10 ott 2015

Nuovo articolo del consigliere Cacopardo sul caso Marino

Il caso Marino non è chiuso: ne sentiremo ancora parlare per qualche tempo, soprattutto in termini di caso umano. Poi, il professore dovrebbe rinfoderare le velleità politiche e tornare alla scienza, dalla quale proviene e dalla quale si è inopinatamente allontanato.
Le questioni che ha sollevato, nel dimettersi, il sindaco di Roma sono quattro.
La prima consiste nel tentativo di esercitare il vecchio e abusato ricatto morale: «Io sono contro la mafia. Chi mi è nemico è amico della mafia.» Ovviamente, si tratta di un cinico stilema che dovrebbe spingere i critici e gli oppositori nella melma della mafiosità. Dovranno stare attenti i responsabili politici della capitale (compresi i vergini a 5 Stelle) a entrare nella strada scivolosa del distinguere sempre e comunque tra mafiosi e antimafiosi. Roma non è una città mafiosa, anche se il crimine vi si è ampiamente insediato a opera di bande locali e non. È una città con mille problemi derivanti dal passato e dal presente e da una serie di ipocrisie che hanno consentito a gruppi affaristici con connotazioni criminali di prosperare. Una delle prime operazioni da compiere, è quella di scavare nel complesso e articolato mondo della cooperazione che, come abbiamo visto, si è lasciato facilmente infiltrare. E, per la macchina comunale, insistere sino all’esasperazione nell’operazione trasparenza, nella quale va introdotto il confronto patrimoniale dei dirigenti (gli ingiustificati arricchimenti personali e familiari).
La seconda questione sollevata riguarda il rapporto con la maggioranza Pd-Sel, messa sotto accusa, in quanto spettatrice poco attenta e poco impegnata nel sostegno (per la lotta alla mafia) al sindaco e alla sua giunta. Le condizioni politiche per continuare il percorso di cambiamento (antimafioso) sono quindi venute meno.
Anche qui, siamo alle prese con un artificio retorico per scaricare su altri responsabilità e colpe che sono proprie del sindaco. Fra parentesi, ma non tanto, Marino, interrompendo, se l’ha interrotto, l’andazzo paramafioso, ha compiuto solo una parte del proprio dovere, visto che, per la rimozione dei responsabili dei dipartimenti coinvolti nel malaffare, si è dovuto aspettare una fin troppo benevola relazione del prefetto di Roma Franco Gabrielli.
La terza asserzione, connessa alle precedenti, ribadisce il tema del cambiamento. Dice il primo cittadino (ancora in carica): «… ho impostato cambiamenti epocali, ho cambiato un sistema di governo basato sull’acquiescenza alle lobbies, ai poteri anche criminali …» Quindi, coloro che gli hanno voluto imporre le dimissioni sono espressione di quelle lobbies e di quei poteri criminali. Una primitiva concezione duale della società e del mondo: buoni-cattivi, bianco-nero. Un pensare manicheo, utile a un’autoassoluzione più che a un’analisi critica dell’accaduto e dei due anni e mezzo di governo cittadino.
Quarta, ma non ultima, la minaccia di revocare le dimissioni entro 20 giorni.
Anche se tutta la rancorosa (era difficile che non lo fosse) dichiarazione di Ignazio Marino è impostata sul già segnalato contrasto buono (lui medesimo) cattivi (mafiosi e alleati), quest’ultima affermazione ha il senso di una minaccia proprio in stile mafioso. Lo capisce anche un bambino che i 20 giorni, legati alla presenza di numerose agende contenenti la lista dei favori richiestigli e dei nomi dei richiedenti, rappresentano, nelle intenzioni del sindaco, una pistola puntata verso il Pd, in vista di un nebuloso futuro politico.
Proprio per ciò che abbiamo analiticamente esposto, il caso Marino sarà presto chiuso. Con altre ferite. Con altre minacce. Con altre accuse. Ma senza alcuna possibilità di un ritorno all’onore delle cronache politiche.
Restano sul terreno varie vittime, oltre i cittadini romani alle prese con gli aggravati problemi quotidiani, dalla pulizia delle strade, alla viabilità, ai servizi cittadini. La vittima principale si chiama Matteo Orfini. Per ragioni che non sono ancora chiare, scoppiato lo scandalo di Mafia capitale, il giovane poulet di quella che fu la nobile scuola di D’Alema, s’è infilato nella mischia, accettando (o forse rivendicando) la nomina a commissario del suo partito romano, quello in cui era nato e cresciuto politicamente. Sia lui che Matteo Renzi hanno ignorato l’aurea regola di indicare sempre come risanatore di una situazione compromessa un soggetto estraneo al contesto. Cosa che, fisiologicamente, Orfini non era. E Matteo Renzi ha anche ignorato un altro antico, ma sempre attuale adagio: è meglio l’originale che l’imitazione. Ovviamente, non nel senso che D’Alema sarebbe stato un commissario ben più autorevole ed efficace (e lo sarebbe stato) di Orfini, ma nel senso che nella vita vanno preferiti figure e protagonisti, rispetto a copie e figuranti di ben diverso spessore. 
Comunque, la difesa di Marino (brutalmente ingrato) messa in campo da Orfini è ingiustificabile: anche se ragioni politico-elettorali militavano per il sostegno al sindaco, la realtà era sotto gli occhi di tutti e non doveva essere ignorata. Se la chiusura della sua esperienza fosse avvenuta prima, il logoramento sarebbe stato minore e le possibilità di riproporsi più consistenti.
L’altra vittima è il Pd romano. Sarà capace Renzi di rigenerarlo per offrire ai cittadini della capitale una credibile opzione diversa dal Movimento a 5 Stelle?
Il compito è impossibile per le brevità dei tempi. Realisticamente, potrebbe affidarsi all’usato sicuro, cioè a Francesco Rutelli (le ragioni della sua sconfitta nel 2008 andrebbero approfondite), la cui esperienza in Campidoglio è stata esemplare sia per il Giubileo 2000 che per il complesso di opere avviate e realizzate, senza che il vento degli scandali sfiorasse lui e la sua giunta. Sia per l’inaspettata efficienza (relativa) della macchina municipale, mai come allora utilizzabile e presente. Oppure, con un atto di grande coraggio, convergere su un uomo nuovo come Marchini, la cui storia familiare può attirare il voto del Pd oltre che quello delle forze di centro-destra prive di un candidato con possibilità di vittoria. Se Marchini sfondasse con l’appoggio del Pd, si tratterebbe di una mezza vittoria, sempre meglio di una totale sconfitta. Tutto questo, per evitare alla capitale un’esperienza grillina che aggiungerebbe sciagura a sciagure.
Un’ultima considerazione sul sindaco uscente: il complesso di notizie riguardo ai suoi comportamenti e alle sue parole (dagli inviti per il viaggio a Filadelfia, ai munifici mecenati, ai pranzi con esponenti vari, che hanno tutti smentiti), se confermato anche dai riscontri giudiziari sulle spese di rappresentanze, potrebbe delineare il quadro di una mitomania. Sarebbe una patologia, i cui sintomi dovevano essere colti da tempo.

