolo, questo dell’Isis, che riguarda certo le nazioni musulmane laiche e moderate, ma anche noi, poiché è nella natura di questo ormai non più sedicente Califfato di riproporre lo schema che, nella Storia, s’è conosciuto varie volte, concludendosi sempre nello scontro frontale tra Oriente e Occidente e nella vittoria finale di quest’ultimo (Poitiers, Vienna, Budapest, Kosovopolie, Lepanto).

Che ormai i margini di attesa si siano esauriti, l’ha testimoniato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, un uomo sempre cauto, e l’ha confermato il presidente del consiglio, ribadendo la necessità di un’operazione Onu e non Nato. Il senso della dichiarazione di Renzi fa pensare a un intervento di «peace keeping», cioè di promozione della pace tra le fazioni in campo.

Qui, un osservatore senza pregiudizi può rilevare che il «peace keeping» non c’entra nulla. La questione è ben diversa, al minimo si tratta di «peace enforcing», cioè di imporre con le armi la pace. 

Oggettivamente, il governo italiano non poteva dire di più. Per esempio che l’Isis e i suoi militanti sono una forza eversiva dell’ordine internazionale che va combattuta e abbattuta, strada questa che non è nelle corde dell’Onu, ma appartiene tutta alla Nato.

5000 uomini italiani sarebbero pronti (Roberta Pinotti, ministro della difesa) a sbarcare in Libia, assumendo la responsabilità di una missione militare di cui farebbero parte truppe francesi e del Regno Unito. Altre forze potrebbero-dovrebbero essere mobilitate, per esempio quelle tedesche.
Dobbiamo dire che, per fortuna e per volontà precisa dell’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, già capo di stato maggiore della difesa e poi ministro, ci ritroviamo con due portaerei, la Cavour e la Garibaldi, e possiamo garantire un qualificato supporto alla missione.

C’è un problema di costi che, sperabilmente, l’Unione europea affronterà direttamente.

E, infine, c’è un'altra questione. Vitale.

Nel 2015, il 1° marzo, si compiono 119 anni dal disastro di Adua. Le recenti guerre dell’Iraq e dell’Afghanistan sono costate decine di migliaia di caduti occidentali, ma hanno lasciato sul terreno una situazione politico-militare peggiore rispetto al loro inizio.

Questa che si ha in mente, non sarà un’operazione incruenta. Sarà guerra vera e propria guerra dura e sanguinosa al di là del nome che le sarà dato. Dobbiamo saperlo.

E dobbiamo sapere che, se si scende in campo, bisognerà farlo per vincere: in palio c’è la sopravvivenza dell’Occidente e dell’Islam moderato.

«Tertium non datur», non c’è alternativa. 



Circa tre anni fa fa, Francia, UK e Usa, decisero una guerra contro la Libia. Una guerra che l'Occidente ha combattuto contro Gheddafi e quattro milioni di beduini...in poche parole: Una guerra tra un gigante ed un nanerrottolo. 

Il risultato di ciò fu l'autentica destabilizzazione di un paese composto da tribù governate con forza da un leader sgradevole fin che si vuole, ma che risultava efficace per la stabilità del territorio. Oggi pensiamo con terrore a questo paese a un tiro di schioppo dalle nostre coste.. poiché in quel territorio tutto è cambiato ed è cambiato anche il processo mentale degli stessi beduini libici. 

Si poteva comprendere che si sarebbe arrivati a questo punto e che il Califfato si sarebbe imposto in un territorio divenuto terra di nessuno. Dopo la caduta di Gheddafi..nessuno ha pensato di riunirsi attorno ad un tavolo diplomatico per comprendere e risolvere le problematiche che nascono dopo un conflitto che destabilizza un potere, tendendo a comprimere derive di tipo terroristiche . 

La Libia oggi “è caduta nell’anarchia e nel caos e non possiamo oggi meravigliarci di un simile risvolto. Sappiamo anche che dietro ad uno scopo di ristabilimento dei diritti umani da parte dei francesi, vi erano anche interessi di tipo economico. L’Italia sembra aver già pagato per una guerra contro i propri interessi... facendosi trascinare dalla stessa Francia.

Quello che desta inquietudine... oltre alla mancanza di una qualsiasi veduta più attenta su queste azioni non studiate preventivamente, è il fatto di affrontare con impeto e poca attenzione guerre senza pensare seriamente alle conseguenze che potrebbero scatenarsi. Si spera almeno che non siano nel metodo solo distruttive..ma in buona parte costruttive. 
Vincenzo cacopardo 








15 feb 2015

ALTRO CHE DERIVA AUTORITARIA....

