11 giu 2015

un appunto al nuovo articolo del consigliere Cacopardo su Obama e diplomazia Europea

Ha ragione Domenico ..ma sembra addirittura che l'America cerchi un qualsiasi pretesto per provocare qualche atto di guerra in un territorio che non gli è mai appartenuto. Non credo che noi italiani , con tutto il rispetto che si deve per l'aiuto ricevuto nel passato, possiamo ancora restare legati e vincolati alle teorie imperialiste e spesso assolute degli USA. Che sia Obama la maggiore bufala.. non ci possono essere più dubbi...come non ci possono essere dubbi sulle azioni di difesa di Putin di fronte ad una certa arroganza espressa sul caso Ucraina: Problema diplomatico che si sarebbe dovuto affrontare con maggior equilibrio e con la fondatezza di una conoscenza storica territoriale meno approssimativa.
Questa Europa che si trascina al servilismo di una America tanto lontana dai veri problemi oggi esistenti, è l'emblema di una Comunità che rimane incapace di trovare soluzioni diplomatiche più efficaci ed utili persino a se stessa.
La verità sull'Ucraina (problema che sembra riaccendersi) è complessa e la responsabilità non può pesare sulle necessarie tutele operate dalla politica di Putin a difesa dei terrirori che più gli sono consimili per storia, cultura ed interessi economici.
Sembrano comunque volersi volutamente nascondere alcuni fatti essenziali avvenuti circa un anno fa quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.
Di sicuro in quella data a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le forze di opposizione, ma successivamente la notizia fu smentita e poi... come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno. Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di Janukovich.
Appare certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, ma determinati da forze diverse. Avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est.
vincenzo cacopardo



È Obama la bufala maggiore che ci sia in circolazione, ma gli europei si sono comportati con lui, al G7 bavarese, come se avessero l’anello al naso.
Non c’è nessuno, negli ambienti che contano delle capitali dell’Europa allargata, che abbia creduto alle notizie diffuse dalla Cia, il servizio segreto meno credibile del mondo, noto per le bugie distribuite in giro (le armi chimiche di Saddam, per esempio), sull’aggravarsi della tensione in Ucraina a opera delle milizie filorusse. Anche perché lo zar del Cremlino è dotato di un riconosciuto «esprit de geometrie» che lo induce, anche quando compie scelte forti e dure, a ragionare sulle situazioni e sulle mosse da compiere. Non era certo nell’interesse suo e della Russia venirsene fuori con incidenti sanguinosi alla vigilia del G7, diventato 7 dopo la sua espulsione.
Interessava solo al provvisorio ospite della Casa Bianca, ai padroni americani del business energetico e al loro rappresentante nello scacchiere, il presidente golpista Poroshenko, presentarsi al vertice accompagnati dal coro della stampa occidentale che denunciava l’irresponsabile aggravamento della crisi che inchioda l’Ucraina a un destino non inatteso, quello del territorio conteso tra Occidente e Oriente.
È utile ricordare brevemente il succedersi degli eventi.
L’Ucraina viene governata, dopo molti sussulti provocati dai filorussi e dai filoamericani, da Yanukovich, regolarmente eletto. Un equilibrista, questo presidente, in bilico tra le contrastanti esigenze dei suoi cittadini e, comunque, percepito come non ostile a Mosca. La cosa non va bene a Washington, a Berlino e allo schieramento di stati exsovietici che nutrono folli sentimenti revanscisti nell’era atomica (Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia). Perciò si organizza un golpe, contando sulla forza dei gruppi neonazisti, sorti nell’ultimo decennio sulle macerie del passato.
Il golpe ha successo e porta al potere Poroshenko, un ucraino molto amerikano.
L’idea, di certo irrealistica, è quella di spostare l’Ucraina nel campo americano, completando lo schieramento all’Est dell’Europa, dal Nord finlandese sino alla Crimea.
Che l’operazione sia stata considerata ostile dalla Russia non è una sorpresa, solo una logica ineluttabile conseguenza.
Come ovunque nel mondo, Obama mostra le proprie irreparabili manchevolezze di visione e di leadership, aprendo fronti che sistematicamente gli si rivoltano contro.
Anche dal punto di vista militare, la situazione è grave e insostenibile, almeno per noi europei: sulla linea che va dal mare Baltico al mar Nero volano gli «strikers» occidentali (cacciabombiardieri, all’occorrenza atomici) in missione di sorveglianza e di prevenzione.
E allora, ci si sorprende che la Russia abbia dato il via all’aggiornamento del proprio armamento missilistico a medio raggio, cioè antieuropeo? Non lo si immaginava?
Nel concreto la questione, sfrondata dei demenziali progetti strategici di Obama, è la seguente: il confronto-scontro, trasferitosi sul terreno economico, significa un drastico azzeramento dell’interscambio Europa-Russia, stimato, prima della crisi, in 250 miliardi di euro (con una importante quota italiana). 