Domenico Cacopardo

9 ott 2015

Marino:Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo





Marino si è dimostrato totalmente inadeguato..ma di chi è la colpa maggiore: Sua..o di chi lo ha imposto a presiedere l'amministrazione di una città complessa e difficile come quella di Roma?


Sappiamo ormai tutti che il PD di Renzi, nonostante le evidenti incessanti leggerezze di Marino, abbia dovuto sostenerlo negli ultimi tempi al comando della capitale per un palese motivo. La ragione è quella di nuove elezioni che vedono nei sondaggi il Mov 5Stelle in chiaro vantaggio. 
Renzi non essendo uno sprovveduto ha, in un certo senso, costretto e sacrificato la Capitale lasciandola in mano ad un incapace amministratore. Credo che in questo caso..il machiavellico Premier.. nella faccenda..abbia altrettante responsabilità.. anche se ben nascoste e camuffate.

Con questo articolo Domenico Cacopardo mette in evidenza l'imperizia, oltre l'ostinato pressappochismo, di un sindaco di Roma assai dedito a spendere in modo irriguardoso attraverso un fondo spese in modo non del tutto corretto..per poi mentire spudoratamente. Ma è l'impudenza..unita alla successiva implicita ammissione, quella che lascia ancora più attoniti.... E' il suo parlare di regalo (rispetto a 20.000 euro che vorrebbe adesso donare alla città) che colpisce rendendolo patetico .. in considerazione del fatto che quelle sono sempre risorse di denaro che appartengono in ogni caso all'amministrazione.

Tutto ciò non fa che dimostrare, oltre alla poca attenzione ed al rispetto che avrebbe dovuto alla sua città..una totale incapacità nella stessa gestione del suo cammino politico amministrativo. Una vicenda oltre che squallida..misera.. di cui tanti nel PD sono responsabili!

vincenzo cacopardo
                                                          


 Scrive Domenico CacopardoEra fatale che la squallida vicenda di Marino, lo scienziato prestato alla politica finisse in malo modo. Solo il provincialismo del gruppo dirigente dei Ds poteva accoglierlo a braccia aperte senza indagare sulle ragioni del suo improvviso abbandono dell’UPMC (University of Pittsburgh Medical Center) e delle altre posizioni che derivavano da tale rapporto. Fassino, allora alla guida dell’exBottegone, non ci ha messo un minuto a inserirlo nelle file di un partito che, un tempo, prima di concedere la tessera di iscrizione a un neofita, ne osservava per mesi comportamenti, ambiente familiare e spirito di servizio.

Invece no. Come nel caso di Abbiamo una banca era il momento di dire Abbiamo uno scienziato.

Eppure, nel giro di qualche mese, le indiscrezioni sulle ragioni reali delle sue dimissioni dall’Ospedale di Pittsburg erano cominciate a circolare. E, nonostante ciò, Marino aveva avuto il coraggio di candidarsi anche alla segreteria dei Ds, all’ultimo congresso prima della nascita del Pd.
Addirittura, Il Foglio nel 2009 (condannato per diffamazione con una sentenza che non mette in discussione il testo della documentazione qui di seguito riportata, ma solo la sua interpretazione) aveva pubblicato la lettera con la quale Pittsburg lo aveva, in sostanza, messo alla porta. Il punto centrale del documento riguarda i rimborsi spese: 
"Come Lei sa, nell’iter ordinario necessario a elaborare le Sue recenti richieste di rimborsi spese, l’UPMC ha scoperto che Lei ha presentato la richiesta di rimborso di determinate spese sia all’UPMC di Pittsburgh sia alla sua filiale italiana. Di conseguenza è stata intrapresa una completa verifica sulle sue richieste di rimborso spese e sui nostri esborsi nei Suoi confronti. Tale verifica è attualmente in corso. Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana. Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano. Sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia. Avendo sinora completato soltanto una revisione parziale dell’ultimo anno fiscale, l’UPMC ha scoperto circa 8 mila dollari in richieste doppie di rimborsi spese. Tutte le richieste di rimborso spese doppie, a parte le più recenti, sono state pagate sia dall’UPMC sia dalla filiale."

Marino replicò immediatamente, spiegando che La lettera, secondo il Foglio, contesta alcune irregolarità amministrative, in particolare su rimborsi-spese per circa 5 mila euro, erroneamente presentati. Chiariamo subito un primo aspetto: quella lettera è una normale corrispondenza di fine collaborazione di lavoro. In un contesto come quello statunitense, dove valgono i principi di merito e responsabilità, è normale che i privilegi che si accompagnano ad un incarico cessino al termine dell’incarico stesso, e che questo avvenga anche attraverso comunicazioni formali. Tra l’altro a quella lettera ne è seguita una seconda, firmata dal mio avvocato, che rettifica in maniera sostanziale il contenuto della prima. Quanto alla vicenda dei doppi rimborsi quello che il Foglio non dice è che fui io stesso ad accorgermi di alcune imprecisioni e a comunicarle all’amministrazione.



È evidente un contrasto non marginale tra il testo della lettera e le spiegazioni di Marino. Sosteneva infatti Joffrey Romoff, n. 1 del Centro medico dell’Università di Pittsburg, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana.



Le spiegazioni dell’attuale sindaco di Roma, quindi, non spiegano nulla, visto che le affermazioni di Romoff non risultano contestate né in privato né in sede giudiziaria. 

Pittsburg, però, non tace di fronte ai chiarimenti di Marino e invia al Foglio una mail nella quale Paul Wood, Vice President, Public Relations, University of Pittsburgh Medical Center precisa che irregolarità nella gestione finanziaria furono portate alla luce dal servizio di audit di UPMC – e non dal Dr. Marino. 

C’è un altro punto sul quale chi ha una certa dimestichezza con l’ambiente americano (e il suo rigido moralismo professionale) non può convenire con il chirurgo: che la lettera dell’UPMC, sia una normale chiusura di rapporto, nel normale linguaggio in uso al di là dell’Atlantico. Il lunghissimo documento di fine rapporto, contiene un’accusa (sui doppi rimborsi) gravissima e che colpisce la figura professionale del chirurgo.

