10 giu 2015

il "verso" non mutato del Paese

i profusi selfie di un premier vanitoso
di vincenzo cacopardo

Si sbagliano tutti coloro i quali pensano ancora che con la sola forza di un determinato pragmatismo e con la prosopopea sempre dimostrata dal sindaco d'Italia.. si potrebbe raggiungere un utile risultato.

La questione non è proprio quella che: “in fondo...a differenza di altri.. ci ha provato!”..come molti hanno continuato a ripetere! L'argomento politico si è sempre presentato delicato e sarebbe stato necessario affrontarlo con molta più umiltà e maggiore deferenza nei riguardi dei cittadini. Più sensibilità nei riguardi dei principi stessi della democrazia..meno forzature contrapposte...maggiore delicatezza nei riguardi dei principi di egualità ed equità..meno appariscenza, insomma...meno selfie ed abbracci e più impegno verso l'innovazione e le idee.

Non si trattava solo di rimanere estraneo al rito stantio dei partiti del passato, ma di operare con meno fretta e semplificazione, poiché la logica del solo pragmatismo non potrà mai essere vincente, ma solo integrativa alle idee: Nel caso di Renzi..quelle poche idee sembrano aver fatto acqua. E' più di un anno che il mio Forum ..anche attraverso il collaborativo scambio con il pensiero e le analisi di Domenico Cacopardo, ha messo in serio dubbio l'operato fin troppo arrogante e presuntuoso percorso dal giovane premier.

Dov'è si è mai messa in evidenza quella sensibilità che doveva guidare la sua figura con maggior modestia e con più impegno da vero statista nel dialogo con gli altri Partiti? Tutto ciò che Renzi ha fatto è stato per lo più suggerito dalle forze politiche ed economiche europee.. non dimostrando alcun vero rispetto per la cultura, il pensiero ed il mondo imprenditoriale del nostro Paese. ..Si è adattato ad un sistema globale senza il minimo sforzo di fornire un contributo di cambiamento che avrebbe potuto rendere allo stesso sistema un barlume di innovazione (la semplificazione non è innovazione)...Eppure siamo il Paese delle idee..siamo definiti i più grandi creatori... dovremmo dettare concetti qualitativi eccellenti.. più che presunzione e pragmatismo.

Adesso che siamo alla prova dei fatti saltano in evidenza le crepature di un processo di falso cambiamento da lui voluto ed imposto anche per mancanza di altre figure politiche più capaci. Più che i molti a sperarci ..sono stati in troppi costretti a fare affidamento su una figura che si è mossa con gran capacità di comunicazione.. e con una dose abbondante di “paraculismo” che ha finito anch'essa con lo stancare. Strano che Domenico non abbia intuito prima quanto avrebbe potuto nuocere alla politica una personalità talmente ambiziosa quanto poco rispettosa di un processo si cambiamento che avrebbe dovuto sostenersi con maggior sensibilità: un finale che si intravede.. ma che ancora deve vedere un "verso" nel suo epilogo.

Non è esponendosi con machiavellico pensiero che oggi si possono affrontare le enormi questioni riguardanti la politica sociale del Paese, né con la retorica sterile della rottamazione, ma forse con maggior platonica visione verso le congetture, le idee e le analisi... Non sempre può esservi un fine che giustifica i mezzi! Oggi la politica tende a muoversi di frequente e con prepotenza, in questa comune e semplificativa logica, mortificandosi nell‘uso dei mezzi più disperati ed assurdi e Renzi ne rappresenta l'emblema.
Vincenzo cacopardo



scrive Domenico Cacopardo su Italia Oggi

Molti ci avevano sperato: il politico giovane, innovatore, estraneo al rito stantio dei partiti -e del suo, il Pd, in particolare-, portatore di una visione pragmatica che avrebbe riavvicinato l’Italia alle nazioni più avanzate, era la persona che poteva, effettivamente, cambiare verso al nostro Paese.
Anche la cinica spregiudicatezza mostrata in varie circostanze, a partire da «Stai tranquillom Enrico!», sembrava militare a favore di questo giovanotto, ex-scout, proveniente dal vivaio delle sagrestie.
Certo, sbagliava i riferimenti, per esempio La Pira, tutto il contrario di quello che serve ora e qui, o Berlinguer o Moro, ma gli si perdonava l’ignoranza della storia e dei fondamentali come la manifestazione di un rinnovamento «tout-court», slegato dal passato e, perciò, più libero nell’approccio alla contemporaneità.
Un sintomo s’era subito manifestato, però, con la demagogica distribuzione di 80 euro ad alcune categorie di indigenti (non i più indigenti, per il vero): una scelta inutile, per l’esiguità del beneficio, e dannosa per il peso sulla finanza pubblica. Già, nonostante il galantuomo Padoan, troppo galantuomo all’evidenza, la strada scelta dal primo ministro archiviava una politica economica sparagnina e si dirigeva verso l’aumento del deficit (e quindi del debito). Nei limiti del 3% concessoci naturalmente, ma sull’osservanza reale degli stessi, molti dubbi albergano nella testa degli esperti.
Altri sintomi si sono manifestati in corso d’opera: il dilettantismo internazionale, con un semestre europeo che, a dispetto delle promesse mirabolanti, non poteva essere più deludente, il dilettantismo governativo, con ministri inidonei a svolgere anche l’incarico di amministratore di condominio, con «comis» scelti nel giardino di casa, come la comandante dei vigili urbani di Firenze, e il «city manager» di Reggio Emilia.
Però il piglio era deciso e, su alcune questioni cruciali, come le riforme istituzionali (monocameralismo sostanziale, riforma del titolo V, legge elettorale), il «jobs act» o la scuola, intransigente, tanto da accettare lo scontro con un pezzo del suo medesimo partito.
Le cose andavano meno bene, anzi male, sul fronte della pubblica Amministrazione con una finta riforma, e persino sulle misure di rilancio, un pasticcio di idee con scarse possibilità di attuazione.
Sul fronte morale (nel quale, la nomina a dirigente nella discussa azienda paterna sembrava insignificante pagliuzza) Matteo Renzi era altrettanto deciso: dimissionati il sottosegretario Gentile (Ncd) per pressioni sul giornale L’ora della Calabria, il ministro De Gerolamo (Ncd), tirata in ballo da intercettazioni tra estranei, non indagata, e il ministro Lupi (Ncd), per rapporti non trasparenti con l’imprenditore Perotti, non indagato.
Insomma, la moglie di Cesare non deve essere nemmeno sfiorata dal sospetto.
Però, nel suo partito, il rinnovamento si arrestava: le candidature alle presidenze regionale erano riportabili al passato e ai legami con l’antica nomenklatura, anche se tutti i soggetti (come del resto il bersaniano presidente dell’Emilia-Romagna) erano renziani di accatto o di rinforzo.
Ma sulla questione morale, l’intransigenza si fermava di fronte al Pd, per una scelta «À la carte».
In Sicilia, nessuna reazione al caso Genovese, anche se il deputato arrestato era il fondamentale cardine del renzismo isolano.
Poi Roma, con Mafia capitale. Si nomina un commissario al partito, Matteo Orfini e si decide di difendere il sindaco della capitale, Marino, quello della Panda in divieto di sosta. Sino ai nostri giorni, quando Mafia capitale si allarga coinvolgendo uomini del nuovo corso (provenienti dal vecchio) eletti con Marino anche nella lista da lui medesimo creata. Matteo Renzi, nel fine settimana, va al festival di Repubblica, a Genova, e ribadisce: pulizia nel partito e a Roma, ma Marino non si tocca.
Una evidente sottovalutazione di quanto sta accadendo non solo nella procura della Repubblica di Roma, ma in giro per l’Italia, dove la pubblica opinione che l’ha premiato alle europee è indignata dalla sua insensibilità sul fatto più eclatante della storia del malaffare di questi anni.
A parte la geometria variabile (la gente dell’Ncd trattata in modo ben diverso da quella del Pd), risulta stupefacente il crollo improvviso del «feeling» con una parte cospicua di italiani e la crisi della sua straordinaria capacità comunicazionale.
Già, in modo freudiano, mentre si annuncia il sostegno «usque ad finem» di Marino, si dispongono gli stanziamenti per il Giubileo, somme ingenti che saranno gestite dalla medesima amministrazione scossa nelle fondamenta dallo scandalo.
Intanto, le minoranze del Pd sono diventate carsiche: non si vedono, non si sentono, non si ascoltano. Non sarà che, richiamandosi al vecchio che resiste, esse hanno da temere dall’avanzata della legalità a Roma? Perché Matteo Renzi non approfitta della situazione e regola i conti con loro? Perché si trincera nella difesa dell’indifendibile, lui come tanti predecessori, legati a un equilibrio partitico di cui è parte il malaffare dalle Alpi al Lilibeo? Perché non chiarisce l’entità del contributo versato dall’inquisito Buzzi alla cena nella quale partecipava anche lui?
Ognuno ha le sue risposte a questi vitali quesiti. Quello che è certo è che «hic et nunc», Renzi ha perso il carisma del rinnovatore (e del moralizzatore, se mai l’ha avuto).
Da oggi avremo di fronte un ennesimo governo boccheggiante, incapace di tracciare il solco insuperabile tra legalità e illegalità che il Paese pretende come premessa indispensabile della sua ripresa morale, politica ed economica. Un ennesimo governo di mezze figure, con un «premier» troppo rapidamente trasformatosi nella caricatura di se stesso.
Domenico Cacopardo