Se si volesse allentare la tensione in vista di un «appeasement», la strada giusta sarebbe approfondire e allargare i rapporti economici, rendendo la Russia sempre più legata all’Unione europea e, quindi, sulla via di un solido ancoraggio all’Occidente.
La politica di Obama, passivamente accettata dalla Germania (e dall’Unione) invece ha provocato lo spostamento dell’asse politico russo sulla Cina, con la quale è stato definito il più grande accordo di cooperazione commerciale della storia del mondo.
Ora, in Baviera, dopo la faccia feroce del presidente americano, sembra abbia avuto il via una nuova fase di maggiori sanzioni. Una linea che, in realtà, a questo punto significa solo che il prezzo delle sanzioni sarà pagato dalle economie di esportazione dell’Unione, le vere destinatarie dell’embargo.
Quanto alla questione libica, si potrebbe dire: «Non pervenuta.»
Si nota, per il contesto Mediterraneo, l’assenza di peso di Matteo Renzi, incapace di affermare un qualsiasi ruolo dell’Italia, nè sul fronte «caos libico», né su quello caldissimo delle migrazioni.
E dire che il disastro libico è tutto da attribuire agli Stati Uniti e alla Francia (Sarkozy), all’inseguimento, quest’ultima, della estromissione italiana e della sua sostituzione.
Non sarebbero questi due buoni motivi per rifiutare il ruolo di «fedele amico dell’uomo», quello che riceve il primo calcio in bocca?
No, non è bastato. Il giovane e inconsapevole primo ministro italiano se ne è uscito con una breve filippica contro il governo dell’epoca (Berlusconi) per la partecipazione all’operazione bombardamenti in Libia, dimenticando che, a quel tempo, l’Italia fu estremamente riluttante e che l’interventismo autolesionista fu fortemente caldeggiato dalla sua parte politica e dalla grande stampa, più attenta agli interessi transalpini che a quelli nazionali.
Sul dossier russo, invece, il nostro «premier» ha adottato la linea «coraggio con prudenza»: a Washington aveva detto a Obama che l’Italia non avrebbe rotto la solidarietà occidentale. In Germania ha, sostanzialmente taciuto, rinviando il suo discorso a ieri, alla visita di Putin all’Expo, a Mattarella e a lui medesimo. Nella speranza di ritagliarsi un ruolo privilegiato nei rapporti con l’ancora potente orso dell’Est e di ottenere un qualche consenso per le iniziative possibili in Libia.
Uno spiraglio, anche minimo, di autonomia che si sarebbe potuto ben altrimenti spendere al G7.
Domenico Cacopardo

Umberto Eco.. e i social


Secondo Umberto Eco "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”.

Parola di Umberto Eco che attacca così internet dopo aver ricevuto all’Università di Torino la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”. “Prima – ha detto Eco - parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli".
Per il premio Nobel il web sarebbe un vero e proprio “dramma” perché promuoverebbe “lo scemo del villaggio a detentore della verità”. La struttura di internet, secondo Eco, favorirebbe infatti il proliferare di bufale. E in proposito ha affermato anche che il ruolo dei giornali in tal senso è importante perché dovrebbero “filtrare con équipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno". Per fare questo “i giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all'analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi”, ha detto Eco riferendosi al fenomeno della copiatura dal web.
Per il professore e premio Nobel la laurea honoris causa è stata un ritorno alle origini. Proprio qui, infatti, anel 1954 si era laureato in Filosofia. “La seconda volta nella stessa università, pare sia legittimo, anche se avrei preferito una laurea in fisica nucleare o in matematica", ha scherzato Eco.


Queste.. del professore Eco ..sono parole che potrebbero anche condividersi, se non fosse che tendono.. solitamente.. a fare di tutta l'erba un fascio: La comunicazione offerta da questi strumenti sembra concedere, anche se con qualche evidente “dramma offerto dallo scemo del villaggio a detentore della verità”, la possibilità di scambiare opinioni e conoscenze attraverso pensieri e culture diverse che prima potevamo sognarci. 

Una invenzione straordinaria che, se contenuta in parametri di equilibrio, mira a scoprire il pensiero dei tanti e mette in evidenza storture e deformazioni di una società che prima tendeva a nascondere certe verità: Quanta conoscenza viene fuori dallo scambio del pensiero e dalle informazioni che tali mezzi ti consentono? In certi casi vengono fuori anche commenti migliori di quelli offeri da alcuni giornalisti compromessi!

Naturalmente il discorso del noto e valente professore.. tende a mettere in risalto solo le storture, a volte di cattivissimo gusto.. ed altre persino pericolose, che determinano tali strumenti.. e su questo non si può che restare d'accordo: in tal caso, per alcuni casi, occorrerebbero regole più rigide. Ma resta soprendente che una personalità.. come quella di Eco, non trovi anche il lato positivo che offrono tali strumenti di scambio.. dando vita ad una conoscenza che prima restava sommersa e che perdurava solo in mano ai pochi “Media” spesso manovrati da Lobbjes e poteri forti.

Mentre al bar..tra una poesia ed un dialogo.. si sorseggiavano i bicchieri di vino... i poteri forti potevano nascondere certe verità che oggi, grazie ai social, sembrano venire a galla!
vincenzo cacopardo


Una nota aggiuntiva all'opinione di Gaetano Armao sulla” Sicilia che ha già dato”.....


L'opinione di Armao centra il vero problema che sta impegnando la nostra isola in una gara di resistenza che non può più essere contenuta. I nostri centri scoppiano, mentre il resto della nostra Nazione ha sonnecchiato di fronte ad una problematica devastante in termini di vivibilità sociale: Era chiaro che lo stesso governo avrebbe già da tempo dovuto prevedere una simile affluenza ed una logica sofferenza da parte della nostra Sicilia. Al di là di ogni politica senza scrupoli che ha continuato a speculare in modo orrendo sulla già difficile opera di mantenimento degli extracomunitari, quello che oggi sorprende è la strafottenza nei riguardi delle evidenti difficoltà della nostra isola trovatasi di fronte ad una tragedia che non potrà più reggere e sopportare per l'evidente afflusso di migranti. La Sicilia rimane piegata nella drammatica crisi che la sta coinvolgendo e come giustamente afferma Armao strabocca di immigrati senza lavoro, occupati in attività illegali, privi di garanzie sanitarie e sociali, alla mercé della criminalità e del malaffare” 

La nuova strategia “Triton” in alternativa a “Mare nostrum”, continua a generare incidenti mortali senza sosta e la politica, sia quella nazionale che quella europea, appare inerte di fronte alle catastrofi annunciate ed alla sequela della morie al largo delle coste del nostro Paese. Ma è proprio l'ipocrisia il maggior peccato di chi insiste col mostrare retoricamente dolore per queste stragi che non potevano non essere annunciate da un andazzo indolente ed inoperoso di una politica internazionale rimasta lontana da quello che oggi rappresenta uno dei temi più scottanti nel quadro dei paesi del mediterraneo.