Veniamo alla Roma disgraziata di questi giorni (garantita da un assessore alla legalità, il magistrato Alfonso Sabella) (quanti guai produce all’ordine giudiziario quest’andare e venire da incarichi politici, foglia di fico delle amministrazioni!): la dichiarazione del sindaco di restituire alle casse comunali 20.000 euro di spese di rappresentanza da lui sostenute è un ennesimo pasticciato passo falso, forse obbligato dalla realtà reale, quella che conosce solo lui. Purtroppo non estingue il reato eventualmente commesso (art. 640 codice penale, truffa, aggravata dall’essere stata eventualmente messa in atto nei confronti dello Stato) e costituisce un’implicita ammissione di colpa o di errore o di leggerezza amministrativa. 

Dopo alcuni mesi di follie, il Pd romano, il cui commissario, Matteo Orfini, è sprofondato nella melma(dovrebbe chiarire bene il perché di questo sostegno usque ad finem del chirurgo), non può passare la mano al Pd nazionale e deve risolvere il problema, a costo di perdere il comune. Roma è al capolinea. 

Matteo Renzi l’ha capito benissimo e ha posto l’ultimatum: dimissioni del sindaco e/o degli assessori e dei consiglieri comunali del Pd.
La giornata di ieri è andata avanti in modo convulso, sino alla convocazione dei consiglieri comunali nella sede nazionale del Pd. 
Prima, tutti gli assessori si sono presentati dal sindaco per invitarlo a un atto di responsabilità. 
Poi, d’improvviso, poco prima delle 20, le dimissioni di Marino chiudono una vicenda disgraziata per Roma e per l’Italia.
Non c’erano alternative alle dimissioni subito e al commissariamento e alla fine la ragione ha prevalso. 

Ora, al di là di ogni questione procedurale, sono in primo piano l’oggi e il futuro immediato (un Giubileo e un irrecuperabile ritardo nella gestione delle poche opere necessarie per realizzarlo): si è atteso troppo (debolezza di Renzi verso un Orfini soverchiato dalla situazione), e non si può aspettare oltre.

Ps: purtroppo sono mesi che ItaliaOggi, in modo oggettivo e sereno, sostiene la tesi della necessità dell’uscita di scena di Ignazio Marino, per il bene di Roma e del Paese.
Domenico Cacopardo

8 ott 2015

la rischiosa strada del "credere di sapere"

A volte..quando ascolto alcune figure del Governo presieduto da Renzi..mi vengono in mente le parole di Oscar Wilde quando riteneva alcune persone “capaci di parlare del niente.. proprio per il fatto che è ciò di cui conoscono tutto”...

Se oggi Matteo Renzi viene osannato, è solo perché lo vuole un certo potere non visibile.. che promuove le figure e muove le sue marionette in un palcoscenico in cui sembra essere il vero padrone assoluto. E’ del tutto evidente che il personaggio sia stato volutamente pompato! Per i suoi possibili legami con quei poteri e i suoi interessi per definire meglio la propria forza in seno ai grandi gruppi imprenditoriali del paese.. Il giovane politico, pur nell’apparente immagine del nuovo, sembra adeguarsi e procedere secondo le regole di un vecchio sistema.

Renzi… per la sua innovazione.. preferisce guardare al potere e non alla funzionalità di un sistema! Con furbizia e ambiguità, continua a metterla sul piano del “si o del no” senza tener conto del merito stesso delle riforme. Persevera sul definire gufo chi non la pensa come lui.. Tende a costruire una falsa contrapposizione tra chi le riforme le vuole e chi no, tralasciando il fondamentale aspetto inerente le stesse... volendo fare apparire chi non è d'accordo col le sue riforme.. alla stregua di chi non vuole un cambiamento... Ha sempre agito così.. con quella determinazione di chi è consapevole che con questa strategia potrà uscirne vincente: Approfondire meno...contrapporsi con forza.. per ottenere di più! 

Vi è poi un altro scopo da non sottovalutare..e cioè quello di dover tenere impegnata una gran massa di cittadini su questo gioco al fine di distrarla da questioni sociali più impellenti e poterla far sfogare tra urla ed offese..che al contrario, se spinte in altre direzioni, potrebbero riaccendere attenzioni e nuocere assai di più.

Per far questo il Premier Renzi, come volesse apparire paladino e vero restauratore del processo istituzionale del nostro Paese, opera attraverso tagli e soppressioni... senza mirare principalmente ai risultati qualitativi che dovrebbero trovare riscontri su una vera funzionalità del sistema: Taglia una Camera (senza in realtà fornire un vero reale progetto alla sua funzione).. si muove per una legge elettorale del tutto priva di fondamenti relativi ai principi di una democrazia (con ricchi premi di maggioranza e soglie limitate)...non si adopera per una principale riforma verso i Partiti, etc... il tutto condito da una operazione di restauro populista attraverso tagli qui e là..un po' ovunque, al fine di accogliere su di se un consenso..forte della percezione che.. in tanti oggi... ignorano la reale visione del complicato meccanismo politico istituzionale.

L'interesse.. quindi.. è soprattutto quello di distrarre...di non far pensare oltre il dovuto...di far sfogare attraverso il gioco di una palla in rete..per evitare che ci si possa impegnare con più attenzione in temi sociali molto più profondi, delicati e di interesse ad un'esistenza in comune. Credo che la domanda più chiara e semplice da rivolgere oggi ai cittadini dovrebbe essere questa: - Vogliamo vivere in un regime democratico parlamentare con interminabili discussioni che definiscono comunque una libertà sulle idee cercando di promuovere un cambiamento atto a migliorarne la funzionalità... o preferiamo quel decisionismo governativo scevro da ogni dialogo parlamentare e ristretto nelle idee?...Per farla breve un regime assoluto che prevarichi ogni dibattito in seno alle forze politiche. Teoricamente basterebbe porre questo quesito attraverso un referendum per chiudere ogni storia!..Ma la faccenda è assai più complessa, poiché per rispondere ad una tale domanda.. occorrerebbe da parte del popolo.. una preparazione sulla politica e sulle istituzioni che molti non hanno...una conoscenza cui molti non sembrano interessarsi.

Se Berlusconi è stato l’emblema di chi ha preteso di governare senza aver intuito l’importanza di una azione proveniente dal basso…Renzi, per il suo forte carattere ambizioso ed arrivista, potrebbe rappresentare la figura politica tendente ad avvalorare un identico concetto di governabilità stabilità dall’alto.. sostenuta dalla forza del suo "credere di sapere". Un inaccettabile percorso di governabilità che non potrà mai portare frutti validi e duraturi finchè una nuova politica costruttiva non metterà radici spingendoci verso un più illuminato concetto di funzionalità.