Francesco..il Papa tra apparizioni e identità

di vincenzo cacopardo

Ancora un puntuale messaggio offerto da Papa Francesco su apparizioni e veggenti. Ne parla all'omelia della messa a Santa Marta criticando "quelli che sempre hanno bisogno di novità dell'identità cristiana”

Il suo orientamento in proposito alle apparizioni... lo aveva già preannunciato di ritorno da Sarajevo. Ai giornalisti, aveva dato spiegazioni e sullo specifico problema di Medjugorje, dichiarando che già Papa Benedetto XVI, aveva messo sù una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini.. con la presenza di altri cardinali e teologi: Aveva ammesso che lo stesso cardinale Ruini, dopo qualche anno gli avrebbe consegnato lo studio, da lui stesso ritenuto un ottimo lavoro. Già da allora.. il pontefice dichiarava che si sarebbero dovute prendere delle decisioni, ma non immediate... ed aveva dato soltanto alcuni vaghi orientamenti ai vescovi sulla direzione.

Oggi, Francesco sembra aver corretto questa interpretazione, facendo una dichiarazione più chiara e netta in proposito.

Nei suoi passaggi dell'omelia, il Pontefice ha messo in guardia da chi vuole trasformare il cristianesimo in una "bella idea", come chi ha invece sempre bisogno "di novità dell'identità". In tal modo ha ribattuto sulla evidente possibilità di un rischio per la testimonianza cristiana, affermando che questa religione non potrà mai essere tanto leggera da essere indebolita per comodità o per allargare ogni coscienza ed infilarvi di tutto.

Per rafforzare questo suo pensiero Francesco si affida alle parole di San Paolo ai Corinzi dove parla dell' “identità” dei discepoli di Cristo. Ed è proprio su questa forza, legata all'identità, che il Pontefice si sofferma stigmatizzando il bisogno: Per l'umile pastore cristiano questa identità rimane un dono di Dio.

Un altra pietra miliare nel percorso di innovazione evangelica proposta con umanità e saggezza da un Pastore della Chiesa cattolica che vive il suo tempo e che avanza in mezzo ad una serie di anomalie ecclesiastiche che nel passato hanno dato origine a discussioni..  allontando molti di coloro che hanno sempre avuto voglia di credere...Finalmente una posizione decisa di chi dimostra di amare il suo credo e l'identità stessa del suo popolo di credenti.

Francesco apre una porta d'ingresso a tutti coloro che hanno sempre manifestato dubbi sulle surreali interpretazioni delle false visioni... e chiude il portone a chi approfitta di queste per allargare la propria coscienza ed inserirvi di tutto. 

9 giu 2015

compromessi ed alterazioni..

di vincenzo cacopardo

Sembra che persino gli stipendi dei dipendenti del Pd di settembre 2014 sarebbero stati pagati con i soldi di Salvatore Buzzi e Carminati. L'informativa è dei carabinieri ROS. 

Questa è la singolare circostanza emersa dagli atti dell’inchiesta dei magistrati romani sugli affari gestiti dal gruppo guidato dallo stesso Buzzi e da Massimo Carminati. Fra l’imprenditore delle cooperative sociali e il Pd il rapporto sembra essersi costruito con tali caratteristiche.

Sono le ultime rivelazioni sull'inchiesta sugli immigrati e le cooperative.. che rischia di travolgere tutto il PD. Non si capisce se Renzi abbia chiarezza dell'importanza di queste notizie e l'impatto che esse avranno sul suo Partito. A questo punto pare anche impossibile che lo stesso Premier possa tirarsi fuori da certe responsabilità: Quando i fatti avvenivano era proprio lui il segretario..

Adesso anche il suo ruolo di Premier potrebbe essere compromesso!

Al di là di ogni considerazione ributtante.. oltre che singolare.. che ormai sembra non stupire oltre, quello che rimane incomprensibile sono le continue incertezze di una politica tendente ad accorpare i ruoli (premier -segretario di partito). Una concezione corrente che dimostra come un naturale conflitto generato da due cariche in un'unica figura rappresentativa, conduce ad impedimenti e storture che influiscono nei ruoli stessi producendo alterazioni. Da qui a poter indicare la consapevolezza o le possibili responsabilità di un premier..rimane difficile, tuttavia finisce col portare di sicuro sospetti e dubbi. Resta ancora una volta motivo di riflessione dividere con attenzione i ruoli e le responsabilità per evitare.. sia le influenze... che ogni altra sorta di equivoco.





8 giu 2015

Marino...l'onesto incapace..

di vincenzo cacopardo

All'ombra del caso Marino, si scorge con evidenza il necessario bisogno di un percorso di divisione dei ruoli ...

