14 gen 2014

La crisi del libero mercato tra ricchezza e povertà



SE LA CORDA SI SPEZZA!!…
di vincenzo cacopardo.

La società si è ormai formata!.. il problema fondamentale, oggi, è quello di saperla equilibrare! Se questa corda, ormai troppo tesa, si rompe.. anche il beneficio e le ricchezze dei pochi decadranno ed il rischio di una rovina potrà colpire l’intera società nel suo insieme


Ritengo che la peggiore crisi sia quella della totale perdita dei valori! Quando perdiamo il rispetto per il prossimo, il senso di uno Stato, il valore del denaro, quello del lavoro..e persino ogni forma di poesia e la possibilità di sognare…allora perdiamo ogni speranza!  Non volendo pormi col consueto catastrofismo che oggi pervade la gente, posso comunque affermare che.. se una speranza c’è… non può essere affidata nelle mani ambiziose di chi cerca di apparire per assumere ruoli predominanti. 
Il mito e l’idolatria… stanno vincendo sull’umiltà ed il rispetto che si deve ad una comunità.  La società sembra ormai ingrigita da un modo di pensare che ha sporcato ogni contenuto sui valori. 


Così come sembra che il tempo non tenga più conto delle stagioni… passando dal freddo a caldo torrido dello scirocco nello spazio di qualche ora, la vita di relazione tra le persone sembra mutare dall’oggi al domani…le amicizie….i rapporti di lavoro…quelli sociali.. sembrano sempre inaspriti da cambiamenti improvvisi che non riusciamo a comprendere, anche in politica le metamorfosi paiono avvenire con improvvise trasformazioni che non lasciano spazio ad un adeguato percorso  per la ricerca delle soluzioni: Si passa da una scelta ad un’altra.. completamente opposta.

Questi strani fenomeni sembrano essere il sintomo generale di un mondo che ha perso ogni forma di equilibrio…sia per l’ambiente che per la collettività.. e persino per ogni aspetto antropoligico che ci coinvolge. L’essenziale principio dell’equilibrio sembra essersi perso del tutto ed in questa dispersione l’uomo sembra aver inglobato ogni visione…non essendosi accorto dell’importanza di tutto ciò che la natura gli ha donato e che la sua permanenza in terra non ha saputo ben usare e custodire. Oggi quindi…(la stessa natura c’è lo insegna)…non vi è solo un principio di equità e di correttezza da sostenere …quanto quello di ricercare un fondamentale equilibrio come bilanciamento di una convivenza comune per far sì che non si prendano strade strette o larghe…lunghe o corte..che non si ricerchi solo il bianco o il nero…che non si vada incontro a verità assolute…nè ad assurde profezie o profonde incertezze..

Tralasciando una certa retorica filosofica (che non guasta) ma nella quale a volte mi dilungo.. potremmo comunque affermare che la mancanza di un equilibrio, ha sicuramente portato la figura umana a non stabilire più gli indispensabili confini sulle scelte e sulle fondamentali azioni utili per stabilire un sano controllo sulla crescita. Quali sono dunque quei principi di una politica economica che non potranno mai fare crescere la società secondo un modello di equilibrio? Quali le ragioni per le quali si vuole ancora imporre il rigido processo che porta inevitabilmente alla recessione?

La visione neoKeynesiana dell’economia moderna richiama alla determinazione di una politica interventista razionale e quantitativa….Insomma....se per gli economisti classici la disoccupazione viene considerata volontaria e come normale risultato di un insufficiente elasticità dei salari, per Keynes essa deriva da una mancanza effettiva della domanda. Ma poiché la domanda al consumo diminuisce in relazione al reddito, si potrà determinare un aumento dell’occupazione solo con l’aumento degli indispensabili investimenti. Sappiamo  che Keynes concentrò il suo impegno nello studio dell'economia...dalla produzione di beni.. alla domanda ponendo l’attenzione su talune circostanze in cui la stessa domanda aggregata è insufficiente a garantire occupazione. Per Keynes... la necessità è il sostegno pubblico.. senza il quale, vi sarebbe un pesante prezzo da pagare attraverso un aumento  della disoccupazione: Quando la domanda diminuisce, è assai probabile che cali anche la potenzialità di sfruttamento della stessa capacità produttiva. 

Secondo il pensiero del premio Nobel Paul Robin Krugman… l’austerità voluta dai grandi imperi economici ha portato ad un autentico fallimento dei Paesi che l’hanno imposta, ritenendo di poter piegare l'economia alla propria morale. La sua visione teorica si esprime in alcuni modelli commerciali che potrebbero rappresentare validi vantaggi per l’economia dei Paesi, quando non privi di barriere di protezione ben precise: Egli, in proposito, ha specificato l’importanza delle oscillazioni dei tassi di cambio con una forte critica verso le politiche di alcuni governi verso le relative speculazioni di alcuni fondi.
La crisi economica che investe tutto il mondo sembrerebbe generata volutamente da un assurdo sistema che impone alcune regole a protezione dei grandi potentati. Se la ricchezza è mal distribuita, e ciò viene tollerato da tempo attraverso le regole di un impianto edificato attraverso la forza del denaro, questo si deve ad una precisa volontà di alcune influenti lobbyes che la sostengono costantemente continuando a trarne beneficio. Un beneficio dei pochi, i quali dovrebbero anche comprendere che questa corda non potrà esser tirata troppo a lungo.

Il sistema odierno non sembra volersi basare su una economia di equilibrio collettivo, ma sul peso che il denaro può esercitare sul singolo individuo. Ciò ha portato a non individuare il giusto percorso e ad identificare il denaro come un fine e non come il mezzo necessario per la crescita del Welfare. 

In tal senso..è inutile illudersi!...La teoria del libero mercato non potrà più funzionare in rapporto al carico notevole che essa impone ad una società che si vorrebbe più equa!  Se un libero mercato sembra indispensabile per un progresso che voglia basarsi sul merito, sulla qualità e su un essenziale principio di competizione, questi deve per forza far uso di una regolamentazione che renda maggior equilibrio e più stabilità alla società…Non è solo un problema di etica ma anche di sostanza! 

La società si è ormai formata!.. il problema fondamentale, oggi, è quello di saperla equilibrare! Di renderla bilanciata in favore di un benessere collettivo che possa soddisfare le esigenze di tutti senza incidere negativamente sui valori, sui meriti e le capacità. Se questa corda, ormai troppo tesa, si rompe.. anche il beneficio e le ricchezze dei pochi decadranno ed il rischio di una rovina potrà colpire l’intera società nel suo insieme: povertà e ricchezza potrebbero lasciare lo spazio a distruzione, sfiducia e fine di ogni sistema democratico collettivo. 



