9 lug 2015

Una nota critica al nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Paradigmi da rimuovere..e nuove visioni funzionali
Che dobbiamo dunque fare ..eliminare i greci?...farli soccombere? Se così stanno le cose dovrebbe essere la stessa Commissione a cacciarli senza più perder tempo... ma guarda caso.. questa unione europea..non sembra per nulla decisa!
Quando Domenico scrive..(al di là delle sue evidenti capacità di esprimersi).. sembra viler fare apparire un mondo costretto a camminare su certi paradigmi..senza i quali..non vi può essere altra soluzione.
Ed è strano pensare che un Cacopardo, scrittore ormai di fama, con una chiara dose di percezione non usuale che guarda alle idee, resti bloccato da questa sua visione. E' proprio questa forma mentis perseverante a negare ogni possibilità di cambiamento, poiché il vero problema in realtà non è la Grecia, ma un modello economico finanziario che costringe ogni altra possibile evoluzione sia politica che di reale economia..anche nel nostro Paese.
Sbaglia chi sottolinea con enfasi e pietismo che... “i greci sono poveri disgraziati mentre i grassi europei non vogliono mettere mano al portafogli nemmeno per una elemosina.. e forse starà sbagliando anche Tsipras nella sua inadeguatezza a mediare e costruire un piano di risanamento più utile e convincente (pur nella evidente difficoltà ogettiva che limita i suoi spazi), ma quello che sicuramente si percepisce è il fallimento di un'Europa che si è voluta costruire attraverso un'unico piano delle risorse economiche finanziarie privo di un preventivo piano politico, storico e culturale, senza il quale sembra impossibile procedere oltre.
Quando una macchina funziona male è perfettamente inutile prendersela con chi la critica...fingendo di dimenticare gli errori del passato e quelli che ancora oggi persistono: Se la stampa si scatena a difesa dei più deboli e dei valori persi.. o meglio... smantellati dai principi di una economia che da un lato arricchisce e dall'altro impoverisce senza un rapporto di equità, non fa che operare a favore di una società, e se anche, come sostiene Domenico, sussiste una stampa subdola e manipolata, non potrà che passare in secondo piano rispetto alla ben più grave questione che vede oggi il disfacimento di una unione di Paesi cosi diversi e variegati.
La disinformazione a cui fa riferimento Domenico ..sia essa manipolata o no..passa di certo in secondo piano rispetto ad una questione fondamentale di chi pensa di usare il paraocchi per simulare valori come democrazia, equità, funzionamento, lungimiranza, integrità, equilibrio, qualità..etc...Valori che questa unione di Paesi, con simili presupposti, non potrà di certo edificare e portare avanti.
In quest'ottica procede anche l'opera di Matteo Renzi che col suo atteggiamento non ha saputo dimostrare una visione più lungimirante in favore del suo Paese e di una più logica costruzione di un'Europa, legandosi comodamente al barrocio dei più forti.. 
vincenzo cacopardo






Dallo Stato mite.. allo Stato imbelle

L’aspetto più inquietante dell’Italia attuale è la disinformazione distribuita a piene mani dai media nazionali, anche i più qualificati. Ieri, Il Corriere della sera, per esempio, ha pubblicato in prima pagina una vignetta di Giannelli che è un manifesto per la disinformazione «ufficiale» (già, secoli addietro, il Corriere era la voce ufficiale della borghesia in generale e milanese in particolare): rappresentava un medicante di fronte al quale passavano, indifferenti, Angela Merkel e compagnia bella. Giannelli, spesso mitico e più efficace di un editoriale, ha, quindi, detto ai lettori del Corriere: i greci sono poveri disgraziati e i grassi europei non vogliono mettere mano al portafogli nemmeno per un’elemosina.
Un’idea sbagliata e mistificatrice, visto che: il debitore è greco; l’Europa (con la partecipazione dell’Italia disastrata di questi tempi) ha erogato miliardi di aiuti; che la Grecia non vuol restituire quanto ricevuto né adottare le misure richieste dai creditori; che ieri Tsipras ha chiesto 7 miliardi di euro (nient’affatto un’elemosina) in attesa di un ennesimo mirabolante e vuoto piano di ripresa e risanamento.
Anche la Rai, in salsa Gubitosi, non è estranea alla disinformazione generale. A dire il vero, trattandosi di servizio pubblico, dovrebbe attenersi a un codice di terzietà informativa che non dovrebbe incidere sul diritto alle opinioni dei giornalisti, ma obbligarli a riferire i dati dei problemi che esaminano.
Il caso ha voluto che ieri mattina, mercoledì ascoltassi una trasmissione di radio Rai1.
Premetto che in tutta la trasmissione si sono usate le parole «migrante» e «profugo» come sinonimi, quando invece non lo sono né in fatto né in diritto. Se fossi maligno penserei che la confusione derivi da malafede. Siccome non sono maligno, credo che questa confusione abbia colpito i nostri «informatori» che la subiscono senza (dovere specifico della professione) avere mai controllato la semantica e la pratica migratoria.
I giornalisti hanno iniziato con Ventimiglia, spiegando che sugli scogli (artificiali) in prossimità del confine francese, rimangono ancora un certo numero di «irriducibili», che protestano contro le difficoltà di attraversare il confine, visto che le autorità francesi respingono chi non ha un permesso di soggiorno (italiano) né documenti (comportamento «dovuto», in base alla normativa europea) e che, a coloro che, invece, possiedono un permesso di soggiorno, chiedono di dimostrare la loro capacità di sopravvivenza in Francia (quattrini o parenti o regolare contratto di lavoro) (comportamento «dovuto» in base alla normativa francese e, anche, italiana, se qualcuno decidesse di rispettare la legge).
Il tono del cronista era scandalizzato, come se l’atteggiamento francese fosse da condannare come contrario al diritto dei popoli.
Hanno anche interrogato qualcuno di Ventimiglia sugli effetti della presenza di migranti-profughi rilevando: che danneggiano l’immagine (turistica) della città ligure e che non rappresentano un problema sanitario.
Il disturbo dell’immagine è sembrato una meschina pretesa di qualche sparuto cittadino, invece di una legittima esigenza socio-economica: un luogo turistico di mare «deve» tenere alla propria buona fama, per salvaguardare le attività turistiche.
Quanto al problema sanitario, era evidente che non tutto veniva detto. Di certo, gli occupanti degli scogli (artificiali) non solo stanno nelle tende (della Protezione civile, a quanto sembra) ma, non godendo di servizi igienici, utilizzano, per soddisfare le loro esigenze fisiche, il mare. Un inquinamento certo, quindi, dimenticato tra le righe dei preconcetti.
I giornalisti Rai hanno poi affrontato il caso di Enzo Canepa, una specie di pericoloso criminale eletto sindaco di Alassio.
Canepa ha adottato una delibera che impone ai vigili urbani di identificare le persone che dal punto di vista somatico sembrano provenire dall’Africa chiedendo un certificato sanitario che attesti l’assenza di malattie trasmissibili. Coloro che non ne sono in possesso saranno accompagnati ai confini (comunali) e, se ritornano, multati.
Il sindaco, intervistato, ha segnalato il timore e il pericolo rappresentato dai migranti provenienti da zone in cui ci sono malattie endemiche facilmente trasmissibili e, a titolo di esempio, ha segnalato il diffondersi di patologie polmonari virali. Per rispondere a Canepa, è stato intervistato un medico della Società italiana di medicina delle migrazioni che non ha smentito (né poteva) la possibile presenza di portatori sani di virus a diffusione endemica, ma ha invocato l’art. 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.» In realtà, Alassio non mette in discussione l’art. 32, ma ne dà una lettura effettuale, giacché al diritto alla salute corrisponde (per giurisprudenza costituzionale) un dovere alla salute, che si sostanzia in criteri difensivi e prudenziali del genere di quelli adottati.
Insomma, quello che l’ascoltatore traeva dall’informazione ammannita da mamma Rai, consisteva nella presenza in Liguria (come altrove) di persone tarate da razzismo e da comportamenti razzisti. La tesi è ricorrente, ma deforma la realtà.
Infatti, non c’è un obbligo d’elemosina, d’accoglienza, di carità. Si tratta di virtù che ognuno esercita liberamente quando vuole con chi vuole per chi vuole. Pensare di classificare gli italiani tra razzisti, da mettere all’indice (e poi al muro) e non razzisti è, prima che un falso, un errore che spinge verso atteggiamenti sempre più radicali. Se le «anime belle» credono di convincere e di vincere, si sbagliano: la criminalizzazione degli incerti e di coloro che temono i migranti condurrà il Paese a una spaccatura verticale, nella quale proprio le «anime belle» saranno sconfitte.
Infatti, i sentimenti che la migrazione biblica che ci ha investito può suscitare sono vari e tutti legittimi. Solo la violenza non è ammissibile.
La verità, peraltro, è che lo Stato italiano ha adottato da tempo un «diritto mite». I dimostranti occupano una strada e impediscono il libero esercizio della libertà di movimento? Invece di mandare la Guardia nazionale in assetto di guerra, come si usa negli Stati Uniti, quando diritti costituzionali vengono illegalmente violati, qui, la Polizia fa opera di convincimento.
Basta guardarsi in giro e osservare la situazione dell’ordine pubblico per capire quali disastri abbia prodotto in Italia un atteggiamento del genere.
Lo Stato da mite è diventato imbelle e complice.