Il sindaco di Roma Marino è l'esempio tipico che dimostra come in politica l'onestà non è sufficiente: Poco importa avere una persona rettamente integra se poi non risulta capace di sostenere con impegno, con controllo e con prevenzione.. l'iter di una amministrazione!

Per anni si è sostenuto che attraverso un unico principio di onestà della figura che guidava un ente, un comune, una regione, si potesse procedere verso una retta via. Ma la via.. in politica, come in ogni disciplina, non può essere affidata unicamente alla rettitudine, richiede competenza, non può correre sugli unici binari della strada dell'integrità morale, poiché per logica un'Amministrazione pone problematiche diverse e tra loro differenti: Bisogna saper leggere in lungimiranza, saper approntare idee immediate e, soprattutto.. conoscere la materia amministrativa.. sapendo agire con prevenzione.

Questo è un altro motivo che dovrebbe guidare la politica verso una più chiara divisione dei ruoli. Il ruolo amministrativo deve per logica esser slegato e non congiunto ai Partiti. La figura amministrativa deve potersi scegliere non per Partito, ma per capacità e meriti. Di sicuro rimane indiscutibile e logica la sua corretta integrità, come, al contrario, rimane certo che.. questa.. se inserita in un Partito non potrà che restare compromessa.

Quella amministrativa è una politica che potremmo definire deduttiva e quindi slegata da ogni congettura teorica, ideologica o di interesse di consenso, deve quindi essere valutata per merito e capacità. Al contrario la politica dei Partiti può più liberamente spaziare in teorie e congetture tipiche di chi opera per ricercare in complicità con il cittadino. L'una spinge verso i programmi, l'altra realizza.

Un passo importante che le stesse forze politiche di questo nostro Paese sembrano sottovalutare.. Le conseguenze sono e restano le perenni anomalie!

una analisi sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo: Il caso De Luca

Puntualmente.. il consigliere Cacopardo, trova modo e motivi per affrontare una questione che.. già da tempo.. si sarebbe dovuta esaminare con prudenza.. non esponendo figure compromesse ad una candidatura

Se nella fattispecie il reato è davvero lieve (sempre che di reato possa parlarsi) è anche vero che tutti i parlamentari nel passato hanno votato detta legge Severino che, nel bene o nel male, intendeva porre precisi limiti anche alla presentazione delle figure politiche: Una normativa che traeva il suo presupposto dagli allarmanti studi compiuti dall'UE e dall'OCSE in materia di corruzione e che dettava nuove cause ostative alle candidature negli enti locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica. Un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità a tutte le cariche pubbliche elettive.

Non era difficile, in Campania, tagliare questo nodo.. invece di imporre forzatamente Vincenzo De Luca alla presidenza della regione Campania, il quale non potrà insediarsi a causa della stessa legge. E' vero!..De Luca è stato condannato solo in primo grado per abuso d'ufficio... ma la cosa per la legge Severino provoca la sospensione immediata dall’incarico. 

In questi giorni si è molto discusso su come debba applicarsi la legge nel caso di un amministratore eletto ma non ancora insediato. Raffaele Cantone sostiene che De Luca dovrà avere per legge almeno il tempo di formare la giunta e nominare un vice-presidente a cui affidare l’incarico, in attesa del processo di appello del suo caso. Ma la domanda naturale è quella di chiedersi se la legge Severino debba essere interpretata come decadenza dall’incarico (come avvenuto in simili altri casi) ..sia che intervenga la Corte Costituzionale ..sia la stessa Avvocatura di Stato.

Al di là delle innate capacità di Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, secondo cui la legge Severino nel caso di De Luca agisce come una “sospensione” e non come una “decadenza”, resta davvero incomprensibile il fatto di come sia stata posta con ostinazione tale candidatura per una chiara volontà di opporsi ai limiti di una normativa in realtà voluta e votata dalla stramaggioranza della politica.

Qualcuno afferma che De Luca possa insediarsi, nominare la giunta e solo dopo essere sospeso per gli effetti della legge Severino: a quel punto la guida della Regione sarebbe assicurata dal vicepresidente scelto dallo stesso De Luca. Tutto ciò era sicuramente noto al premier Renzi che ha optato per una più sicura vittoria della regione.. non preoccupandosi di fomentare critiche e parecchi dubbi. Dimenticandosi, nella qualità di falso rottamatore, il principio delle “regole” di cui tanto si riempe la bocca.

Più che una anomalia quello che salta agli occhi in un fatto come ciò definisca una certa prepotenza da parte della politica di fare e disfare a piacimento e convenienza. Nella fattispecie... è inutile tergiversare: O si cambia la legge Severino o non si presentano tali candidati!

La Corte costituzionale ci dice : “È indubbio che la sospensione obbligatoria...integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del Presidente che gli preclude l’esercizio delle attribuzioni connesse alla carica… con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto”. Come è indubbio che nel recente passato i provvedimenti assunti dallo stesso premier Renzi in applicazione della legge Severino, hanno rispettato questi principi: Un esempio per tutti rimane il caso di un amministratore regionale coinvolto nello scandalo Mose, dove Palazzo Chigi ha dato atto che la interdizione retroagisce al momento in cui la incompatibilità si è determinata.

Il caso Campania si è rivelato un gran pasticcio istituzionale. Quello che stupisce non può essere il lieve reato in questione, quanto l'impudenza di dover prendersi gioco di una legge che, nel bene o nel male, è stata votata quasi all'unanimità da forze politiche che oggi sembrano trovare mille pretesti per non attuarla.
Vincenzo cacopardo