Certo..le soluzioni non risultano semplici, ma non vi possono essere equivoci sul fatto che il tempo trascorso e la poca importanza messavi, ha contribuito a far degenerare il problema in un dramma soprattutto per la nostra isola. L'agenzia europea Frontex (per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea) è un'istituzione che non può mai operare preventivamente per risolvere il vero problema...quando questo alla radice è proprio quello di bloccare sul nascere queste partenze. Nel frangente la nostra Nazione e soprattutto la nostra isola.. si sono mossi, spinti da un particolare senso umano, a protezione delle vite dei tanti emigranti (clandestini o no)..

Ma anche la politica della nostra stessa Regione, nella figura del suo Presidente.. non sembra aver dimostrato carattere e capacità, né un minimo di lungimiranza. Non si è imposta con grinta e determinazione nei confronti del governo.. ricercando come al solito la abituale via più facile dell'accompagnamento nei centri d'accoglienza con rischi e pericoli.. oggi.. sempre più evidenti. In ciò..non si può, quindi, che condividere la critica di Armao verso l'ineguatezza e l'incapacità di difendere la sicurezza dei territori dell'isola

Di fronte alla politica governativa del Paese.. che poco ha offerto allo sviluppo del Mezzogiorno...la Sicilia pare aver dato fin troppo..
Vincenzo cacopardo


"Bisogna subito correggere i parametri”

La Sicilia ha già dato. L’isola ospita oltre 16.000 persone tra centri di accoglienza, Cara e Sprar: quasi un quinto dell’intero Paese. Dobbiamo chiedere non solo di ripartire immediatamente i migranti tra le Regioni, ma di farlo su parametri che tengano conto oltre che della popolazione, anche della ricchezza, della capacità di assorbire coloro tra questi che resteranno nel mercato del lavoro. E questo senza compromettere i vincoli di solidarietà umana.
Con diversi e più corretti parametri la Sicilia dovrebbe accogliere poco più della metà dei migranti.Altro che la manfrine di questi giorni tra Regioni del Nord e del Sud, condizionati da interessi della politica senza scrupoli che gestisce la miseria. I Paesi europei chiudono le frontiere, le Regioni italiane del Nord rifiutano il trasferimento di migranti, e così città e paesi della Sicilia – già provati da una crisi drammatica che toglie lavoro ai siciliani e fa scappare le migliori capacità –straboccano di immigrati senza lavoro, occupati in attività illegali, privi di garanzie sanitarie e sociali, alla mercé della criminalità e del malaffare (anche di quello istituzionalizzato, a quanto pare…).
È vero che la gran parte dei migranti va poi verso altri Paesi d’Europa, ma molti restano ed appesantiscono il carico sociale ed economico di disoccupazione, fame e disperazione dei territori siciliani. Nei prossimi anni, secondo le stime di Frontex (l’Agenzia europea per le migrazioni), milioni, sì milioni, di persone cercheranno di sbarcare in Sicilia e nel sud del Paese
Che misure si stanno prendendo di fronte ad una migrazione di queste immani proporzioni? Per evitare che la Sicilia diventi un enorme ammortizzatore della incapacità europea di affrontare la mutazione dei rapporti tra Europa ed Africa? La Regione, anche in questa vicenda, ha dimostrato l’inadeguatezza dei suoi vertici, l’incapacità di difendere gli interessi dei siciliani e di garantirne anche la sola sicurezza, la remissività verso ogni “vessazione” imposta da Roma.
La vicenda dei migranti evidenzia anche l’incapacità del Governo nazionale ad affrontare questo dramma epocale sia internamente che a livello europeo (a cosa sia servito il semestre di presidenza italiana Ue a questo riguardo è più che lecito chiederlo ) ed a reprimere il crescente malaffare che connota la gestione dell’accoglienza.
Dal Governo statale, che amministra l’irrilevanza dell’Italia nel contesto europeo e dal suo omologo regionale esecutore dei voleri del primo, quando non ne risulta addirittura commissariato, i siciliani pretendano risposte immediate. Oggi è in gioco non solo la dignità della Sicilia, ma sopratutto la sua sicurezza ed il futuro dei suoi figli.
Gaetano Armao

10 giu 2015

Sull'immunità parlamentare... di Domenico Cacopardo


Sembra che il 2015 sia l’anno zero della Repubblica: un po’ la «naitivité» del personale politico inventato da Bersani, un po’ la banda sciamannata condotta da Grillo&Casalegno in Parlamento, un po’ la rimozione della storia di cui il «premier» Matteo Renzi è portatore, tutto contribuisce all’approssimazione e al dilettantismo istituzionale.