Domenico Cacopardo

8 lug 2015

Il governoTsipras..e le logiche reazioni





L' analisi di Manlio Dinucci sulla “Grecia, l’ombra di «Prometeo” é del tutto condivisibile, poiché il problema ellenico (come già messo in evidenza da questo Forum) non può non essere visto in un'ottica di sistema : Un sistema capitalistico che reprime ogni possibile democrazia, ma persino ogni altra possibile espansione di una economia reale. E' quindi logico che questo referendum ha posto problemi al di là di una scelta del si o del no, mettendo sulla bilancia il peso di una politica che tocca interessi e strategie ben al di fuori di ogni contesto Europeo. Non è nemmeno difficile intuire quanto la svalutazione della moneta europea possa dar fastidio ad una economia americana per via dell'import export dei prodotti. Vi è poi il possibile avvicinamento di altre potenze straniere che potrebbero inserirsi in un contesto europeo compromettendo una appartenenza alla Nato della Grecia.

Secondo l'articolo di Dinucci..la tesi contrapposta di James Galbraith (docente di relazioni di governo e business all’Università del Texas) in caso di fallimento dell'Europa, potrebbe vedere un aiuto da parte degli stessi Stati Uniti attraverso misure minori, tra cui una garanzia sui prestiti. Dinucci conclude sostenendo che ambedue le strade possano essere pericolose..e che l'unica via resta quella della lotta popolare per la difesa della sovranità nazionale e della democrazia.

Ambedue le strade denotano un chiaro fallimento da parte di questa unione europea!

Naturalmente non tutte le tesi che si riscontrano sono identiche: C'è chi sostiene che in Grecia..nello stesso ambito capitalistico si scontrano due filoni di pensiero politico-economico contrapposti.. identici a quelli che si riscontrano nel Parlamento europeo: Quello socialdemocratico e quello neoliberista. L'uno che guarda ai principi fondamentali della solidarietà e l'altro che si esprime compromettendo una più equa ripartizione e ridistribuzione. Questi due modelli contrapposti che riducono il pensiero politico in uno spaccato assurdo, oltre che poco funzionale, si basano ancora su ideologie vecchie . Due modelli che in mancanza di una visione più equilibrata scandiscono il tempo e le regole della politica in modo troppo deciso, netto, ma sicuramente poco utile.  In ogni caso..se i parametri economici imposti dalla comunità europea si legano ad un visione capitalistica di tipo neoliberista..la politica di Tsipras... pur rientrando in un ambito capitalistico, ne rappresenta oggi..in termini politici.. una chiara contrapposizione. Un ostacolo ad un sistema rappresentato dai potentati economici.. in favore di una solidarietà e di un desiderio supremo della democrazia.

Ma quello che decisamente oggi deve sorprenderci è il valore che si dà alla politica economica di una Comunità..sicuramente poco solidale... che si esprime con i parametri dei PIL pro capite..non tenendo assolutamente conto del continuo allagamento di una forbice tra ricchezza e povertà insita in seno agli stessi Paesi. Una visione fin troppo sintetica, pragmatica e cinica che non potrà che scatenare ulteriori logiche reazioni da parte di altri Paesi.
Vincenzo Cacopardo


Grecia, l’ombra di «Prometeo”
Il «testa a testa» nel referendum greco, propagandato dai grandi media, si è rivelato una sonora testata nel muro per i fautori interni e internazionali del «Sì». Il popolo greco ha detto «No» non solo alle misure di «austerità» imposte da Ue, Bce e Fmi, ma, di fatto, a un sistema – quello capitalistico – che soffoca la democrazia reale.
Le implicazioni del referendum vanno al di là della sfera economica, coinvolgendo gli interessi politici e strategici non solo di Bruxelles, ma (cosa di cui non si parla) quelli di Washington. Il presidente Obama ha dichiarato di essere «profondamente coinvolto» nella crisi greca, che «prendiamo in seria considerazione», lavorando con i partner europei così da «essere preparati a qualsiasi evenienza».
Perché tanta attenzione sulla Grecia? Perché è membro non solo della Ue, ma della Nato. Un «solido alleato», come la definisce il segretario generale Stoltenberg, che svolge un ruolo importante nei corpi di rapido spiegamento e dà il buon esempio nella spesa militare, alla quale destina oltre il 2% del pil, obiettivo raggiunto in Europa solo da Gran Bretagna ed Estonia.
Nonostante che Stoltenberg assicuri «il continuo impegno del governo greco nell’Alleanza», a Washington temono che, avvinandosi alla Russia e di fatto alla Cina, la Grecia di Tsipras comprometta la sua appartenenza alla Nato. Il premier Tsipras ha dichiarato che «non siamo d’accordo con le sanzioni alla Russia» e, al vertice Ue, ha sostenuto che «la nuova architettura della sicurezza europea deve includere la Russia». Nell’incontro Tsipras-Putin, in aprile a Mosca, si è parlato della possibilità che la Grecia diventi l’hub europeo del nuovo gasdotto, sostitutivo del South Stream bloccato dalla Bulgaria sotto pressione Usa, che attraverso la Turchia porterà il gas russo alle soglie della Ue.
Vi è inoltre la possibilità che la Grecia riceva finanziamenti dalla Banca per lo sviluppo creata dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e dalla Banca d'investimenti per le infrastrutture asiatiche creata dalla Cina, che vuole fare del Pireo un importante hub della sua rete commerciale.
«Una Grecia amica di Mosca potrebbe paralizzare la capacità della Nato di reagire all’aggressione russa», ha avvertito Zbigniew Brzezinski (già consigliere strategico della Casa Bianca), dando voce alla posizione dei conservatori.
Quella dei progressisti è espressa da James Galbraith, docente di relazioni di governo e business all’Università del Texas, che ha lavorato per alcuni anni con Yanis Varoufakis, divenuto ministro delle finanze greco (ora dimissionario), al quale ha fornito «assistenza informale» in questi ultimi giorni. Galbraith sostiene che, nonostante il ruolo svolto dalla Cia nel golpe del 1967, che portò al potere in Grecia i colonnelli in base al piano «Prometeo» della Nato, «la sinistra greca è cambiata e questo governo è pro-americano e fermamente membro della Nato». Propone quindi che, «se l’Europa fallisce, possono muoversi gli Stati uniti per aiutare la Grecia, la quale, essendo un piccolo paese, può essere salvata con misure minori, tra cui una garanzia sui prestiti» («US must rally to Greece», The Boston Globe, 19-2-15).
Ambedue le posizioni sono pericolose per la Grecia. Se a Washington prevale quella dei conservatori, si prospetta un nuovo piano «Prometeo» della Nato, una «Piazza Syntagma» sulla falsariga di «Piazza Maidan» in Ucraina. Se prevale quella dei progressisti, una operazione di stampo neocoloniale che farebbe cadere la Grecia dalla padella nella brace. L’unica via resta quella di una dura lotta popolare per la difesa della sovranità nazionale e della democrazia.
Manlio Dinucci 