Si sta facendo strada una valutazione puntuale delle discutibili norme introdotte dall’avvocato Severino durante la sua discutibile «performance» al ministero della giustizia.
La «cacciarella» alle streghe imbastita dal vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (studente fuori corso nell’Università di Napoli, trasferito da Grillo alla Camera dei deputati e, quindi, alla vicepresidenza) deve arrestarsi di fronte alle fondate osservazioni del commissario anticorruzione Raffaele Cantone, uno che nell’Università di Napoli s’è laureato e che ha vinto un difficile concorso in magistratura, e del procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo (anche lui laureato e vincitore di concorso).
Convengono entrambi in una critica specifica alla Severino, a proposito della sospensione dell’exsindaco (sospeso) di Salerno, Vincenzo De Luca, appena eletto presidente della regione Campania: in sostanza, dicono i due alti magistrati di riconosciuta esperienza, nessuno può essere sospeso da una carica che non (ancora) ricopre.
Il clamore, quindi, suscitato dall’elezione, dalla proclamazione e dall’imminente insediamento deve placarsi in attesa che De Luca, integrato nell’incarico, costituisca la giunta e inizi l’attività amministrativa.
I richiami dei concorrenti, primo fra tutti, Stefano Caldoro, ma anche, nel solito modo scomposto e rumoroso, dei 5 Stelle, non riescono a scalfire le esigenze formali e sostanziali che la situazione legislativa impone senza incertezze.
Il medesimo argomento elettorale dell’inidoneità di De Luca alla candidatura (con il corollario dell’esternazione della Bindi in versione giacobina) viene meno: tutti hanno saputo che, una volta eletto e insediato nella presidenza, De Luca avrebbe subito una sospensione la cui sussistenza e durata sarebbe stata oggetto di uno specifico procedimento giudiziario.
Nonostante questo impedimento (non immediato) De Luca è stato votato da elettori pienamente consapevoli, tanto da vincere le elezioni. Un risultato derivante certo dagli eccellenti risultati ottenuti durante la sindacatura salernitana, ma anche per l’accentuata simpatia che gli ha procurato l’uscita di Rosy Bindi.
Ora, nell’ordine, ci saranno la ricognizione dell’avvenuta elezione, l’insediamento e la nomina di una giunta con l’indicazione di un vicepresidente. Subito dopo, il presidente del consiglio, cui compete l’onere della sospensione, assumerà il relativo provvedimento. De Luca farà un passo indietro lasciando l’onere di governare al suo vicepresidente e si rivolgerà all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo la decisione della Corte di cassazione che ha escluso la competenza dei Tar.
C’è una ragione precisa e incontestabile nella scelta della Cassazione: gli effetti di una sentenza debbono rimanere nell’orbita dell’autorità che l’ha comminata, anche se gli stessi si sono sostanziati in un atto amministrativo.
Questo fa emergere con chiarezza l’errore della Severino (peraltro, avvocato di chiara fama) e, soprattutto del Parlamento che ha approvato le norme: il compito di stabilire in ogni caso specifico le cosiddette pene accessorie spetta al giudice giudicante e solo a lui, che deve vigilare sulla loro attuazione, secondo i principi generali dell’ordinamento.
L’avere immaginato un meccanismo «juke box» per le stesse, introducendo un discutibile (e, probabilmente, incostituzionale) automatismo tra accertamento del reato e sospensione, può solo rispondere a una esigenza di popolarità politica, inconcepibile per un ministro «tecnico» di un governo «tecnico».
Ovviamente, la questione non rimarrà tal quale è, anche perché manca qualsiasi graduazione della pena accessoria, vigente anche per un reato residuale e minore come l’abuso d’ufficio.
Nel caso De Luca, una questione terminologica («project manager» invece di «coordinatore di progetto», insieme a un compenso nient’affatto faraonico) che difficilmente supererà il vaglio delle corti superiori.
Gli agitatori della pubblica opinione dovrebbero essere più cauti, giacché a furia di agitarsi anche contro i mulini a vento saranno credibili come gli urlatori di «Al lupo, al lupo!»
Domenico Cacopardo



6 giu 2015

L'"aria mefitica di Roma" di domenico Cacopardo

C’è un’aria mefitica per le vie di Roma, non per il persistente inquinamento da traffico automobilistico, ma soprattutto per le esalazioni provenienti dall’inquinamento morale che l’attraversa.
Quando pensiamo che questa città sarà la sede dell’anno santo straordinario indetto da papa Francesco e vorrebbe essere il luogo di una prossima Olimpiade («già si arrotano in denti per la possibile pantagruelica ‘magnata’»), un moto di indignazione nasce spontaneo, per lo spettacolo ora in scena, per gli attori che lo animano e per la «futura programmazione».
La questione «mafia capitale», infatti, con decine di arresti in vari campi politici sembra ridursi nelle accese polemiche di queste ore al dilemma «Marino sì» «Marino no». Certo, il sindaco ce ne mette di suo, quando sostiene che, in qualche modo, i successi investigativi del procuratore della Repubblica Pignatone, magistrato di lungo corso, proveniente da Palermo e Reggio Calabria, con esperienze specifiche in materia di criminalità organizzata, dipendono da lui medesimo, il primario che ha abbandonato il primariato americano per dedicarsi alla politica italiana, in un primo tempo, e poi romana.
La verità è che Roma deve essere risanata nel profondo, partendo dall’ultimo ufficio della polizia municipale nella più sperduta borgata e arrivando al fatale colle del Campidoglio. E che per farlo è necessaria la sospensione delle attività politico-amministrative e l’attribuzione delle stesse a un ente commissariale che per un periodo di almeno cinque anni provveda, mantenendo in piedi le attività di quotidiano interesse dei cittadini, a una profonda epurazione del tessuto burocratico cittadino.
Qualcosa di simile a ciò che fece il regno d’Italia inventando un Commissariato straordinario per Napoli che, con mutamenti nominalistici, governò il capoluogo campano sino al dopoguerra.
Appare ottuso e inconsapevole un atteggiamento volto a mantenere immutati gli assetti istituzionali del comune di Roma e della regione Lazio. Essi, soprattutto il secondo, sono strettamente legati al passato del Pd e alla nomenklatura che ne era responsabile, a partire da Bersani, al quale era anche molto legato il noto presidente della provincia di Milano, Penati.
La «tabula rasa» non è un cieco sparare nel mucchio. La «tabula rasa» è una misura di salute pubblica analoga a quelle che si è costretti ad adottare in presenza di focolai di grave infezione.
L’agitazione di Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario al partito romano, non coglie la necessità di chiudere in modo esemplare un capitolo, trasferendolo dal suo tavolo alla più vicina discarica. Finché non si renderà conto di questa irrinviabile necessità, lui e il suo partito continueranno a sprofondare nella melma nella quale un gruppo dirigente affarista e spregiudicato l’ha gettato.
Il medesimo discorso andrebbe rivolto anche ai responsabili di Forza Italia, di Fratelli d’Italia e del gruppo popolare che si riferisce a Tabacci: ma questi cosiddetti partiti sono ectoplasmi senza il fiato occorrente per compiere l’autocritica immediata che ci si aspetta da loro.
Diverso è il caso del Pd che di comune e regione ha la responsabilità attuale e al quale appartengono molti imputati eletti non nel passato remoto ma di recente nelle tornate che hanno portato al potere Marino e Zingaretti.
C’è qualcuno che dubiti che, per esempio, l’attuale prefetto di Roma, Franco Gabrielli farebbe meglio di qualsiasi sindaco in una contingenza come l’attuale? Del resto, sul tema del giubileo Gabrielli s’è mosso più e meglio di quanto non abbia fatto Marino o chiunque altro in città.
Prima che l’Italia si ritrovi con la faccia al muro nella temperie dell’anno santo, Matteo Renzi cerchi nel proprio «sentiment» ciò che serve: azzeri tutto. Commissari comune e regione e dia agli italiani la sensazione di una reale, drastica volontà di pulizia. Altrimenti il suo futuro politico nel governo e nel partito subirà l’appannamento in cui sperano la minoranza del Pd e gli avversari del nuovo corso.

Domenico Cacopardo

4 giu 2015

Renzi... monotono e stancante menestrello

Cinture allacciate... o paracadute?
di vincenzo cacopardo

"Allacciatevi le cinture, perché stiamo decollando davvero, piaccia o non piaccia a chi passa il tempo a lamentarsi. Stiamo rimettendo il Paese a correre come deve correre". "Lavorando duro l'Italia riprende il volo"... Non se ne può più del continuo blaterare del sindaco d'Italia che con i suoi “lasciatemelo dire” insiste col comunicare in modo tanto fazioso..quanto stancante.