A rompere il dilettantismo, interviene Giampiero Buonomo, valoroso consigliere parlamentare nel Senato, con «Lo scudo di cartone», Rubettino editore, che sarà presentato nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera, in via di Campo Marzio 78 lunedì 8 giugno alle 17 con Giovanni Crema e Marco Follini, già presidenti della Giunta immunitaria (dall’estate dei “furbetti del quartierino” al voto sul caso Ruby) e con Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma. Moderatrice Fiorenza Sarzanini, giornalista del Corriere della sera.
La monografia potrebbe anche intitolarsi «Dal dogma della sovranità parlamentare alla modernità dello Stato di diritto».
La questione è attuale perché riguarda i cruciali rapporti tra giustizia e politica, che hanno perso il loro equilibrio costituzionale per la continua erosione delle prerogative parlamentari e dell’affermarsi di un generale rifiuto delle stesse, considerate privilegio di persone ingiustamente beneficate.
Sottovalutato il valore etico e politico dell’immunità, si è arrivati a entrare nel merito di scelte specifiche, rilevando improprie o illegali induzioni delle stesse: un’operazione che dovrebbe essere riservata ai medesimi organi parlamentari, non a un soggetto esterno, espressione di un diverso potere peraltro dotato della «forza» (polizia giudiziaria e un improprio, acritico supporto mediatico).
Buonomo, con il suo volume, sviscera il problema, partendo dalle sentenze della Corte costituzionale per arrivare a definire una linea di confine tra le contrastanti posizioni del Parlamento e della magistratura: insomma l’operatività del duplice concetto, quasi un’endiadi, di inviolabilità e garanzie.
Buonomo entra nel merito di questioni «calde» e recenti come il processo per la compravendita del senatore De Gregorio, la responsabilità del direttore di un giornale che pubblica le dichiarazioni di un parlamentare, la discussa perquisizione della sede della Lega Nord in via Bellerio, le visite di parlamentari a carceri o caserme, le intercettazioni telefoniche a carico di utenze intestate a un deputato o a un senatore, il lodo Alfano e l’autonomia giudiziaria, detta autodichia.
È interessante l’«affaire» Lega Nord per la perquisizione di via Bellerio. Nel 2004, la Corte costituzionale aveva affermato che la prerogativa costituzionale dell’inviolabilità personale e del domicilio comprendeva gli spazi ulteriori identificabili come tale (domicilio). La Cassazione, nel 2009, s’era adeguata. Sulla vertenza apertasi per la perquisizione di via Bellerio la parola fine venne quindi messa dalla Corte costituzionale che ribadì che l’autorità giudiziaria non aveva l’autorità di farla eseguire, in quanto «luogo di fatto adibito a ufficio», se non dopo autorizzazione a procedere della Camera dei deputati.
Buonomo esamina anche, in punto di diritto, il procedimento per corruzione e finanziamento illecito di partiti nei confronti del deputato Silvio Berlusconi per il caso De Gregorio. Qui, emerge la discutibile idea giudiziaria dell’insussistenza della tutela costituzionale del «cieco arbitrio del parlamentare».
Rimane sullo sfondo, il mutamento delle sensibilità popolari, sempre meno attente alle garanzie, sempre più desiderose di giustizia purché sia, anche quando essa contraddice i principi storici della società democratica e dello Stato di diritto.
Insomma, una lettura risolutiva, scevra da pregiudizi parlamentaristi o antiparlamentaristi, idonea a consegnare ai lettori un’affidabile bussola per esprimere un giudizio consapevole su quanto sta accadendo sul piano dell’attuazione della Costituzione nel delicato campo delle prerogative e dei doveri dei componenti delle camere.
Domenico Cacopardo








il "verso" non mutato del Paese

i profusi selfie di un premier vanitoso
di vincenzo cacopardo

Si sbagliano tutti coloro i quali pensano ancora che con la sola forza di un determinato pragmatismo e con la prosopopea sempre dimostrata dal sindaco d'Italia.. si potrebbe raggiungere un utile risultato.

La questione non è proprio quella che: “in fondo...a differenza di altri.. ci ha provato!”..come molti hanno continuato a ripetere! L'argomento politico si è sempre presentato delicato e sarebbe stato necessario affrontarlo con molta più umiltà e maggiore deferenza nei riguardi dei cittadini. Più sensibilità nei riguardi dei principi stessi della democrazia..meno forzature contrapposte...maggiore delicatezza nei riguardi dei principi di egualità ed equità..meno appariscenza, insomma...meno selfie ed abbracci e più impegno verso l'innovazione e le idee.

Non si trattava solo di rimanere estraneo al rito stantio dei partiti del passato, ma di operare con meno fretta e semplificazione, poiché la logica del solo pragmatismo non potrà mai essere vincente, ma solo integrativa alle idee: Nel caso di Renzi..quelle poche idee sembrano aver fatto acqua. E' più di un anno che il mio Forum ..anche attraverso il collaborativo scambio con il pensiero e le analisi di Domenico Cacopardo, ha messo in serio dubbio l'operato fin troppo arrogante e presuntuoso percorso dal giovane premier.

Dov'è si è mai messa in evidenza quella sensibilità che doveva guidare la sua figura con maggior modestia e con più impegno da vero statista nel dialogo con gli altri Partiti? Tutto ciò che Renzi ha fatto è stato per lo più suggerito dalle forze politiche ed economiche europee.. non dimostrando alcun vero rispetto per la cultura, il pensiero ed il mondo imprenditoriale del nostro Paese. ..Si è adattato ad un sistema globale senza il minimo sforzo di fornire un contributo di cambiamento che avrebbe potuto rendere allo stesso sistema un barlume di innovazione (la semplificazione non è innovazione)...Eppure siamo il Paese delle idee..siamo definiti i più grandi creatori... dovremmo dettare concetti qualitativi eccellenti.. più che presunzione e pragmatismo.

Adesso che siamo alla prova dei fatti saltano in evidenza le crepature di un processo di falso cambiamento da lui voluto ed imposto anche per mancanza di altre figure politiche più capaci. Più che i molti a sperarci ..sono stati in troppi costretti a fare affidamento su una figura che si è mossa con gran capacità di comunicazione.. e con una dose abbondante di “paraculismo” che ha finito anch'essa con lo stancare. Strano che Domenico non abbia intuito prima quanto avrebbe potuto nuocere alla politica una personalità talmente ambiziosa quanto poco rispettosa di un processo si cambiamento che avrebbe dovuto sostenersi con maggior sensibilità: un finale che si intravede.. ma che ancora deve vedere un "verso" nel suo epilogo.

Non è esponendosi con machiavellico pensiero che oggi si possono affrontare le enormi questioni riguardanti la politica sociale del Paese, né con la retorica sterile della rottamazione, ma forse con maggior platonica visione verso le congetture, le idee e le analisi... Non sempre può esservi un fine che giustifica i mezzi! Oggi la politica tende a muoversi di frequente e con prepotenza, in questa comune e semplificativa logica, mortificandosi nell‘uso dei mezzi più disperati ed assurdi e Renzi ne rappresenta l'emblema.
Vincenzo cacopardo