"quel pragmatico incedere autoritaritario determinato dalla mancanza di idee alternative"
di vincenzo cacopardo

Altro che deriva autoritaria....quello del sindaco d'Italia Renzi, promosso con tanta boria e saccenteria, appare il percorso furbo e breve... oltre ogni limite del rispetto di una democrazia parlamentare!..La cosa fa di certo meditare su un più che possibile sostegno da parte di certi poteri forti e lobbyes, poiché al contrario, questo suo decisionismo...non potrebbe essere espresso ai limiti di ogni rispetto e tolleranza.

L'attività della Camera, svolta in solitario dalla maggioranza sulla normativa riguardante le nuove regole costituzionali, dovrebbe far riflettere seriamente i cittadini sul metodo arrogante di un governo in perenne conflitto..un governo che pretende in solitario di mettere in atto le regole di una politica ormai trascinata nelle continue anomalie che ogni giorno si accavallano per opera dell'inefficienza di un sistema di contrapposizioni vecchio ed obsoleto.

Ma quali sono in realtà le grandi idee di cambiamento proposte da questo premier? Su cosa si fondono..se non sullo stringere e semplificare ogni percorso a danno di una evidente funzionalità? ..Il suo modo di procedere, seppur travisato nell'aspetto e nella comunicazione, rimane vecchio e pericoloso.. quanto lo sono i suoi conflitti!

Quello che desta maggiore meraviglia è un certo silenzio da parte dei tanti costituzionalisti che sembrano ormai esser stati ingurgitati dal cinico pragmatismo infuso da un personaggio autoritario che pare avere campo libero su tutto.

Renzi è ormai una figura che divide il Paese e che opera con presunzione attraverso l'unica via pragmatica del bisogno di un cambiamento.. al di là di come questo avvenga sia nel metodo che nel merito..Tutto ciò perchè si continua a ripetere che non vi sono altre alternative.. quindi: la mancanza di altre idee.. finisce col premiare un risoluto determinismo pragmatico e questo, di contro, condanna ogni possibile crescita democratica, in favore di un chiaro autoritarismo.

La frase del premier circa “il sostegno di una attività parlamentare che rimane lo stesso utile..anche se priva di una presenza delle opposizioni”,... fa tanto ridere, ma nel contempo rende un quadro sempre più triste di una grossa parte delle forze politiche di questa Nazione.. che sembrano ignorare l'importanza dei principi costituzionali e di una politica corretta.

Una parte del Paese ignora...un'altra finge di non vedere.. ed un'altra ancora sottovaluta l'importanza di queste riforme quando, come in questo caso, esse vengono manipolate in favore di un governo ed a sfavore di una sovranità popolare.



14 feb 2015

Le riforme ...un'occasione sprecata..


il rimpianto di una mancanza di ricerca più appropriata”
di vincenzo cacopardo

Con le ultime contestazioni alla Camera sfociate in un Aventino, la politica assume sempre più il tono di una bagarre e mentre il PD, in solitario.. con l'appoggio di un centro ex Scelta Civica, prosegue la sua pericolosa, opera di riforma costituzionale in una atmosfera tanto anormale..quanto discutibile, la parola del Presidente garante tarda a farsi sentire.

Se vi era un'occasione per promuovere una nuova riforma di cambiamento bisognava guardare molto più avanti , occorreva scorgere un futuro innovativo più consono alla nostra cultura politica, più funzionale e meno compromesso..arginando una lunga serie di evidenti anomalie.

L'occasione era data proprio da una utile divisione dei ruoli (induttivi e deduttivi) proponendo all'uopo la separazione stessa dei compiti delle due Camere....ossia un ruolo amministrativo legato alla integrità morale e l'efficienza di chi amministra e governa... ed un ruolo di ricerca delle idee e dell'ordinamento normativo proposto attraverso i Partiti. Partiti che a loro volta andavano riformati attraverso una regolamentazione più appropriata al loro evidente scopo di dialogo con i cittadini.

E' indubbio che oggi il sistema sostiene la teoria delle figure politiche inserite contemporaneamente nei due ruoli come appartenenti ad un unico lavoro. Questo sistema ha fatto sì che oggi.. il politico venga considerato colui che crea e nel contempo esegue, nel contesto di un’unica linea politica. Linea politica che, nel tempo, viene condizionata da una vera e propria oligarchia dei Partiti.

Di conseguenza...l'occasione sarebbe dovuta essere quella di studiare una legge elettorale diversa .. separata per competenze e ruoli. Uno studio organizzativo che avrebbe dovuto basarsi su principi di merito, specializzazione e suddivisione del lavoro, per evitare i ( più che evidenti) conflitti derivanti. ..Ma questo argomento rimane difficile da far comprendere a chi... come i nostri politici.. restano appesi ad una forma mentis antiquata e legata a principi vecchi che ne impediscono ogni innovazione.