La politica non muove più passi in avanti proprio per la mancanza di una ricerca di vera innovazione... un percorso che possa veramente essere utile al funzionamento delle stesse istituzioni. Nei talk televisivi non si fa che sentire la solita cantilena sui tagli e sui costi, ma in concreto nessun politico riesce ad esprimere una nuova visione della politica attraverso una forma mentis rivoluzionaria attraverso la ricerca di nuove formule, lasciando le istituzioni in continue controproducenti anomalie.
vincenzo cacopardo

7 ott 2015

La riforma costituzionale e l'esempio di DeGasperi


L'esempio di De Gasperi inconciliabile con la irriverente determinazione odierna
di vincenzo cacopardo

Non potrebbe mai esserci la desiderata collaborazione ed il rispetto dovuto in una fase di riforma della Costituzione come quella di oggi voluta esclusivamente da un Premier altero.. nemmeno votato alle elezioni politiche. Poco o niente può valere il fatto di riconoscere che.. al momento.. non si intravede alcun altro politico capace di imporsi con tale determinazione e fermezza..non lontana da un'arroganza. Bisognerebbe prendere esempio da politici come De Gasperi, per riconoscere la grande percezione su temi tanto delicati...quanto circondati da conflitti e possibili anomalie: Ricordiamoci che.. esaurita la fase preparatoria, De Gasperi partiva con un’Assemblea Costituente nella quale la sua DC aveva la maggioranza relativa dei seggi (207), ma rimaneva indietro di 12 unità rispetto al blocco socialcomunista (219 deputati).

Certo i tempi sono molto cambiati... ma è lo spirito della Costituzione che non può che rimanere lo stesso di quello che animò i padri costituenti..e cioè quello che vede nei valori comuni della nostra società (una società sicuramente cresciuta) un punto di incontro dal quale non ci si può estraniare. Valori che impongono chiari principi ed un rispetto sia nel metodo che nel merito. 

Nel merito: De Gasperi, senza essere un giurista.. nè un costituzionalista, aveva comunque idee molto chiare di politica costituzionale, e soprattutto la dura esperienza dal primo dopoguerra alla sconfitta del fascismo e del nazismo, lo avevano convinto che presupposto indeclinabile della ricostruzione italiana era, nelle nuove leggi fondamentali, l’instaurazione di una democrazia fondata sulla libertà, bene supremo. Inoltre la democrazia rappresentativa, espressa dal suffragio universale, fondata sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri, doveva essere animata dallo spirito di fraternità. Si doveva affermare anche la netta distinzione dei poteri dello Stato, efficace garanzia della libertà politica.

Nel metodo: De Gasperi, allora Presidente del Consiglio per tutta la durata dell’Assemblea costituente, apparve come estraniato dal lavoro di formazione del testo costituzionale, tanto che l’on. Palmiro Togliatti ebbe poi a sottolineare, ma a torto, una sorta di indifferenza di De Gasperi per i problemi costituzionali. In realtà, l’allora Presidente del Consiglio scelse di proposito una linea di non interferenza governativa nell'elaborazione della nuova Costituzione, con un riguardo giustificato anche dall’eterogeneità delle componenti partitiche dell’esecutivo. Questo scrupolo di non mescolare attività di governo ed attività costituente si rivelò particolarmente avveduto dopo la svolta del maggio 1947, realizzata con l’avvento del Ministero De Gasperi-Einaudi, per meglio affermare la distinzione dei due livelli di azione dell’Assemblea, garantendo la continuità di clima collaborativo nella fase conclusiva del lavoro delicato offerto in favore della nuova Costituzione.

Tutto ciò che oggi possiamo esser sicuri di non vedere e che... per l'arroganza di un premier.. trascina il dibattito politico di una riforma di particolare riguardo..come quella costituzionale.. in un orribile spettacolo.   

Demagogia e populismo governativo.


di vincenzo cacopardo
Se tutto ciò che esprime il movimento 5 Stelle, la lega di Salvini..ed altri giovani movimenti..viene oggi identificato come demagogico e populista, non può di certo sfuggire quanta demagogia e populismo dall'alto viene espressa nelle riforme del Governo del sindaco d'Italia Renzi.

Quando si parla di demagogia e populismo si tende quasi a far credere che siano atteggiamenti dispregiativi ideologici provenienti unicamente dal basso ..ossia espressi dai sentimenti del popolo ..dalle piazze e da quei cittadini che non si sentono protetti e che reagiscono di impulso. Tuttavia la demagogia.. (termine di origine greca composto di demos, “popolo", e agein, "trascinare") indica un comportamento che, attraverso false promesse.. vicine ai desideri del popolo, mira ad accaparrarsi il suo favore. Ma è proprio il politico demagogo che fa leva sui bisogni sociali latenti, alimentando paure nei confronti dell'avversario politico e confondendo quindi il popolo. Dunque la demagogia resta una condotta proveniente sempre dall'alto.

A sua volta.. il populismo..rimane un atteggiamento ideologico, culturale e politico che, sulla base di principi e programmi ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi. Il suo significato viene spesso confuso con quello di demagogia.. Nel nostro Paese il populismo è stato usato come accezione negativa nei confronti del fascismo e di vari movimenti leaderistici, spesso affini alla destra, ma anche al centro-sinistra. Il populismo, che può spesso rivelarsi autoritario, è anch'esso sempre condotto e diretto dall'alto.

Ora..quando certi movimenti politici non facenti parte dell'asse governativo, si esprimono in favore del popolo (e cioè dal basso).. vengono subito etichettati come populisti nel senso più dispregiativo. Quando ,al contrario, è il governo ad esprimersi in termini demagogici.. tanto da risultare più populista di altri, il tutto viene celato da un bisogno di determinazione(dall'alto) quasi giustificato.
Guardando alle riforme costituzionali che si stanno discutendo relative al Senato combinate con la legge elettorale, si ha la netta percezione di quanta demagogia dall'alto vi sia espressa nel contenuto di queste e come questa sia condotta con la forza di un determinismo molto simile a quell'autoritarismo tendente ad accattivarsi il favore del popolo.





6 ott 2015

Un'analisi sull'articolo di Domenico Cacopardo "Putin e Obama"

L'articolo di Domenico chiarisce in modo opportuno la posizione di Putin nello scacchiere geopolitico medio- orientale.. mettendo in evidenza l'opera dell’élite burocratica sovranazionale e l'establishment politico ”occidentale” da Washington a Bruxelles... compresa quella macchina da guerra della propaganda che, in modo alquanto sfacciato, continua ad esclamare l'inganno ed il tradimento di una Russia che si è sempre preparata ad attaccare..e per la quale una guerra fredda non è mai terminata.