L'analisi di domenico Cacopardo dopo il referendum in Grecia


Non c’è nulla da festeggiare, dopo l’esito del referendum greco.
Non hanno nulla da festeggiare i greci che iniziano un percorso drammatico, che li condurrà in un terreno ignoto molto simile a Weimar e a Caracas.
Non hanno nulla da festeggiare gli italiani perché quanto sta accadendo al di là dell’Adriatico rende più fragile la situazione del bel Paese, il cui debito è destinato a lievitare per effetto della inevitabile crescita degli interessi.
Non hanno nulla da festeggiare gli altri europei, nel momento in cui la crisi scuote l’Europa dei bottegai e dei miopi che ha privilegiato le idee degli ottusi burocrati di Bruxelles rispetto all’ispirazione originaria e unitaria, mai come ora discussa e discutibile.
Non hanno nulla da festeggiare Angela Merkel e il suo fido Sancho Pancha Hollande, visto che la diarchia dichiara fallimento di fronte al mondo, dopo però avere dissipato troppe decine di miliardi di euro in interventi tardivi, in prescrizioni inapplicabili, in incertezze ingiustificate.
Gli sciocchi –già proprio di sciocchi incapaci di interpretare i dati della realtà e di vedere dove sta l’interesse nazionale- che esultano a Roma o ad Atene, dove si sono recati in tragica trasferta-, esaltano la democraticità del metodo del referendum. Ma noi, noi italiani, dobbiamo, invece, contestare che 1.300.000 greci (la differenza tra no e sì) possano avere deciso per 340.000.000 di cittadini dell’eurogruppo. E dobbiamo ricordare che un referendum come quello celebrato ad Atene non è l’esaltazione della democrazia ma della demagogia, visto che si è scritto «no» alla domanda «sangue e lacrime». Troppo facile. Troppo populista. Troppo irresponsabile.
Rimane sul terreno dello scontro Mario Draghi: la sua corretta idea d’Europa cade per l’assenza dell’Europa e, anche nel suo caso, è difficile prevedere cosa accadrà.
Difficilmente, però, l’eurogruppo potrà fare marcia indietro. Ma, nel tenere fermo il proprio punto, dovrà pensare al futuro immediato: il deragliamento della Grecia non deve diventare deragliamento generale.
Deve quindi tornare la politica. Ed è questo il difficile, in tempi di nani come Merkel, Hollande, Renzi e Rajoy. Mediare tra gli interessi (divergenti) degli europei sarà difficile.
Ed è l’idea d’Europa che può salvarci, non i contabili di «Le Berlaymont» (sede dell’Unione). E il ritorno a Delors: i 30 miliardi di Junker fanno ridere e piangere. Occorre partire con un programma di almeno 300 miliardi di euro per dare alle economie europee quella spinta che serve per riprendere il cammino, creando occupazione e benessere.
Non c’è da essere ottimisti, certo. Ma i greci sono già nell’inferno.

Domenico Cacopardo

6 lug 2015

Vince la democrazia...trema l'Europa economica

di vincenzo cacopardo

L''argomento più importante concernente la geopolitica di oggi rimane quello delle Grecia. Un Paese che, dopo il referendum e la vittoria dei no pone nuovi percorsi a tutto l'avvenire europeo. Se si deve portare rispetto per un voto democratico deciso da un popolo circondato da una miriade di problemi economici, si deve anche pensare che un simile risultato non era del tutto prevedibile e che ciò proietta, sia il governo di Atene, che l'Unione Europea verso nuovi scenari. Un cammino che dovrebbe portare (come già diverse volte sottolineato dal sottoscritto), un senso di responsabilità e visioni più lungimiranti in direzione di una nuova politica europea che non basi più il suo percorso su paradigmi economici estremi.
Dopo il referendum.. tutti sembrano per la Grecia!..
In tanti.. fino ad ieri duri e sprezzanti contro la Grecia ed il governo Tsipras..si porgono in tono più rispettoso e conciliante! Malgrado la Merkel fosse più convinta di una netta vittoria dei si per poter far fuori un governo scomodo tendente ad ostacolare un processo economico da lei sempre sostenuto, il voto ha messo in evidenza la vittoria dei principi democratici stigmatizzando l'esigenza primaria dei valori della solidarietà.

Nel frattempo sembrerebbe che Matteo Renzi possa rimanere escluso dalla disamina del voto europeo: Angela Merkel si vedrà con François Hollande in attesa dell'Eurogruppo. Questo turba il segretario del Pd..il quale ritiene che un tale risultato necessiterebbe di un incontro con la presenza del nostro Paese. Il nostro Premier parrebbe essersi svegliato solo adesso.. chiedendo un negoziato che guardi principalmente l'aspetto sociale e meno quello finanziario. Non bisognava essere un grande politico per poter capire come questo problema.. che ha messo in evidenza i guasti di una comunità europea, si sarebbe dovuto affrontare in un'ottica diversa... attraverso una sensibilità politica ed una visione in lungimiranza che è sempre mancata nel nostro Paese e nella formazione comunitaria della stessa Europa..

La Grecia oggi resta in attesa sulle nuove trattative...non può gioire , ma nemmeno nascondere un certo orgoglio per il risultato ottenuto. Invece l'Europa... potrà forse pensare che tutto finisca qui?

L'Europa ha voluto a tutti i costi questo referendum, caricandolo di un contenuto politico... trasfigurandolo in un referendum sull'euro, ma in realtà ha sperato in una vittoria per poter far fuori Tsipras ed il suo governo. Non è difficile ormai leggere la realtà, come non appare per niente conveniente per nessuno che la Grecia esca dall'Euro. Certo adesso l'euro si è reso più fragile e per il nostro Paese che ha un debito pubblico attorno al 132% del Pil, e un deficit di oltre il 3% ..le conseguenze continuano a non essere semplici..poichè occorreranno manovre correttive pesanti... risultando ben visibile che le misure finanziarie fin qui adottate dal sindaco d'Italia.. non hanno per nulla portato il Paese verso una crescita reale.

