3 giu 2015

una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Sembrano esservi strane dissonanze su quanto esprime Domenico quando affronta il problema del governo, delle riforme.. e dello stato attuale del nostro Paese. In riferimento a quelle “minoranze che non si piegano ad una maggioranza che si è continuamente imposta nei delicati temi della politica sociale”, Domenico, come altri lettori pragmatici in direzione di una politica più cinica che funzionale, insiste sull'importanza di doverli prontamente rimuovere: Una considerazione che... seppur legittima, finisce col non entrare mai in una più precisa visione contestuale di merito...ossia non entra in profondità sulla sostanza di alcune scelte che devono per evidenza essere discusse in termini più appropriati. 

Nel contempo il consigliere ci scrive di una “mitologia del passato che impedisce interventi di riforma parlando anche di un ricambio generazionale del personale politico”... e cioè dell'insistenza di dover proseguire nella strada di quella rottamazione di cui tanto il premier ha romanzato. Ma anche in questo percorso.. Renzi, giorno per giorno, pare manifestare consuete incoerenze.

Per Domenico Cacopardo il capitano (Renzi) sembra essere l'unico capace di portare avanti un percorso riformatore, seppur non coadiuvato altrettanto bene dalla sua squadra di governo. Malgrado le mie enormi perplessità sulla figura fin troppo avventata e semplicista del nostro capo di governo, non posso che trovarmi d'accordo, ma quello che dovrebbe far riflettere Domenico.. è proprio il fatto che sia stato lo stesso sindaco d'Italia ad aver scelto i suoi collaboratori.

Riguardo alla mite figura del Presidente Mattarella non posso che concordare. Più che una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere”, mi sembra che la funzione intrapresa dal capo dello Stato si sia rivelata poco felice nel modo di interpretare lo stesso ruolo di garante, sicuramente poco consapevole della modernità di cui necessita la politica odierna.. sia nel linguaggio.... che in quello che Domenico definisce “orizzonte culturale e ideale”.

Con tutto il rispetto che si deve alla figura istituzionale del nuovo Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato di membro della Corte Costituzionale avrebbe dovuto indurlo a valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
vincenzo cacopardo



C’è un profondo sentimento mitologico nella Repubblica anno 2015. Investe una parte importante del personale politico, a partire dal presidente Mattarella, alle prese con una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere. C’è, nel suo modo di interpretare il ruolo, una grave inconsapevolezza dell’attualità, dei suoi linguaggi, delle sue sensibilità, del suo orizzonte culturale e ideale.
Venuto dopo uno spregiudicato interventista come Napolitano, responsabile di cose buone e di cose pessime, Mattarella ha riportato la presidenza a un’insignificanza di genere democristiano, quando sarebbe stato necessario aprire un dialogo con la pubblica opinione e le sue contraddittorie esigenze. Anche la scelta di uno staff mediocre e passatista e, quindi, sclerotico, ha contribuito alla pallida interpretazione della presidenza.
L’esempio dirompente di papa Francesco I (che, in qualche misura come Renzi, ha saltato tutti i corpi intermedi, la gerarchia cioè, ed è andato verso il popolo di Dio e non di Dio) non gli è servito, purtroppo.
Rimane l’amaro in bocca ai tanti, e tra essi chi scrive, che avevano sperato in una forte restaurazione dei principi e della correttezza istituzionali, coniugato con la capacità eroica di testimoniare al Paese i valori repubblicani.
Anche la celebrazione (in sedicesimo) di ieri, Festa della Repubblica, è nella tradizione veteroDc, tutta tesa a cancellare i termini e gli aspetti di una tradizione che va comunque preservata, in una fase storica che vede la nostra forza militare impegnata in tanti scacchieri del mondo.
Il Paese, al termine della crisi epocale, è ancora diviso tra mitologia e modernità. La modernità s’è andata affermando in questi ultimi anni, per merito di giovani generazioni venute alla ribalta nell’impresa e nella società, dopo esperienze, anche drammatiche, in Italia e all’estero (agevolate dalla rete), che hanno fatto percepire il complesso di principi che anima la competizione mondiale degli organismi complessi e degli individui.
Il resto è rimasto alla mitologia costruita dal marxismo e dalla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, nella quale il rapporto tra produzione e distribuzione di valore è disarticolato, tanto che la distribuzione può-deve avvenire secondo le necessità dei beneficiari, non in base alla disponibilità del sistema-nazione.
Guardiamo al fenomeno politico più recente, quello inventato da un comico senza più risorse comiche, Beppe Grillo. Le sue proposizioni non tengono conto delle esigenze dell’economia («It’s economy, stupid», Billy Clinton) e si inoltrano in un terreno in cui il lavoro, come istituto etico e comunitario, non viene considerato. Del resto, diciamocelo francamente, la gran parte del personale politico inventato da Grillo e dalla mente Casalegno è privo di significative esperienze professionali, tanto che la politica, per essa, è un divertente (e insostituibile) modo di sbarcare il lunario.
La mitologia repubblicana ispira il sindacato, in particolare la Cgil. La rivendicazione dei diritti, di cui è vessillifera, è un’astrazione pericolosa: in una situazione nella quale deve ancora riprendere l’accumulazione capitalistica (la creazione cioè di ricchezza da investire prima e da redistribuire poi), governano le esigenze della ripresa e quelle di offrire occasioni di lavoro, quelle poche che sono sul mercato, a condizioni che assicurino la competitività.
È la produttività il tema, generalmente dimenticato tuttavia, cruciale per la sopravvivenza dell’economia manifatturiera italiana, seconda solo alla Germania in Europa, ma dimenticata dall’immenso, parassitario apparato pubblico nazionale.
Anche Landini è il sacerdote di una religione druidica destinata all’ascolto di una minoranza di fedeli. Le sue belle parole d’ordine si scontrano con la realtà reale e aleggiano come vuote petizioni di principio senza possibilità di ascolto.
Ciò che deve essere messo a punto (e ancora non lo è) è il percorso di questo governo e del suo «premier». Certo, il guado è iniziato ed è in corso, ma ciò che manca è una squadra capace di coadiuvare il ‘capitano’ in modo utile ed efficace.
Non a caso, credo, il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi ha riparlato di riforma dell’Amministrazione. Quella immaginata dalla ministro Madia è inesistente, frutto di un’ignoranza totale del problema e delle soluzioni più aggiornate che sono state attuate nel mondo avanzato, a partire dall’Amministrazione flessibile «per progetti». In una situazione nella quale mancano le risorse, l’unica strada possibile, con l’apparato dello Stato, è quella di aumentarne il prodotto e la produttività, uscendo dalla biblica condanna di un’Amministrazione pensata per i suoi impiegati, di una scuola per gli insegnanti, di un esercito per i generali.
È la mitologia del passato che impedisce anche questi interventi di riforma. Una mitologia alla quale il governo non si deve piegare a costo di essere esso stesso non solo riformista, ma anche rivoluzionario.
Certo, c’è da riprendere, senza incertezze, la strada del ricambio generazionale del personale politico, cioè continuare in modo inesorabile la rottamazione: non tanto per il ruolo e le idee dei «vecchi» quanto perché la loro presenza impedisce ai giovani di presentarsi, compiere esperienze e assumere le responsabilità del cambiamento.
Le mitologie e gli interessi pelosi che ispirano le minoranze del Pd (quelle che da mesi non votano a favore del governo), debbono essere rivelati, messi in piazza e rimossi. Altrimenti, la palude continuerà a inghiottire nelle sue sabbie mobili quel poco di nuovo che cerca di avanzare.
Il passato è il luogo della Storia. Non può essere il luogo di una nostalgia padrona del presente.
Domenico Cacopardo