Difficile persino da far comprendere ai nuovi entrati del M5Stelle che, se pur armati di buona volontà verso un cambiamento del sistema politico, si ostinano ad indirizzare il loro pensiero verso un'ipotetica e demagogica democrazia diretta, screditando ed offendendo chiunque non la pensi come loro. Democrazia diretta sulla quale non si continuano a vedere proposte funzionali ragionate. Una strana avveniristica ideazione che mal si confà con un Paese come il nostro... sia per problemi logistici legati all'entità della popolazione....che per quelle fissate dal rapporto indiretto con le indispensabili istituzioni Parlamentari già in essere.

La ricerca di un vero cambiamento sarebbe.. invece.. dovuta partire da una equilibrata distribuzione e divisione dei ruoli delle Camere che ne rappresentano il consenso, ed è proprio questo.. che deve essere offerto e diviso in base al merito ed alle idee sul programma. Certo questa non sarebbe la soluzione conclusiva.. se non venisse studiata nella sua fattibilità attraverso un dialogo collettivo, ma sicuramente, difendendo meglio i valori di una democrazia popolare, potrà anche arginare la più grande malformazione su quel conflitto perenne in seno alle istituzioni politiche dando maggior forza agli indispensabili pesi e contrappesi di cui tanto si parla.  

Oggi la fretta sembra comandare su tutto e l'approssimazione... unita alla semplificazione promuove una governabilità... tanto faziosa, quanto poco edificata nei suoi principi..
Contento il Paese...

13 feb 2015

l'Aventino..e la deriva del Premier

"Il capogruppo Speranza addolorato per l'abbandono dell'opposizione dall'Aula"  
di vincenzo cacopardo

J. Bernard  Shaw  diceva che "l'ipocrisia è l'omaggio che la verità rende all'errore"....La locuzione pare calzare con l'atteggiamento del giovane capogruppo alla Camera che oggi si è premurato nel definirsi profondamente addolorato....


Al di là dello scenario attuale relativo al lavoro parlamentare circa le regole del testo costituzionale e della contestata ed immotivata prassi imposta, quello che sta accadendo alla Camera circa l'abbandono dall'Aula delle forze di opposizione..non pare per nulla contestabile e potrebbe rappresentare la fotografia esatta di ciò che può avvenire in caso della affermazione di un modello bipartitico al quale Renzi e chi lo segue.. vorrebbero, con leggerezza, arrivare..Con la vittoria di un modello bipolare incontreremo ulteriori problematiche e forzature che porteranno a ben altri aventini....

Se la prassi parlamentare relativa alla “seduta fiume” potrebbe adattarsi alla normativa di una legislazione in ambito di urgenza e bisogni impellenti per il Paese, rimane impossibile poterla accettare in materia di ordine costituzionale...

Nel caso delle riforme per le modifiche degli articoli della Costituzione relativi al Senato ed al titolo quinto e quella istituzionale circa la legge elettorale, non è difficile asserire che l'odierno Aventino risulta più che giustificato...Il problema sarà solo quello di una resistenza..data persino la possibilità di un ritorno alle urne che nessuno vorrebbe.. poiché si perderebbero altri comodi benefici.

Malgrado i dispiaceri del deputato Speranza che sembra non tener conto del contesto in cui l'opposizione si è trovata, non si riesce a comprendere una discussione sull'argomento caldo e sensibile delle riforme costituzionali (con la pretesa di voler modificare 40 articoli in 80 ore), quando appare più che logico che non potrà mai servire a nulla visto i tempi contingentati ed una inusuale premura di un Premier che con la propria maggioranza (ottenuta anche grazie ad un premio) pretende di sottomettere di continuo il Parlamento al suo volere. A poco serve l'ostentato “politichese” di Buttiglione come anche quello dello stesso Speranza.

C'è modo e modo di procedere...soprattutto quando chi impone queste decisioni..lo fa pensando di trovarsi nel contesto di una assemblea costituente. E' inutile sottacerlo ma siamo in quei casi in cui chi governa pretende di imporre le regole...e questa tra le tante... appare una anomalia delle peggiori. Sarà forse assai triste veder uscire parlamentari dall'Aula, ma appare ancora più triste pretendere di decidere un simile cambiamento con questi toni e questa premura. Rimane doveroso astenersi allontanandosi e lasciare che la responsabilità nel metodo e nel merito ricada su chi pare dirigersi verso un certo autoritarismo.

La parola dunque al Presidente Mattarella che dovrà esprimersi ponendo la questione in una logica politica che tenda a non escludere quei pesi e contrappesi a difesa dei diritti ed i doveri di una funzionale democrazia parlamentare.   

Guerra alla Camera..


"PRASSI DI CONSUETUDINE E VALORI COSTITUZIONALI"
di vincenzo cacopardo

E' una vera guerra quella che in questi giorni sta esplodendo in seno alla Camera dei deputati sull'argomento relativo alle nuove disposizioni per le riforme del Senato e del Titolo V°. 