scrive Domenico Cacopardo su Italia Oggi

Molti ci avevano sperato: il politico giovane, innovatore, estraneo al rito stantio dei partiti -e del suo, il Pd, in particolare-, portatore di una visione pragmatica che avrebbe riavvicinato l’Italia alle nazioni più avanzate, era la persona che poteva, effettivamente, cambiare verso al nostro Paese.
Anche la cinica spregiudicatezza mostrata in varie circostanze, a partire da «Stai tranquillom Enrico!», sembrava militare a favore di questo giovanotto, ex-scout, proveniente dal vivaio delle sagrestie.
Certo, sbagliava i riferimenti, per esempio La Pira, tutto il contrario di quello che serve ora e qui, o Berlinguer o Moro, ma gli si perdonava l’ignoranza della storia e dei fondamentali come la manifestazione di un rinnovamento «tout-court», slegato dal passato e, perciò, più libero nell’approccio alla contemporaneità.
Un sintomo s’era subito manifestato, però, con la demagogica distribuzione di 80 euro ad alcune categorie di indigenti (non i più indigenti, per il vero): una scelta inutile, per l’esiguità del beneficio, e dannosa per il peso sulla finanza pubblica. Già, nonostante il galantuomo Padoan, troppo galantuomo all’evidenza, la strada scelta dal primo ministro archiviava una politica economica sparagnina e si dirigeva verso l’aumento del deficit (e quindi del debito). Nei limiti del 3% concessoci naturalmente, ma sull’osservanza reale degli stessi, molti dubbi albergano nella testa degli esperti.
Altri sintomi si sono manifestati in corso d’opera: il dilettantismo internazionale, con un semestre europeo che, a dispetto delle promesse mirabolanti, non poteva essere più deludente, il dilettantismo governativo, con ministri inidonei a svolgere anche l’incarico di amministratore di condominio, con «comis» scelti nel giardino di casa, come la comandante dei vigili urbani di Firenze, e il «city manager» di Reggio Emilia.
Però il piglio era deciso e, su alcune questioni cruciali, come le riforme istituzionali (monocameralismo sostanziale, riforma del titolo V, legge elettorale), il «jobs act» o la scuola, intransigente, tanto da accettare lo scontro con un pezzo del suo medesimo partito.
Le cose andavano meno bene, anzi male, sul fronte della pubblica Amministrazione con una finta riforma, e persino sulle misure di rilancio, un pasticcio di idee con scarse possibilità di attuazione.
Sul fronte morale (nel quale, la nomina a dirigente nella discussa azienda paterna sembrava insignificante pagliuzza) Matteo Renzi era altrettanto deciso: dimissionati il sottosegretario Gentile (Ncd) per pressioni sul giornale L’ora della Calabria, il ministro De Gerolamo (Ncd), tirata in ballo da intercettazioni tra estranei, non indagata, e il ministro Lupi (Ncd), per rapporti non trasparenti con l’imprenditore Perotti, non indagato.
Insomma, la moglie di Cesare non deve essere nemmeno sfiorata dal sospetto.
Però, nel suo partito, il rinnovamento si arrestava: le candidature alle presidenze regionale erano riportabili al passato e ai legami con l’antica nomenklatura, anche se tutti i soggetti (come del resto il bersaniano presidente dell’Emilia-Romagna) erano renziani di accatto o di rinforzo.
Ma sulla questione morale, l’intransigenza si fermava di fronte al Pd, per una scelta «À la carte».
In Sicilia, nessuna reazione al caso Genovese, anche se il deputato arrestato era il fondamentale cardine del renzismo isolano.
Poi Roma, con Mafia capitale. Si nomina un commissario al partito, Matteo Orfini e si decide di difendere il sindaco della capitale, Marino, quello della Panda in divieto di sosta. Sino ai nostri giorni, quando Mafia capitale si allarga coinvolgendo uomini del nuovo corso (provenienti dal vecchio) eletti con Marino anche nella lista da lui medesimo creata. Matteo Renzi, nel fine settimana, va al festival di Repubblica, a Genova, e ribadisce: pulizia nel partito e a Roma, ma Marino non si tocca.
Una evidente sottovalutazione di quanto sta accadendo non solo nella procura della Repubblica di Roma, ma in giro per l’Italia, dove la pubblica opinione che l’ha premiato alle europee è indignata dalla sua insensibilità sul fatto più eclatante della storia del malaffare di questi anni.
A parte la geometria variabile (la gente dell’Ncd trattata in modo ben diverso da quella del Pd), risulta stupefacente il crollo improvviso del «feeling» con una parte cospicua di italiani e la crisi della sua straordinaria capacità comunicazionale.
Già, in modo freudiano, mentre si annuncia il sostegno «usque ad finem» di Marino, si dispongono gli stanziamenti per il Giubileo, somme ingenti che saranno gestite dalla medesima amministrazione scossa nelle fondamenta dallo scandalo.
Intanto, le minoranze del Pd sono diventate carsiche: non si vedono, non si sentono, non si ascoltano. Non sarà che, richiamandosi al vecchio che resiste, esse hanno da temere dall’avanzata della legalità a Roma? Perché Matteo Renzi non approfitta della situazione e regola i conti con loro? Perché si trincera nella difesa dell’indifendibile, lui come tanti predecessori, legati a un equilibrio partitico di cui è parte il malaffare dalle Alpi al Lilibeo? Perché non chiarisce l’entità del contributo versato dall’inquisito Buzzi alla cena nella quale partecipava anche lui?
Ognuno ha le sue risposte a questi vitali quesiti. Quello che è certo è che «hic et nunc», Renzi ha perso il carisma del rinnovatore (e del moralizzatore, se mai l’ha avuto).
Da oggi avremo di fronte un ennesimo governo boccheggiante, incapace di tracciare il solco insuperabile tra legalità e illegalità che il Paese pretende come premessa indispensabile della sua ripresa morale, politica ed economica. Un ennesimo governo di mezze figure, con un «premier» troppo rapidamente trasformatosi nella caricatura di se stesso.
Domenico Cacopardo


Francesco..il Papa tra apparizioni e identità

di vincenzo cacopardo

Ancora un puntuale messaggio offerto da Papa Francesco su apparizioni e veggenti. Ne parla all'omelia della messa a Santa Marta criticando "quelli che sempre hanno bisogno di novità dell'identità cristiana”

Il suo orientamento in proposito alle apparizioni... lo aveva già preannunciato di ritorno da Sarajevo. Ai giornalisti, aveva dato spiegazioni e sullo specifico problema di Medjugorje, dichiarando che già Papa Benedetto XVI, aveva messo sù una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini.. con la presenza di altri cardinali e teologi: Aveva ammesso che lo stesso cardinale Ruini, dopo qualche anno gli avrebbe consegnato lo studio, da lui stesso ritenuto un ottimo lavoro. Già da allora.. il pontefice dichiarava che si sarebbero dovute prendere delle decisioni, ma non immediate... ed aveva dato soltanto alcuni vaghi orientamenti ai vescovi sulla direzione.

