(chiedo scusa ai miei lettori, ma ho avuto strani inserimenti all'interno del blog che hanno stravolto il contenuto dei miei post. Reimposto la nota ed il commento della scorsa settimana)
di domenico Cacopardo
Ieri, sul suo giornale.. il direttore Magnaschi ha scritto un editoriale che è il manifesto di un razionale approccio verso la novità costituita da Renzi e dal suo governo.
Soprattutto, rifiuto dei pregiudizi generazionali, professionali e politici. E questo, al di là d’ogni polemica del presente e del passato, è corretto e deontologicamente doveroso.
Partiamo brevemente dal passato. Sappiamo tutti che il complesso dei problemi, delle difficoltà, delle ruberie di cui soffre l’Italia viene da lontano. E che ventidue anni di seconda Repubblica li hanno sistematicamente aggravati. Anche durante i governi di Mario Monti, largamente incapace di incidere su qualcosa di diverso che fossero i pensionati (le solite pecore da tosare), e di Enrico Letta, troppo timido rispetto all’Europa e ai potentati interni.
E non ignoriamo le questioni fondamentali che si annidano nel sistema burocratico. Pensiamo al prestigioso ministero del Tesoro (ora dell’Economia), invaso da esterni dai curricula più o meno prestigiosi, e, a proposito della Ragioneria generale, all’ultimo vero capo della stessa, il diciassettesimo, capace di governarla e di mantenere un rapporto costruttivo con le autorità politiche, che risponde al nome di Andrea Monorchio, sostituito nel 2002.
Una delle fondamentali cause del disastro amministrativo è la riforma proposta e realizzata da Franco Bassanini. Sulla base di una illusoria terzietà dei massimi dirigenti, è stato immaginato un sistema che, allo stipendio base, aggiungesse una indennità di funzione, capace di portare i massimi livelli non lontano dal milione di euro annuali, per il numero di anni (tre o cinque) di incarico apicale. Ovviamente, caduto il governo Amato nel 2001, la gran parte dei burocrati di vertice si è precipitata da Gianni Letta (cardinale officiante i riti di nomina) protestando contro la protervia del centro-sinistra (che li aveva nominati) e giurando fedeltà al rientrato Silvio Berlusconi. C’era una fondamentale ragione perché queste persone si inginocchiassero al vincitore: una munifica insperata retribuzione annua che doveva essere salvaguardata a qualsiasi prezzo. Alla fine, modificate le norme Bassanini da Frattini, tutti i dirigenti apicali, tranne tre o quattro, vennero confermati, e la vita continuò, per loro, allegramente come prima.
La riprova che la questione sia proprio lì, nell’organizzazione dello Stato, si trova nella pratica impossibilità di attuare efficacemente qualsiasi politica di governo: dalla tutela della pubblica incolumità negli stadi, alla lotta alle contraffazioni e al commercio illegale (ricordo il caso di Ponte Sant’Angelo a Roma), dalle opere pubbliche (le recente Brebemi si è potuta realizzare perché è stata trattata come opera privata affidata a Banca Intesa) all’Expo, dall’Alta velocità al Mose, tutto si muove in modo esterno allo Stato e alle sue strutture, con le illegalità che un Paese abituato alle malversazioni come il nostro conosce bene.
Sia quindi benvenuto un cambiamento radicale, generazionale, professionale e politico. Ricorda da vicino l’ingresso nelle stanze dei bottoni (senza bottoni) della nuova generazione socialista, nel 1980, governo Cossiga 2, Dc-Psi, e lo sgomento con cui veniva guardata dai vecchi della politica e dei ministeri.
Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato.
E occorre altresì che i media nazionali non abbassino mai la guardia di una critica non pregiudiziale, rivolta a valorizzare le novità positive e a condannare tutto ciò che è inutile o sbagliato.
C’è una constatazione da ribadire: non c’è un dopo-Renzi. Il premier deve andare avanti sino a concludere il processo di riforma costituzionale (criticabile ma ineludibile) e le altre riforme, prima fra tutte la nuova legge elettorale.
Le osservazioni non sono questione di gufi e rosiconi.
Chi scrive con onestà intellettuale è un alleato del governo, soprattutto quando ne rileva manchevolezze ed errori.
Questo commento di Domenico Cacopardo può essere condivisibile o no, per me lo rimane solo in parte... poiché, pur affrontando generiche problematiche di rinnovamento... finisce col definire solo in parte l'annoso problema del cattivo funzionamento della politica. Per dirla in termini sportivi (anche se non è mai stata mia abitudine osare simili accostamenti)... un vero cambiamento non potrà mai definirsi in modo funzionale concentrandosi essenzialmente sulla sostituzione delle figure politiche, poichè occorre ridefinire il ripristino del campo nel quale si gioca la partita.
La differenza tra chi come Domenico Cacopardo ha vissuto all'interno dei gangli dell'amministrazione Statale (quindi in un certo qual modo.. anche integrato)..e coloro che ne hanno partecipato solo fruendone degli scarsi servizi... rimane difficile da mettere a confronto. Il punto di vista risulta essere sostanzialmente diverso e porta a pensare come, per molti cittadini, ogni ricerca di vero cambiamento non potrà mai restare compiuta senza partire da una vera ristrutturazione dello stesso edificio all'interno del quale la stessa politica si muove e lavora.
Ora.. il consigliere Cacopardo scrive: “Per evitare che tutto sia, alla fine, omologato, e che il rinnovamento rimanga allo stadio verbale, occorre una forte volontà di rifiutare il passato, non tutto il passato, ma quello vizioso che tanti danni ha procurato”.Ciò non può che essere condivisibile, tranne il fatto che non potrà solo rifiutarsi solo un passato di figure politiche poco innovative in favore di figure nuove... senza cambiare l'impalcato di un edificio la cui struttura istituzionale non riesca a rinnovarsi anche in termini di funzionamento. Qualunque bravo ed onesto politico, se impantanato nel vecchio giro anomalo di un sistema poco efficiente, rimarrà sempre costretto nel giro di compromessi e dei conseguenti risultati tutt'oggi presenti.
Ma anche cambiare la struttura di questo edificio non resta semplice e non dovrebbe mai affrontarsi con premure e tattiche decisioniste che devastano la validità degli stessi principi (come recentemente operato dal sindaco d'Italia). Quindi rifiutare il passato.. non può mai esimerci dallo spingerci verso la ricerca un reale funzionamento del sistema.... non cambiando il quale, ogni più semplice ricambio di figure, potrebbe risultare inutile.
Ritengo che un cambiamento debba affrontarsi con ordine ed equilibrio... rinnovando certamente le figure, ma non dimenticando che queste devono muoversi in un ambito nuovo che deve avere come fine necessario l'utilità di tutto il complesso istituzionale attraverso il metodo del funzionamento.
vincenzo cacopardo