Un paio di giorni addietro la maggioranza ha insistito per la votazione sulla seduta “fiume” (ovvero senza limiti di interruzione) per poter porre un ostacolo alla lunga serie di emendamenti proposti dall'opposizione. Ci si è di conseguenza appellati ad una “prassi” che la maggioranza definisce “di consuetudine”...in quanto riferita ad avvenimenti già avvenuti per i quali si è proceduto di conseguenza. Ma la collera dell'opposizione non è venuta meno poiché come sembra, tale procedura non pare potersi adattare alle riforme di tipo costituzionali... non essendovi per nulla precedenti.

Ciò che appare davvero imbarazzante è il fatto che... da parte della presidenza della Camera non pare si sia prestata la dovuta attenzione verso un argomento talmente delicato..tale da poter spingere ad una soluzione per rendere più serenità in seno all'Aula.

Il muro contro muro è continuato e continua, ma è pur tuttavia evidente lo stato di prostrazione..ai limiti del servilismo della presidenza della Camera nei confronti del governo. La responsabilità delle presidenze di turno che continuano ad alternarsi, assenti a qualsiasi richiamo da parte dell'opposizione, la dice lunga sullo stato di fermezza imposto da una governabilità ormai indirizzata all'estremo che.. con pervicacia, fingendo di non considerare la portata di simili riforme... continua a spingersi verso un eloquente settarismo.

In tutto ciò non possiamo omettere il fatto che questo Parlamento gode oggi di una maggioranza determinata con un grosso premio di maggioranza e, con le pretese di poter assumere il ruolo di una “Costituente” pretende in tutti i modi di imporre ogni volontà governativa. Non sembrano dunque più esistere i pesi ed i contrappesi necessari affinchè si possano raggiungere gli indispensabili equilibri tipici di una democrazia parlamentare.

Quello che ancora oggi sorprende da parte di tutte le opposizione...è il fatto di restare ancora attaccati alle poltrone dell'Aula senza abbandonarla in massa (dopo l'evidente e provocatorio voto sulla seduta fiume) lasciando la patata bollente di simili delicate riforme in mano alla responsabilità di una maggioranza del tutto sottomessa ad un governo. Immaginiamo come potrebbero essere definite tali riforme dai cittadini, se votate esclusivamente da quella sola forza parlamentare della Camera che oggi rappresenta appena il 20% dei votanti del Paese.

Possiamo solo sperare che il nuovo Capo dello Stato possa immedesimarsi con attenzione sullo stato delle procedure in questa delicata faccenda che appare sicuramente un'altra delle tante anomalie della politica istituzionale di questo Paese. L'argomento della modifica delle regole di una Costituzione non dovrebbe mai potersi risolvere con la logica accentratrice di un determinismo imposto da un governo venuto fuori con le storture di una legge elettorale disapprovata dalla Corte e, per di più, con l'appoggio incondizionato di una presidenza della Camera che pare guardare altrove...Ogni motivazione sulla “fretta” non potrebbe mai far sopperire il primario rispetto dei valori.  

12 feb 2015

Il risveglio del fantasma di una guerra fredda


Prendendo spunto da cio che scrive in modo opportuno Domenico Cacopardo su Italia oggi

”Dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, nel vuoto politico determinatosi a Est, il mondo occidentale, ma sarebbe meglio dire gli Stati Uniti, ha aggregato intorno a sé con trattati economici e militari quasi tutti gli Stati già al di là della Cortina di ferro. Alcuni paesi cruciali, come la Polonia, l’Estonia, la Lituania, la Lettonia sono entrati nella Nato e hanno fornito basi marittime e terrestri (con aeroporti) all’Alleanza. In una situazione ambigua era rimasta l’Ucraina, storicamente territorio russo, reso indipendente per poter contare su due voti in sede Onu, quando l’Onu fu costituita.

Krusciov accentuò i caratteri autonomi della repubblica di Kiev. Se torniamo, per un attimo, indietro di due secoli, scopriamo che le lande abbandonate che costituiscono l’odierna Ucraina erano in parte dell’Impero ottomano, in parte della Russia che, per volontà di Caterina la grande, colonizzò, sotto la guida del suo amante maresciallo Potemkin, quei territori «importando» contadini tedeschi, artigiani italiani e mercanti ebrei. Odessa su fondata proprio da Potemkin e costruita dai suoi successori russi.

Che ci sia quindi un cordone ombelicale tra la Russia e l’Ucraina è un dato di fatto, fertilizzato dall’arrivo di milioni di persone russofone che durante l’Unione sovietica furono invogliate a stabilirsi in quei territori dell’Unione medesima.

Quale geniale idea viene alla mente degli strateghi di Washington? Quella di «trasferire» la Repubblica di Kiev nella propria sfera di influenza, usando a questo fine l’Unione europea.