Coalizioni, stabilità..e inadeguati paragoni


Qualcuno pensa che si possano paragonare le grandi intese operate nel nostro paese con la grande coalizione avvenuta in Germania negli ultimi anni che ..di recente.. ha dato vita al terzo Governo tedesco guidato da Angela Merkel.
L’esempio con il sistema della Germania con i suoi Lander non può mai calzare con quello dell’Italia. L'obiettivo dichiarato del federalismo tedesco è garantire sia l'unità verso l'esterno che il rispetto e il mantenimento delle diversità regionali. I Lander sono stati fondati subito dopo il 45 tenendo in parte conto delle vecchie affinità delle popolazioni e dei confini storici.  Il federalismo non può vivere senza una solidarietà e questo è uno dei motivi per cui il federalismo in Germania funziona piuttosto bene ed è accettato da tutti. Difficile poter mettere in relazione i problemi di una nazione già federata come la Germania con la nostra: Il suo Governo nazionale garantisce l'omogeneizzazione delle condizioni di vita nelle varie parti della Germania. Inoltre il sistema di votazione dei tedeschi ha un carattere prettamente proporzionale attraverso una procedura che prevede due votazioni.. ma non è esattamente considerabile come “bicamerale”. In sostanza la determinazione di una governabilità viene stabilita attraverso un percorso di base diverso che, seppur dissimile dal nostro, non è detto possa essere l’esempio di una perfezione. In Germania vi è di certo una differente cultura della politica e del vivere sociale che riesce a procurare una maggiore stabilità…anche perché la popolazione..nella sua vita tra i Lander, riceve un riscontro di equilibrio ed una comunicazione più diretta con la politica per le soluzioni delle proprie esigenze.
Il problema della nostra Nazione rimane ben diverso e non paragonabile.. in considerazione del fatto che…un’azione diretta dei cittadini con la politica sembra inesistente: Manca la necessaria e fondamentale spinta dal basso, senza la quale non si potrà mai inventare alcuna governabilità…(men che mai stabile!.).

Inconsistenti ed inadatti paragoni..
vincenzo cacopardo

Domenico Cacopardo commenta sullo stato del governo

L’inatteso logoramento di Letta di domenico Cacopardo

Obbedienti al principio che un papa si giudica da papa e non da cardinale, abbiamo dato ampio credito a Enrico Letta e al suo governo. Possedeva l’imprinting di Giorgio Napolitano -garanzia di probità e di efficienza- che, di fatto, aveva scelto i componenti della compagine, anche i più sconosciuti.
Del resto, c’era l’anomalia di un Parlamento senza maggioranza e, quindi, la necessità di una coalizione tra avversari di sempre: destra e sinistra. Una novità, coronata da successo in Germania, inedita da noi.
Letta doveva tessere, con pazienza democristiana eintelligenza politica, una tela efficace, conducendo una navigazione cauta verso le mete annunciate: riforme (legge elettorale, interventi sul bicameralismo, finanziamento della politica) prima di tutto; rilancio del lavoro; tagli non lineari delle uscite; legge di stabilità rassicurante per gli italiani e per l’Unione europea. Capitolo speciale l’abolizione dell’Imu, concessa a Berlusconi e al Pdl.
In qualche modo, i primi mesi sono stati spesi in modo coerente con gli annunci iniziali. È vero, l’unica cosa concreta è stata la sospensione del pagamento della rata estiva dell’Imu, ma sul Paese s’era abbattuta, di nuovo, una questione Berlusconi, condannato e interdetto dai pubblici uffici. Con abilità, soprattutto smorzando, Letta aveva tenuto il governo al riparo dalle tensioni, ed era anzi riuscito a conquistare la totale solidarietà dei ministri del centro-destra capeggiati da Alfano, sino a convincerli ad abbandonare il cavaliere e a costituire il Nuovo CentroDestra.
“Ecco”, si diceva nei circoli ben informati della capitale, “Letta marcia verso la ricostituzione di un grande raggruppamento centrale, una specie di Democrazia Cristiana anni 2000 che isolerà le fazioni estreme e ci restituirà la governabilità perduta.”
Poi, nell’autunno, si sono manifestati i primi cicloni: la legge di stabilità e l’arrivo sul proscenio di Matteo Renzi. Ma ciò che ha compromesso la fiducia sul governo, togliendogli credibilità, è stato il percorso parlamentare della legge fondamentale dello Stato, detta, appunto, di stabilità.
Sono emerse le insufficienze di un ministro dell’economia inadatto a qualsiasi ruolo di governo (era stato già scartato quando fu in ballo per la nomina del governatore della Banca d’Italia)e l’assenza di ogni regia della presidenza del consiglio e di chi aveva la responsabilità dei rapporti con il Parlamento, il ministro Franceschini.
Cercando una spiegazione della pessima performance, siamo riandati al passato: così è tornata all’attenzione l’imbarazzante prova del governo Prodi 2 del 2006-2008. Basta sfogliare i giornali del tempo per avere la rappresentazione di gestione sconsiderata, per molti versi simile all’attuale. E, il regista di quel governo, nella posizione di sottosegretario alla presidenza e segretario del consiglio dei ministri, era proprio Enrico Letta. Un ruolo, efficacemente ricoperto in passato da personalità spiccate come Bisaglia, Compagna (Francesco), Amato, Maccanico.
La conclusione è facile: il premier possiede non comuni capacità politiche, ma cade dal punto di vista della pratica di governo, nella quale non esprime una vera leadership.
Il continuo avanti-indietro su tutti i temi dell’agenda parlamentare dimostra, infatti, l’assenza di una direzione sicura e, in particolare, un’incertezza organica che finisce per compromettere ciò che di buono è stato fatto e che è testimoniato dal crollo dello spread sui titoli di Stato.
Il progetto neodemocristiano è morto e Alfano sarà costretto a tornare sotto l’ala di Berlusconi.
E qui viene in ballo il capo del Pd, cui è passata la palla. Anche se sopravviverà ancora per alcuni mesi (superando il difficile scoglio del rimpasto), il governo ha il destino segnato: andrà avanti sino a quando vorrà Renzi che ne definirà l’agenda. Anche se sembra non accorgersene, Letta è commissariato.

A meno che non tiri fuori dal proprio zainetto il carattere che non ha mai mostrato e affronti la battaglia. Una sorpresa non si può escludere.