Tutti oggi sperano che la Grecia resti nell'Euro preoccupati per i crediti che avanzano .. i Paesi dell'Eurozona hanno da perdere, ma chi perde veramente è l'Euro stesso. La Grecia..col suo referendum.. ha messo in chiara evidenza la contrapposizione odierna tra la moneta europea ed i principi di una democrazia!

Il Fondo monetario premendo affinchè la Grecia resti nell'euro, ha maggiore probabilità che possa un domani lentamente pagare il suo debito. Persino per la Bce è meglio trattare con la Grecia per contrastare possibili ventate destabilizzanti. Il panorama appare inquietante e traumatico, ma sappiamo anche che dopo ogni trauma vi è la possibilità di cambiare in meglio. 

Di sicuro questa è una netta sconfitta della stragrande maggioranza dei leader di questa Europa costruita male e senza quei pricipi ed i valori cui faceva riferimento Robert Shuman.. un padre e protagonista dell'Unione..il cui pensiero tendeva solo ad unire e non ha dividere.




3 lug 2015

La Grecia e la visione dura di chi osserva attraverso il consueto pragmatismo.


Una opinione sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Potremmo affermare che questo articolo di Domenico non fa una grinza!
Mi permetto di sottolineare però, che quando si affronta un'analisi così attenta bisognerebbe farla a tutto tondo...e cioè porsi altre domande in proposito..tra le quali: Possiamo davvero fare un esame equanime dell'andamento economico internazionale che incide in questa Europa senza prescindere dalla forbice in eccesso avvenuta in certi Paesi tra ricchezza e povertà? Possiamo continuare ad esporre analisi fondate su un pragmatico percorso di una economia che propone solo numeri, ma scontenta almeno il 50 % degli abitanti della sua comunità?..Possiamo continuare a schiacciare sotto il peso di tutto ciò ogni progetto di vera democrazia?

Il problema è proprio questo e cioè che, malgrado la realistica visione di un sistema economico, quando un popolo va al voto sceglie strade diverse esponendo esplicitamente un bisogno di aiuto che possa in qualche modo arginare questo processo economico che non guarda in faccia altri aspetti che coinvolgono l'umanità. Perciò quando personaggi come Domenico, (per meriti che di sicuro non possono non tenersi in considerazione) hanno goduto e traggono benefici da una vita agiata..difficilmente potranno sentirsi coinvolti ed affrontare questi problemi con l'occhio di tutta quella parte della popolazione che stenta a salvaguardare la propria sopravvivenza.

Il popolo greco ha scelto con libere elezioni sicuramente spinto dal fervore di un possibile cambiamento in favore di un più equo sistema sociale. Naturalmente la visione di chi sta fuori e gode di privilegi (anche legittimi)..non potrà che concedere una valutazione di parte legata, in modo inconfutabile, al percorso pragmatico di un sistema economico categorico ..malgrado ogni possibile sentimento obiettivo: Una visione giusta da un punto di vista ..ma non del tutto completa e dirimente.

La crisi greca è di certo molto complessa. Una certa incapacità e i prestiti azzardati dei governi degli ultimi anni, hanno contribuito a far andare a rotoli l’economia del paese. Il 90% degli aiuti ricevuti sono andati subito dopo a banche straniere. Alla cittadinanza sono rimaste le privatizzazioni, i tagli alle pensioni e agli stipendi, l’aumento delle tasse. Sappiamo quindi che il debito non diminuisce ed aumenta in modo incontrollabile povertà con evidenti stati di ingiustizia.

E questo lo sa bene la Merkel oltre che Yunker!


Questa storia (con le responsabilità divise per tutti e su tutti) mi fa pensare ad un individuo sul ciglio di un burrone che sta per precipitare e che nell'istante della sua caduta chiede una mano ad un compagno vicino il quale prontamente risponde esponendogli solo il dito mignolo.

Quello greco potrebbe essere un disastro di dimensioni storiche, ma proprio per la forza di continui appelli si possono forzare gli onnipotenti leader di un'Europa di oggi a pensare di poter dare una svolta in favore di una conversione del sistema economico europeo. Il pragmatico realista continuerà a dire che è impossibile... ma la storia ci insegna che sono proprio coloro che hanno forzato attraverso le idee ed una visione più lungimirante.. ad aver cambiato sempre le cose!

Sappiamo tutti ormai che questa Unione procede senza una strada politica comune... e mancando questo, finisce col mancare proprio l'equilibrio necessario per le regole.
vincenzo cacopardo


Attirati dal sentore di sangue che s’è sparso su Atene, i piccoli sciacalli italiani, Vendola e Grillo per la precisione, la stanno raggiungendo per partecipare al banchetto imminente.
Portano entrambi (con piccolo seguito di incoscienti corifei) lo squallido cinismo che li ha condotti a speculare su tutti i guai italiani, salvo non saperli affrontare com’è stato con il caso Ilva di Taranto per l’inascoltabile Vendola. Se dovessimo poi basarci sull’esperienza di Parma, il capoluogo in mano a un’amministrazione a 5 Stelle, dovremmo compiangere gli abitanti della città emiliana, lasciati allo sbando in tutti i dossier cruciali, dal teatro Regio, al Festival Verdi, al crollo del Parma calcio, alla fine della storica Banca del Monte, all’annunciata chiusura dell’aeroporto (effetto prevedibile per una città che non ha una manifestazione che è una che attiri pubblico dal resto d’Europa, pur avendone le potenzialità), scongiurata per l’atto di responsabilità della locale Unione industriale che s’impegna a garantire un finanziamento utile per sopravvivere un anno. Certo ogni botte dà il vino che ha e il sindaco Pizzarotti gode solo di un vinello leggero, senza qualità.
Ma ora il volo di Vendola e Grillo ad Atene ha tutte le connotazioni della speculazione spicciola, tutta rivolta al «mercato» interno, quello che interessa, visto che è percorso da sani e doverosi rifiuti per i metodi di una politica troppo disinvolta, sempre alle prese con l’ultimo scandalo, si tratti di Roma (dove con un fuor d’opera inaspettato, il procuratore Pignatone si esibisce in «endorsement» in favore del traballante sindaco Marino, e, indirettamente, contro il presidente del consiglio Renzi che intenderebbe cambiare verso alla capitale), della Calabria o della Sicilia o delle medesime divagazioni lombarde di Maroni, alle prese con i viaggi, mancati o reali, di alcune amiche e, in quanto tali, collaboratrici.
Eccitata spesso da un’informazione coprofaga, volta sempre ad esaltare gli aspetti scandalistici degli eventi, mai a riportarli alle loro dimensioni reali, la pubblica opinione si rivolge a coloro che animano una protesta totale, populistica, senza costrutto reale sui termini delle questioni politiche con le quali ci confrontiamo.
Basti pensare alla scuola e all’indegna (e incredibile) gazzarra scatenata in Senato da quei personaggi in cerca di autore che sono i senatori grillini, arrivati a picchi demagogici mai ascoltati in una sede parlamentare. La «morte» della scuola, la peggiore riforma mai immaginata, tutti slogan che affondano le proprie ragioni nelle manifestazioni corporative di una classe insegnante che rifiuta il confronto competitivo e un giudizio professionale, che insomma intende proseguire in un andazzo che fa classificare pessimamente l’insegnamento italiano nei documenti Ocse. Nessun interesse ai termini del problema, alle necessità dei giovani, all’imprescindibile collegamento con l’impresa, con la possibilità di acquisire contributi dal mondo dell’economia. Solo l’esaltazione dei peggiori sentimenti, dei peggiori ragionamenti, delle peggiori pulsioni in circolazione nel bel Paese.
Ora i due sono in Grecia. Se avessero un barlume di onestà nelle loro insondabili coscienze, si renderebbero conto di trovarsi di fronte a una tragedia nazionale che investe il Paese della cultura classica, la fonte delle civiltà occidentale (ma che lo dico a fare, l’orizzonte di Grillo è quello dell’animatore spompato di uno squallido cabaret; quello di Vendola di un politico tramontato alla ricerca di nuovi stimoli per sopravvivere), per colpe variamente distribuite, una delle quali si staglia su tutte le altre, europee e non: l’avere la Grecia dimenticato i fondamentali di un’economia, indebitandola al di là del sostenibile, sino a oggi, giorno in cui la situazione è già di grave irresolubile «default».
Nessuno che pensi che se la Grecia fosse graziata, il meccanismo degli aiuti mondiali che fa capo al Fondo monetario internazionale salterebbe in aria. Il paradigma del Fondo è: ti finanzio, ma ti impegni non solo a restituire quanto ti do, ma altresì ad adottare misure economiche che ti mettano in condizioni di restituire e, soprattutto, di crescere. Il vecchio: «Aiutati che il ciel ti aiuta.»
Invece no. La Grecia ha abboccato alle esche di Syriza e del suo leader Tsipras e li ha votati per un programma che, allo stringere, è il «Non ti pago», dell’indimenticato Totò. Un comico.
Comunque vadano il referendum (anche che sembra che il vento stia cambiando verso il sì) e il dopo referendum ci mostreranno i termini di una tragedia: o una svalutazione spaventosa, il crollo dell’economia e della società greca o un programma di riforme che lacereranno le carni dei cittadini, per dare alla nazione un futuro compatibile con le regole dell’ordine pubblico economico internazionale. Anche gli scenari di politica estera che si profilano per il caso di vittoria del no (come l’avvicinamento alla Russia e alla Cina con la creazione di un’«enclave»), l’insediarsi cioè di potenze del fronte antioccidentale nella cruciale penisola balcanica, debbono spaventare, visto che avvicinano le possibilità che le contraddizioni del mondo sfocino in un vero e proprio conflitto dai termini confusi, naturalmente, non nucleare, nel quale tutti saranno contro tutti.
È questo che vogliamo? L’Europa delle piccole rissose nazioni di pochi decenni fa, incapaci di scegliere un percorso comune, un’integrazione politica reale, una forza autonoma nel palcoscenico mondiale?
No. Non è possibile. E, ormai, è troppo tardi. L’Unione europea è andata troppo avanti e le ragioni dello stare insieme prevalgono sulle spinte centrifughe. E non è immaginabile nemmeno una secessione che sarebbe solo altrimenti cruenta rispetto a quella americana.
Comunque vada, gli sconfitti sono già identificati: i populisti greci e i piccoli sciacalli italiani.
Domenico Cacopardo