Un premier che dovrebbe chiacchierare meno ed occuparsi più dei fatti! Sappiamo ormai bene che la sua politica dei “bonus” non ha prodotto alcunchè! ..L'allarme per la mancanza del lavoro è una certezza, malgrado il suo comunicare disinvolto ricco di slogan...

Una comunicazione che ha finito col consumarsi in una retorica assai sterile e.. sopratutto ripetitiva: il solito concertino ricco di performance ammiccanti... profusi abbracci con gli accoliti adoranti.. oltre ai tanti baci offerti.. simili a certi “vasa vasa” di un personaggio politico siciliano. Ma lui, al contrario, è il toscano forbito.. con una certa dialettica... mitizzato da un popolo ormai smarrito in una speranza mai suffragata da risultati validi ed idonei.

Qui non si tratta più di essere gufi o non gufi, ma di saper leggere in lungimiranza per scorgere quanta difficile strada in salita aspetta il nostro Paese..La realtà è sempre davanti agli occhi dei cittadini ..come appare ai loro occhi il perenne quadro dei tanti che ormai rifiutano questa politica affidata ad una comunicazione ricca di inganni. Una triste realtà che vede un Paese ormai decotto in mano ad un governo incapace di esprimere idee e cambiamenti innovativi efficaci.. 

I tanti non votanti hanno dato una chiara e secca risposta al sindaco dei sindaci ed alla sua truppa di ministri in perseverante adorazione di una politica ipocrita proposta con saccenteria e senza alcun rispetto per l'equità e la democrazia.

Gufi o non gufi..meglio preparare un paracadute...    

sempre più yankee.....

Un appunto al nuovo editoriale di domenico Cacopardo

L'articolo di Domenico esprime..  in tono chiaro.. le incapacità di questo governo di porre argine alle enormi calamità che investono il nostro Paese. Malgrado ciò il consigliere persevera coll'indurre nuovamente Renzi ad adeguarsi...ma adeguarsi a che? Renzi non sembra aver mai proseguito verso una fattiva strada in favore di una crescita economica del nostro Paese ed in realtà si è solo adeguato ad i dettati espressi da una comunità europea che sembra infischiarsene dei reali problemi della nostra Nazione.

Le sconfitte di Renzi , come già messo da tempo in evidenza nel mio Forum, sono nate prima che lui cominciasse... non solo per il modo con il quale si è sempre posto con estrema arroganza, ma proprio per il merito stesso di quelle che ancora oggi vengono definite da qualcuno come “riforme”: Riformare non significa cambiare in modo generico e frettoloso, significa soprattutto riorganizzare.. e questo nostro Paese ha visto in quest'anno solo una corsa verso il tempo ...una frettolosa opera di semplificazione solo utile ad incorniciare un quadro assai poco visibile di sviluppo.

Renzi ha avuto grandi colpi di fortuna : il quantitative Easing, il calo del prezzo del petrolio, il cambio favorevole con l'estero, l'Expo..ma con la sua saccenteria ha solo costruito fumo. In quanto alle riforme costituzionali e la legge elettorale..potremmo vedere presto nel futuro i gravi danni che porteranno a tutto il sistema istituzionale che di vorrebbe democratico.

Il richiamo di Domenico al vertice europeo è uno dei motivi di preoccupazione. La visita a Berlino del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi che si e' trattenuto fino a tardi discutendo con la cancelliera Angela Merkel, con il presidente francese Francois Hollande, con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e con la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, aveva l'interesse di trovare una possibile linea di compromesso per risolvere la crisi del debito di Atene e l'assenza di un rappresentante del nostro governo, dimostra (oltre che una chiara disorganizzazione) un insensato disinteresse da parte del nostro Paese, il quale.. tra l'altro.. pare aver fornito alla Grecia quasi 50 miliardi di euro durante il governo Monti -(Ancora una nota con la quale si deve rimarcare il percorso di quel famigerato governo Monti che da un lato prendeva 50 miliardi di euro in prestito dal mercato con l'emissione di Btp.. e con disinvoltura tagliava le pensioni attraverso una mostruosa legge Fornero).

E' inutile sottolineare quali enormi conseguenze vi sarebbero per il nostro Paese che con questo buco continuerebbe a mettere in crisi il suo già precario bilancio. Le conseguenze sarebbero drammatiche anche per la Bce e lo stesso Draghi che potrebbe rischiare le dimissioni. Ma al di là di ciò quello che colpisce è proprio il comportamento di un governo come il nostro resosi manchevole di una indispensabile presenza e di nuove idee in proposito.

Con tutto il rispetto per chi vuole oggi proporsi per un cambiamento come quello voluto dal nostro Premier, e per coloro che lo seguono decantandone l'impegno, bisognerebbe cercare di comprendere che non è solo sufficiente cambiare genericamente e semplificativamente, ma è molto più importante definire il cambiamento attraverso logiche utili e funzionali che possano vedere in lungimiranza e che non ci allontanino dagli essenziali principi di una democrazia.

Nelle utime immagini..durante lo svolgimento delle regionali, il nostro Premier ha dimostrato di essere sempre più un appassionato yankee...apparendo in una particolare tuta mimetica tipica dei marines. Un altro dei suoi gesti comunicativi che continuano ad incidere solo sull'immagine e che poco risultato rendono al nostro paese.. se non quello di una chiara ruffianata in favore del paese americano.. sicuramente amico, ma assai lontano dalle nostre problematiche mediterranee.
Vincenzo cacopardo