13 gen 2014

un commento ad una precisa analisi di Alberto Cacopardo

Qualcosa di Massimo e qualcosa di Silvio dietro il velo: Matteo Renzi all’attacco del cielo.
di alberto cacopardo

Adesso che Renzi è finalmente riuscito nell’impresa, così tenacemente perseguita, di conquistare la guida del più grande partito italiano, tutti sembrano aspettarsi da quest’uomo una svolta finalmente decisiva, qualcosa di radicalmente nuovo.
Ora, non c’è dubbio che per quanto riguarda il Pd e le sue dinamiche interne, Renzi rappresenti davvero qualcosa di nuovo: è riuscito nella durissima impresa di accantonare un nucleo dirigente che certamente meritava di essere messo da parte. Si direbbe che abbia realizzato il sogno di Nanni Moretti a Piazza Navona, quando disse che l’unica speranza era liberarsi una volta per tutte da quei signori. Ma porterà davvero qualcosa di migliore?
Nel gran frastuono che ha accompagnato il cambiamento, sembra quasi che ci si sia dimenticati delle vere ragioni per cui quel nucleo dirigente aveva suscitato un così profondo malcontento nell’elettorato del Pd e del centro-sinistra. L’essenza di quel malcontento dipendeva tutta da questioni di orientamento politico, non certo dall’età anagrafica 
L’idea che in politica o sulla scena pubblica l’età avanzata sia di per sé un difetto è semplicemente ridicola. Basti pensare alla ventata di aria fresca che portò al Quirinale il vecchio Sandro Pertini, o a quella che ha portato in Vaticano il settantasettenne Jorge Mario Bergoglio, o al successo in California del settantacinquenne Jerry Brown, o all’ondata di indignato entusiasmo che suscitò fra i giovani tre anni fa il pamphlet dell’ultranovantenne Stéphan Hessel. E se c’è qualcosa di veramente nuovo (nel bene e nel male) nella politica italiana, questo è Grillo, che non è esattamente un fanciullino.
L’età non c’entra: se quei signori ci disturbavano tanto, era per tutt’altre ragioni. Soprattutto tre. Innanzitutto l’ottenebrata debolezza della loro reazione all’attacco di Silvio Berlusconi, la loro incapacità di comprendere il carattere radicalmente eversivo della sua costruzione politica, quello che uomini di ben altra stoffa, per esempio Norberto Bobbio, avevano così lucidamente interpretato fin dai primi anni Novanta. La pervicace insistenza con cui quei signori hanno dipinto Berlusconi come l’esponente di un normalissimo centro-destra “moderato”, anziché come l’estremista autoritario e facinoroso che era ed è tuttora, è stata forse la più grave delle loro responsabilità. Ma non certo l’unica.
La seconda ragione per cui chi ha occhi per vedere ha sempre diffidato di quella dirigenza è stata la sua supina accettazione di tutti i dogmi del pensiero unico neoliberista in economia. Sotto la loro guida, quello che era il centro-sinistra è diventato, quello sì, un centro-destra moderato, pronto ad accettare tutti i diktat provenienti da Bruxelles o da Washington, tutto quel colossale insieme di provvedimenti che hanno stravolto l’assetto dei sistemi economico-politici d’Europa e di buona parte del mondo, aprendo la strada alla grande recessione di cui soffriamo e soffriremo a lungo i dolorosi effetti. E lo hanno fatto senza avere la capacità di approfittare di questi cambiamenti per liberare il paese dal gravame dei vecchi vizi che lo distinguono dal resto d’Europa, evasione, furbismo, clientelismo e corruzione.
La terza ragione per cui quei signori non ci piacevano era la loro politica estera. Anziché fare dell’Italia quel che vorrebbe la sua vocazione naturale e costituzionale, una grande forza di pace che, ripudiando radicalmente il ricorso alla forza, eserciti la sua influenza per mediare i conflitti, comporre i dissidi e promuovere riconciliazione, ne hanno fatto, soprattutto dal Kossovo in poi, la parodia di una micropotenza militare, sempre pronta a mostrare muscoli inesistenti e ad aggregarsi al carro del presunto vincitore.
Ora, c’è forse da credere che Matteo Renzi, col suo attacco al cielo, possa portare un vero cambiamento su questi tre piani?
Di politica estera si è sempre occupato ben poco, tutto preso com’è sempre stato dai sinuosi giochi interni della scena politica italiana, a livello locale o nazionale. Quello che di sicuro ha capito bene è l’eterna, granitica norma di chiunque voglia accedere al potere in Italia: non bisogna inimicarsi gli americani. E in questo, di sicuro, c’è ben poco di nuovo.
Ma veniamo alla politica economica. C’è da uscire dalla crisi. Cos’ha da dire Renzi in proposito? Ecco cosa ha da dire, cito dal suo sito ufficiale: “Usciremo dalla crisi solo se metteremo finalmente mano alle riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni e che invece stiamo ancora aspettando.” Una frase così dice tutto. Le riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni. Quali? Quelle alla Tony Blair e alla Margaret Thatcher, evidentemente. Perché non so di quali altre riforme strutturali si sia parlato tutto questo tempo. E di quelle, veramente, ne abbiamo avute fin troppe, in Italia e in mezzo mondo. Non solo: sono proprio quelle che hanno causato i formidabili squilibri nella distribuzione della ricchezza che sono all’origine della crisi che stiamo vivendo e di cui il bravo Renzi sembra preoccuparsi ben poco, esattamente come i suoi predecessori. Il suo Jobs Act avrà forse qualche merito, se ce ne vedono persino quei biechi sovversivi di Maurizio Landini e Susanna Camusso, ma certamente, per esempio, non ha il merito di ammettere un fatto molto semplice, riconosciuto ormai da tutti i più avveduti economisti, a partire da Joseph Stiglitz: ciò che sta strangolando le imprese e l’economia del paese è il vuoto di domanda. Il vero problema non è il credito o il costo del lavoro, è che non si riesce a vendere quello che si è capaci di produrre. E questo è dovuto sì alle politiche di austerità, ma è dovuto soprattutto, a questo punto, ai bassi salari e alla concentrazione della ricchezza. Non è soltanto una questione di “cuneo fiscale”. E’ una questione di distribuzione del reddito.  Finché non si riconosce questa elementare verità, non si esce dal solco del pensiero unico, come, in buona sostanza, non ne esce l’intero Jobs Act. Su questo piano, Renzi non si allontana per nulla, almeno per ora, dalle logiche dei suoi predecessori. Ci mette solo, forse, un pizzichino in più di fantasia. Ma di quella era già maestro Silvio Berlusconi, e con quali risultati lo si è visto.
Ma c’è un altro colpo d’ala nel pensiero economico renziano. Basta con l’austerity. Pochi se ne ricordano, ma questo è proprio quello che aveva proclamato a gran voce Mario Monti, subito dopo la sua famosa manovra. E lo aveva detto battendo il pugno sul tavolo in Europa. Adesso Renzi ci aggiunge una preziosa precisazione: si tratta di “superare il tre per cento”, cioè il famoso vincolo di Maastricht al disavanzo in percentuale sul Pil. Proprio quello che il temibile Olli Rehn ci aveva sonoramente intimato di non fare, appena qualche settimana fa.
E’ una mossa ardita, senza dubbio. Non si sa bene come si concili con il concetto che “sacrosanto è lo sforzo alla riduzione del debito”, che si ricava sempre dal suo sito ufficiale. Ma non è questo il punto. Il punto è che una mossa del genere non è solo una sfida aperta alla Germania, ai falchi della Bundesbank e di tutto il nord Europa, al trattato di Maastricht e alla nostra Costituzione appena malauguratamente modificata per impedire simili audacie: è soprattutto una sfida ai potentati dei mercati finanziari. Per poter lanciare una sfida simile bisognerebbe innanzitutto invocare quella profonda riforma del loro assetto che impedisca a quei potentati di dettare legge ai governi nazionali. Ma di questo, nei discorsi di Renzi, neppure l’ombra più vaga. In assenza di questo coraggio, l’audacia di Matteo Renzi in questa materia ricorda soltanto l’avventatezza di Silvio Berlusconi esattamente nello stesso senso. E con quali risultati lo si è visto.
E veniamo al terzo punto. Berlusconi, appunto. L’atteggiamento complessivo di Renzi nei suoi confronti ricalca esattamente quello dei suoi predecessori. Ma forse in peggio, perché non so quale dei signori della vecchia nomenclatura avesse, per esempio, la faccia tosta di intrattenere rapporti così cordiali con un maestro d’inganni e di frodi come Denis Nardini. Matteo Renzi ha di Berlusconi esattamente lo stesso concetto di D’Alema. Non quell’estremista autoritario e obliquamente facinoroso che è ed è sempre stato, ma un degno avversario da “battere politicamente”, con cui va benissimo contrattare e concordare le regole del gioco, oggi la legge elettorale, ieri la riforma della Costituzione. Andare a concordare la legge elettorale con un simile figuro, appena condannato in via definitiva per delitti contro lo stato, cioè contro tutti noi, è veramente un’idea inconcepibile. Ma c’è poco da stupirsene: siamo esattamente nella logica dei suoi predecessori. Infatti, a quanto pare, la cosa non ha destato nessuno scandalo, solo sottili analisi politiche sulle segrete intenzioni dell’ex-rottamatore.
Ma veniamo a concludere. Per quanto detto fin qui, in Renzi non abbiamo trovato proprio nulla di nuovo. L’essenza della sua linea politica non è altro che un travestimento del vecchio pensiero del vecchio centro-sinistra.
Ma qualcosa di nuovo, ovviamente, c’è. Innanzitutto quel carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La capacità di affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’ una qualità tutt’altro che secondaria e superflua. Il problema è a quali fini la si mette a frutto. In più, Renzi ha dimostrato finora un notevole intuito politico. La capacità di cogliere i temi che di volta in volta gli possono portare consenso, di capire da quali parti questo consenso può arrivare. Di cogliere i punti deboli dell’avversario di turno. E così via. Tutte qualità preziose in politica. Il problema è a quali fini si mettono a frutto.
Renzi ha qualcosa di D’Alema e qualcosa di Berlusconi. E qualcosa non ha di tutt’e due. Di D’Alema non ha l’antipatia e il profondo grigiore, di Berlusconi non ha lo sprezzo della legalità e le televisioni. In comune con D’Alema ha la mancanza di una visione del mondo, di un’idea nobile e alta della società che vogliamo costruire. Come D’Alema, non ha una fede e non ha un ideale, ha soprattutto il proposito di esercitare il potere. In comune con Berlusconi, oltre al carisma, ha il proposito di un sistema politico a modello paterno, l’uomo solo al comando. Renzi è tutto per l’elezione diretta di questo e quello (perfino del presidente della commissione europea, un’idea degna di un Grillo). Il capo investito del consenso popolare che esercita il potere nel modo più pieno possibile. Anche questo concetto, peraltro, è tutt’altro che nuovo, risale a Cromwell e a Bonaparte, con tutto quello che c’è stato in mezzo.
A differenza di Berlusconi, tuttavia, Renzi si gioca tutto alle prossime elezioni, quando verranno. Se le perde è finito, è naufragato il suo attacco al cielo.
Ebbene, staremo a vedere. Ci auguriamo che non le perda, perché tutto il resto sarebbe peggio. Ma soprattutto che, se le vince, si dimostri migliore di quel che ci è apparso finora.