Infiniti espedienti che definiscono il modo in cui l’élite di governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei.. si sono comportati nei confronti della Russia dopo la fine della guerra fredda, promettendo alla Russia che, sciolto il Patto di Varsavia, la NATO non si sarebbe espansa verso Est. Così, mentre il Patto di Varsavia andava sciogliendosi, la NATO, al contrario di quanto promesso, ha continuato ad espandersi verso Est, assorbendo i Paesi che dapprima avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Una egemonia evidente da parte degli Stati Uniti che si sono avvicinati verso i confini della Russia.

Dagli anni novanta, i russi si sono energicamente opposti all’espansione della NATO; inoltre, negli ultimi anni, hanno messo in chiaro che non sarebbero rimasti a guardare quello che per loro è un Paese confinante strategicamente importante come l’”Ucraina” divenire un baluardo statunitense contro di loro.

Dopo i fatti dell'Ucraina che hanno messo in chiaro l’illegittimo rovesciamento del Presidente democraticamente eletto, Putin ha risposto accettando la volontà collettiva del popolo di Crimea, che ...con un enorme plebiscito.. ha deciso per il ritorno sotto la Russia. In tal modo..evitando che gli USA organizzassero una base navale NATO sulla penisola. Il presidente Putin ha sempre dimostrato di non cedere alla pressione imperialista degli Stati Uniti suggerita da Obama, solo proteggendo i propri confini, malgrado la politica statunitense abbia continuato a denunciare come illegittime le sue mosse. Una visione particolare e distorta che sembra aver avuto Washington verso la Russia. Una visione errata della politica internazionale.....che Obama e gli stessi alleati europei non hanno saputo mai affrontare col giusto equilibrio.

L’atteggiamento occidentale appare come l’antologia dell’ipocrisia. contrariamente ad una certa stancante retorica ufficiale.Pertanto, sorprende e rimane altamente falso che Washington non riconosca che l’”Ucraina” ha, da tempo, una importanza economica e strategica per Mosca e che nessun governo russo poteva accettare il tentativo di sottrarla per portarla, con determinati espedienti, nell’orbita geopolitica dell’Occidente.
Vincenzo cacopardo


L’assemblea generale dell’Onu ha certificato l’inconsistenza politica di Barak Obama e il ruolo centrale di Vladimir Putin sulla critica scena medio-orientale e, in definitiva, mondiale.
Già, lo zar ha reagito alle sanzioni americane ed europee per la questione ucraina, definendo un trattato di cooperazione politica, economica e militare, il più grande accordo mai stipulato nella storia per dimensioni finanziarie e industriali, con la Repubblica popolare cinese. S’è costituito così un forte asse Mosca-Pechino che rende eccentrica e periferica Washington e, con lei, Berlino.
A dimostrazione della sostanza del patto, a dar man forte ai russi, è giunta nelle acque siriane una forza navale cinese, forte di una portaerei, di una squadra aerea e di 1000 marines.
Se, come sembra in questo momento, il Medio-Oriente è il cuore della crisi, sia per la presenza dell’Isis che per le forze in campo, è chiaro che gli Stati Uniti e l’Europa non sono nel cuore del gioco, ma ai margini.
La medesima spedizione di una squadriglia di Rafal (gli strikers di produzione Dassault), enfatizzata da Hollande (un altro gnomo politico), appare più un mostrare la bandiera (come si usava fare nel Seicento e nel Settecento, inviando navi in prossimità di aree strategiche con l’ordine, appunto, di mostrare la bandiera, nel senso di badate, esistiamo anche noi) che un’operazione significativa.
E il senso vero della presenza russa (e di qualunque altro Paese che vuole essere protagonista nella crisi e per la sua soluzione) sono i suoi boots on the ground (stivali sul terreno), che significano una presenza reale e concreta nell’area dei combattimenti.
Lasciamo perdere che la Duma (il Parlamento di Mosca), mercoledì 30, nell’autorizzare le operazioni aeree in territorio siriano (richiesta dal presidente Assad), non ha autorizzato operazioni terrestri: infatti, la Russia (ora anche con l’aiuto cinese) ha creato almeno tre campi trincerati, forti di migliaia di uomini e mezzi corazzati, un presidio insuperabile per i terroristi dell’Isis e affini, un supporto decisivo per le stanche e demoralizzate forze governative siriane.
Ci sono tre ragioni che presiedono alla politica di Putin. La prima è strettamente domestica: in Russia e nazioni limitrofe, vive una imponente comunità islamica (10/15%), molto sensibile alle sirene terroristiche e capace di mettere a ferro e fuoco vaste aree dell’impero, come s’è visto in Cecenia. Quindi, battersi in Siria (e in Iraq) per distruggere i combattenti dell’Isis, significa battere quei cittadini russi che sono accorsi in quelle aree per infoltire le schiere degli islamisti e contribuire al loro successo, con ferocia e determinazione. Distruggerli ha effetti positivi nella madre patria.
La seconda ragione è diventare protagonisti imprescindibili della crisi e dei futuri assetti, quelli che saranno costruiti a un tavolo di pace, quando ci sarà. In questo momento, con Assad, si battono russi (con i cinesi), iraniani, hezbollah e varie forze sciite e non c’è dubbio che Putin abbia una primazia sul terreno e la consolidi giorno dopo giorno.
La terza ragione è quella di mostrare al mondo l’ininfluenza di Obama e la sua sostanziale inesistenza in questo scacchiere e negli altri più vicini, Iraq, Yemen e Libia. E sulla base di questa constatazione spingere i regimi traballanti della sponda Sud del Mediterraneo ad aprire le porte alla flotta russa e all’influenza di quel Paese.
Barak Obama ha perso la partita. E non solo per un inefficace abbandono dell’Iraq (nel senso che la sistemazione politica è risultata fallimentare), ma anche per tutte le altre mosse compiute durante la sua presidenza che ha tentato di lasciare sul terreno l’Egitto (con il tentativo in insediarvi un regime democratico) ed è riuscita a eleminare la Libia come soggetto statuale, regalandola al regno del terrore e dei piccoli ras tribali.
Per di più, Obama ha concluso un deficitario accordo con l’Iran che lucrerà da subito la cessazione dell’embargo (che pare valga oltre quaranta miliardi di dollari) in cambio della promessa di non attivare l’arma nucleare per dieci anni che, in soldoni, significa la promessa che tra 10 anni l’Iran avrà la sua arma nucleare. Non s’è definita una piattaforma d’intesa proprio per la Siria: e quanto sarebbe stato il momento di inserire il dossier tra i topic del negoziato. E, paradosso inaccettabile, ha scatenato la rivolta antiAssad, puntando su scarsi e concorrenti gruppi di rivoltosi che hanno fatto da buttafuori ai solidi terroristi islamisti, cui hanno passato anche le armi date loro dagli americani.
E la dichiarazione di Obama no boots on the ground ha sortito l’effetto di incentivare l’allargamento e il consolidamento delle forze dell’Isis, mai come in questi anni indisturbate, anche perché c’è stata la certezza di poter operare tranquillamente sul terreno, salvo la resistenza eroica dei curdi, peraltro abbandonati dal medesimo Obama alle vendette di Erdogan e alle sue velleità di primazia.
Oggi, non resta che prendere atto della situazione. Il non farlo significa continuare nell’attuale e pregressa schizofrenia che impedisce di cogliere i dati reali del problema, spinge a immaginare una realtà desiderata ben diversa da quella reale, suggerisce operazioni e atti che o sono insignificanti o sono autolesionistici.