Scive Domenico Cacopardo

Dopo le vittorie, è venuto il tempo delle sconfitte e dei ridimensionamenti. Parliamo di Matteo Renzi che, dopo un anno condotto a ritmi, soprattutto comunicazionali, trascinanti, si trova davanti a una dura realtà che non si piega alle sue esigenze propagandistiche. È, in queste contingenze, che si può giudicare la tempra di un «leader».
Lo «smisurato» «ego», la fiducia in se stesso piena di presunzione, la mancanza di cultura politica, il provincialismo, il banale cinismo sono gli elementi che emergono con più evidenza da poco più di un anno di direzione del governo e del partito.
Il prodotto sin qui visibile di questo complesso di difetti è stato l’avvio di un miracoloso processo riformista, pieno di contraddizioni e di manchevolezze, tuttavia importante per rimettere in modo un Paese paralitico.
Oggi però, la dimensione dell’insufficienza e del -speriamo provvisorio- crac di Renzi è la politica internazionale, soprattutto europea. Non ci riferiamo all’inesistenza del semestre italiano, passato come passa una folatina di vento della sera, ma all’assenza sistematica dai tavoli che contano nei momenti che contano.
Ci riferiamo al vertice europeo di lunedì 1° giugno, celebrato da frau Merkel, Hollande, Junker, Lagarde e Draghi, e all’intesa franco tedesca che l’ha preceduto, rivelata dal settimanale Die Zeit.
Va ricordato che sabato, a Trento, a margine del convegno economico di Innocenzo Cipolletta, Renzi, aveva incontrato Valls, primo ministro francese, e annunciato una specie di asse franco-italiano per «cambiare verso» all’Europa.
Il senso di tutto questo non è tanto la nostra irrilevanza europea, che non è nuova e risale all’uscita di scena di Kohl, Mitterand e Craxi, quanto l’incapacità del premier italiano e della sua scadentissima squadra di conoscere tempestivamente ciò che bolle in pentola a Bruxelles, a Berlino, a Parigi e a Francoforte.
I contenuti delle intese definite nel vertice di lunedì e nel bilaterale franco-tedesco sono molto importanti e segnano una strada di rafforzamento dell’Europa e dei suoi poteri sovranazionali.
Era fatale e l’abbiamo ricordato tante volte: o l’Unione marcia sulla via dell’integrazione o si avvita in un processo di dissoluzione. Quindi, per sopravvivere più Europa, non meno, secondo le inconsistenti e autolesionistiche tesi delle forze populiste in giro nell’Eurozona.
C’è da attendersi per i prossimi mesi l’attuazione della nuova linea di politica comunitaria: integrazione politica con maggiore interdipendenza delle politiche; maggiori poteri dell’eurogruppo (decisione, azione, cogenza); coinvolgimento del Parlamento europeo nell’adozione di riforme radicali imposte d’ufficio ai paesi membri. I paesi dell’Unione esterni all’eurozona saranno liberi di aderire o non aderire ai nuovi sviluppi politici.
In questa prospettiva, la prima beneficiaria o vittima della rinnovata iniziativa europea è l’Italia e con essa il suo garrulo primo ministro. Tutte le formule sin qui adottate, le contorsioni, l’indifferenza rispetto all’enorme problema del taglio delle spese, le erogazioni di quattrini, diventeranno in poco tempo quello che sono: inutili pannicelli caldi da rimuovere a favore di misure incisive nei confronti delle tante rendite di posizione vigenti e delle sacche di parassitismo.
Storicamente, nella testa di coloro che hanno guidato il processo di integrazione europea, ultimi De Michelis e Carli a Maastricht, c’è sempre stata l’idea che il vincolo europeo ci avrebbe aiutato a risolvere gli annosi problemi nazionali, dal debito pubblico, al sistema fiscale, alla giustizia, alla trasformazione della pubblica Amministrazione da peso morto a supporto positivo per la vita quotidiana degli italiani. E anche della recente e gravissima questione «immigrati», nella quale ci dibattiamo tra incapacità politica e amministrativa e imbrogli, il vero elemento, quest’ultimo, di congiunzione tra il fenomeno e la criminalità interna e internazionale, che impedisce, per inconfessabili motivi, la svolta più volte annunciata.
Il governo riformista di Renzi è passato su questi specifici punti come una piuma d’oca passa sulla pelle di un paziente. Per difficoltà oggettive e per totale incapacità del personale politico addetto.
Ora, unitamente al calo di ruolo internazionale dell’Italia, vedremo un calo di peso interno del governo, che sarà costretto ad attuare politiche più determinate ed efficaci decise altrove, nella sede sovranazionale di cui siamo fondatori.
Nonostante i mal di pancia di Grillo e dei suoi grullini, di Salvini e delle sue truppe e dell’inconsistente coacervo di particelle della sinistra (pensavamo, sbagliando, che con la rielezione l’insopportabile Vendola sarebbe finalmente scomparso dai nostri schermi quotidiani), la maggiore presenza dell’Europa dovrebbe esserci utile, sia in termini di razionalizzazione del sistema, sia in termini di possibilità di ripresa (e di lotta alla disoccupazione).
A una sola condizione: che il governo, da chiunque diretto, si attesti su una linea del Piave e si mostri pronto a difenderla a costo di minacciare l’uscita dall’Unione. La linea della tutela dell’apparato industriale italiano, costantemente minacciato dalla superpotenza egemone, la Germania, e di una politica industriale gelosa degli interessi nazionali, si tratti della siderurgia, della gomma e dell’energia.
I basilari della nostra esistenza come soggetto partecipe del Wto non possono essere messi in discussione.
Renzi dovrà rapidamente adeguarsi. Altrimenti sarà iscritto nella storia come un’impalpabile meteora durata l’«espace d’un matin».
Domenico Cacopardo




3 giu 2015

una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Sembrano esservi strane dissonanze su quanto esprime Domenico quando affronta il problema del governo, delle riforme.. e dello stato attuale del nostro Paese. In riferimento a quelle “minoranze che non si piegano ad una maggioranza che si è continuamente imposta nei delicati temi della politica sociale”, Domenico, come altri lettori pragmatici in direzione di una politica più cinica che funzionale, insiste sull'importanza di doverli prontamente rimuovere: Una considerazione che... seppur legittima, finisce col non entrare mai in una più precisa visione contestuale di merito...ossia non entra in profondità sulla sostanza di alcune scelte che devono per evidenza essere discusse in termini più appropriati. 

Nel contempo il consigliere ci scrive di una “mitologia del passato che impedisce interventi di riforma parlando anche di un ricambio generazionale del personale politico”... e cioè dell'insistenza di dover proseguire nella strada di quella rottamazione di cui tanto il premier ha romanzato. Ma anche in questo percorso.. Renzi, giorno per giorno, pare manifestare consuete incoerenze.

Per Domenico Cacopardo il capitano (Renzi) sembra essere l'unico capace di portare avanti un percorso riformatore, seppur non coadiuvato altrettanto bene dalla sua squadra di governo. Malgrado le mie enormi perplessità sulla figura fin troppo avventata e semplicista del nostro capo di governo, non posso che trovarmi d'accordo, ma quello che dovrebbe far riflettere Domenico.. è proprio il fatto che sia stato lo stesso sindaco d'Italia ad aver scelto i suoi collaboratori.

Riguardo alla mite figura del Presidente Mattarella non posso che concordare. Più che una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere”, mi sembra che la funzione intrapresa dal capo dello Stato si sia rivelata poco felice nel modo di interpretare lo stesso ruolo di garante, sicuramente poco consapevole della modernità di cui necessita la politica odierna.. sia nel linguaggio.... che in quello che Domenico definisce “orizzonte culturale e ideale”.