Post scriptum. Non si può tacere della gloriosa battaglia sui “costi della politica”, l’emblema del “nuovo” portato da Renzi. Ha già ottenuto, pressappoco, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. E’ una cosa che, insieme alla famosa riduzione degli stipendi dei parlamentari, sta tanto a cuore a tantissimi italiani. I quali però non sembrano rendersi conto che le due cose messe insieme pesano per una frazione irrisoria della nostra spesa pubblica, molto meno di un centesimo. Pesano molto di più le tangenti e gli appalti truccati, che non hanno nulla a che fare col finanziamento pubblico, la cui abolizione, semmai, rischia di farli crescere a dismisura. Come non sembrano rendersi conto, quegli indignati italiani, che l’alternativa al finanziamento pubblico è semplicemente il finanziamento privato, che garantisce un enorme leva ai potentati economici che hanno i mezzi per condizionare i politici. Diciamo che si tratta di una misura per lo meno discutibile. Rientrano nel medesimo filone l’abolizione del senato elettivo e la riduzione del numero dei parlamentari, due cose non irragionevoli, ma che di per sé non garantiscono proprio nulla di radicalmente nuovo, checché ne pensi Napolitano. Quanto all’altra gloriosa battaglia, quella sulla legge elettorale, Renzi ha forse il merito di aver imposto finalmente una conclusione di quell’epopea. Ma c’è da temere che non sia delle migliori. Propone il “sindaco d’Italia” e il suo esatto contrario, il Mattarellum aggiustato, insieme al sistema spagnolo riveduto e peggiorato, il contrario di tutt’e due. L’unica cosa che hanno in comune è che Renzi può vincere con tutti e tre, o almeno così crede lui. Ma questa è un’altra storia, su cui speriamo di ritornare.





Una analisi più che dettagliata che mi vede perfettamente d’accordo col cugino Alberto, il quale.. ancora una volta con puntiglio.. riesce a porre in discussione le problematiche del nostro Paese attraverso una  lucida critica su alcune figure politiche oggi alla ribalta.

Più che giusta la sua osservazione sull’età avanzata.. oggi valutata solo negativamente. Qualora si pensasse che un vero cambiamento dovesse seguire per l’esclusiva via di una freschezza generazionale, si farebbe un grossolano errore e si indicherebbero strade errate. Appropriata anche la visione sui poteri occulti e sui potentati economici che giocano oggi una parte determinante sull’assetto dell’economia mondiale e che hanno sicuramente favorito la strada della grande recessione di cui soffriamo e soffriremo a lungo. Non può inoltre sfuggire il tono indignato con cui Alberto fa riferimento al gravame dei vecchi vizi che  distinguono il nostro Paese dal resto d’Europa: evasione, furbismo, clientelismo e corruzione.
In riferimento al giovane politico Renzi.. non riesco, però, bene a comprendere.. come si concilia e dove può risiedere un intuito politico …quando i risultati, come afferma lo stesso cugino, potranno difficilmente sortire un fine positivo.. insomma ..cosa ce ne facciamo del carisma e della capacità di un uomo politico che si dimostra capace di catturare consenso.. quando, questo, può servire solo a trascinare emotivamente gli animi..Anzi si potrebbe anche andare verso un peggioramento della difficile situazione.. se si gioca ad ingannare chi è ormai stanco di essere preso in giro. ..Sappiamo bene quanta  gente vi sia nel nostro Paese, priva di una conoscenza specifica sui temi sociali e gli argomenti della politica, che continua a votare per immagine..facendosi ammaliare dalle capacità dialettiche e di comunicazione dei tanti che, avendola studiana nel senso più deleterio, continuano a vendere fumo!
Dice bene Alberto quando definisce quello di Renzi come un attacco al cielo..aggiungo io: un innalzarsi verso l’onnipotenza con la forza di una ambizione che sembra toccarsi con mano.. dimostrata dal suo modo, spesso incoerente, di muoversi nelle diverse direzioni. Promuovendosi in un dialogo con tutte le forze politiche, ma non assumendo posizioni precise e determinate…Rimanendo spesso nel vago!
Per quanto concerne il suo Post scriptum.. non posso non sottacere la stupida retorica con la quale oggi la politica vorrebbe cancellare di colpo un finanziamento pubblico ai Partiti, senza prima proporre un piano di riforma di questi contenitori di consensi, riflettendo con maggior equilibrio su una ricerca appropriata che possa regolamentare tali finanziamenti... oltre a diminuirli. Diversa e più giusta sarebbe una veloce e fattibile riforma concernente la riduzione dell’onorario reso ai parlamentari.