una nota del consigliere Cacopardo sulla recenti elezioni regionali

Se c’è una materia opinabile, almeno nei commenti di politologi ed editorialisti, questa è il risultato delle elezioni, sempre, sempre, ma soprattutto in Italia, estensibile come un tessuto gommoso.
Invece, per gli addetti ai lavori, i pochi che sanno che «la politica è una scienza esatta», l’esito delle elezioni deve essere esaminato in profondità per capire le sue valenze positive e negative e trarne indicazioni per il prossimo giro.
Proviamo anche noi a trarre alcune prime conclusioni.
Il primo sconfitto, il più grande, quello indiscutibile, è l’istituto regionale. Una partecipazione di circa il 50% mostra disinteresse nei confronti di assemblee e presidenti-governatori, logorati da decenni di malgoverno, di clientele e di evidenti fallimenti.
Già l’istituto era nato come un ibrido, estraneo alla storia patria, figlio del solidarismo cattolico (clamorosamente bocciato dai profondi mutamenti degli ultimi cinquant’anni) e del disegno di potere del Pci costituente, che aveva scelto una strategia periferica di conquista dello Stato. La pratica attuazione dell’istituto regionale avvenne nel 1970, dopo una stagione, gli anni ‘60, dominati dal mito illuministico della programmazione, un’idea dei socialisti ispirata dalla voglia di simildirigismo sovietico.
Nella realtà di questi trentacinque anni, le regioni si sono comportate in modo irresponsabile, mettendo in scena una grave imitazione dei vizi dello Stato centrale, dal clientelismo più spinto, alla dissipazione di quote crescenti delle risorse pubbliche, senza alcuna attenzione ai vincoli di bilancio. E ciò non riguarda solo le sciagurate regioni del Sud, prima fra tutte la Campania, nella quale la regione di Bassolino investì anche in formazione professionale di veline, e la Calabria, per molti versi addirittura peggio dell’amministrazione partenopea, ma anche le esibite (a torto) Lombardia ed Emilia-Romagna.
Renzi deve prendere atto dell’orientamento popolare e incidere in modo più deciso sul titolo III della Costituzione a scapito delle competenze e del ruolo delle regioni: una scelta determinante per tagliare le uscite dello Stato e, di conseguenza, tassazione e debito pubblico.
Il presidente del consiglio rifletterà anche sulle sue sconfitte personali. La prima riguarda il personale raccogliticcio e impreparato (in gran parte di provenienza bersaniana, saltato sul suo carro) cui si è appoggiato, dalla Moretti alla Paita a coloro che, immeritatamente, siedono nel governo. L’inesorabilità della politica ne mette in rilievo l’inidoneità a svolgere un ruolo significativo. Occorre perciò mettere mano ai «minus», dall’ectoplasma Madia, alla medesima Serracchiani, in eccesso di esposizione televisiva, capace di un’affermazione demenziale e azzardata come «Il Pd chiederà a tutti i suoi eletti di sottoscrivere un impegno a dimettersi in caso di ricevimento di un avviso di garanzia», per dare al volto del governo lineamenti accattivate e reale efficienza. L’inconsapevole Serracchiani, così, ha concesso a chiunque vorrà colpire un eletto in qualsiasi organismo, il potere di rimuoverlo a prescindere da ogni considerazione specifica, di merito.
La seconda concerne l’insufficiente rinnovamento del partito, ancora, nella nomenklatura, lontano da un’adesione convinta alla linea del suo leader. E qui, si innestano i casi Bindi (che non può passare sotto silenzio) e Bersani esibitosi in un’insostenibile solidarietà all’esasperato radicalismo della presidente dell’Antimafia.
Se Renzi intende portare il Pd alle elezioni politiche perché governi il Paese per un altro quinquennio avrà molto da lavorare.
I confronti circolati con il 40% delle europee è fuorviante. Nelle regionali, si confezionano, intorno ai candidati, numerose liste di appoggio, con il compito di moltiplicare il numero di coloro che, volendo conquistare elettori ottengono, comunque, un sicuro effetto mobilitativo. Le regionali ci danno, in fin dei conti, un Pd non sconfitto. Se Renzi giocherà bene le sue carte, le possibilità di vincere il 2018 si consolideranno. Soprattutto se gli riuscirà l’operazione «Partito della nazione.»
Questo significa che le minoranze di quel partito scivoleranno ulteriormente nell’insignificanza e nell’inesistenza politica.
Va male il Nuovo Centro Destra: e questo è un problema che si deve porre il «premier». La sua gamba moderata non può essere amputata. Il prossimo rimpasto ne deve tenere conto.
Perde Berlusconi con la sua ultima «raffica». Il risultato di Toti è esclusivamente dovuto alla divisione del centro-sinistra e all’apporto delle truppe cammellate di Salvini. Non può essere un’indicazione per la ricostruzione di un centro-destra con «chanche» di ripresa.
Anche la presunta vittoria di Grillo è discutibile: se il movimento contestativo si ferma intorno al 20%, è evidente che non ha capacità di mobilitazione. Anzi la sua capacità di mobilitazione è così scarsa e scadente da limitarsi, in pratica, a un 10% dell’elettorato (avendo votato solo il 50% degli aventi diritto). Probabilmente, alle politiche, la sua presenza aiuterà Renzi a raggiungere il quorum prima del ballottaggio.
Non è discutibile il successo di Salvini. Non entriamo nel merito della sua proposta politica, ma osserviamo che questo successo non ha nessuna possibilità di trasformarsi in proposta di governo se non all’interno di un rinnovato centro-destra, diretto da una credibile e giovane leadership. Per quanti sforzi possa fare, dunque, il destino di Salvini è quello di agitatore xenofono e di satellite di un partito forte diverso dal suo.
Nei prossimi giorni, dopo il rimpasto di governo ormai non più rinviabile e le novità alla testa del Pd, capiremo meglio il percorso del Paese da qui al 2018.