2 lug 2015

Una nota al nuovo commento di Giulio Ambrosetti

Non so se Tsipras vincerà o no il referendum..non ho le certezze di Giulio Ambrosetti, ma quello che viene messo in evidenza in questi giorni..e chiarito ampiamente da questo suo commento.. è un braccio di ferro che vorrebbe vedere l'epilogo attraverso la definitiva caduta del governo. Insomma... le dure posizioni di una Troika, sembrano voler condizionare il governo greco fino alla sua resa.
Ognuno potrebbe avere le sue ragioni? Può darsi!
Ma questa resta la prova (assai triste) di come ogni progetto democratico non potrà mai far finta di non considerare l'assetto economico finanziario del sistema sul quale si è ormai formato. Al di là di come finirà il referendum bisogna, quindi, porsi la domanda più importante di come..in ogni altro Paese.. non potrà mai formarsi una vera democrazia..quando lo stesso Paese.. ha in sé un tessuto sistemico ormai economicamente radicato che finisce col manipolarla e condizionarla. (Anche il nostro Paese ..comunque voglia sottacersi... rimane vittima dello stesso processo).
Non è difficile intuire che la democrazia dovrebbe nascere prima e guidare un criterio economico attraverso regole più consone allo stesso sistema.
Esiste perciò sicuramente quell' Euro affarismo a cui fa riferimento Giulio..ed è proprio l'inevitabile risultato di ciò che ho già scritto..Comunque non bisogna nemmeno dimenticare che lo stesso Tsipras era a piena conoscenza di tutto ciò e di quello che si sarebbe potuto fare e non fare... ma per il suo Paese sembra aver scelto la democrazia.
vincenzo cacopardo

PERCHE’ TSIPRAS VINCERA’ IL REFERENDUM IN GRECIA
di giulio Ambrosetti
I greci non amano saltare sui carri dei vincitori. Hanno già provato, sulla propria pelle, che cosa significa essere governati dalla Troika. Le manifestazioni che inneggiano all’Euro sono solo buffonate mediatiche fomentate da un'Europa ‘presunto’ unita e dagli Usa che, per motivi diversi, si battono per tenere la Grecia ‘incaprettata’. 
Ma in Grecia, alla faccia di questi signori, a meno che i risultati del referendum non vengano alterati, vincerà Tsipras. I greci voteranno per l’uscita dall’Euro. Non perché sono convinti dell’alternativa, che nessuno può conoscere: perché è impossibile conoscere cosa succederebbe in caso di addio alla moneta unica europea da parte della Grecia. Tsipras vincerà perché il fronte del no all’Euro rafforzerà il governo greco e la Grecia nella trattativa con i banditi della Troika. L’Euro, per come si è configurato e per come fino ad oggi è stato gestito, ha favorito e continua a favorire la Germania. Questa grande e mafiosa truffa monetaria internazionale si regge su un equilibrio fragilissimo: basta che un solo Paese rifiuti di farsi ‘incaprettare’ ed ecco che salta tutta l’impalcatura. Questo spiega il perché i massoni falliti della ‘presunta’ Unione europea sono tutti mobilitati per far saltare il referendum. O per condizionarne l’esito. Ma falliranno. Vincerà Tsipras. E dopo la vittoria dei no il capo del governo greco detterà le condizioni alla Troika. 
E la Troika, con la coda in mezzo alle gambe, dovrà accettarle.Questo non significa che l’Italia ci guadagnerà. In Italia il PD e Berlusconi non possono difendere gl’italiani dai ladri e massoni dell’Europa. Perché debbono difendere le fortune che hanno accumulato nella Prima e nella Seconda Repubblica. Questo spiega perché Renzi e Berlusconi sono alleati: perché stanno difendendo i propri interessi ai danni di 50 milioni di italiani.
Altro che europeismo. Euro-affarismo!