Ringrazio comunque Alberto per avermi dato la possibilità di poter dialogare attraverso un suo post che arricchisce di più la bacheca del mio Forum. 
vincenzo cacopardo  

12 gen 2014

Logiche, compromessi e convenienze...

  

di vincenzo cacopardo

Il tema della "legalità" mi sollecita ad una riflessione profonda, dato che... dandosi per scontato che ne esiste un pricipio.. non è detto che non vi possano essere casi in cui riesce veramente difficile tenerne conto, quando si soggiace a condizioni di difficile interpretazione. Vi sono ragioni per cui, oggi, un cittadino onesto che volesse proporsi in politica, in un tale sistema, riuscirebbe con estrema difficoltà a venirne fuori pulito.

"Prendiamo ad esempio un professionista affermato competente in diritto, laureato con pieni voti, moralmente integro, una cattedra universitaria ed un particolare curriculum ottenuto grazie ad una serie di esperienze anche nel campo privato. Mario Bianchi…una figura di poco più di 40 anni è molto conosciuto ed apprezzato nella sua città e sembra adatto a poter rappresentare la comunità al Parlamento Nazionale. 

La  carriera di avvocato procede a gonfie vele …ma la curiosità e l’ambizione sono tali.. da non poter rinunziare ad un’offerta pervenutagli da un Partito (Poco importa la sua visione ideologica quando questa viene chiaramente offuscata da un particolare desiderio di affermazione)…Ancora meno importa chi frequenta il suddetto Partito.. quando, le necessità che  si propone, se pur pletoriche, sono quelle di portare avanti lavoro e benessere per la società civile ed un successo per lui stesso.

In sostanza Mario Bianchi è una persona per bene, attratto dall’impegno sociale, ma che poco conosce del mondo della politica. Tutto fa.. quindi… presagire che tale personaggio potrà offrire trasparenza, un utile servizio ai cittadini ed al Partito che, non a caso, lo ha proposto per rinforzare la propria  immagine.
L’ingegner Rossi, anche lui ben conosciuto ed apprezzato, per via della sua impresa che distribuisce lavoro ad una buona parte della comunità, è persino insignito del titolo onorifico di Cavaliere del lavoro ma, per via della odierna crisi..non naviga in buone acque. 
Nel tempo.. si scopre che Bianchi ha ottenuto un bel po’ di voti grazie all’intervento dell’ingegner Rossi, in cambio di piccoli favori di ordine burocratico. Favori richiesti al momento della campagna elettorale da chi… avendo una grossa impresa ed una posizione di favore in seno alla società, si preoccupa in tutti i modi risolvere i necessari problemi aziendali e di non creare disoccupazione. 
Le preferenze attribuite per volere del Rossi, vedranno il personaggio politico Bianchi, legato ad una sorta di restituzione di favori..tanto piccoli ed innocui.. da figurare all’occhio della gente.. come normali atti a vantaggio di una impresa che crescendo… porta avanti un sostanziale sviluppo nella piccola comunità.
Passati i consueti anni della legislatura…a nuove elezioni, la stessa personalità politica, sempre più favorita dalla forza del consenso di chi lo ha agevolato…con un’ulteriore campagna elettorale, sale in una posizione governativa nella qualità di sottosegretario.
In realtà …al di là dei primi piccoli favori richiesti per far sì che l’impresa del sign Rossi potesse non avere intralci burocratici nell’attività… si è già instaurato un legame tale…da mettere… il portatore dei consensi, nella posizione di voler pretendere sempre di più da parte di chi ha potuto aiutare attraverso i voti assicurandogli un posto governativo. In più, l’ingegner Rossi potrebbe anche essere vessato da qualche richiesta di “pizzo” da parte della malavita locale. 
Ma adesso che l’On. Mario Bianchi è in una posizione amministrativa e quindi, si avvale di un forte potere governativo, l’ingegner Rossi, cerca di trarre maggior  vantaggio.. spingendo la personalità politica fino ad un suo intervento per la determinazione di una grossa commessa pubblica.
Si è ormai saldata..quasi naturalmente..un’unione che tende a sostenersi attraverso l’illegalità..così forte…da compromettere l’attività politica dell’On Bianchi, il quale non volendo sottostare, decide di venirne fuori dando le proprie dimissioni e dimettendosi dal suo incarico governativo. Ma non è detto che gli venga consentito dall’ingegner Rossi, il quale potrebbe anche ricattarlo per i piccoli ileeciti commessi precedentemente, diffidandolo dall’esonerarsi... Atti che, costruiti e gonfiati ad arte, potrebbero definitivamente, coinvolgere il politico in uno scandalo rinviandolo a giudizio…….. Ogni difesa, in una simile posizione, non può che essere vista da qualunque magistrato contro il politico coinvolto ed ha favore di un’impresa che distribuisce lavoro a tante famiglie."

Questo esempio dovrebbe far pensare quanto sia importante poter dividere i ruoli e le carriere politiche tanto da non permettere a chi opera per una politica di ricerca dei programmi e delle normative (ossia di appartenenza ai Partiti) di non doversi compromettere con il ruolo governativo ( o amministrativo)
Se l’On Bianchi  non potesse assumere, per tutti gli anni del suo mandato, alcuna carica governativa, non potrebbe nemmeno rendere alcun favore in termini di azione concreta amministrativa/esecutiva a vantaggio dell’ingegner Rossi, poiché potrà occuparsi, all'interno del suo Partito, solo di politica di base per il programma e di ricerca per le soluzioni, senza alcuna possibilità di assumere potere esecutivo; Se, quindi, l’ingegner Rossi vorrà esprimere un consenso…potrà farlo solo e soltanto perché convinto della politica di idee programmatiche esposta dal Partito di Bianchi. Al contrario, ogni componente dell’Organo governativo…non dovrebbe avere alcun legame con i Partiti ed il programma voluto dai cittadini (con le conseguenti normative)… ma dovrà essere eletto separatamente per capacità  e  meriti sostenuti nel relativo curriculum.  