Male ha fatto Renzi a non investire l'Assemblea Onu della questione pena di morte e di quella, sempre più significativa, del diritto alla conoscenza. Bene a dissociarsi dal napoleoncino socialista di Parigi e a rivendicare una leadership nello schieramento che prima o dopo si occuperà di stabilizzare la Libia e di espellerne il terrorismo, a salvaguardia dell’unico baluardo democratico esistente in Nord-Africa, la Tunisia.
Situazione, quindi, fluida con possibili positive evoluzioni, di cui dobbiamo ringraziare la Russia.

L’America ha perso la partita qui e, quindi, in Ucraina. Per rendersene conto dovrà aspettare che le fanfare suonino l’uscita di Obama dalla Casa Bianca.
Domenico Cacopardo



Un commento all'editoriale di Alessandro Sallusti

Sallusti nel suo editoriale sul Giornale si esprime con evidenza sul fattore “C” che continua a favorire il percorso del premier Matteo Renzi in ogni dove. Tuttavia non può proprio nascondersi una più concreta realtà che oggi vede nel Quantitative Easing di Draghi, nel favorevole prezzo del petrolio..oltre che nel cambio col dollaro ..una circostanza determinante per cambiare i parametri di una economia in favore della nostra Nazione, pur lasciando intatta, se non peggiore, una forbice tra ricchezza e povertà ed un distinguo insopportabile tra il nord ed il sud del Paese. Il giornalista si inserisce con sagacia nel caso del sindaco Marino.. non trascurando critiche allo stesso e mettendo in evidenza la “crepa” che lo stesso caso pone in antitesi col fattore “C” del capo del Governo..impedone il suo risoluto andamento e ponendo un problema di difficile soluzione che rasenta persino il ridicolo... Per Sallusti..una prova evidente di come al machiavellico Renzi importi poco la dignità stessa del Paese.
vincenzo cacopardo

Matteo, il fattore C e lo scoglio del sindaco Marino
Non vogliamo passare per degli ossessionati da Matteo Renzi. Anzi, da ieri la sua riforma del Senato, sia pure con imbrogli procedurali, si sta avviando alla seconda approvazione (ne servono quattro). Il fine, secondo lui, giustifica i mezzi, e lui non si fa alcun problema a usare quelli banditeschi. Il governo sta pure incassando alcuni timidi segnali se non di ripresa almeno di arresto della caduta. Piccoli «zero virgola» in più che il premier venditore è abilissimo a spacciare per grandi successi. Poco importa che non siano neppure farina del suo sacco ma conseguenza della congiuntura internazionale favorevole. Ci sono, e questo basta. Il premier è più fortunato che bravo. Sul fronte interno tutto gli gira a favore: i soldi di Draghi, l'interdizione di Berlusconi, la conseguente crisi con sfaldamento del centrodestra, le paure dei suoi di perdere il posto. Si chiama «fattore c.» (lui ne è dotato in abbondanza) ed è lo strumento con cui ha domato Parlamento e partito.
Fuori dai confini, dove non basta la fortuna ma serve ben altro, continua invece il disastro. È talmente un peso piuma che la settimana scorsa non è stato invitato al vertice europeo sulla Libia. Due giorni fa ha parlato sì all'assemblea dell'Onu, ma in una sala deserta: «Renzi chi?» si sono chiesti i delegati prima di darsi alla ricreazione. E ieri la Merkel gli ha scippato pure il regista della crisi libica: il commissario europeo che dovrà sovrintendere a quell'area sarà infatti tedesco e non italiano come chiesto – con molte ragioni – dal nostro premier.
Tornando alle questioni domestiche, c'è però una crepa nel «fattore c.», che sta diventando una voragine. Parliamo del caso Roma. Ieri il sindaco Marino, non contento dei guai già combinati, in poche ore ha detto nell'ordine: il Papa non capisce nulla e dovrebbe prendere lezioni da lui, il prefetto Gabrielli è una sua badante, Alfio Marchini è una specie di fascista di ritorno (si è beccato pure una querela). L'uomo è talmente fuori controllo, e fuori di testa, che ci sta diventando simpatico. Anche perché sta trascinando nel ridicolo il suo partito, il Pd, e il suo segretario, Matteo Renzi, che lo devono lasciare al suo posto pena elezioni anticipate e sicuro disastro elettorale della sinistra. Sul caso Marino, Renzi sta perdendo non solo voti a Roma ma pure la faccia. Lasciare la capitale in mano a questo tontolone è la prova che Renzi non ha a cuore la dignità del Paese e il bene della cosa pubblica. L'unica cosa che gli interessa è il suo «c.», senza fattore.
Alessandro Sallusti


5 ott 2015

Verdini canta..e i dissidenti si lagnano..


di vincenzo cacopardo
C'è da crederci.!..Denis Verdini, sarà determinante per la riforma del Senato..e la minoranza della sinistra di Bersani..sembra non voler digerire la cosa!.. L'avanzamento di Verdini e la sua allegra compagnia..a favore del premier comincia ad infastidire i dissidenti all'interno del PD costringendo Bersani a sottolineare una preoccupazione che è e rimane all'interno del partito di sinistra, svalorizzandone gli ideali fondamentali.

Non si possono nascondere le continue fibrillazioni insite all'interno della minoranza ..che insistono in un gioco di opposizione senza fine che pare concludersi perennemente con la resa incondizionata a favore delle volontà di un premier Un presidente del Consiglio che gioca una partita attraverso sfide, fiducie e.. persino aut aut. Non sembra essere solo una questione riguardante le riforme costituzionali, ma anche sulla legge di stabilità..della quale la minoranza, non pare per nulla convinta. Tuttavia sappiamo che queste “non convinzioni” valgolo poco o nulla..in considerazione del fatto che siamo ormai abituati a vedere questa frangia di dissidenti..privi di un duraturo pensiero.. e debolissimi nell'opporsi.