Oggi, Francesco sembra aver corretto questa interpretazione, facendo una dichiarazione più chiara e netta in proposito.

Nei suoi passaggi dell'omelia, il Pontefice ha messo in guardia da chi vuole trasformare il cristianesimo in una "bella idea", come chi ha invece sempre bisogno "di novità dell'identità". In tal modo ha ribattuto sulla evidente possibilità di un rischio per la testimonianza cristiana, affermando che questa religione non potrà mai essere tanto leggera da essere indebolita per comodità o per allargare ogni coscienza ed infilarvi di tutto.

Per rafforzare questo suo pensiero Francesco si affida alle parole di San Paolo ai Corinzi dove parla dell' “identità” dei discepoli di Cristo. Ed è proprio su questa forza, legata all'identità, che il Pontefice si sofferma stigmatizzando il bisogno: Per l'umile pastore cristiano questa identità rimane un dono di Dio.

Un altra pietra miliare nel percorso di innovazione evangelica proposta con umanità e saggezza da un Pastore della Chiesa cattolica che vive il suo tempo e che avanza in mezzo ad una serie di anomalie ecclesiastiche che nel passato hanno dato origine a discussioni..  allontando molti di coloro che hanno sempre avuto voglia di credere...Finalmente una posizione decisa di chi dimostra di amare il suo credo e l'identità stessa del suo popolo di credenti.

Francesco apre una porta d'ingresso a tutti coloro che hanno sempre manifestato dubbi sulle surreali interpretazioni delle false visioni... e chiude il portone a chi approfitta di queste per allargare la propria coscienza ed inserirvi di tutto. 

9 giu 2015

compromessi ed alterazioni..

di vincenzo cacopardo

Sembra che persino gli stipendi dei dipendenti del Pd di settembre 2014 sarebbero stati pagati con i soldi di Salvatore Buzzi e Carminati. L'informativa è dei carabinieri ROS. 

Questa è la singolare circostanza emersa dagli atti dell’inchiesta dei magistrati romani sugli affari gestiti dal gruppo guidato dallo stesso Buzzi e da Massimo Carminati. Fra l’imprenditore delle cooperative sociali e il Pd il rapporto sembra essersi costruito con tali caratteristiche.

Sono le ultime rivelazioni sull'inchiesta sugli immigrati e le cooperative.. che rischia di travolgere tutto il PD. Non si capisce se Renzi abbia chiarezza dell'importanza di queste notizie e l'impatto che esse avranno sul suo Partito. A questo punto pare anche impossibile che lo stesso Premier possa tirarsi fuori da certe responsabilità: Quando i fatti avvenivano era proprio lui il segretario..

Adesso anche il suo ruolo di Premier potrebbe essere compromesso!

Al di là di ogni considerazione ributtante.. oltre che singolare.. che ormai sembra non stupire oltre, quello che rimane incomprensibile sono le continue incertezze di una politica tendente ad accorpare i ruoli (premier -segretario di partito). Una concezione corrente che dimostra come un naturale conflitto generato da due cariche in un'unica figura rappresentativa, conduce ad impedimenti e storture che influiscono nei ruoli stessi producendo alterazioni. Da qui a poter indicare la consapevolezza o le possibili responsabilità di un premier..rimane difficile, tuttavia finisce col portare di sicuro sospetti e dubbi. Resta ancora una volta motivo di riflessione dividere con attenzione i ruoli e le responsabilità per evitare.. sia le influenze... che ogni altra sorta di equivoco.





8 giu 2015

Marino...l'onesto incapace..

di vincenzo cacopardo

All'ombra del caso Marino, si scorge con evidenza il necessario bisogno di un percorso di divisione dei ruoli ...

Il sindaco di Roma Marino è l'esempio tipico che dimostra come in politica l'onestà non è sufficiente: Poco importa avere una persona rettamente integra se poi non risulta capace di sostenere con impegno, con controllo e con prevenzione.. l'iter di una amministrazione!

Per anni si è sostenuto che attraverso un unico principio di onestà della figura che guidava un ente, un comune, una regione, si potesse procedere verso una retta via. Ma la via.. in politica, come in ogni disciplina, non può essere affidata unicamente alla rettitudine, richiede competenza, non può correre sugli unici binari della strada dell'integrità morale, poiché per logica un'Amministrazione pone problematiche diverse e tra loro differenti: Bisogna saper leggere in lungimiranza, saper approntare idee immediate e, soprattutto.. conoscere la materia amministrativa.. sapendo agire con prevenzione.

Questo è un altro motivo che dovrebbe guidare la politica verso una più chiara divisione dei ruoli. Il ruolo amministrativo deve per logica esser slegato e non congiunto ai Partiti. La figura amministrativa deve potersi scegliere non per Partito, ma per capacità e meriti. Di sicuro rimane indiscutibile e logica la sua corretta integrità, come, al contrario, rimane certo che.. questa.. se inserita in un Partito non potrà che restare compromessa.

Quella amministrativa è una politica che potremmo definire deduttiva e quindi slegata da ogni congettura teorica, ideologica o di interesse di consenso, deve quindi essere valutata per merito e capacità. Al contrario la politica dei Partiti può più liberamente spaziare in teorie e congetture tipiche di chi opera per ricercare in complicità con il cittadino. L'una spinge verso i programmi, l'altra realizza.