Le ragioni di domenico Cacopardo sui poteri

Ha più che ragione Domenico..col suo articolo.. a sottolineare le storture di un sistema che oggi vede una certa magistratura permettersi di esporre ed incidere su questioni a lei meno pertinenti, ma non bisogna dimenticare che tutto ciò nasce proprio dal fatto che la politica ormai da un bel po' di tempo, non riesce ad imporsi per capacità delle figure e funzionamento della stessa.
Dalla forza e dalla qualità di una politica funzionale non si potrebbe mai prescindere ed il nostro Paese ha visto in questi anni una chiara incapacità da parte delle figure di poter incidere in un percorso innovativo di cambiamento in grado di supportare una strada di vero funzionamento ....Non ci si poteva aspettare altro da parte un ordine della magistratura che, pur nelle sua più che evidente politicizzazione ed in mancanza di un peso specifico che potesse mettere in riga il funzionamento di istituzioni ormai prive di sostanza, ha colmato un vuoto senza il quale il Paese starebbe ancora peggio. 
Duole doverlo affermare, ma è già da tempo che.. la mancanza di un funzionale piano politico istituzionale.. capace di porre un punto sulla differenza dei ruoli e dei poteri.. tale da organizzare meglio il sistema, non fa che aprire larghe strade ad un ordine che ormai viene identificato usualmente, ed in modo poco adatto, come un autentico potere.
vincenzo cacopardo  



nessun politico«La pressione fiscale in Italia è intollerabile …», «… difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori aumenti …», «… la politica fiscale è stata piegata a obiettivi di gettito immediato», occorrerebbe «… una riscrittura del patto sociale tra cittadini e governo …», sembrano le considerazioni dell’esponente di un partito politico che, soffermatosi sulla propria valutazione dello stato attuale dell’«arte» del bilancio pubblico, concluda proponendo una terapia, la propria. Invece sono le parole lette dal dottor Enrico Laterza, presidente di sezione della Corte dei conti, contenute nella relazione sul rendiconto generale dello Stato italiano 2014. Una lettura al riparo di una toga che dovrebbe garantire il massimo della terzietà e dell’oggettività possibile, su un tema discutibile e controverso come l’economia e le misure per risanarla. Non solo sono stupefacenti le parole, ma anche il silenzio, dalla ragioni oscure, sul merito e sul metodo mantenuto dalla stampa nazionale.
Mi hanno fatto venire in mente un libro insolito, ma efficace, scritto con passione da un magistrato, collocatosi a riposo in anticipo, sulle sue esperienze nell’ordine giudiziario.
Piero Tony, Io non posso tacere, Einaudi.
«La situazione di oggi è questa, una magistratura corporativa e politicizzata, vistosamente legata ai centri di potere, che non urla per protestare contro un sistema che l’ha resa inutile, ma anzi continua a opporsi in modo sistematico a qualsiasi progetto di riforma dell’esistente. È probabilmente l’effetto del piccolo cabotaggio delle varie campagne elettorali, attente più agli indubbi privilegi di categoria, compresi quelle economici, che ai modo per sanare un sistema spesso inefficiente. Piccolo cabotaggio che però non impedisce –soprattutto per quell’assenza di complessi sottesa a una politicizzazione così anomala- di agire e pontificare non solo in casa propria, ma in relazione a buona parte dei grandi tempi politici nazionali e internazionali senza tema di essere apostrofati con un “Taci, cosa c’entri, tu?” È questo che ha portato la giustizia, non solo Magistratura democratica a ritenere di avere una singolare missione socio-equitativa realizzabile non con la difesa dei più deboli, ma con l’attacco ai più forti»
Queste considerazioni mi sono venute alla mente, leggendo del sequestro della Fincantieri di Monfalcone e del revival giudiziario di Berlusconi, con la chiusura delle indagini per il Ruby ter, il processo concernente 10 milioni di euro trasferiti dalle tasche dell’imputato a quelle delle olgettine e della medesima Ruby, per il 70%, presumibilmente per indurle a negare la «sessualità» delle feste del «bunga-bunga». A questa grana finale, si aggiungono, per Berlusconi i processi di Napoli (per la corruzione del senatore De Gregorio) e di Bari (per prostituzione), nel corso del quale è stato disposto il suo accompagnamento coatto per testimoniare.
Non c’è dubbio che nel procedimento di Monfalcone siano emersi fatti tali da indurre il magistrato al sequestro del sito produttivo. Ma non è possibile ritenere che non siano state immaginate le conseguenze: sospensione dal lavoro dei 4500 addetti, crisi specifica della Fincantieri, impegnata in colossali commessi internazionali, possibile fine della cantieristica italiana, sul modello Ilva. Non è possibile non immaginare che tra i vari interessi, tutelati dalla legge, il giudice sia stato costretto a scegliere il più drastico, cioè il sequestro, con precise conseguenze penali nei confronti dei responsabili dell’impianto produttivo.
Se la strada finirà per essere la medesima imboccata per Taranto e il suo impianto siderurgico, non c’è dubbio che il danno per l’economia nazionale sarà netto e irreparabile.
Punto. Non ci sono altre valutazioni da formulare, tranne quella che in qualche caso nell’amministrazione della giustizia prevalgono elementi di tipo giuridico-burocratico che fanno tralasciare il complesso dei legittimi interessi in campo.
E ciò non deve sembrare una critica al caso specifico, ma al sistema che non consente ai vari protagonisti della vita nazionale di interloquire quando ci sono in ballo questione che riguardano l’«interesse nazionale».
Quanto a Berlusconi, da tempo destinatario di particolari premure di varie procure, la sensazione che le ultime notizie inducono è quella della stanchezza. Certo –e l’abbiamo scritto su questo giornale un anno fa- la questione dei soldi erogati alle testimoni del processo Ruby non sarebbe finita nel dimenticatoio. Poi, l’assoluzione dell’imputato per la «mancata costituzione della prova» dei rapporti sessuali aveva indotto molti commentatori a non prestare più attenzione alle testimoni del procedimento.
L’inesorabilità di Bruti Liberati, connessa altresì alla volontà di didascalica di dimostrare agli italiani che la procura di Milano perde una battaglia ma non si arrende, ha ottenuto (e non poteva che essere così) il risultato voluto. Il rinvio a giudizio di Berlusconi costituirà, come sostengono gli esperti dei palazzi di giustizia, il colpo del ko definitivo. C’è da chiedersi come reagirà il piccolo Farinacci berlusconiano, Renato Brunetta, alle prese con quotidiani toni rutilanti e dimentico delle decisioni e delle scelte del governo di cui ha fatto parte. Ma, comunque reagirà, avrà solo effetti negativi, a dimostrazione che nella vita e in politica il radicalismo non porta da nessuna parte.
Rimangono ben presenti le scene di Berlusconi tra due Carabinieri condotto in vincoli nel tribunale di Bari e del medesimo Berlusconi alla sbarra a Napoli per un processo che presenta forti dubbi di legittimità costituzionale.
È difficile spiegarne il perché. Cerchiamo di farlo con poche parole: se il mandato parlamentare è libero da vincoli e non è sindacabile, non sono sindacabili le scelte e le ragioni (i soldi) del senatore De Gregorio. Una cosa non accettabile, ma così è la regola: «Summus ius summa iniuria». Alla fine, da questa vicenda (e nemmeno per le altre è sicura la condanna), dopo vari gradi di giudizio, Berlusconi sarà assolto. Ne valeva la pena?


Domenico Cacopardo

30 giu 2015

La democrazia greca sotto ricatto?


Quando di fronte alle regole di questa economia cade ogni principio di democrazia...ovvero la prova inoppugnabile che il voto democratico in Grecia viene alterato.... dalle rigide regole imposte da una economia globalizzata. 

Se un referendum ci sarà... sarà soggetto ad un evidente ricatto !

Per un pragmatico iperliberista come il consigliere Cacopardo..l'atteggiamento del governo greco appare demagogico. Non vorrei essere preso per un populista ...ma questa melina di cui parla il cugino Domenico (se proprio di melina si deve parlare visto l'entità del problema) riguarda qualcosa di molto più difficile ed ostico….concerne le decisioni su un percorso che necessita di essere ponderato con estremo equilibrio trattandosi del futuro di uno Stato in difficili condizioni.