Domenico Cacopardo

2 giu 2015

Regionali: vittorie ..sconfitte... od insuccesso elettorale?


di vincenzo cacopardo

Il sindaco d'Italia sapeva benissimo che l'elezione del suo candidato Vincenzo De Luca in Campania avrebbe portato grossi problemi in seno al suo stesso Partito oltre ad una lettura non del tutto positiva circa un modo di affrontare il delicato tema delle candidature, ma il suo gioco (poiché sempre in un gioco competitivo egli ama confrontarsi) era quello di vincere a tutti i costi...seppur col chiaro rischio che nella stessa Regione si sarebbe finito con un azzardato commissariamento..Quello che per lui conta è sempre stata la vittoria e la costruzione veloce di un governo in una Regione che aveva.. in certi territori..una forte e radicata posizione politica avversa. Renzi ha sempre guardato con estremo cinismo al pragmatico successo di una vittoria elettorale ed, in questo suo modo di procedere, ha messo in seconda posizione ogni normativa riguardante il ruolo di un candidato compromesso....La vittoria per lui non sembra mai aver prezzo!

Nel Veneto la Moretti, ha avuto una grande mazzata. Riflesso del continuo processo di invalidazione di un consenso precedente... Sarebbe stato politicamente più etico chiudere il suo mandato europarlamentare...invece di prendersi gioco degli stessi elettori. Una Regione che ha visto, come era immaginabile, andare avanti con successo l'opera politica della Lega di Salvini, fin troppo osannata per motivi populistici di tutta evidenza.

Queste elezioni regionali hanno comunque messo in evidenza la tendenza continua della poca affluenza alle urne. Hanno ancora una volta dimostrato che esiste il partito nascosto dei non votanti e... sebbene lo stesso Premier abbia pronunciato parole (forse non del tutto corrette nel momento in cui sono state espresse) di una votazione che non avrebbe formulato alcuna attendibilità al suo operato governativo, la realtà è apparsa proprio opposta: Quando la metà degli aventi diritto non va a votare, sia che si tratti di elezioni regionali o politiche nazionali, esiste anzitutto una certezza: La convinzione di non condividere alcuna governabilità, soprattuto nel contesto odierno in cui le nuove riforme hanno messo in disamina le stesse regioni fornendo loro nuove riorganizzazioni definite proprio da un sistema a trazione governativa.

Poco importa il cinque a due od il sei a uno...quello che oggi dovrebbe essere veramente messo in discussione è l'allontanamento della enorme massa di aventi diritto al voto che di certo non possono aver apprezzato né le nuove riforme..nè il nuovo sistema elettorale nazionale promosso attraverso l'infelice “Italicum”. Ridicola inoltre (oltre che poco rispettosa nei confronti di una donna) la nuova regola imposta da alcune regioni dove un candidato nel possibile ballottaggio deve essere di altra specie..Come dire che non esiste alcun principio di merito e che il genere femminile ha bisogno di essere supportato da idioti principi e non da vere capacità.

A conti fatti quasi un elettore su due ha scelto di non andare a votare. Undici punti in meno rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare il 64,1% degli aventi diritto.

28 mag 2015

Piccola nota su una attenta analisi del consigliere Cacopardo


Difficile pensare di far cambiare rotta a questa Europa dell'austerità, comunque l'analisi condivisibile di Domenico... che pare adesso osservare con maggiore attenzione il peso insopportabile di una governabilità imperante, cade di continuo nella strenua difesa del nostro premier che, non certo nel bene, ha voluto che un tale insopportabile sistema.. vincesse. Lo spostamento di 180° gradi dell’asse di governo, indicato da Domenico, tutto a favore del potere esecutivo, è stato voluto per volontà diretta dell'attuale esecutivo...o mi sbaglio?

Riguardo alle prossime elezioni regionali...non credo quindi che sia importante solo il «curriculum», in modo da capire se ci sono precedenti inquietanti nelle figure politiche, poiché è sempre il sistema che, impostato in senso malato, conduce alla cattiva strada anche chi è armato di buona volontà e persino di un ricco curriculum. Non è neanche facile accantonare frustrazioni e invidie sociali per ragionare in modo collettivo, quando si impongono sacrifici continui a chi non li merita e non riesce nemmeno a sopportarli. Quindi la strada dell'abbandono al voto prende sempre più il sopravvento, poiché dettata da una certa anoressia nei confronti di una politica politicante, priva di idee, ricca di malcostume, anomalie e diseguaglianze.

«Scarpe rotte eppur bisogna andar» conclude Domenico Cacopardo, ma solo chi le ha veramente rotte può accorgersi di quanto pesante è questo infernale tragitto dettato dalla potenza e prepotenza di una Europa che tende a fare di tutta l'erba un fascio in modo assai discutibile!
vincenzo cacopardo