Un passo importante che le stesse forze politiche di questo nostro Paese sembrano sottovalutare.. Le conseguenze sono e restano le perenni anomalie!

una analisi sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo: Il caso De Luca

Puntualmente.. il consigliere Cacopardo, trova modo e motivi per affrontare una questione che.. già da tempo.. si sarebbe dovuta esaminare con prudenza.. non esponendo figure compromesse ad una candidatura

Se nella fattispecie il reato è davvero lieve (sempre che di reato possa parlarsi) è anche vero che tutti i parlamentari nel passato hanno votato detta legge Severino che, nel bene o nel male, intendeva porre precisi limiti anche alla presentazione delle figure politiche: Una normativa che traeva il suo presupposto dagli allarmanti studi compiuti dall'UE e dall'OCSE in materia di corruzione e che dettava nuove cause ostative alle candidature negli enti locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica. Un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità a tutte le cariche pubbliche elettive.

Non era difficile, in Campania, tagliare questo nodo.. invece di imporre forzatamente Vincenzo De Luca alla presidenza della regione Campania, il quale non potrà insediarsi a causa della stessa legge. E' vero!..De Luca è stato condannato solo in primo grado per abuso d'ufficio... ma la cosa per la legge Severino provoca la sospensione immediata dall’incarico. 

In questi giorni si è molto discusso su come debba applicarsi la legge nel caso di un amministratore eletto ma non ancora insediato. Raffaele Cantone sostiene che De Luca dovrà avere per legge almeno il tempo di formare la giunta e nominare un vice-presidente a cui affidare l’incarico, in attesa del processo di appello del suo caso. Ma la domanda naturale è quella di chiedersi se la legge Severino debba essere interpretata come decadenza dall’incarico (come avvenuto in simili altri casi) ..sia che intervenga la Corte Costituzionale ..sia la stessa Avvocatura di Stato.

Al di là delle innate capacità di Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, secondo cui la legge Severino nel caso di De Luca agisce come una “sospensione” e non come una “decadenza”, resta davvero incomprensibile il fatto di come sia stata posta con ostinazione tale candidatura per una chiara volontà di opporsi ai limiti di una normativa in realtà voluta e votata dalla stramaggioranza della politica.

Qualcuno afferma che De Luca possa insediarsi, nominare la giunta e solo dopo essere sospeso per gli effetti della legge Severino: a quel punto la guida della Regione sarebbe assicurata dal vicepresidente scelto dallo stesso De Luca. Tutto ciò era sicuramente noto al premier Renzi che ha optato per una più sicura vittoria della regione.. non preoccupandosi di fomentare critiche e parecchi dubbi. Dimenticandosi, nella qualità di falso rottamatore, il principio delle “regole” di cui tanto si riempe la bocca.

Più che una anomalia quello che salta agli occhi in un fatto come ciò definisca una certa prepotenza da parte della politica di fare e disfare a piacimento e convenienza. Nella fattispecie... è inutile tergiversare: O si cambia la legge Severino o non si presentano tali candidati!

La Corte costituzionale ci dice : “È indubbio che la sospensione obbligatoria...integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del Presidente che gli preclude l’esercizio delle attribuzioni connesse alla carica… con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto”. Come è indubbio che nel recente passato i provvedimenti assunti dallo stesso premier Renzi in applicazione della legge Severino, hanno rispettato questi principi: Un esempio per tutti rimane il caso di un amministratore regionale coinvolto nello scandalo Mose, dove Palazzo Chigi ha dato atto che la interdizione retroagisce al momento in cui la incompatibilità si è determinata.

Il caso Campania si è rivelato un gran pasticcio istituzionale. Quello che stupisce non può essere il lieve reato in questione, quanto l'impudenza di dover prendersi gioco di una legge che, nel bene o nel male, è stata votata quasi all'unanimità da forze politiche che oggi sembrano trovare mille pretesti per non attuarla.
Vincenzo cacopardo



Si sta facendo strada una valutazione puntuale delle discutibili norme introdotte dall’avvocato Severino durante la sua discutibile «performance» al ministero della giustizia.
La «cacciarella» alle streghe imbastita dal vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (studente fuori corso nell’Università di Napoli, trasferito da Grillo alla Camera dei deputati e, quindi, alla vicepresidenza) deve arrestarsi di fronte alle fondate osservazioni del commissario anticorruzione Raffaele Cantone, uno che nell’Università di Napoli s’è laureato e che ha vinto un difficile concorso in magistratura, e del procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo (anche lui laureato e vincitore di concorso).
Convengono entrambi in una critica specifica alla Severino, a proposito della sospensione dell’exsindaco (sospeso) di Salerno, Vincenzo De Luca, appena eletto presidente della regione Campania: in sostanza, dicono i due alti magistrati di riconosciuta esperienza, nessuno può essere sospeso da una carica che non (ancora) ricopre.
Il clamore, quindi, suscitato dall’elezione, dalla proclamazione e dall’imminente insediamento deve placarsi in attesa che De Luca, integrato nell’incarico, costituisca la giunta e inizi l’attività amministrativa.
I richiami dei concorrenti, primo fra tutti, Stefano Caldoro, ma anche, nel solito modo scomposto e rumoroso, dei 5 Stelle, non riescono a scalfire le esigenze formali e sostanziali che la situazione legislativa impone senza incertezze.
Il medesimo argomento elettorale dell’inidoneità di De Luca alla candidatura (con il corollario dell’esternazione della Bindi in versione giacobina) viene meno: tutti hanno saputo che, una volta eletto e insediato nella presidenza, De Luca avrebbe subito una sospensione la cui sussistenza e durata sarebbe stata oggetto di uno specifico procedimento giudiziario.
Nonostante questo impedimento (non immediato) De Luca è stato votato da elettori pienamente consapevoli, tanto da vincere le elezioni. Un risultato derivante certo dagli eccellenti risultati ottenuti durante la sindacatura salernitana, ma anche per l’accentuata simpatia che gli ha procurato l’uscita di Rosy Bindi.
Ora, nell’ordine, ci saranno la ricognizione dell’avvenuta elezione, l’insediamento e la nomina di una giunta con l’indicazione di un vicepresidente. Subito dopo, il presidente del consiglio, cui compete l’onere della sospensione, assumerà il relativo provvedimento. De Luca farà un passo indietro lasciando l’onere di governare al suo vicepresidente e si rivolgerà all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo la decisione della Corte di cassazione che ha escluso la competenza dei Tar.
C’è una ragione precisa e incontestabile nella scelta della Cassazione: gli effetti di una sentenza debbono rimanere nell’orbita dell’autorità che l’ha comminata, anche se gli stessi si sono sostanziati in un atto amministrativo.
Questo fa emergere con chiarezza l’errore della Severino (peraltro, avvocato di chiara fama) e, soprattutto del Parlamento che ha approvato le norme: il compito di stabilire in ogni caso specifico le cosiddette pene accessorie spetta al giudice giudicante e solo a lui, che deve vigilare sulla loro attuazione, secondo i principi generali dell’ordinamento.
L’avere immaginato un meccanismo «juke box» per le stesse, introducendo un discutibile (e, probabilmente, incostituzionale) automatismo tra accertamento del reato e sospensione, può solo rispondere a una esigenza di popolarità politica, inconcepibile per un ministro «tecnico» di un governo «tecnico».
Ovviamente, la questione non rimarrà tal quale è, anche perché manca qualsiasi graduazione della pena accessoria, vigente anche per un reato residuale e minore come l’abuso d’ufficio.
Nel caso De Luca, una questione terminologica («project manager» invece di «coordinatore di progetto», insieme a un compenso nient’affatto faraonico) che difficilmente supererà il vaglio delle corti superiori.
Gli agitatori della pubblica opinione dovrebbero essere più cauti, giacché a furia di agitarsi anche contro i mulini a vento saranno credibili come gli urlatori di «Al lupo, al lupo!»
Domenico Cacopardo