Oggi non si tratta più di essere pro o contro la Grecia..non può più usarsi questo Paese come simbolo negativo di una unione Europea! Il vero problema per la Comunità dovrebbe essere quello di poter salvare l'economia di questo Paese senza comprometterne all'interno il suo sistema democratico.

Certo...con questo sistema imposto dalla forza di una economia finanziaria priva di equilibrio ..e con le regole rigide dei parametri imposti da un'Europa col paraocchi ...Domenico non può che avere ragione! Ma la sua critica rimane racchiusa nell'orbita di una visione globale che non guarda oltre i numeri...e questo differenzia gli uomini che lottano verso la ricerca di qualcosa di più utile e sensato in favore di quei Paesi che oggi si ritrovano impediti in direzione di una essenziale crescita ..Del resto... cosa si potrà mai costruire di innovativo quando si avanza col solito pragmatico cinismo dei numeri di chi non vuole guardare oltre e si benda gli occhi.?

Liquidare così un simile problema e fin troppo facile e non potrà portare alcun giovamento..ma altri possibili scompensi!

Non credo si tratti di mancanza di realismo..se poi questo realismo finisce solo col condizionare e distruggere ogni possibile alternativa più equa: Quella dell'Europa verso la Grecia suona proprio come un preciso ricatto per far cadere il governo Tsipras....

La vera positiva innovazione, al contrario, sta nel ricercare con equilibrio un punto di mediazione che possa riuscire a sostenere l'economia del Paese greco in seno ad una comunità che dovrebbe impegnarsi... non solo attraverso rigidi parametri... ma guardando verso il futuro di un paese che si esprime in senso democratico. Diversamente.. sarà sempre una sconfitta da parte della politica che, non proiettandosi in difesa dei valori democratici...continuerà imperterrita ad imporre il suo severo metro sull'economia e sul mercato ..facendosi schiacciare dal suo peso.

Demagogia?
Forse...ma quello che si avverte è sicuramente un'ulteriore sconfitta del sistema democratico a favore di chi abusa degli strumenti finanziari per una strana economia formatasi con la nuova moneta: Una moneta unica che al suo ingresso ha visto manipolazioni di bilanci ..bizzarre valutazioni e diffuse iniquità. ..
Meglio essere un po' demagogici ..che infidi maneggiatori a danno dei cittadini...
Vincenzo cacopardo




Scrive Domenico Cacopardo su "italia oggi"

Se avverrà, come tutto lascia ritenere, il «default» greco esploderà come una bomba atomica e lascerà macerie non rimuovibili per almeno un decennio. Vittime dell’esplosione saranno i greci, che ricorderanno l’evento come i tedeschi ricordano con terrore la Repubblica di Weimar.
Anche se lo scarica-barile è in atto da alcuni anni, i nostri vicini dovranno incolpare se stessi: hanno dato fiducia a governi bancarottieri e credito a Tsipras alla testa di una scombiccherata compagnia che ha promesso ciò che –era evidente- non c’era alcuna possibilità di mantenere.
La mancanza di sano realismo in Syriza e nel suo leader Tsipras è dimostrata da questi lunghi mesi di «melina» a Bruxelles accompagnata da provvedimenti demagogici e squilibrati. Ultima riprova: le deliranti dichiarazioni del premier la sera di domenica 28, con le quali, nell’annunciare la chiusura della banche, se ne attribuiva la colpa all’Europa, alla Bce e al Fondo Monetario, il cui principale errore è stato quello di essere benevoli nei confronti della Grecia, alimentandola nel «durante», invece di chiudere i rubinetti non appena il sospetto di insolvenza aveva raggiunto un elevato tasso di probabilità. Anche l’affermazione che i depositi bancari sono «al sicuro» è aria fritta, visto ciò che dovremo vedere prossimamente.
Dicono i sondaggi che il «no» alla proposta europea, nel referendum dei prossimi giorni, non è scontato, tutt’altro, e che ci sono buone probabilità che prevalga il «sì», vista la paura diffusasi in tutto il Paese con i Bancomat presi di assalto e, spesso, privi del contante.
La Grecia è una importante lezione per tutti noi. È vero, non siamo stati avari di critiche all’Unione europea, ma alla fine dei conti la prima responsabilità o colpa è di coloro che non hanno tenuto in equilibrio i propri conti, che non hanno tagliato le dissipazioni di pubblico denaro, che non hanno accettato sino in fondo le regole comunitarie, immaginando scappatoie e scorciatoie impraticabili.
L’esempio greco deve essere posto davanti agli occhi di Matteo Renzi, presidente talmente lieve da sfiorare di continuo l’autolesionismo, che, nonostante tutto, s’è imbarcato in operazioni inutili (perciò dannose politicamente ed economicamente), come la distribuzione degli 80 euro, e che si è ben guardato dall’incidere sulla spesa pubblica, sui quegli elementi strutturali attraverso i quali corrono miliardi di euro gettati al vento in attività e iniziative che indirettamente beneficano il personale politico (soprattutto del Pd) e le organizzazioni tributarie, dalla cooperazione al volontariato. E, dopo un promettente inizio, nel quale risuonavano gli echi delle Leopolde, la questione «regioni» è stata accantonata, rinunciando a sciogliere il nodo dei nodi: una struttura burocratica elefantiaca che ha duplicato l’amministrazione statale, e ha introdotto una serie di vincoli vessatori, ostacolo permanente a qualsiasi iniziativa imprenditoriale o, semplicemente, privata.
Detto questo, l’Italia rimane sulla piazza europea così com’è: con i suoi irrisolti problemi, con le sue contraddizioni, con le sue goffaggini, con il suo governicchio dalle ambizioni smisurate.
Non c’è altro, sotto il cielo di Roma. Non dobbiamo, però, rassegnarci e chiudere gli occhi.
Il sentiero intrapreso rimane l’unico disponibile.
Il premier l’unico politico che riscuote ancora un certo, significativo consenso. Un consenso che rende evidente l’inconsistenza dei suoi competitori, tutti fuori tempo o fuori palla.
In queste ore, mentre l’Europa si rafforza affrontando, dopo tanti tentennamenti, la crisi, Grillo ha ancora il coraggio di esaltare Tsipras e Syriza, mostrando tutta la propria incosciente superficialità.
Benché le cronache politiche dei media siano occupate da uomini politici marginali che condannano l’Europa e solidarizzano con la Grecia, la gente sa vedere e capire il disastro che si sono procurati i nostri amati amici al di là dell’Adriatico.
Se la Storia darà una colpa all’Unione, questa sarà l’eccessiva indulgenza nei confronti dei governi di Atene: un contributo a una sciocca illusione.
Oggi, guardando a Est, al di là del mare, i nostri cugini («Una faccia, una razza») ci viene da dire, a proposito del nostro Paese «Right or wrong it is my country».
Domenico Cacopardo