Ormai ci siamo: tra cinque giorni si vota in 7 regioni per l’elezione dei consigli (assemblee legislative) e dei presidenti.
Penso che sia un errore chiamarli governatori, una banale imitazione «della Merica», che ha l’unico effetto di ampliare l’«ego» ipertrofico di una categoria di cittadini (sindaci, presidenti di regione, un tempo presidenti di provincia) che leggi sconsiderate hanno trasformato in ducetti «legibus soluti» con la potestà di condizionare gli altri politici e la politica in senso generale.
Basti pensare alla loro prevalenza sulle assemblee elettive, la cui sopravvivenza dipende dall’accordo con il presidente o il sindaco di turno.
Uno spostamento di 180° gradi dell’asse di governo, tutto a favore del potere esecutivo, capace di condurre una comunità al disastro, come di beneficarla nel caso raro di una saggia e corretta amministrazione.
È inutile fare nomi: tutti ne conosciamo almeno uno. Il loro mantra è la comunicazione, non la sostanza delle idee che rappresentano e dovrebbero attuare.
Come constatiamo, il male è arrivato a Roma: non penso tanto a Renzi che si trova a navigare in uno stretto tempestoso e irto di scogli, quanto a chi verrà un giorno e troverà un apparato legislativo e istituzionale tutto spostato in favore del governo e, senza limiti, potrà fare e disfare.
Perciò, per queste ragioni sostanziali, sono importanti le elezioni regionali. Votando, dovremmo osservare bene i nomi dei candidati e ricercare il loro «curriculum» sulla rete, in modo da capire se ci sono precedenti inquietanti, tali da metterne in discussione la moralità.
Certo, questa è un’operazione di ‘controllo’ cui non pensano le persone normali, quelle non compromesse con i candidati a rischio. Gli altri, i non normali, invece, li cercano i candidati compromessi in modo da esercitare meglio le loro influenze indebite e immorali.
Poi, dovremmo guardare i programmi, puntando alle cose precise e concrete che vi sono scritte: un modo per verificare se tra sei mesi o un anno le intenzioni divulgate prima delle elezioni saranno state mantenute.
Ma, nei programmi dobbiamo anche trovare la plausibilità. Questo è un valore che non siamo molto abituati a ricercare e che, invece, dovrebbe il discrimine tra ciarlatani e politici veri, che hanno in testa l’interesse pubblico.
Non temo di consegnarvi l’esempio dei grillini e del loro Movimento 5Stelle: le esternazioni di Grillo sono spesso demenziali (basti pensare all’attacco al professor Umberto Veronesi per un presunto eccesso di mammografie, strumento indispensabile per la prevenzione dei tumori al seno), ma giustificate dai suoi seguaci come paradossi per ottenere l’attenzione dei media (che in realtà non gliela fanno mancare) e del pubblico o, quando non lo sono, riguardano problemi ai quali non hanno una soluzione praticabile-plausibile. Basti pensare a Parma, dove il sindaco Pizzarotti è stato eletto alla conclusione di una campagna contro l’inceneritore che poi è stato regolarmente ultimato e messo in funzione. Un elettorato emozionato non ha dato ascolto a coloro che spiegavano scientificamente la non dannosità dell’impianto e a coloro che segnalavano l’impossibilità di fermare i lavori e le convenzioni da tempo sottoscritte.
Questo deve essere un criterio di giudizio. Se c’è una bella promessa o una battaglia ‘contro’ (vedi l’Alta Velocità in Val Susa o l’Expo) occorre un ragionamento semplice, non particolarmente raffinato, per capire se è utile o meno alla nazione. E accantonare frustrazioni e invidie sociali per ragionare in modo collettivo. Diceva il filosofo Antonio Rosmini, che ognuno di noi dovrebbe scegliere come se fosse nelle condizioni di farlo per tutta la comunità.
Così dovremmo votare domenica prossima.
C’è un’ultima considerazione da tener presente: che non saranno elezioni senza conseguenze politiche. Se non immediati, gli effetti si vedranno a medio termine sia a Roma che nelle sedi regionali, per l’orientamento che suggeriranno ai contendenti in campo e per gli effetti sulla vita quotidiana delle persone vista la capacità e la propensione a utilizzare le addizionali Irpef al posto del taglio delle spese. 
La lezione di Atene e della Spagna ci dice, infine, che non si può essere ‘Antiausterità’ senza essere antieuropei. Chi lo dice è un mentitore.

L’Europa si identifica nella politica di austerità pretesa dalla Germania e imposta a tutti i paesi dell’Unione, anche i più deboli e indebitati, a costo di avvitarli in una spirale senza senso che conduce alla desertificazione delle economie e alla povertà generale.
Quindi, un pezzetto di futuro dell’Europa si giocherà domenica 31 maggio. Se si crede all’Europa, dobbiamo consegnarle un’ultima occasione per correggere la rotta e restituire una speranza alle giovani generazioni, ai disoccupati, ai poveri.
E se questa possibilità vogliamo darla e averla, non possiamo indebolire il governo attuale, l’unico che c’è in pista, l’unico che, contando sulla propria stabilità, può pretendere ragionevoli aggiustamenti della politica comunitaria. Del resto la vittoria di Duda in Polonia costringerà Berlino a spostare il proprio asse politico e a considerare il ruolo e il peso delle tre grandi economie del Sud: Francia, Italia e Spagna.
Un terzetto come non mai diviso per le perenne e risorgente responsabilità francese, i cui contenuti storici e politici stanno diventando insopportabili.
«Scarpe rotte eppur bisogna andar», dicevano gli alpini in Russia. Qualcosa di simile lo dobbiamo dire pure noi per terminare la traversata della steppa, in cerca di un miglioramento sostanziale dell’Europa e dell’Italia.
Domenico Cacopardo

27 mag 2015

Assemblea Regionale e consensi procacciati.

di vincenzo cacopardo
La recente inchiesta giudiziaria del Parlamento siciliano mette ancora a rischio , la già precaria credibilità della politica siciliana.

Si parla di posti di lavoro e di euro distribuiti in previsione di scambi di preferenze elettorali: i nomi di tre deputati eletti in ambigue posizioni politiche fa tanto pensare a come ancora in Sicilia si opera per una politica di comodo e strumentale a propri interessi. Uno di essi è oggi persino presidente della commissione Bilancio dell'Ars, un altro pare avere sfiorato la vittoria al Comune di Palermo.

L'indagine sembra partita dalla Finanza o meglio dal Nucleo speciale di polizia valutaria. Ai domiciliari pure un finanziere ed il caso dovrebbe fare riferimento alle elezioni amministrative dell'anno 2012: In sostanza sembra che il pacchetto di voti che non bastò ad un aspirante consigliere comunale sarebbe stato sfruttato dai altri tre candidati a Palazzo dei Normanni attraverso promesse di denaro e posti di lavoro in cambio di preferenze.

Al di là di questo specifico caso sul quale indaga la procura che dovrà stabilire una verità tra le promesse e lo specifico reato..e prendendo tuttavia spunto da esso, non si può certo non evidenziarsi il metodo costante con il quale la politica (soprattutto in paesi meno sviluppati del territorio del Sud) continui a procedere attraverso le strade poco chiare di scambi di favori ed agevolazioni a scopo di interesse per le preferenze...E questo: sia che il reato sia davvero commesso o se, al contrario, vi siano promesse che inducano ad impedire un corretto indirizzo sull'espressione del voto.

In questa sede, quindi, la mia critica non può che fermarsi ad una valutazione etico politica.. esulando conseguentemente da ogni giudizio giuridico.

La sola idea che nel nostro Paese vi siano ancora figure disposte a vendere il voto in cambio di pochi euro o di un posto di lavoro... non può lasciare indifferenti soprattutto in un mezzogiorno già povero di per sè ed in un'isola come la nostra dove il vuoto politico fa si che tali procedure vengano ormai identificate come le comuni prassi delle quali non si può restare sorpresi: Un sistema abituale che impedisce ormai ogni crescita e che mette in evidenza la figura politica come quella di un qualsiasi procacciatore d'affari in un'attività di intermediazione.