"Bisogna rendere più chiaro dove si stia andando senza cortine fumogene, giochi di parole e battute.” Queste di Bersani (che ormai lasciano il tempo che trovano) sono parole alle quali siamo ormai abituati, ma che restano fumo.. in considerazione del fatto che nulla sembra affermarsi dei principi tanto cari allo stesso ex segretario. Temi elevati riguardanti una Costituzione ed il suo impetuoso e semplicistico stravolgimento. A parere di tanti.. queste..volute da Renzi.. non possono chiamarsi riforme, ma alterazioni..o meglio ..distorsioni di un logica costituente che vuole sovvertire i valori di base per poter dare sfogo ad un unico principio di governabilità.

Perciò.. appare ancora una volta oltre che sterile, assai più ridicola, la fronda dei dissidenti che non sembrano avere i giusti attributi per reagire... offrendo di continuo la palla ad un furbo Capo del governo che potrebbe incassare ogni consenso ..anche quello proveniente da colui che (secondo le logiche che lo hanno portato al premierato) avrebbe dovuto allontanare per un suo fondamentale principio riguardante la rottamazione.

Mentre Bersani ed i suoi dissidenti riflettono..Verdini in tono ironico canta il suo versetto: “La maggioranza sai è come il vento” come tutto fosse uno scherzo! ..Come non si trattasse di una riforma..e si sottovalutassero valori e principi sacri di un testo costituzionale di grandissima importanza per le logiche ed i percorsi della politica del futuro. 

Ma questo Paese è così!. Rimane fermo e uguale nella interpretazione personale di un modo di far politica che premia sempre i più furbi ed i millantatori ..un Paese che si fa abbindolare dai simulatori della comunicazione..e che va allontanandosi sempre più da una cultura politica ..declamando l'inutilità di questa ..invece di parteciparvi attraverso l'informazione e l'utile conoscenza. Un Paese che non potrà mai sperare in un rinnovamento più utile ed in favore degli stessi cittadini..se questi stessi non ne prendono parte con l'interesse dovuto. Una società che si contraddice quando continua a ricordarci l’importanza dei valori che si vanno perdendo. Sarà mai possibile migliorarsi e coltivare valori se non proteggiamo i principi fondamentali della nostra cultura politica?



2 ott 2015

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sull'operato del sindaco Marino

Questo articolo del cugino Domenico mette in evidenza ciò che hi  già messo in evidenza in un post precedente. “Marino ..l'onesto incapace” Il sindaco di Roma Marino è l'esempio tipico che dimostra come in politica l'onestà non è sufficiente: Poco importa avere una persona rettamente integra se poi non risulta capace di sostenere con impegno, con controllo e con prevenzione.. l'iter di una amministrazione! la via.. in politica, come in ogni disciplina, non può essere affidata unicamente alla rettitudine, richiede competenza, non può correre sugli unici binari della strada dell'integrità morale, poiché per logica un'Amministrazione pone problematiche diverse e tra loro differenti: Bisogna saper leggere in lungimiranza, saper approntare idee immediate e, soprattutto.. conoscere la materia amministrativa.. sapendo agire con prevenzione.
Domenico descrive in modo puntuale le inopportune mosse di un sindaco che amministra un città che oggi vive difficili condizioni e che lo vede spesso assente nei momenti più importanti “
vincenzo cacopardo



È assolutamente singolare che il papa assuma su di sé il compito di smentire le voci su un suo invito a Ignazio Marino, sindaco di Roma, di partecipare alle cerimonie religiose in programma a Filadelfia, il 26 e il 27 settembre. L’Osservatore Romano –il giornale che pesa attentamente le parole almeno quanto il Rénmín Rìbào (Il quotidiano del popolo, organo del Partito comunista cinese)- ha scritto: «Il Papa ha smentito “categoricamente” che da parte sua ci sia stato un invito o che sia stato fatto dagli organizzatori».
L’imbarazzata e imbarazzante difesa del sindaco di Roma, attribuendo l’invito al sindaco e al vescovo di Filadelfia (ma non erano loro gli organizzatori?) non spiega nulla. Rimane il fatto che il prof. Ignazio Marino non trova nulla di disdicevole nell’abbandonare Roma, in questo momento cruciale, alla vigilia dell’inizio dell’Anno santo, con la città sconvolta dai lavori preparatori e mille problemi quotidiani, dalla conferma che gli affidamenti illegali di lavori e forniture sono continuati sino alla primavera del 2015 ai frequenti incidenti alla rete metropolitana che paralizzano la città pesando direttamente sui lavoratori.
Nulla di tutto questo è risultato rilevante per Marino e, nella sua mente, è stato più importante fare da par terre al papa e ai suoi accompagnatori, impegnati in una missione in terra americana considerata da osservatori neutrali particolarmente difficile. Particolarmente difficile perché questo pontificato s’è caratterizzato, sin dall’inizio, per il suo spiccato carattere politico, prevalente rispetto ai contenuti religiosi della missione pastorale affidata a Francesco. L’attenzione di sua santità s’è rivolta ai problemi economici e sociali, oggetto d’ogni esternazione estemporanea o ufficiale o, addirittura, ex-cathedra. Il messaggio è stato sempre il medesimo: la condanna dell’individualismo (e, quindi, implicitamente, la promozione dello Stato regolatore comune) e del capitalismo, soprattutto nella versione amerikana, figlia della riforma luterana e calvinista, di quel capitalismo che è stato ed è il motore del mondo, che l’ha condotto sulla via della crescita materiale (sottraendo 1 miliardo e mezzo di uomini dalla tragedia della fame) e spirituale (mai tanti beni immateriali sono stati a disposizione dell’umanità). Ha scritto papa Francesco che questa economia «uccide», un’espressione retorica che non corrisponde al vero, e che, quindi, bisogna uccidere quest’economia (nell’unico modo conosciuto per ucciderla: quel dirigismo di Stato che ha portato l’Argentina dalla condizione di Nazione ricca a quella di Nazione povera, disastrata e in preda alla corruzione). Il tema dell’ambiente è diventato tema elettivo di questo pontificato, ma è stato coniugato con tante discutibili banalità, le medesime per le quali il comico Grillo è stato condannato a risarcire un professore universitario (che sosteneva l’energia nucleare), tra le quali l’aria condizionata, a smentita del saggio principio romano de minimis praetor non curat. Questione, l’aria condizionata, particolarmente urticante per i nordamericani, che hanno voluto rendere la vita indipendente dalle variazioni di temperatura.
Non appena un po’ di polvere si sarà depositata sulle emozioni suscitate dal papa americano, ci si renderà conto, soprattutto negli Stati Uniti (la comunità cattolica che mantiene economicamente in vita tutta la Chiesa cattolica e le sue opere) che il suo richiamo alla necessità di una comunità politica al di sopra degli individui alla quale sia dato il pieno potere di decidere sull’allocazione ottimale delle risorse ripropone un collettivismo sconfitto dalla storia più recente del tutto contrario all’american life’s style, nel quale è la libertà il principale canone della vita democratica. Certo, nella visione di Francesco c’è ancora la teologia del pueblo, nella quale è lo Spirito santo a ispirare il popolo e, quindi, la comunità politica che prevale sugli individui.
Una inaccettabile aberrazione ideologia o, alternativamente, un mero sofisma, un espediente per acquisire populistica popolarità nel momento di maggiore crisi vocazionale e di militanza della Chiesa cattolica dal 31 ottobre 1517, giorno della presentazione delle 95 tesi di Martin Lutero nella cattedrale di Wittenberg e, quindi, della nascita della riforma protestante.
Quindi, Marino doveva essere presente, spettatore, alle esternazioni di Filadelfia, e assente dalla sua città in giornate cruciali come quelle che la capitale sta vivendo.
Segno questo, che questo sindaco non ha ancora compreso (e, a questo punto, non lo comprenderà mai) quale compito delicato gli sia stato affidato dagli elettori, quali siano le attese che ha alimentato, quali delusioni ha suscitato.
Forse hanno ragione coloro che sostengono che Roma va meglio quando Marino è assente. Ma, razionalmente, rimane un errore il non avere commissariato il comune, sulla spinta degli interessi politici (e personali?) di Matteo Orfini, presidente del Pd, commissario del Pd romano, romano egli stesso.
Il pasticciaccio del nuovo inatteso viaggio del sindaco conferma, infine, tutte le perplessità sorte intorno alla sua caratura politica.
Non c’è da sperare più molto. Solo che la prossima scivolata non abbia, come questo viaggetto non ha avuto, conseguenze gravi per i cittadini dell’urbe caput mundi, oramai talmente mitridatizzati da non reagire più alle tossine che quotidianamente vengono loro inoculate.
Domenico Cacopardo