   
Oggi, nel nostro Paese, il sistema parte dal basso verso l’alto, ritorna in basso filtrando tra due Camere per pura ratificazione e senza un vero funzionamento democratico escludendo ogni vero diritto di partecipazione del cittadino sul reale programma. Un domani potrebbe partire dal basso ed arrivare in alto in due diverse fasi elettorali ( legislativa di ricerca - amministrativa di governo). Un esecutivo potrà amministrare in modo pratico, fattivo e funzionale mentre un’altra azione costruttiva potrà salire  verso l’alto in modo dinamico con un indirizzo politico di merito spinto dalle continue proposte dei legislatori in contatto con le "officine di ricerca dei Partiti" in dialogo con i cittadini. 
Potrà essere la vera politica a guidare il Governo attraverso una decisa spinta costruttiva. Uno studio potrebbe vestire la struttura già esistente delle due Camere, ma apparire demagogico se non legato ad un vero cambiamento di alcune parti del testo della Costituzione. Fondamentale resta comunque il dato che nessuna personalità possa mai rivestire simultaneamente i diversi ruoli politici (parlamentari e/o amministrativi.)

Più che uno studio vorrebbe essere una ricerca sulla quale impostare un percorso. Una strada che vorrebbe costruirsi attraverso l’uso di appositi “piani programma” per la definizione di un percorso che possa rendere più stabilità al Governo senza intaccare la guida Parlamentare sulla quale si fonda il principio della nostra Repubblica. Uno studio per la ricerca di una politica funzionale per ruoli e (forse) anche per carriere. Si tenderebbe.. così.. a superare il vecchio imbarazzante percorso ideologico destra-sinistra che impedisce a priori un fattivo processo di costruzione del programma, il quale, al contrario, dovrà essere concordato prima con i cittadini. 

Ma nulla potrà’ essere definito se non in dialogo e con la partecipazione di chi aspira associarsi ad un principio di vera innovazione del sistema istituzionale. Sembra quindi ovvio ed opportuno chiarire che qualunque cambiamento non potrebbe sortire alcun successo se non studiato nel dettaglio ed operato con un percorso che possa individuare precise fasi di necessità ma anche chiari e possibili piani di fattibilità. 


11 gen 2014

"Velardi e Renzi"..una nota sull'articolo di Domenico Cacopardo

Perché Velardi difende Renzi
di domenico Cacopardo

Quel che resta della sinistra-sinistra di governo si divide su Matteo Renzi. Da un lato Antonio Polito, critico, dall’altro Claudio Velardi favorevole.
Velardi considera premature le critiche di Polito, visto che dal successo del sindaco di Firenze nelle primarie è passato appena un mese. Già, dopo questi pochi giorni, per l’editorialista del Corriere, l’ex concorrente alla Ruota della fortuna è affetto da ‘sindrome di iperattivismo’, da ‘sventatezza’ e dalla capacità di ‘fare … ammuina.’ E, poi, quanto cattivo gusto in quel ‘Renzi’ nella stanza in cui si riunisce, a Firenze, la segreteria del Pd, unitamente all’infelice ‘L’Italia cambia verso’! Quanta protervia in quelle scatole Eataly del fortunato imprenditore Farinetti, un suo amico!
Velardi si chiede perché non aspettare, prima di un giudizio definitivo, visto che abbiamo ‘regalato decenni di attese e di speranze a Prodi e D’Alema, Veltroni e Letta, Rutelli e Amato’. In realtà, i politici che hanno fruito di indulgenti attese, sono due: Prodi e Amato. Il primo beneficato dal compromessino storico tra exPci ed exDc di Base. Il secondo, immeritatamente estratto dall’oblio politico al quale era destinato, in mancanza di un ex comunista col coraggio di assumersi la responsabilità di succedere a D’Alema. Veltroni aveva avviato il rinnovamento reale dello schieramento riformista (la ‘vocazione maggioritaria’) azzoppandolo con l’errata alleanza con Di Pietro. Di D’Alema non parlo per affetto e stima personali.
Velardi va poi al merito: Polito vorrebbe trovare in Renzi le doti dei grandi politici conosciuti quando aveva i pantaloni corti. Quindi, uomini, di cui si potevano prendere le misure con l’armamentario culturale di cui le nostre generazioni disponevano.
L’argomento non è affatto convincente. Renzi non conosce la storia, gli uomini che colloca nel suo personale Pantheon, da La Pira e Prodi, non hanno nulla da dire nella modernità, rappresentando quel solidarismo integralista cattolico che ha prodotto molti più danni di quelli causati dai partiti ideologici (Pci e Psi).  E non conosce le questioni su cui è naufragata la Prima repubblica a cominciare dal mancato, definitivo incontro tra socialisti e comunisti, sino alla questione morale. Rimane ancorato alla superficie delle cose, attribuendo, per esempio, valore assoluto, per la governabilità, alla legge elettorale, quando abbiamo visto miseramente fallire il sistema maggioritario, divorato dall’inestinguibile frazionismo nazionale. E, rivendicando l’abolizione del finanziamento pubblico, apre la strada a un opaco ‘soccorso’ privato.Anche il parlare del superamento del 3% è rischioso: non ha nessuna possibilità di passare in Europa e rischia di mettere in apprensione i detentori di titoli italiani mandando a puttana il sistema bancario.
Secondo Velardi, veniamo da un tempo in cui il contenuto politico era scollegato dalla comunicazione e in cui tattica e strategia erano quelle che si imparavano nel Transatlantico. Roba morta e sepolta. E anche qui c’è da ridire: ciò che non morirà mai è la forza della ragione. Saper comunicare non comporta capacità di governo.
Il secondo appunto velardiano riguarda una specie di rivolta dell’establishment politico-giornalistico-imprenditoriale nei confronti del giovane innovatore fiorentino. Un blocco mentale nato dal timore che il suo esempio si estenda a macchia d’olio rottamando tante lucrose posizioni sociali e professionali.
Ebbene, Matteo Renzi è un giovanotto dalla furbizia eccessiva, che sa evitare i trabocchetti delle domande precise, saltando dal metodo al contenuto. Per ora chiacchiere e poco più.
Perché dunque il sì di Velardi? Perché è portatore sano di un virus: la convinzione che un uomo della sinistra democratica non vincerà mai le elezioni. Perciò, l’affidarsi al simil Berlusconi di mezza-sinistra è l’unica strada per conquistare il potere.
Ps: se Renzi continua a destabilizzare il governo, non avrà lo scalpo di Letta, ma quello di Napolitano.