Con tutto il rispetto che si deve alla figura istituzionale del nuovo Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato di membro della Corte Costituzionale avrebbe dovuto indurlo a valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
vincenzo cacopardo



C’è un profondo sentimento mitologico nella Repubblica anno 2015. Investe una parte importante del personale politico, a partire dal presidente Mattarella, alle prese con una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere. C’è, nel suo modo di interpretare il ruolo, una grave inconsapevolezza dell’attualità, dei suoi linguaggi, delle sue sensibilità, del suo orizzonte culturale e ideale.
Venuto dopo uno spregiudicato interventista come Napolitano, responsabile di cose buone e di cose pessime, Mattarella ha riportato la presidenza a un’insignificanza di genere democristiano, quando sarebbe stato necessario aprire un dialogo con la pubblica opinione e le sue contraddittorie esigenze. Anche la scelta di uno staff mediocre e passatista e, quindi, sclerotico, ha contribuito alla pallida interpretazione della presidenza.
L’esempio dirompente di papa Francesco I (che, in qualche misura come Renzi, ha saltato tutti i corpi intermedi, la gerarchia cioè, ed è andato verso il popolo di Dio e non di Dio) non gli è servito, purtroppo.
Rimane l’amaro in bocca ai tanti, e tra essi chi scrive, che avevano sperato in una forte restaurazione dei principi e della correttezza istituzionali, coniugato con la capacità eroica di testimoniare al Paese i valori repubblicani.
Anche la celebrazione (in sedicesimo) di ieri, Festa della Repubblica, è nella tradizione veteroDc, tutta tesa a cancellare i termini e gli aspetti di una tradizione che va comunque preservata, in una fase storica che vede la nostra forza militare impegnata in tanti scacchieri del mondo.
Il Paese, al termine della crisi epocale, è ancora diviso tra mitologia e modernità. La modernità s’è andata affermando in questi ultimi anni, per merito di giovani generazioni venute alla ribalta nell’impresa e nella società, dopo esperienze, anche drammatiche, in Italia e all’estero (agevolate dalla rete), che hanno fatto percepire il complesso di principi che anima la competizione mondiale degli organismi complessi e degli individui.
Il resto è rimasto alla mitologia costruita dal marxismo e dalla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, nella quale il rapporto tra produzione e distribuzione di valore è disarticolato, tanto che la distribuzione può-deve avvenire secondo le necessità dei beneficiari, non in base alla disponibilità del sistema-nazione.
Guardiamo al fenomeno politico più recente, quello inventato da un comico senza più risorse comiche, Beppe Grillo. Le sue proposizioni non tengono conto delle esigenze dell’economia («It’s economy, stupid», Billy Clinton) e si inoltrano in un terreno in cui il lavoro, come istituto etico e comunitario, non viene considerato. Del resto, diciamocelo francamente, la gran parte del personale politico inventato da Grillo e dalla mente Casalegno è privo di significative esperienze professionali, tanto che la politica, per essa, è un divertente (e insostituibile) modo di sbarcare il lunario.
La mitologia repubblicana ispira il sindacato, in particolare la Cgil. La rivendicazione dei diritti, di cui è vessillifera, è un’astrazione pericolosa: in una situazione nella quale deve ancora riprendere l’accumulazione capitalistica (la creazione cioè di ricchezza da investire prima e da redistribuire poi), governano le esigenze della ripresa e quelle di offrire occasioni di lavoro, quelle poche che sono sul mercato, a condizioni che assicurino la competitività.
È la produttività il tema, generalmente dimenticato tuttavia, cruciale per la sopravvivenza dell’economia manifatturiera italiana, seconda solo alla Germania in Europa, ma dimenticata dall’immenso, parassitario apparato pubblico nazionale.
Anche Landini è il sacerdote di una religione druidica destinata all’ascolto di una minoranza di fedeli. Le sue belle parole d’ordine si scontrano con la realtà reale e aleggiano come vuote petizioni di principio senza possibilità di ascolto.
Ciò che deve essere messo a punto (e ancora non lo è) è il percorso di questo governo e del suo «premier». Certo, il guado è iniziato ed è in corso, ma ciò che manca è una squadra capace di coadiuvare il ‘capitano’ in modo utile ed efficace.
Non a caso, credo, il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi ha riparlato di riforma dell’Amministrazione. Quella immaginata dalla ministro Madia è inesistente, frutto di un’ignoranza totale del problema e delle soluzioni più aggiornate che sono state attuate nel mondo avanzato, a partire dall’Amministrazione flessibile «per progetti». In una situazione nella quale mancano le risorse, l’unica strada possibile, con l’apparato dello Stato, è quella di aumentarne il prodotto e la produttività, uscendo dalla biblica condanna di un’Amministrazione pensata per i suoi impiegati, di una scuola per gli insegnanti, di un esercito per i generali.
È la mitologia del passato che impedisce anche questi interventi di riforma. Una mitologia alla quale il governo non si deve piegare a costo di essere esso stesso non solo riformista, ma anche rivoluzionario.
Certo, c’è da riprendere, senza incertezze, la strada del ricambio generazionale del personale politico, cioè continuare in modo inesorabile la rottamazione: non tanto per il ruolo e le idee dei «vecchi» quanto perché la loro presenza impedisce ai giovani di presentarsi, compiere esperienze e assumere le responsabilità del cambiamento.
Le mitologie e gli interessi pelosi che ispirano le minoranze del Pd (quelle che da mesi non votano a favore del governo), debbono essere rivelati, messi in piazza e rimossi. Altrimenti, la palude continuerà a inghiottire nelle sue sabbie mobili quel poco di nuovo che cerca di avanzare.
Il passato è il luogo della Storia. Non può essere il luogo di una nostalgia padrona del presente.
Domenico Cacopardo