1 ott 2015

Senato.. arrivano i primi canguri..

di vincenzo cacopardo
Assistendo al dibattito al Senato di questi giorni, ci si accorge di come i giochi sembrano siano fatti, di come ormai si andrà avanti sulla nuova riforma senza tener conto di alcun rallentamento (seppur giustificato) forzato dagli emendamenti delle forze di opposizione. La via è ormai segnata! Le strategie decise con forza da un monolitico PD che pone qualsiasi freno a possibili ostacoli..e che vede il presidente Grasso assoggettato ad una maggioranza smontando sul nascere ogni possibilità di ribaltare un programma che va avanti come un treno su ordine del governo.

Un emendamento proposto ad arte dal senatore della maggioranza Cociancich (di fede renziana) è apparso come una sorta di canguro.. Risultato ammissibile per il presidente Pietro Grasso, consente di saltare tutti gli emendamenti all'articolo 1. Il fatto ha generato un'autentica bagarre all'interno dell'emiciclo. Alla fine del lungo dibattito della giornata di ieri..dopo una lunga lotta di nervi..il presidente ha ammesso al voto soltanto gli emendamenti che mirano a modificare o sopprimere il comma 5 dell'articolo 1. Si tratta di diciannove voti segreti .

Paolo Aquilanti, ex alto funzionario del Senato, ora segretario generale a Palazzo Chigi, sembra voler dare una mano al governo fornendo una appropriata regia dall'alto della sua esperienza...insomma.. si va avanti a suon di strategie verso una riforma che deve a tutti i costi esser portata al traguardo nei tempi previsti dal ministro Boschi. Naturalmente vi è stata una gara scatenata contro il senatore Cociancich appena stemperata dalle parole a sua difesa del capogruppo Zanda..parole che hanno generato ulteriore caos ed urla. Qualche senatore della minoranza ha dichiarato con forza che ormai anche per questioni come le riforme costituzionali vengono usati dalla maggioranza espedienti abnormi simili alle “fiducie”

Questa riforma assai pasticciata sta portando ulteriore caos all'interno della politica e la gestione condotta da Grasso appare imbarazzata e persino non del tutto convinta.. Malgrado la sua determinazione si intravedono perplessità nascoste. La sua vicinanza al PD ed a Bersani che lo ha candidato alla presidenza.. non può nascondersi..nè celarsi una certa titubanza. Ma sembra che gli ordini del Partito siano precisi ..”andare avanti a tutti i costi”. Il ruolo di chiunque viene posto alla carica di presidente di un'Assemblea (che in sé deve essere di arbitro e garante), soprattutto in ordine a questioni costituzionali, non dovrebbe mai essere promossa da un Partito. Nella fattispecie abbiamo un presidente del Consiglio che è anche segretario del Partito di maggioranza che propone riforme costituzionali avvalendosi del fatto che il presidente dell'Assemblea di pertinenza è stato promosso e nominato dal suo stesso Partito..Non è difficile poter pensare che possano esservi imbarazzi o pressioni ..seppur non espresse con precisa volontà.. Ancora una volta si mette in evidenza l'esigenza di separare e distinguere i ruoli con maggior determinazione e più coerenza al fine di non generare conflitti e.. persino sospetti.

Si poteva più sapientemente sperare di arrivare ad un obiettivo più adatto attraverso un bicameralismo più funzionale, ma l'accoppiata Renzi-Bersani non sembra aver ricercato qualcosa di più valido ed utile, accontentandosi di rinchiudere la funzione di questo questo Senato in un vero coacervo di incongruenze .Ricordiamoci dei bersaniani.. che fino a poco tempo fa gridavano: "Sui princìpi costituzionali non si tratta” e che oggi appaiono come risucchiati in un vortice renziano non essendo in grado di opporsi ad un domani che vedrà un Senato non eletto dal popolo, né nominato dalle Regioni..una sorta di pasticcio contro il quale non sembrano capaci di intervenire.

Mancano 13 giorni per chiudere una riforma di grande importanza che pare affrontarsi come fosse un giochetto da nulla! Regna un gran disordine e molta confusione, ma ciò che si comprende è il fatto che allo stato delle cose ..nulla potrà fermare la volontà di Renzi verso questa imbarazzante riforma. Il futuro ci dirà chi ha ragione! Di fronte a ciò che sta accadendo in Senato e della manifesta vessazione di una maggioranza che prosegue imperterrita come un treno ..non si capisce quale può essere la ragione di non abbandonare un'Aula..lasciando alla prepotenza della maggioranza la responsabilità di un cambiamento costituzionale di tale portata.