Rimanere in superficie.. sembra proprio essere il pane di Renzi!.. Ed a proposito di pane…Velardi non può che vedere in Renzi una figura vincente..poichè insegnando lobbying e comunicazione politica presso la Luiss, riuscirà sempre ad entusiasmarsi nella forza comunicativa del giovane politico, non riuscendo a vedere oltre… Il problema è proprio questo!.. ed il punto centrale viene colto perfettamente da Domenico, quando scrive che saper comunicare non comporta capacità di governo!
Al di là dell’usuale illogico modo di informare, ogni forma di comunicazione politica di chi non è ancora posto in un ruolo governativo..dovrebbe trovare il suo segmento nelle fondamentali ragioni.. per andarsi a posizionare nella ricerca delle soluzioni, perché...chi comunica per ricercare e costruire, non dovrebbe mai esprimersi similmente a chi opera per amministrare. Ora..se anche fossero ottime queste capacità comunicative di Renzi ...dovranno ben presto riscontrarsi con chi si aspetta, con un certo ottimismo, una adeguata conseguenza nei fatti.
vincenzo cacopardo

10 gen 2014

Un commento al puntuale appunto di Domenico Cacopardo

L’Italia deve essere desovietizzata
di domenico Cacopardo 

Sembra che in Italia un destino segnato porti al fallimento politici e proposte, leggi e riforme. E questa specie di dannazione torna davanti agli occhi nel momento in cui il Pd cambia passo e affida le proprie sorti a un trentanovenne, senza esperienze diverse da presidente della provincia e da sindaco. Anche se i suoi esordi non sono entusiasmanti, non vogliamo parlare di lui. Vogliamo occuparci delle contraddizioni che la politica nuova e vecchia ignora.
C’è un dato di fatto che dovrebbe fare riflettere: dopo l’ondata di allontanamenti di imprenditori del periodo Brigate rosse/ rapimenti, un’altra ondata s’è verificata negli ultimi quindici anni. Capire il perché sarebbe utile, mentre si discute di riforma del mercato del lavoro e si annuncia un job act dai contenuti ancora generici.  E occorre comprendere perché non si investe più nel nostro Paese. Se un’azienda deve assumere si trova davanti a 11 diverse opzioni di contratto. Ognuna con le sue controindicazioni per costi e conseguenze giudiziarie. Quanto pesano poi gli orientamenti politici di gran parte dei magistrati del lavoro nello spingere gli imprenditori italiani ad andarsene all’estero? È facile dipingerli come ‘nemici della patria’, mentre sarebbe più esatto definirli –come i giovani ricercatori che raggiungono gli Stati Uniti o la Gran Bretagna- cacciatori di opportunità. In Italia prosperano burocrazie e leggi punitive, tassazioni esagerate, servizi insufficienti, inquisizione fiscale e sindacati reazionari. Insomma, è l’ultimo stato sovietico in un mondo desovietizzato. E ci chiediamo perché non si investe più?
C’è una constatazione che, in Italia, viene rifiutata: il capitalismo, nonostante i non lievi difetti, ha vinto. Nel mondo, Cina compresa. L’Europa ha una costituzione economica capitalistica. Il paese capitalista per definizione, gli Stati Uniti, viaggia al ritmo di sviluppo di oltre il 4%. Il numero degli occupati cresce nel mercato del lavoro più libero che ci sia. Il segreto è che è il lavoratore che non accetta i vincoli di una stabilizzazione. Insomma, il precariato è la norma. Una norma non sconvolgente, visto che il legame tra lavoratore e impresa è il frutto della capacità e dell’impegno professionale del prestatore d’opera. In natura, non c’è imprenditore che voglia privarsi dei suoi migliori lavoratori.
Allora, diciamolo senza paura: i contratti a tempo indeterminato spingono verso il mantenimento dell’inefficienza,  della competitività, della disoccupazione.
Vogliamo invertire la rotta? Liberalizziamo i contratti e consentiamo all’impresa e al lavoratore di scegliere la formula più conveniente.
La verità taciuta, però, è che il mancato riconoscimento della vittoria globale del capitalismo genera permanenti sacche di odio sociale, di ribellismo suicida e soprattutto l’immobilismo. In un sistema nel quale prosperano privilegi ingiustificati, poteri non legittimati, cordate improprie, spesso, criminali.
L’inerzia ha impedito che le dure riforme cui si sono sottoposti i tedeschi, governati dalla socialdemocrazia, qui siano state rifiutate. Un segretario della Cgil (Cofferati)nel 1998 impedì al governo di procedere auna incisiva riforma del mercato del lavoro e delle pensioni. Per il mercato del lavoro siamo ancora a quel punto.
C’è, oggi dunque, una ragione per non revocare il credito conquistato a parole da Matteo Renzi e aspettare qualche mese: capiremo allora se, dietro le parole, c’è qualcosa di percorribile e utile o se, ancora una volta, abbiamo a che fare con un personaggio “tutto chiacchiere e distintivo” (Robert de Niro, Gli intoccabili



Al di là della divertente comparazione col personaggio impersonato da Robert de Niro, vorrei porre una piccola nota sui termini usati dal giovane sindaco di Firenze che..ostentando quel tipico esterofilismo di taglio superiore..finisce anche con l’apparire di difficile interpretazione all’occhio del semplice cittadino, rischiando di farsi capire sempre meno.
Il termine Job(s) Act sembrerebbe, infatti.. essere un anglicismo il cui esatto significato non è del tutto chiaro, neppure per chi conosce bene l’inglese, addirittura non si capisce neanche come vada scritto. Vengono usate varie combinazioni di minuscole e maiuscole e job appare sia al singolare che al plurale. Le incongruenze sono palesi, non solo nei media… ma anche nel sito dello stesso Renzi. Vi si trovano solo riferimenti generici come piano, strumentodocumento.
Ma andando oltre, pur condividendo..come sempre …le considerazioni del cugino Domenico, rimango dubbioso sul tema del capitalismo… e non certo in contrapposizione ad un modello sovietico, ma perché anche il capitalismo, se non condotto con l’estremo equilibrio di una democrazia compiuta rischia..di non riscontrarsi con quel principio di equità fondamentale per ogni società civile...Oggi questo sembra essere dimostrato!
Certo …non credo possano esistere modelli migliori e più funzionali per una economia che possa offrire crescita e sviluppo, ma se tale modello non viene oggi supportato da regole e riforme che possano accompagnare un sistema di democrazia efficiente, il risultato sarà sempre quello della vittoria delle lobby e dei gruppi influenti: Il legame con la democrazia rimane un punto fermo!.. ed un capitalismo moderno, attraverso regole più precise, dovrebbe trovare.. un funzionale equilibrio..tra la forza dei capitali  umani..e la potenza delle risorse finanziarie…Un tema comunque complesso ed impegnativo che non si può affrontare in questa ristretta sede con dei semplici post..
vincenzo cacopardo