una nota del consigliere Cacopardo sulla recenti elezioni regionali

Se c’è una materia opinabile, almeno nei commenti di politologi ed editorialisti, questa è il risultato delle elezioni, sempre, sempre, ma soprattutto in Italia, estensibile come un tessuto gommoso.
Invece, per gli addetti ai lavori, i pochi che sanno che «la politica è una scienza esatta», l’esito delle elezioni deve essere esaminato in profondità per capire le sue valenze positive e negative e trarne indicazioni per il prossimo giro.
Proviamo anche noi a trarre alcune prime conclusioni.
Il primo sconfitto, il più grande, quello indiscutibile, è l’istituto regionale. Una partecipazione di circa il 50% mostra disinteresse nei confronti di assemblee e presidenti-governatori, logorati da decenni di malgoverno, di clientele e di evidenti fallimenti.
Già l’istituto era nato come un ibrido, estraneo alla storia patria, figlio del solidarismo cattolico (clamorosamente bocciato dai profondi mutamenti degli ultimi cinquant’anni) e del disegno di potere del Pci costituente, che aveva scelto una strategia periferica di conquista dello Stato. La pratica attuazione dell’istituto regionale avvenne nel 1970, dopo una stagione, gli anni ‘60, dominati dal mito illuministico della programmazione, un’idea dei socialisti ispirata dalla voglia di simildirigismo sovietico.
Nella realtà di questi trentacinque anni, le regioni si sono comportate in modo irresponsabile, mettendo in scena una grave imitazione dei vizi dello Stato centrale, dal clientelismo più spinto, alla dissipazione di quote crescenti delle risorse pubbliche, senza alcuna attenzione ai vincoli di bilancio. E ciò non riguarda solo le sciagurate regioni del Sud, prima fra tutte la Campania, nella quale la regione di Bassolino investì anche in formazione professionale di veline, e la Calabria, per molti versi addirittura peggio dell’amministrazione partenopea, ma anche le esibite (a torto) Lombardia ed Emilia-Romagna.
Renzi deve prendere atto dell’orientamento popolare e incidere in modo più deciso sul titolo III della Costituzione a scapito delle competenze e del ruolo delle regioni: una scelta determinante per tagliare le uscite dello Stato e, di conseguenza, tassazione e debito pubblico.
Il presidente del consiglio rifletterà anche sulle sue sconfitte personali. La prima riguarda il personale raccogliticcio e impreparato (in gran parte di provenienza bersaniana, saltato sul suo carro) cui si è appoggiato, dalla Moretti alla Paita a coloro che, immeritatamente, siedono nel governo. L’inesorabilità della politica ne mette in rilievo l’inidoneità a svolgere un ruolo significativo. Occorre perciò mettere mano ai «minus», dall’ectoplasma Madia, alla medesima Serracchiani, in eccesso di esposizione televisiva, capace di un’affermazione demenziale e azzardata come «Il Pd chiederà a tutti i suoi eletti di sottoscrivere un impegno a dimettersi in caso di ricevimento di un avviso di garanzia», per dare al volto del governo lineamenti accattivate e reale efficienza. L’inconsapevole Serracchiani, così, ha concesso a chiunque vorrà colpire un eletto in qualsiasi organismo, il potere di rimuoverlo a prescindere da ogni considerazione specifica, di merito.
La seconda concerne l’insufficiente rinnovamento del partito, ancora, nella nomenklatura, lontano da un’adesione convinta alla linea del suo leader. E qui, si innestano i casi Bindi (che non può passare sotto silenzio) e Bersani esibitosi in un’insostenibile solidarietà all’esasperato radicalismo della presidente dell’Antimafia.
Se Renzi intende portare il Pd alle elezioni politiche perché governi il Paese per un altro quinquennio avrà molto da lavorare.
I confronti circolati con il 40% delle europee è fuorviante. Nelle regionali, si confezionano, intorno ai candidati, numerose liste di appoggio, con il compito di moltiplicare il numero di coloro che, volendo conquistare elettori ottengono, comunque, un sicuro effetto mobilitativo. Le regionali ci danno, in fin dei conti, un Pd non sconfitto. Se Renzi giocherà bene le sue carte, le possibilità di vincere il 2018 si consolideranno. Soprattutto se gli riuscirà l’operazione «Partito della nazione.»
Questo significa che le minoranze di quel partito scivoleranno ulteriormente nell’insignificanza e nell’inesistenza politica.
Va male il Nuovo Centro Destra: e questo è un problema che si deve porre il «premier». La sua gamba moderata non può essere amputata. Il prossimo rimpasto ne deve tenere conto.
Perde Berlusconi con la sua ultima «raffica». Il risultato di Toti è esclusivamente dovuto alla divisione del centro-sinistra e all’apporto delle truppe cammellate di Salvini. Non può essere un’indicazione per la ricostruzione di un centro-destra con «chanche» di ripresa.
Anche la presunta vittoria di Grillo è discutibile: se il movimento contestativo si ferma intorno al 20%, è evidente che non ha capacità di mobilitazione. Anzi la sua capacità di mobilitazione è così scarsa e scadente da limitarsi, in pratica, a un 10% dell’elettorato (avendo votato solo il 50% degli aventi diritto). Probabilmente, alle politiche, la sua presenza aiuterà Renzi a raggiungere il quorum prima del ballottaggio.
Non è discutibile il successo di Salvini. Non entriamo nel merito della sua proposta politica, ma osserviamo che questo successo non ha nessuna possibilità di trasformarsi in proposta di governo se non all’interno di un rinnovato centro-destra, diretto da una credibile e giovane leadership. Per quanti sforzi possa fare, dunque, il destino di Salvini è quello di agitatore xenofono e di satellite di un partito forte diverso dal suo.
Nei prossimi giorni, dopo il rimpasto di governo ormai non più rinviabile e le novità alla testa del Pd, capiremo meglio il percorso del Paese da qui al 2018.

Domenico Cacopardo

2 giu 2015

Regionali: vittorie ..sconfitte... od insuccesso elettorale?


di vincenzo cacopardo

Il sindaco d'Italia sapeva benissimo che l'elezione del suo candidato Vincenzo De Luca in Campania avrebbe portato grossi problemi in seno al suo stesso Partito oltre ad una lettura non del tutto positiva circa un modo di affrontare il delicato tema delle candidature, ma il suo gioco (poiché sempre in un gioco competitivo egli ama confrontarsi) era quello di vincere a tutti i costi...seppur col chiaro rischio che nella stessa Regione si sarebbe finito con un azzardato commissariamento..Quello che per lui conta è sempre stata la vittoria e la costruzione veloce di un governo in una Regione che aveva.. in certi territori..una forte e radicata posizione politica avversa. Renzi ha sempre guardato con estremo cinismo al pragmatico successo di una vittoria elettorale ed, in questo suo modo di procedere, ha messo in seconda posizione ogni normativa riguardante il ruolo di un candidato compromesso....La vittoria per lui non sembra mai aver prezzo!

Nel Veneto la Moretti, ha avuto una grande mazzata. Riflesso del continuo processo di invalidazione di un consenso precedente... Sarebbe stato politicamente più etico chiudere il suo mandato europarlamentare...invece di prendersi gioco degli stessi elettori. Una Regione che ha visto, come era immaginabile, andare avanti con successo l'opera politica della Lega di Salvini, fin troppo osannata per motivi populistici di tutta evidenza.

Queste elezioni regionali hanno comunque messo in evidenza la tendenza continua della poca affluenza alle urne. Hanno ancora una volta dimostrato che esiste il partito nascosto dei non votanti e... sebbene lo stesso Premier abbia pronunciato parole (forse non del tutto corrette nel momento in cui sono state espresse) di una votazione che non avrebbe formulato alcuna attendibilità al suo operato governativo, la realtà è apparsa proprio opposta: Quando la metà degli aventi diritto non va a votare, sia che si tratti di elezioni regionali o politiche nazionali, esiste anzitutto una certezza: La convinzione di non condividere alcuna governabilità, soprattuto nel contesto odierno in cui le nuove riforme hanno messo in disamina le stesse regioni fornendo loro nuove riorganizzazioni definite proprio da un sistema a trazione governativa.

Poco importa il cinque a due od il sei a uno...quello che oggi dovrebbe essere veramente messo in discussione è l'allontanamento della enorme massa di aventi diritto al voto che di certo non possono aver apprezzato né le nuove riforme..nè il nuovo sistema elettorale nazionale promosso attraverso l'infelice “Italicum”. Ridicola inoltre (oltre che poco rispettosa nei confronti di una donna) la nuova regola imposta da alcune regioni dove un candidato nel possibile ballottaggio deve essere di altra specie..Come dire che non esiste alcun principio di merito e che il genere femminile ha bisogno di essere supportato da idioti principi e non da vere capacità.

A conti fatti quasi un elettore su due ha scelto di non andare a votare. Undici punti in meno rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare il 64,1% degli aventi diritto.