Va ricordato che, in sede di definizione degli assetti internazionali, dopo la caduta del Muro di Berlino e l’approvazione dell’unificazione tedesca, Kiev fu esplicitamente assegnata all’influenza russa.

Dalla volontà degli Stati Uniti di chiudere un cerchio politico e militare intorno alla Russia, discende tutto il resto: il «golpe», con determinante partecipazione dei movimenti neonazisti finanziati dalla Cia, che cacciò il presidente eletto Yanukovich e portò a un presidente provvisorio, Poroscenko, poi eletto a sua volta e a una politica di discriminazione interna nei confronti della minoranza russofona.

Va ricordato, per inciso, che la Russia è stata colpita dal terrorismo islamico in Cecenia e nel suo territorio e che non è mai stata indifferente alla situazione del Medio Oriente, avendo tenuto in piedi forti legami con il regime Baathista di Assad in Siria.

Quindi, ci sarebbe un interesse strategico per un «appeasement» che consentisse un’azione comune contro i movimenti fondamentalisti.

Poiché Putin non è un agnellino, né un ubriacone, era evidente che avrebbe reagito. E la sua reazione è stata quella di sostenere i movimenti separatisti in Ucraina e di staccare la Crimea, terra storicamente russa di grande interesse militare (in essa è basata la flotta che vigile sul mar Nero e sul Mediterraneo), dall’Ucraina per annettersela.

Da parte occidentale e del governo di Kiev nulla di concreto è stato fatto per attenuare la tensione. Anzi, le brigate neonaziste sono in prima linea nei combattimenti (senza prigionieri) che si svolgono nei territori russofoni dell’Est.

Purtroppo, non c’è una serena valutazione dei fatti e delle vie d’uscita nel sistema mediatico occidentale e, in quello italiano, in particolare.

Nessuno spiega che le sanzioni imposte alla Russia si sostanziano in sanzioni imposte all’Unione europea (Germania e Italia al primo posto) che paga il conto dell’arrestarsi delle relazioni commerciali. Come si dice apertamente a Bruxelles e a Berlino (a Roma non se ne parla perché, tranne Gentiloni, nessuno a Palazzo Chigi capisce questo genere di problemi) le difficoltà dell’Unione sono oro per gli Usa, fortemente avvantaggiati dalla crisi europea.

Ora, con pragmatismo, frau Merkel e Hollande sono andati a Mosca per cercare un’intesa. E, subito dopo, frau Merkel è volata a Washington per convincere Obama a non rifornire di armi l’Ucraina come dichiarato dall’improbabile segretario di Stato Kerry.

Insomma, è in corso (visto che la Nato dispone di armi atomiche) una Cuba al contrario.

Anche l’Italia dovrebbe far sentire le proprie ragioni, visto sta pagando la sua parte salata.

E ci vorrebbe un governo capace di capire che gli «strickers» (cacciabombardieri) italiani «Eurofighter», orgoglio dell’industria aeronautica nazionale (con Germania e Regno Unito), basati al confine Nord con la Russia, in volo sui confini di quello sterminato territorio, sono una inaccettabile provocazione per zar Putin, una provocazione gratuita dalla quale possiamo solo essere danneggiati. Va precisato che questi «strickers» sono nella filiera di comando Nato e che, come accaduto varie volte, l’ultima il Kosovo, non rispondono alla catena di comando italiana.

Kiev, con buona pace degli ambienti militari, non è Danzica. È la capitale di una nazione che deve imparare a convivere con Russia ed Europa, approfittando della propria posizione geografica per creare la ricchezza industriale e commerciale cui ha diritto di aspirare, invece di coltivare un pessimo revanscismo di stampo neonazista.

«Game out», dovrebbe dire l’Europa, rifiutandosi di proseguire in questo cinico gioco al massacro di cui non è protagonista, ma succube.”
Domenico Cacopardo 


IL RISVEGLIO DEL FANTASMA DI UNA GUERRA FREDDA 
di vincenzo cacopardo

Da questa puntuale analisi.. con la quale concordo, sembra ormai del tutto chiaro che l'atteggiamento imposto dagli Stati Uniti per voce di Obama appare come una vera provocazione verso la nazione russa ed il presidente Putin

In proposito..bisogna anche sottolineare che la Crimea si è voluta dividere da se dall'Ucraina.. attraverso un referendum che ha visto una netta prevalenza per il distacco... e che vi siano stati inni di gioia seppure qualche disapprovazione, ma il passaggio della Crimea alla Russia rimane comunque un dato di fatto. Mosca ha sempre dichiarato legittima la dichiarazione di indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea.