Nuovo interessante articolo di Domenico Cacopardo

Il nuovo venerdì di sangue, 
...il 26 giugno, riporta l’Occidente e l’Islam laico e moderato di fronte alle proprie responsabilità. Ineludibili.
È inutile snocciolare la solita litania di recriminazioni e di frasi razziste. Occorre ragionare sulla medesima lunghezza d’onda dei terroristi e definire una strategia forte di attacco e contrasto.
Perno dello schieramento sono, purtroppo, gli Stati Uniti e l’apprendista stregone che siede alla Casa Bianca.
Quello è il primo nodo da sciogliere, mettendo in luce le responsabilità storiche della goffa e velleitaria presidenza Obama: è stato lui ad andare al Cairo e a parlare nell’università con parole incendiarie, capaci di aprire una crisi epocale nella sponda Sud del Mediterraneo. In Egitto, in Tunisia e in Libia, prima che in Siria. Se, tra Europa e America non ci sarà un chiarimento brutale, Obama continuerà a provocare danni irreparabili, sia nel nostro scacchiere sia nello scacchiere orientale per l’improvvida iniziativa Ucraina, una sorta di crisi di Cuba al contrario. E ciò mentre l’Isis annuncia l’apertura di un nuovo fronte in Caucaso e, quindi, la guerra in casa russa.
Ecco l’occasione per riprendere il discorso con Putin tornando ai tavoli comuni, nella cooperazione economica, politica e militare.
Un'altra contraddizione da dipanare riguarda il doppio gioco di alcune monarchie islamiche e della Turchia, mai come oggi indiziata di sostenere l’Isis e tutto il magma dell’integralismo musulmano.
Se Europa e Stati Uniti aprono il dossier Turchia, dopo avere riallacciato positivi rapporti con la Russia, all’autocrate Erdogan rimangono poche possibilità di continuare la sua azione distruttiva.
C’è poi l’Unione europea e le sue difficoltà nel mettere insieme un forza militare di contrasto degli estremismi in Libia e nella traballante Tunisia. Non c’è in gioco solo la sorte del turismo europeo, ma, più vitali, delle storiche relazioni economiche e dell’immigrazione inarrestabile senza collaborazioni sulla sponda africana.
La scorsa settimana, sembrava che si fosse fatto un passo avanti con la definizione di un’operazione militare comunitaria di contrasto degli scafisti e dei tagliagole dell’Isis. Non se n’è saputo più nulla: questo riafferma la necessità d’essere sempre scettici e prudenti quando c’è di mezzo la Mogherini e l’apparato informativo italiano a Bruxelles. Anche perché, senza il consenso dell’Onu (per il quale occorre l’appoggio russo e quello, conseguente, cinese), difficilmente l’Europa potrà mettere insieme uno strumento bellico di una qualche efficacia.
I giornali del benpensantismo nazionale descrivevano di recente le mirabilie dei 30 (trenta) uomini del Comsubin destinati a partecipare alle azioni in Libia. Trenta uomini in un mare di islamici agguerriti fanno immaginare sciagure quali le abbiamo già vissute nelle nostre avventure africane, l’ultima delle quali, in Somalia («check point pasta») con diversi caduti.
Perciò è bene di parlare di cose serie e immaginare come si può concretamente operare. La prima missione, infatti, è quella di supplire alle carenze americane, fornendo al mondo islamico laico e moderato (Egitto e Tunisia) un sostegno forte e determinato, sceverando in modo chiaro tra amici e nemici, al contrario di quanto è accaduto e sta accadendo in Siria, dove le armi occidentali sono finite nelle mani sbagliate.
Mettere ordine nel caos internazionale, stabilendo chi sono i nostri amici, quanto affidabili e quanto sostenibili.
Certo, ci vuole una seria «leadership» capace di prendersi di strategie e tattiche e di imporre comportamenti coerenti.
Perciò, il primo «show-down» deve essere compiuto con il Paese amico, gli Stati Uniti. Subito dopo, con Turchia ed emirati.
Poiché siamo amici, abbiamo il dovere di parlar chiaro e di mettere le carte in tavola.
Non possiamo sostenere oltre la politica delle sanzioni alla Russia che ci costa in termini economici e politici. Il prezzo è sbagliato, poiché i fini dello scontro politico sono errati.
Avevamo scritto che la denuncia di un riscaldarsi delle tensioni un paio di giorni prima del G7 era un’«operazione» Cia ed affiliati. E, ora, abbiamo constatato che era proprio così: il giorno dopo il vertice le tensione era scomparsa dalle pagine (acritiche) dei giornali e l’attuazione dell’accordo di Minsk procedeva. Con difficoltà, ma procedeva.
Il discorso finale è per Matteo Renzi: non può continuare a collezionare comparsate europee vendute agli italiani come successi.
Ci sono poche cose che può fare a Bruxelles con probabilità di riuscita: le faccia. Dica che il governo italiano non vuole (e data la regola dell’unanimità, se un Paese come l’Italia non vuole, non lo vuole nemmeno l’Europa) la continuazione dell’«embargo» alla Russia e vuole una linea politica concreta e definita per la Libia, la Siria, la Tunisia e l’Isis.
Il successo che, con le elezioni del 2014, Renzi ha ottenuto non ritornerà se non si decide a metterci la faccia sino in fondo senza deflettere di un passo.
Abbiamo un solo strumento per contare nell’Unione e si chiama diritto di opposizione e di veto. Usiamolo con ragionevolezza, ma usiamolo.

Domenico Cacopardo

29 giu 2015

Sempre più difficile credere a questa Europa....

di vincenzo cacopardo
Se non si può uscire dall'euro ..si può provare a rivalutarlo secondo diversi parametri!
Il problema per l'Italia nasce proprio dal criterio di scambio con la lira...(uno a due)... e non come per altri Stati. Questo potrebbe ridurre abbondantemente il nostro debito...in considerazione del fatto che è proprio il debito il peso più gravoso per il nostro Paese..e che, proprio con entrata dell'Euro, si è esteso in modo eccessivo.

La Germania oggi sorride e finge di non accorgersi di come lo scambio abbia nociuto ad alcuni Paesi, soprattutto a quelli con industrie manufatturiere come il nostro. Il primo vero grave errore per il nostro Paese fu proprio questo: Un'operazione a dir vero misteriosa condotta da Prodi e Ciampi... uomini politici che a quel tempo dovevano rappresentare l'alta classe dirigente e che, al contrario, non si avvidero delle naturali conseguenze

Nel passato il ministro Tremonti, svelò che le industrie tedesche premevano perchè ciò si realizzasse quanto prima... proprio perchè temevano la forza concorrenziale della manifattura italiana: lavorazione che rappresenta l'orgoglio del nostro paese.. posizionata al secondo posto in europa e quinta nel mondo.
Tutto ciò impediva una più opportuna competizione da parte dei tedeschi.. poiché l'Italia aveva anche svalutato la propria moneta.

Nel suo racconto Tremonti aveva anche descritto come gli industriali tedeschi spingevano i banchieri a favorire l'ingresso della nostra Nazione nella nuova moneta. L'ex ministro si esprimeva con queste parole: «intrappolata e spiazzata dalla nuova moneta che si sarebbe dimostrata troppo forte per un'economia debole».In più i conti dello Stato non erano in ordine e si lavorava per poco chiare “manovre di estetica contabili” più efficaci. Tremonti accennò anche ai “segretissimi “derivati per l'Europa”” utili al fine di poter contabilizzare le entrate e coprire le uscite.

Da questa serie di operazioni finanziarie e accelerazioni politiche volute dai paesi più potenti e con la debolezza della posizione del governo italiano, ci si spinse ad imporci un cambio lira/euro molto penalizzante...Non è quindi escluso che proprio il bilancio dello Stato fosse stato accuratamente alterato. ..e che di tutto ciò ne stiamo pagando caramente le conseguenze...

Anche per un europeista convinto, a questa Europa predisposta persino ad indurre a manovrare fraudolentemente i bilanci degli Stati..per imporre cambi a piacere...come è possibile credervi?