Per quanto riguarda la nostra Sicilia e l'attività politica svolta in un'Assemblea regionale già di per sé assai contestata per i grossi emolumenti ed i vitalizi resi ai deputati, l'attenzione non può che ricadere sul metodo con il quale gli stessi partiti perseverano ad impegnarsi al procacciamento di voti mettendo costantemente poca attenzione alle necessità di una cittadinanza..anzi.. traendo dal singolo bisogno.. l'incentivo per continuare a sottrarre consensi. 

26 mag 2015

Immigrazione..un fenomeno cui porre utili e serie alternative

di vincenzo cacopardo
La Francia , il Regno Unito, la Spagna ed altro otto Stati della comunità sono contro le quote degli immigrati. Un brutto segno per la nostra Nazione che oggi pare lottare solitaria contro un avvenimento che resta di carattere mondiale.

Sappiamo che tanti di questi immigrati sono profughi poichè lasciano il proprio paese a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali. Vi sono però dei distingui.. e cioè.. quelli regolari e quelli irregolari che.. a differenza.. non posseggono alcun permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità competente.
Il migrante irregolare è dunque una persona che è entrata in un Paese straniero evitando i controlli di frontiera o che, avendo un visto scaduto, permane irregolarmente nel territorio che lo ospita...Vi è poi la categoria dei clandestini..ovvero coloro che, pur avendo ricevuto un ordine di espulsione, rimangono nel paese che li accoglie. Dal 2009 la clandestinità è un reato penale.


La condizione di rifugiato è invece definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Dal punto di vista giuridico-amministrativo è una persona cui è riconosciuto lo status di rifugiato perché se tornasse nel proprio paese d’origine potrebbe essere vittima di persecuzioni.


Queste.. in linea di massima.. le varie categorie degli immigrati che oggi persistono nel nostro territorio: Una serie di differenze che determinano una ulteriore difficoltà nel riscontro delle regole per la gestione dei tanti ospiti che cominciano ad invadere in modo eccessivo il nostro Paese. Un avvenimento che pare non trovare tregua e che si sarebbe dovuto prevedere in tempo attraverso una politica internazionale che avrebbe dovuto saper leggere in lungimiranza fenomeni mondiali di tale portata...ponendovi rimedio attraverso uno studio preventivo.

Non era difficile poter comprendere che tale fenomeno avrebbe reso difficile una convivenza con paesi occidentali di diversa cultura e storia: Oggi si parla con troppa facilità di integrazione, non comprendendo che l'avvenimento, in un momento storico in cui l'economia dei paesi occidentali è in grande affanno ed in cui si devono fare i conti con la mancanza di lavoro, si pone come un avversità, sebbene potrebbe portare anche note positive.

Quello che riesce incomprensibile è il fatto che pare sottovalutarsi un fenomeno storico di portata immane che ci coinvolge giorno per giorno e che sembra montare in modo spropositato portando insicurezza in tutto il paese Europa.
Eppure non sarebbe difficile immaginare un impegno da parte di tutte la forze politiche ocidentali europee per un piano da studiare con altri paesi orientali che possa prevedere la ricerca di spazi in territori abbandonati dove ricostruire insieme nuovi paesi e nuove economie. Con uno sforzo interattivo che potrebbe vederci coplici e fattivi nella costruzione di un futuro insieme.

La terra è grande e la popolazione è troppa..ma quello che fa tanto pensare è la cattiva distribuzione e la anomala concentrazione.  