Ma..oggi..la storia degli avvenimenti che coinvolgono l'Ucraina paiono condotti da un sistema mediatico occidentale non del tutto obiettivo. Ci tocca assistere alle conseguenze del vecchio modo di interpretare la questione basandosi sulla costruzione di un nemico. In questo caso il nemico rimane Putin che viene continuamente messo in cattiva luce.

Al contrario... Vladimir Putin pare aver dato prova di grande apertura, sia riguardo ai diritti umani sia intuendo l’aria delle nuove prospettive economiche da costruire attraverso le indispensabili relazioni internazionali. L'Europa non potrebbe mai sottovalutare il peso di Putin e la sua economia... come giustamente afferma Domenico: Kiev, con buona pace degli ambienti militari, deve imparare a convivere con Russia ed Europa, approfittando della propria posizione geografica.

Se l'Europa in questo suo processo di politica internazionale si piegherà come un tappetino allo strapotere degli Stati Uniti, senza valutare una propria politica estera in base ad un equilibrio e l'interpretazione di una indispensabile logica etico culturale, al di là delle tragiche conseguenze che la investiranno sui conflitti e su azioni terroristiche, finirà col perdere ogni altra occasione di crescere anche in campo economico.



la posta di Paolo Speciale

Il Presidente tecnico-politico

L'agevole ascesa al Colle più alto di Sergio Mattarella certifica l'immutata valenza di quelle forze centriste, popolari e cattoliche che in pochi anni hanno annesso una sinistra che tuttavia ha fatto in tempo a rimanere protagonista grazie all'azione ad ampio spettro compiuta da Renzi sulle coscienze identitarie più diffuse non solo nel nostro territorio, ma anche trai banchi parlamentari.
Il sindaco d'Italia ha così compiuto –ai massimi livelli istituzionali, ed è questa la novità - quello che la pur vivida sagacia berlusconiana ha lasciato in uno stato di mediocre potenzialità nonostante l'assenza di lotte intestine e nonostante i quasi venti anni di pressoché ininterrotta gestione del potere, spesso legittimata da consensi praticamente plebiscitari soprattutto nel mezzogiorno.
Si è parecchio dissertato in senso negativo nelle ultime settimane – anche attraverso espressioni di basso profilo riguardanti fin troppo scontati timori di presunte restaurazioni - sulla perennità della Democrazia Cristiana, di cui i Mattarella furono autorevoli esponenti in più generazioni. Ma è un luogo comune, perché attesta per l'ennesima volta la inspiegabile necessità, purtroppo ampiamente diffusa presso la pubblica opinione,di dover negare a tutti i costi il prezioso valore aggiunto, nella storia della politica italiana, costituito dall'apporto dottrinale ed ideologico proprio del centro-sinistra cattolico moroteo, ideologo-teorizzatore del compromesso storico. Esso ha rappresentato infatti la prima vera espressione di carattere progressista del dopoguerra, perché per la prima volta ha determinato il superamento di vecchie – e spesso manichee – filosofie costrittive che mortificavano la libertà di coscienza di ciascuno (un esempio per tutti: comunista o cattolico).
Il riconoscimento della legittima coesistenza in un individuo di valori per troppo tempo impropriamente ritenuti antitetici è puro progresso ideologico-democratico di cui andare fieri, perché garantisce anche il necessario rispetto e la irrinunciabile tutela di ogni minoranza dissidente ovvero,altrettanto liberamente, concorde con ogni maggioranza in scelte di alta responsabilità come quella del Capo dello Stato.
Ecco allora come il superamento di  dualismi vari può e deve riguardare anche il nostro nuovo Presidente della Repubblica, dove l'anima tecnica e quella politica coesistono superando – anche in tale contesto e forse ancora più opportunamente – una anacronistica e logora contrapposizione, ma anche spianando la strada ad un processo di revisione costituzionale responsabile ed oculato che ormai tutti richiedono.
Paolo Speciale


11 feb 2015

due parole sul vincolo di mandato..

Libertà di espressione o ubbidienza ai gruppi? 
di vincenzo cacopardo

L'articolo 67 della Costituzione venne appositamente scritto per fornire ai membri deputati eletti nel Parlamento una propria libertà di espressione....fu concepito per garantire la più assoluta libertà ai membri eletti alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica. In altre parole, I costituenti, per garantire maggiore democrazia ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il Partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere. Il vincolo, semmai, avrebbe legato l'eletto agli elettori per una natura di responsabilità politica.
Il principio si fonda sul fatto che i rappresentanti eletti non possono essere i rappresentanti di un distretto particolare, ma della nazione intera e, quindi, non potrebbe essere conferito loro alcun mandato.