Un breve commento su"la sostanza e il metodo" di Domenico Cacopardo

La sostanza e il metodo di domenico Cacopardo

C’è del genio nel modo di porgersi e di polemizzare di Matteo Renzi. Quando gli si pongono domande di sostanza, risponde con questioni di metodo e viceversa. Questa tecnica è emersa in modo incontestabile nella sua pessima prestazione di fronte a Lilli Gruber, che non s’è accodata al coro osannante e l’ha incalzato a dovere.
Si chiede a Renzi con chi può definire la legge elettorale, lui risponde che il problema non è ‘con chi’ ma quale legge fare (dimenticando che nemmeno lui sa quale visto che ha proposto tre soluzioni senza, peraltro considerare l’imminenza delle motivazioni della Corte costituzionale).
Il gioco si ripete in ogni occasione. «L’art. 18? Non ci interessa, quello che vogliamo è un Job act che rimetta in moto l’occupazione e rilanci il Made in Italy.» Di una politica (realistica) che favorisca gli investimenti (degli imprenditori privati) non si parla.
Il superamento del 3%? «È necessario, ma dobbiamo concordarlo con l’Europa dopo che avremo una nuova legge elettorale, l’abolizione delle provincie e del Senato, il taglio dei costi della politica per 1 miliardo di euro.»
Il metodo di Renzi è dunque chiaro: non scoprire le carte finché non entrerà –al più presto- dal portone principale di palazzo Chigi, dopo avere giurato come premier. E, in un certo senso, fa bene lui, il nuovo che avanza, l’Italia che “Cambia verso”, a rimanere nel vago, nel tentare di intortare i giornalisti compiacenti cambiando di continuo la prospettiva. È il modo furbesco, insegnato a tutti dal maestro Berlusconi, per minimizzare i dissensi e conquistare la direzione del Paese. Il governare è un’altra cosa.
L’evidenza viene negata. Le mancate riforme sono colpa di chi c’era prima e di chi c’è adesso. Ora, arrivati Renzi e i renziani, la musica cambierà.
Tuttavia, se esaminiamo l’ingovernabilità italiana, dobbiamo riconoscere che dal 1946 al 1992 essa è stata assicurata, nonostante il sistema elettorale proporzionale. Ci sono state fasi convulse e difficili, ma le coalizioni di governo hanno retto nella lotta al terrorismo e alla mafia, nelle politiche di sviluppo, arrestatesi, però, nel periodo del compromesso storico, sull’altare del consenso sociale ottenuto col deficit spending. Nell’1988, le agenzie di rating dettero all’Italia la tripla A. Un miraggio, ai nosti giorni. Da quando, con il Mattarellum, è stato introdotto un sistema prevalentemente maggioritario (di recente dichiarato incostituzionale), accentuato poi con il Porcellum, non c’è stata governabilità e abbiamo visto le coalizioni vincitrici dividersi e combattersi ferocemente. L’unico governo di legislatura è stato il Berlusconi 2 (2001-2006): il suo risultato principale è stato una riforma costituzionale (con contenuti ora tornati in gran parte di moda) bocciata da un referendum popolare promosso dal Pd.
Insomma la governabilità non va cercata nella legge elettorale. Va cercata altrove: nella capacità dei leader di costruire alleanze fondate sulla trasparenza e su programmi chiari. Cambiando, cioè, lo stile del lavoro politico.
E per questo semplice motivo che è meglio aspettare qualche settimana o mese, per vedere se qualcosa di serio accade o se dovremo considerare le parole di Renzi quello che sono: parole.




Possiamo anche domandarci cosa ce ne facciamo di questa furbizia avendola già vista in opera in questi ultimi anni con i pessimi risultati che si possono constatare!..Quanto poi alla genialità...credo si debbano anche avere le doti ed un grande equilibrio per renderla utile!..Renzi dimostra ogni giorno il metodo con cui si deve acquisire un consenso…ma oggi… un consenso..  può essere utile se si hanno anche intuizioni sulle possibilità di ciò che si deve mettere in atto in modo funzionale. 
Conquistare la direzione del Paese non è un gioco a chi è più furbo!.. e dice bene Domenico quando afferma, come io ho sempre asserito nei miei post…che la governabilità va ricercata altrove. Ma io aggiungo che.. oltre ad essere ricercata altrove.. deve essere sostenuta con forza dal basso. Se questa conquista si riduce ad un effimero gioco di potere per assurgere ad una posizione di comando senza poi averne le capacità, vedremo sempre governi brevi e debolissimi…
La politica non è un gioco...e l’ambizione, in questo campo... sembra divorare tutti! 
vincenzo cacopardo

9 gen 2014

La nevrosi del Governo dei dietrofront...

Un’altra marcia indietro del Governo…sintomo evidente di una governabilità nevrotica ed instabile che sembra impantanarsi senza sosta. Il Governo è passato dal decreto salva Roma.. all’Imu..e subito dopo ai problemi della scuola operando retromarce improvvise… non aderenti ad un percorso di operatività che si vorrebbe funzionale, soprattutto.. nella logica di una situazione come quella attuale che desta serie preoccupazioni.
Sembra addirittura che il ministro Carrozza non fosse a conoscenza dei prelievi per fare cassa operati a danno degli insegnanti e che il Premier.. successivamente..ha opportunamente bocciato…sebbene in modo tardivo. Ed è veramente sorprendente più che il fatto in sé, la mancanza di comunicazione e la solerte confusione che sembra evidenziarsi nell’insieme governativo. Si aspettano ancora le decisioni sulle aliquote della Tasi in attesa che il ministro “tecnico” dell’economia Saccomanni…ci fornisca le sue idee in proposito...Tra emendamenti e decreti che escono ed entrano..non si può escludere più nulla!
Al di là delle comiche su un decreto Salva Roma, ritirato nel momento in cui lo si stava votando.. per via dei tanti personali interessi di Partito dei vari onorevoli, quello che non si riesce ancora a comprendere sono le tante virate improvvise che questa barca governativa opera di continuo..ostentando..al contrario e con estrema dicotomia un continuo  elogio per il lavoro svolto dai suoi ministri. Una attività governativa nevrotica e che si propone per un solo fine di stabilità!  Questo Governo continua a fare diversi dietrofront.. e lo ha fatto anche quando ha promesso ed infuso speranze alle forze lavorative ed alle imprese… ad esempio sul  taglio del cuneo e gli acconti sull’Ires ed Irap che sono risultati sempre più irrisori e non utili per una vera crescita.
Palazzo Chigi sembra annunciare e smentire sonoramente con troppa naturalezza e pessima  comunicazione politica! L’azione governativa è logicamente, sebbene non in modo opportuno, condizionata dai cambiamenti avvenuti in questi ultimi tempi in seno ai Partiti della strana coalizione. Le sofferenze in seno al PD si evidenziano da quando Matteo Renzi si è seduto nella poltrona di segretario..come dall’altro lato si determinano dal disordine avvenuto dopo lo spaccamento del Popolo della Libertà. Si profilano adesso ulteriori motivi per litigare!.... sulle unioni civili e tutti quei temi sociali come l’immigrazione..che non potranno prescindere dalle ideologie e dal pensiero (non pensiero) dei singoli Partiti.
Il Governo non potrà che vedere aumentare la sua nevrosi..motivo in più per individuare la ricerca più appropriata per una naturale..  e più che giustificata.. separazione dei ruoli.

vincenzo cacopardo