Una analisi di Domenico Cacopardo sulla crisi dell'Occidente

La sensazione è che si stiano scrivendo gli ultimi paragrafi del capitolo che tratterà della crisi dell’Occidente e dell’Europa.
Il panorama internazionale, infatti, denuncia il verificarsi degli effetti dell’inesistente «leadership» americana: il deterioramento dei rapporti Usa-Russia, collegato alla folle idea di trasformare l’Ucraina nella punta avanzata di uno schieramento ostile allo zar di Mosca, rimuovendo, con un «putsch» sostenuto dal movimento neonazista di Kiev, il presidente –regolarmente eletto- Yanukovich per sostituirlo col filoamericano Poroshenko; le contraddizioni insanabili della politica mediorientale, dalla Siria all’Iraq, all’Iran agli Emirati e all’Arabia Saudita. Su questo punto basta ricordare che in Siria, gli Stati Uniti (con Francia e Regno Unito) hanno promosso e sostenuto la rivolta anti-Assad, finanziando, con l’Arabia Saudita e gli Emirati, gli insorti, compresi quelli legati ad Al Qaeda, poi confluiti nell’Isis. Alla fine, cioè oggi, s’è creata una situazione per cui l’America, di fatto sostiene Assad contro i rivoluzionari, terroristi e tagliagole, tra i quali militano 20.000 combattenti occidentali. In Iraq, l’America s’è appoggiata agli sciiti, diventando avversaria dei sunniti, amici di Arabia Saudita ed Emirati. L’esercito iraqeno s’è squagliato, come previsto, e sono rimasti a combattere sul terreno i miliziani iraniani con qualche gruppo locale. L’«appeasement» con l’Iran, in dirittura d’arrivo, aliena le simpatie dell’Islam (sunnita) moderato e amico dell’Occidente, capeggiato dall’Egitto ed esteso alla Tunisia che è in gravi difficoltà, vicina com’è alla fornace libica. Sulla Libia, vogliamo dire qualcosa? Che la colpa, cioè la responsabilità totale, è di Sarkozy (in procinto di tornare in sella a Parigi sostituendo l’imbarazzante Hollande) e di Obama, il primo illuso dall’idea di rimuovere l’Italia e i suoi interessi, prendendo in mano l’economia del Paese, il secondo in cerca di un utopico ampliamento del campo democratico?
Quanto all’Europa, dobbiamo registrarne l’inesistenza politica. Sia nella gestione dei rapporti con la Russia, con la Germania autolesionista schierata nel campo «amerikano», stretta tra la necessità di tenere insieme gli stati satelliti, tutti nemici della Russia, dalla Polonia alla Lettonia, alla Finlandia (che sembra voler mobilitare, nell’attesa di un confronto con i russi) e quella di mantenere una salda «leadership» sull’Unione.
Sia per la questione profughi, per la quale non è stata in grado di definire in tempi accettabili una politica comune, senza distinguo e riserve mentali (nessuno può negare che l’opposizione all’ipotesi in circolazione dei paesi legati alla Germania è un’operazione mandataria, nel senso che, non potendo Berlino dire no, per tanti motivi comprensibili, fa dire no ai suoi amici), subordinate e uscite imprevedibile come quella di Hollande.
Il risultato, dicevamo, è l’inesistenza politica europea e americana. Abbiamo infatti visto come la Russia abbia reagito alle sanzioni occidentali: firmando uno storico accordo economico con la Cina (il più grande mai firmato dalle due nazioni), che ha confinato l’Europa nel ruolo di mesto e impotente spettatore. A margine c’è da ricordare che l’Ucraina è sull’orlo del «default» e che la sua unica via d’uscita è un corposo intervento europeo.
Alle questioni internazionali si aggiungono i problemi interni. Va certificata la gravità della malattia europea, indotta dalle politiche sbagliate di Bruxelles, condotte sulla linea imposta da frau Merkel. È lei il più grande fallimento politico dell’Unione, per l’egemonia tedesca e per il modo in cui s’è realizzata, con la colpevole acquiescenza dei governi nazionali, a partire dall’Italia. Una politica interna (comunitaria) che ha portato povertà e malcontento, e che non prevede in tempi ragionevoli un corposo recupero dell’occupazione, a parte, appunto, la Germania e paesi satelliti. Dobbiamo sapere, per esempio, che ogni problema che si presenta nell’armatura industriale italiana è un’opportunità per quella tedesca.
C’è da dire che anche la Bce meriterebbe una discussione approfondita, senza esclusione per l’era Draghi, tacciato, forse a ragione, di esprimere una visione che è utile soltanto per il mondo della finanza. Le prime indiscrezioni dicono che le banche (anche italiane) registreranno nel 2015 profitti mai visti, mentre la situazione sociale delle nazioni degraderà ulteriormente.
In questo contesto c’è la Grecia che non pagherà le rate del debito in scadenza e la Spagna, nella quale si affermano alle elezioni i movimenti antieuropei. Non aggiungo la parola populisti, perché il clima è proprio cambiato. Una politica europea non equilibrata, distruttiva, non solo ha aggravato la crisi, approfondendone i termini, ma ha contribuito a creare la sensazione di un’Europa oppressiva e persecutrice.
L’esempio greco dimostra che il cambiamento di linea di Tsipras non ha funzionato e che, quindi, s’è aperta una voragine, nella quale precipiterà la Grecia e, con essa, la speranza europea. Se in Spagna la marcia di Podemos continuerà, nonostante il miglioramento del Pil, aspettiamoci una rottura insanabile con Bruxelles.
La verità vera è che se l’Unione non è fertilizzata dal consenso popolare, è destinata a dissolversi con un tonfo i cui effetti economici e politici investiranno tutto il secolo.
Sembra un destino atroce: a cento anni dalla Prima guerra mondiale, l’Europa, almeno con le persone che, attualmente, la dirigono, si trova davanti a una crisi irresolubile, occupazionale, economica e di consenso.
Non ci sono le condizioni per uscirne. Purtroppo, vegeteremo nella stagnazione: si aggraveranno i contrasti infraeuropei e nelle nazioni. La tirannia di Bruxelles sta arrivando al capolinea, con l’Italia impotente e succube.
Domenico Cacopardo


22 mag 2015

un appunto sulla analisi di Domenico Cacopardo (sentenza del Corte Costituzionale)

L'analisi di Domenico Cacopardo è corretta.. tuttavia, per dirla in tono pragmatico come il consigliere spesso usa fare...una sentenza è stata emessa e, nel bene o nel male, bisogna prenderne atto.

L'art 81 sembra chiaro, ma tutti sappiamo come assai meno chiaro è apparso il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale il governo Monti aveva disposto il congelamento del meccanismo di perequazione automatica delle pensioni, in relazione all’andamento dell’inflazione. Perchè mai si è andato a toccare un sacro diritto di una fascia di lavoratori che avevano con fatica lavorato per anni e la cui pensione non poteva certo dirsi d'oro? Perchè mai di fronte a lla spropositata dicotomia di certi vitalizi ancora vigenti? Purtroppo, senza un preciso concetto di equità(tanto propagandisticamente declamato dallo stesso governo Monti) saremo sempre costretti a fare i conti con le evidenti difformità.

Non sarebbe il caso di riaprire una polemica su certi diritti acquisiti, ma risulta anomalo che di fronte a tutto ciò.. venga oggi distribuito un bonus di 80 euro mensili ad una fascia di lavoratori dipendenti ..quando vi sono una serie di pensionati che ne avrebbero più bisogno. Quelle che più impressionano sono la lunga serie di anomalie generate da un sistema politico che pare non trovare mai le strade più eque nella ricerca delle soluzioni.

Se Domenico non può avere torto su certi articoli della Costituzione che offrono maggior chiarezza in proposito, non può di certo non far caso alle sperequazioni continue che tendono costantemente a penalizzare i più deboli. In questo contesto dovrebbe differenziarsi una più logica ed equilibrata funzione della politica...e non attraverso il costante criterio di normative che sembrano quasi studiate per generare assurde disuguaglianze!

La forza di certi valori finisce sempre col prevalere sulla prepotenza di certe anomalie!
vincenzo cacopardo