Sull'argomento diversi studiosi della dottrina si sono espressi in modo diverso e oggi risulta palese che la costituzione di gruppi in seno alle Camere ha generato un'ulteriore anomalia secondo la quale.. ogni partito ha la pretesa di imporre il rispetto della relativa disciplina.. traducendosi, di fatto, in una violazione del principio di libertà di mandato: La disciplina dei gruppi parlamentari rimane un freno ad ogni libertà di espressione ed ogni comportamento insubordinato dell'eletto finisce col divenire oggetto di sanzioni disciplinari che, come tutti sappiamo, in alcuni casi portano all'espulsione dal partito o alla non ricandidatura alle successive elezioni.

Partendo da questo articolo.. indubitabilmente fissato dalla Carta suprema, dovremmo toglierci ogni incertezza sul comportamento del trasferimento dei parlamentari da un partito all'altro. In un sistema proporzionale che non costringe in due determinate posizioni come invece quello bipolare, un parlamentare difficilmente può restare imprigionato da un obbligo di pensiero. Se l'articolo sul vincolo di mandato ha una più evidente logica in un sistema parlamentare bipolare che ne definisce una più aggregata maggioranza di unione dove i parlamentari tendono a seguire le linee dettate dal leader del Partito dominante ...ne ha meno in un sistema proporzionale dove si formano gruppi e coalizioni nella stessa Aula parlamentare e dove lo spazio alle proprie idee potrebbe difficilmente essere ristretto.Un sistema di elezione proporzionale definisce automaticamente un andamento parlamentare più fluido e meno rigido prevedendo fluttuazioni naturali in base al dibattito interno sulle singole questioni.

Il parlamentare ha un diritto sul proprio pensiero politico che supera ogni altro dubbio su altri interessi. Se sul piano dell'etica politica vi possono essere seri dubbi su queste strane migrazioni, non possiamo che attenerci a ciò che i costituenti hanno scritto in favore di un primario libero pensiero che prevale su tutto il resto.

Qualcuno, come me, pensa che la causa di queste dislocazioni non sia imputabile all'art 67, ma piuttosto alle pessime leggi elettorali sfornate fino ad oggi.. che non tengono conto..o meglio sottovalutano il valore di quest'articolo: Se il principio del vincolo di mandato è rappresentativo di una propria libertà di pensiero, è logico che questi rimanga libero, conducendo un lavoro normativo di un programma che dovrebbe restare aperto e separato da ogni condizionamento governativo. In poche parole: è proprio l'articolo 67(senza vincolo di mandato) riguardo alla libertà di pensiero dei Parlamentari.. che dovrebbe far riflettere sulle decisioni riguardanti la regolamentazione di un programma incidendo sul percorso (separato) di ogni governabilità. Come..al contrario.. una governabilità non potrebbe mai obbligare un percorso normativo parlamentare costringendo l'importanza dello stesso art 67.
Non sembra quindi necessario cambiare l'articolo 67 della costituzione sul vincolo di mandato, quanto appare di maggior opportunità rielaborare e disciplinare l'art 49 sui Partiti per poi formulare una legge elettorale più utile per il nostro Paese.



10 feb 2015

Quella visione politica ancora bloccata sulle contrapposizioni ideologiche





di vincenzo cacopardo

La costante pretesa di voler seguire il percorso di un paradigma politico istituzionale secondo la forma mentis del passato.. non aiuta a crescere e frena ogni possibile innovazione su un sistema che ormai appare logoro. Nessuna politica fino ad oggi si è mai protesa verso un progetto di ricerca diverso..più innovativo.. che partendo dal basso.. difenda le regole di una democrazia e nel contempo imprima forza e sostegno ad ogni governabilità. Inoltre… insistere col costruire un nostro sistema sulla base di modelli esterofili non può significare essere nel giusto… perché non è detto che altri sistemi, pur nella loro efficienza, esprimano un vero principio democratico..come non è detto che possano essere compatibili con una cultura storico politica e territoriale come la nostra. La risposta di ogni politico basata sulla visione esterofila è limitativa oltre che di poco aiuto... ecco perchè risulta essenziale proiettarsi in direzione di un pensiero mentale diverso e di innovazione.

Se qualcosa di forte questo nostro Paese ha sempre saputo esprimere..queste sono le idee... Idee proposte con genialità...ed il fatto che ancora nel campo di un riassetto politico..esse non di scorgono...è proprio perchè si resta frenati da una visione che sembra costantemente sopravvalutare tutto ciò che è straniero: Se è giusto avere una conoscenza del mondo che ci sta intorno..non è certo sano..nè conveniente.. copiarne ogni principio.

Non è quindi detto che un sistema bipolare costruito sulle antiche ideologie possa oggi risultare utile al nostro Paese..anzi..se a questo aggiungiamo le profonde anomalie ancora esistenti nel nostro sistema..si manifesta una reale impossibilità di poter costruire un simile modello al fine di perseguire un correto principio di democrazia. Insomma...quella che veramente potrebbe risultare più utile è una ricerca di un percorso sistemico alternativo ed innovativo,.. più funzionele e congenito con la cultura e la storia del Paese che potrebbe rendere onore e competitività alla nostra Nazione...Capisco bene che di tratterebbe di qualcosa di rivoluzionario sull'assetto istituzionale esistente, ma non sono forse queste trasformazioni che danno apertura ad una solida innovazione rendendo forza ad un vero cambiamento?