6 giu 2015

L'"aria mefitica di Roma" di domenico Cacopardo

C’è un’aria mefitica per le vie di Roma, non per il persistente inquinamento da traffico automobilistico, ma soprattutto per le esalazioni provenienti dall’inquinamento morale che l’attraversa.
Quando pensiamo che questa città sarà la sede dell’anno santo straordinario indetto da papa Francesco e vorrebbe essere il luogo di una prossima Olimpiade («già si arrotano in denti per la possibile pantagruelica ‘magnata’»), un moto di indignazione nasce spontaneo, per lo spettacolo ora in scena, per gli attori che lo animano e per la «futura programmazione».
La questione «mafia capitale», infatti, con decine di arresti in vari campi politici sembra ridursi nelle accese polemiche di queste ore al dilemma «Marino sì» «Marino no». Certo, il sindaco ce ne mette di suo, quando sostiene che, in qualche modo, i successi investigativi del procuratore della Repubblica Pignatone, magistrato di lungo corso, proveniente da Palermo e Reggio Calabria, con esperienze specifiche in materia di criminalità organizzata, dipendono da lui medesimo, il primario che ha abbandonato il primariato americano per dedicarsi alla politica italiana, in un primo tempo, e poi romana.
La verità è che Roma deve essere risanata nel profondo, partendo dall’ultimo ufficio della polizia municipale nella più sperduta borgata e arrivando al fatale colle del Campidoglio. E che per farlo è necessaria la sospensione delle attività politico-amministrative e l’attribuzione delle stesse a un ente commissariale che per un periodo di almeno cinque anni provveda, mantenendo in piedi le attività di quotidiano interesse dei cittadini, a una profonda epurazione del tessuto burocratico cittadino.
Qualcosa di simile a ciò che fece il regno d’Italia inventando un Commissariato straordinario per Napoli che, con mutamenti nominalistici, governò il capoluogo campano sino al dopoguerra.
Appare ottuso e inconsapevole un atteggiamento volto a mantenere immutati gli assetti istituzionali del comune di Roma e della regione Lazio. Essi, soprattutto il secondo, sono strettamente legati al passato del Pd e alla nomenklatura che ne era responsabile, a partire da Bersani, al quale era anche molto legato il noto presidente della provincia di Milano, Penati.
La «tabula rasa» non è un cieco sparare nel mucchio. La «tabula rasa» è una misura di salute pubblica analoga a quelle che si è costretti ad adottare in presenza di focolai di grave infezione.
L’agitazione di Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario al partito romano, non coglie la necessità di chiudere in modo esemplare un capitolo, trasferendolo dal suo tavolo alla più vicina discarica. Finché non si renderà conto di questa irrinviabile necessità, lui e il suo partito continueranno a sprofondare nella melma nella quale un gruppo dirigente affarista e spregiudicato l’ha gettato.
Il medesimo discorso andrebbe rivolto anche ai responsabili di Forza Italia, di Fratelli d’Italia e del gruppo popolare che si riferisce a Tabacci: ma questi cosiddetti partiti sono ectoplasmi senza il fiato occorrente per compiere l’autocritica immediata che ci si aspetta da loro.
Diverso è il caso del Pd che di comune e regione ha la responsabilità attuale e al quale appartengono molti imputati eletti non nel passato remoto ma di recente nelle tornate che hanno portato al potere Marino e Zingaretti.
C’è qualcuno che dubiti che, per esempio, l’attuale prefetto di Roma, Franco Gabrielli farebbe meglio di qualsiasi sindaco in una contingenza come l’attuale? Del resto, sul tema del giubileo Gabrielli s’è mosso più e meglio di quanto non abbia fatto Marino o chiunque altro in città.
Prima che l’Italia si ritrovi con la faccia al muro nella temperie dell’anno santo, Matteo Renzi cerchi nel proprio «sentiment» ciò che serve: azzeri tutto. Commissari comune e regione e dia agli italiani la sensazione di una reale, drastica volontà di pulizia. Altrimenti il suo futuro politico nel governo e nel partito subirà l’appannamento in cui sperano la minoranza del Pd e gli avversari del nuovo corso.

Domenico Cacopardo