L’art. 81 della Costituzione italiana, come modificato con legge 20 aprile 2012, n. 1, stabilisce: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.»
C’è da chiedersi come si colloca la Corte costituzionale rispetto al principio riportato.
Andiamo con ordine.
La sentenza 10 marzo 2015, n. 70, della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale il mai compianto governo Monti aveva disposto il congelamento del meccanismo di perequazione automatica delle pensioni, in relazione all’andamento dell’inflazione.
Vista la natura «finale» del giudizio della Corte costituzionale, è ben legittimo esercitare, nelle forme garbate che si pretendono dalle persone investite di potere giudicante, il diritto di critica.
Prima di entrare nel merito di questa sorprendente sentenza, assunta (secondo attendibili indiscrezioni) con il voto determinante del presidente Alessandro Criscuolo (Napoli 1937), non si può non rilevare lo sciacallismo delle opposizioni esibitesi nella richiesta di un’applicazione integrale della sentenza, con la conseguente uscita aggiuntiva di circa 18 miliardi dalle casse dello Stato. Una richiesta, in questa fase di delicata ricostruzione di credibilità finanziaria, devastante e autodistruttiva.
Un problema dello stesso genere, a dire il vero, se lo sarebbero dovuti porre i giudici della Corte costituzionale prima di adottare una sentenza che, potenzialmente, avrebbe scassato il bilancio del loro Paese, i cui interessi complessivi non possono risiedere in una visione formale e, a parere di chi scrive, discutibile sotto il profilo logico e della ragionevolezza. Non a caso, abbiamo ricordato all’inizio l’art. 81 della Costituzione che impone un vincolo cui tutti debbono uniformarsi, compresa la Corte costituzionale che, in realtà, con la sentenza in questione, non prende in considerazione la rottura del vincolo di bilancio e di quello, preesistente, di copertura finanziaria.
Con le sue decisioni, infatti, la Corte assume il rango di legislatore, invero del tutto immune da un giudizio terzo, dell’elettorato o del Parlamento.
Prendiamo la questione sotto il profilo della logica giuridica, non lontana dal buonsenso e dalla logica comune, in modo che i lettori, nostri giudici iniziali e finali, possano farsi un’opinione non viziata da pregiudizi. Preciso che chi scrive, come molti componenti della Corte costituzionale, era teorico beneficiario della sentenza di cui discutiamo.
Veniamo al dunque. La norma caducata è il comma 25 dell’art. 24 del decreto-legge: «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici … è riconosciuta esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a due volte il trattamento minimo Inps …»
La Corte ha così ragionato: «… la perequazione automatica … è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. … si presta … a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost. … la tecnica della perequazione si impone … sulle scelte discrezionali del legislatore … (che) … deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. … (e) … consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell’art. 3, secondo comma, Cost. così da evitare disparità di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici ... la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell’art. 25 del d.l. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento … il diritto a una prestazione previdenziale adeguata … risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)»
Gli stralci della sentenza ci conducono sul sentiero dell’inaccettabilità dei principi evocati: l’art. 36 (il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa) esplicita un principio che non è assoluto ma che va storicizzato e, quindi, non può conferire ad alcun giudice il diritto di stabilire l’astratta congruità del compenso, slegata dall’equilibrio produttivo, economico e civile. L’art. 38 (i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di … vecchiaia …) ha anch’esso contenuti da contestualizzare, giacché nel sistema ormai adottato (il contributivo) i mezzi sono erogati in ragione di quanto versato durante il periodo lavorativo.
In definitiva, sembra ragionevole ritenere che la lettura della Corte costituzionale difetti, appunto, di logicità e di ragionevolezza proprio in ragione della mancata storicizzazione all’attualità. Anche per l’evidente sottovalutazione della situazione economico-finanziaria e del valore invalicabile (per motivi interni ed internazionali invalicabili) dell’art. 81 della Costituzione.
Ps. La decisione del governo di erogare un acconto (un errore grave chiamarlo «bonus») è venata di buonismo preelettorale, ma, comunque, corretta. Dare di più nuocerebbe proprio a quei pensionati che «vantano» il credito sancito dalla Corte.
Domenico Cacopardo



20 mag 2015

...Perchè ancora gli 80 euro?

Dopo la sentenza della Consulta..il diritto dei pensionati rimane prioritario rispetto al bonus dei dipendenti.
di vincenzo cacopardo
Un quasi disincantato premier pensa che restituire tutto a tutti non sia possibile...

Queste le sue parole «Se accettassimo il principio di chi dice che bisogna restituire tutto, dovremmo dare 18 miliardi a quelli che guadagnano anche 5mila euro di pensione. ... buttandola con astuzia ...e ribadendo, quasi per bocca dei cittadini, che ciò non avrebbe senso.

Parlando dai microfoni di Porta a Porta.. affronta il tema dell'emergenza creata dalla sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni. In sostanza Renzi vorrebbe trovare un modo per restituire i soldi a chi ha le pensioni più basse.. opponendosi alle richieste di chi le l'ha alte.

Con la sua solita perizia comunicativa esordisce ritenedosi opportunamente estraneo a quella riforma Fornero che portò il bloccò delle pensioni sopra tre volte la minima: Il sindaco d'Italia annuncia che il governo vuole rendere più elastiche le norme della riforma previdenziale e parla di una libertà di scelta da parte dell' 'Inps assicurando uno studio per attenuare il blocco dell'innalzamento di età.. rendendo le regole più elastiche.

Come sappiamo Renzi parla di restituire a 4 milioni di pensionati 500 euro nel mese di Agosto con un costo totale di due miliardi a fronte di una restituzione che dovrebbe comprendere una cifra di quasi diciotto. Ma quello che da da pensare è in fatto che ha fronte di una chiara sentenza della Corte costituzionale..si continua a parlare di cifre che mancano e di concessioni per chi di principio avrebbe diritto a ciò che gli spetta.

Un'ulteriore anomalia prende corpo nell'assurdo Paese! 

Non si capisce infatti... in considerazione delle difficili situazioni economiche che investono il Paese, perchè si debba dispensare ancora un bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti dal costo di dieci miliardi l'anno..quando di conseguenza si fa torto a quei cittadini che, col suddetto provvedimento della Consulta, hanno acquisito un diritto superiore a qualsiasi elargizione dovuta per motivi di un evidente vantaggio propagandistico.







una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sulla migrazione..

Se vogliamo davvero essere pragmatici e realisti, non possiamo nascondere le enormi difficoltà di voler risolvere questo problema di ordine mondiale senza l'impegno comune e senza un preciso intervento nei luoghi in cui vivono tutti coloro che affrontano questa migrazione ..ormai un vero esodo.


Siamo già da tempo sommersi da questa problematica enorme e pericolosa.. in gran parte voluta per responsabilità diretta di Cameron e Sarkozy circa la loro personale guerra per interessi voluta in Libia. Due leader politici europei che oggi tendono a sottovalutare il dramma non muovendosi col dovuto impegno. Ma sembra inutile (se non per puro contenimento) voler cercare soluzioni ottimali per bloccare l'attraversamento in mare dei barconi dove ormai una esperta manovalanza...quasi leggittimata in un paese africano assai poco legalizzato, la fa da padrona: La vera soluzione rimane quella di bloccare questo afflusso rendendo fruttuosi e più umani gli stessi territori dai quali gli indigeni scappano.

L'agenzia europea Frontex (per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea) è un'istituzione che ha lo scopo di coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE. Un'agenzia che non può mai operare preventivamente per risolvere il vero problema...quando questo alla radice è proprio quello di bloccare sul nascere queste partenze. In ciò non ci si è voluto impegnare con efficacia sul piano internazionale attraverso un coordinamento strategico che potesse mirare ad un'azione politica in complicità con tutti i paesi limitrofi comprese le super potenze degli Stati uniti e della Russia.