Oggi restiamo ancora abbarbicati alle contrapposizioni ideologiche(destra-sinistra) e guai a uscirne fuori.. senza invece cercare di anteporre..merito a metodo.. idee a compimento..o..ancora.. programmi a funzionamento. Si resta ancora bloccati in posizioni che continuano a creare alterazione gigantesche pur di salvare maldestramente un primario principio di governabilità..Questo perchè ancora non si vuole accettare il fatto che una governabilità rimane un traguardo da ricercare con attenzione attraverso un principio di metodo più sicuro che parta dalle fondamenta.

Sappiamo bene che la politica per muoversi deve far uso delle istituzioni, ma queste dovrebbero essere rinnovate seguendo un cambiamento imposto da una società che deve innovarsi di continuo. La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa poiché rimasta vittima della mancanza di alcuni valori fondamentali ormai spariti del tutto.

La visione odierna è certamente legata ad una condizione che lega in modo assiomatico il compito del politico nel suo genere: Una concezione che parte dal principio che chi governa, oltre a decidere, deve essere in grado di definire le normative. Un concetto legato ad una politica determinata nel passato, in cui si aveva una visione alta dei suoi valori, suggerendo costituzionalmente un armonico raccordo tra i due poteri, al fine di una costruzione più utile e corretta. Ma è proprio questa la base di partenza sulla quale si potrebbe porre qualche riserva, poiché non è detto che, oggi, questa procedura possa essere quella giusta per determinare la funzionalità e la concretezza delle proposte. Anzi, partendo dall’alto, ogni proposta, finisce spesso con l’essere bloccata o distorta in via parlamentare. Al contrario, poi, attraverso la molteplicità dei decreti o le richieste di fiducia, si svilisce notevolmente il lavoro dei parlamentari.

L’idea di poter dividere in modo più deciso le funzioni del potere legislativo da quello esecutivo, affidando ruoli separati per tutto l’arco della legislatura, non è sicuramente gradito alle forze politiche odierne: Il fatto di non poter dare contestualmente voce ed esecuzione alle loro azioni, li vedrebbe sottoposti in uno strano compito che non riuscirebbero a percepire positivamente. La maggioranza di loro si opporrebbe di certo ad una idea simile, ritenendo impossibile creare un ambito in cui chi governa e decide un programma, non viene contestualmente inserito in quella opera di costruzione delle leggi, essenziale per la determinazione progettuale di ciò che si vuole realizzare.

Rimane comunque, il fatto che proprio ”un programma”, in via preventiva, non può non essere  vagliato, discusso, partecipato ed infine votato dagli stessi cittadini.

La politica non può solo avere un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza nell’esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo costruttivo della società. In base a questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi apparire come un paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità creativa, geniale ed intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare iniziative politiche idonee e funzionali alle esigenze,  anche se solo in termini teorici. Le capacità di chi esercita questo ruolo appaiono  essere prevalentemente di inventiva il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per certi versi vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro, devono sempre avere una buona conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale del paese in cui si vive. Ben diversa rimane l’attività di chi deve predisporsi per una amministrazione in termini di conoscenza e quindi anche di esperienza per la soluzione di un processo costruttivo e di un buon funzionamento: Chi amministra deve avere un ruolo determinato e diretto verso la conoscenza scientifica di ciò che si deve con efficienza realizzare.

Ecco, perciò, la determinazione dei due ruoli che differentemente potremmo definire “induttivi” e  “deduttivi”. Ruoli che, per scopo ed esigenza, definiscono due strade diverse che dovrebbero raggiungere un unico percorso costruttivo in relazione alla definizione di una “politica” che si vorrebbe funzionale.

Una delle parole chiave, quindi, sembrerebbe essere la “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed innovazione, ma intesa anche come teoria secondo la quale, nelle varie culture, la funzione dei singoli elementi culturali, ha un’importanza predominante sulla evoluzione stessa. Uno studio organizzativo che dovrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.

Le odierne esperienze dovrebbero ormai aver reso chiaro l’impossibilità di ricercare una governabilità stabile in un sistema democratico...se non attraverso una azione costruttiva di base, poiché solo così, una vera governabilità non potrà mai essere inventata o, ancor peggio, imposta.  Se la politica deve avere la funzione di “regolare i rapporti tra i cittadini e governare lo Stato”, proprio per questo, il principio specificato in quel verbo “regolare” che ne dovrebbe indicare la strada, non potrà che risultare propedeutico ed utile ad ogni azione del “governare.