Al di là di ogni critica...solo la nostra Nazione si è mossa, spinta da un particolare senso umano, a protezione delle vite dei tanti emigranti (clandestini o no)...esortata da uno spirito umano innato che da sempre l'accompagna. La politica internazionale, rimane al contrario ancora assente, ricercando l'unica abituale via dell'accompagnamento nei centri d'accoglienza con rischi e pericoli.. oggi.. sempre più evidenti soprattuto per il nostro Paese.
vincenzo cacopardo





Il cielo si è fatto più scuro e minaccia tempesta. Benché Federica Mogherini sprizzi soddisfazione da tutti i pori, la strada nella quale ci stiamo incamminando con il consenso di Unione Europea e delle Nazioni Unite (mezzi consensi, rispetto ai quali le inespresse riserva mentali pesano come macigni) è disseminata di trappole mortali e di rischi per la Nazione e quel poco di prestigio internazionale che le è rimasto. Nonostante le ultime decisioni (?) dei ministri degli esteri.
L’Unione sta definendo una politica fondata su quattro punti: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare; sicurizzazione delle frontiere esterne; protezione dei richiedenti asilo; nuova politica della migrazione legale.
Già con i quattro punti si aprono questioni delicate per il governo italiano. Il primo affronta la riduzione degli incentivi, affermando in modo indiretto ciò che noi andiamo scrivendo da novembre 2013. «Mare nostrum» (sarebbe meglio dire «monstrum» per l’orrenda mostruosità delle stragi) e, in misura minore, «Triton» sono stati e sono supporto in mare alle bande che gestiscono il traffico umano.
La riduzione degli incentivi alla migrazione irregolare, va letta insieme al chapter 7 della Carta delle Nazioni Unite che consente «ogni azione necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale». In sostanza una missione militare europea volta a prevenire il traffico di migranti a partire dalle acque territoriali e alle coste libiche. Si dice in giro che, la missione si fonderebbe su attività «mirate» di «commandos» nei confronti delle basi dei trafficanti e dei loro natanti, su un certo numero di navi da guerra idoneo a sostenere lo sforzo.
È facile immaginare le situazioni: natanti difesi da miserevoli scudi umani. Ritorsioni nei confronti degli immigranti che non riuscirebbe a partire. Reazioni da parte della popolazione e delle milizie libiche, nei confronti dell’unica merce abbondante, ma deperibile di cui dispongono: le vite dei migranti.
Sarà una sciagura se le operazioni militari saranno sotto comando italiano: assumersi la responsabilità di ogni vittima civile (e saranno tutte vittime civili, perché lo status di trafficante di uomini non è iscritto in nessun registro) porterà il governo italiano confrontarsi con una opinione pubblica incline a sottovalutare il problema immigrazione per elevati sentimenti umanitari, ben promossi da chi ha interessi concreti nel soccorso e nell’assistenza.
Certo, il comando italiano consentirebbe agli alti gradi della Marina –gli unici a possedere doti manageriali- di fregiarsi dei nastrini della campagna con benefici economici e di carriera. Ma su queste esigenze della grande corporazione autoreferenziale che si chiama «Forze armate» non si può piegare (come accaduto molte volte nella Storia dell’Italia unita) una Nazione, mettendo a rischio la sua immagine, il suo ruolo, la sua dignità internazionale.
Il meno peggio sarebbe un comando a rotazione, con uno Stato maggiore internazionale, capace di attutire le pressioni degli ambienti più esagitati.
La protezione dei richiedenti asilo (punto 2 dell’Europa) nasconde spiacevoli verità. La prima riguarda i tempi che si prendono le autorità italiane per definire lo status di un immigrato. Passano mesi prima della decisione: migrante illegale o profugo politico. E poi, altri mesi per decidere sull’immancabile ricorso dell’escluso. La seconda è che consentiamo a questa umanità dolente di andarsene indisturbata in giro per l’Italia e, un po’ meno, per l’Europa. Domani, sotto controllo internazionale (europeo) sarà impossibile alle nostre autorità chiudere gli occhi di fronte alle pressioni del buonismo politico e religioso, entrambi fertilizzati dalle risorse che lo Stato getta in questa fornace senza fondo.
Su questo inimmaginabile inefficienza dell’Amministrazione, si appunta l’attenzione di Francia e Spagna, parimenti esposte nei confronti di flussi, ma ben più seriamente operative, mercé sistematici respingimenti: due nazioni che lunedì, a Bruxelles, si sono rifiutate di partecipare alla spartizione dei migranti cui sarà riconosciuto lo «status» di profugo. Vedremo che l’unico modo per ottenere il loro vitale consenso –senza il quale l’azione italiana e quella, modesta, molto modesta, di Federica Mogherini- sarà rafforzare il ruolo delle commissioni internazionali. Il vero e proprio commissariamento dei burocrati del ministero dell’interno.
Il quarto punto, una nuova politica della migrazione legale, è puro buonsenso da confrontare con le reali possibilità di concretizzarlo sul terreno.
Si dice di un ufficio sperimentale in Guinea (equatoriale) con il compito di effettuare lo «screening» degli aspiranti all’Europa. Ma resta da capire cosa succede dopo. Con quali mezzi e quali tutele si muoveranno le imbarcazioni governative che condurranno i «legali» nel continente?
Insomma, il problema «migrazione» è grave ed è stato aggravato dalla politica di questi ultimi anni, della quale, incredibilmente, si vantano Enrico Letta e Angelino Alfano. Dovrebbero esercitare, invece, il dovere dell’autocritica, soprattutto per le condizioni in cui è stata lasciata degradare (non solo da loro) l’amministrazione dell’interno, un tempo fiore all’occhiello (con la Ragioneria generale e il Corpo diplomatico) dell’organizzazione dello Stato con i prefetti realmente ufficiali di governo, capace di coordinare le attività territoriali d’ogni ministero. Non ancora trasformati in operatori di pubblica sicurezza (dal che deriva l’anomalo travaso di funzionari della carriera di Polizia e ufficiali dei Carabinieri. Un poliziotto, De Gennaro, fu, per non dichiarati meriti, addirittura posto da Giuliano Amato nel posto di capo di gabinetto –mai affidato a un funzionario non proveniente dalla carriera prefettizia- sin lì ricoperto con onore da uno stimato prefetto, il dottor Carlo Mosca) i prefetti sono senza poteri, senza vocazione specifica, senza autonomia rispetto alla catena di comando costituita dalle Procure della Repubblica.
A giugno, quando i capi degli esecutivi europei, sentita la decisione Onu, approveranno un piano, capiremo il definitivo «che fare». Allo stato, i segnali inducono al pessimismo.
Domenico Cacopardo