Quello che
mi riesce difficile comprendere nell'articolo posto qui sotto... è il fatto di
come, un uomo colto e a conoscenza delle istituzioni come il
consigliere Cacopardo, non riesca a guardare oltre e si fissi
soprattutto su un principio di “contesa”...Quasi fosse una delle tante dispute inserite nella narrazione di uno dei suoi libri gialli.
E' particolarmente singolare il non
soffermarsi a meditare in profondità sulla pretesa che si possa
distruggere un bicameralismo opponendovi l'alternativa di un uso di
una Camera eletta pericolosamente.. attraverso formule assai ridicole
approntate quasi per il puntiglio di affermare un qualunque
cambiamento. Cioè:.mi viene difficile constatare come una figura di
esperienza come Domenico si soffermi con tenacia sulle proposte del
semplificativo sindaco d'Italia, esposte dalla bella addormentata tra
i Boschi ..senza andare in profondità sull'argomento e ponendo la questione come
fosse semplicemente un gioco di posizioni interno al PD.
Al di là
delle manovre di Grasso..che io stesso poco approvo..quello che
dovrebbe interessare non è proprio una questione di principio su una
riforma, ma la stessa qualità della riforma che non risulta né
innovativa ..nè concludente in termini funzionali . E' questo che
dovrebbe soprattutto valutarsi... al di fuori di ogni possibile
furbizia che meno potrebbe contare!
Ma vogliamo
renderci conto dell'inutilità di tali riforme proposte solo per
darsi una immagine? Il problema istituzionale del nostro Paese non è
mai stato il bicameralismo in sé..ma il modo di saperlo fare
funzionale!
Sarebbe
bastato dare funzioni diverse alle Camere..rendergli ruoli
diversi..diminuirne le figure..contenerne le spese..Ed invece col
solito modo tranchand..attraverso la figura della bella e poco
esperta Boschi.. si è tirato avanti verso un riordino semplicistico
che non porterà alcun vero funzionamento e che ridurrà la politica
ancora più risibile.
Se la
posizione di figure come quella del cugino Cacopardo....sicuramente molto più esperte della signorina Boschi, rimane
ferma su una posizione di principio, senza analizzare in profondità
il vero nodo del problema, rischiamo di perdere anche il vantaggio di
uomini capaci che hanno avuto una ricca esperienza nelle istituzioni
democratiche..come il consigliere Cacopardo.
Ma al di là
di tutto ciò..rimane certo che il falso cambiamento messo in atto da
Renzi..è e rimane un guazzabuglio di compromessi e semplificative
manovre che non arrecheranno alcun vantaggio alle istituzioni
democratiche, ma ...forse..vogliono essere il principio di un sistema
duro..ossia un'anticamera ad un futuro regime per sostenere l'ambita
stabilità. La vergogna peggiore rimane.. però.. quella di voler
nascondere ciò dietro l'ipocrisia di un sistema che continua a
volersi definire ancor oggi democratico.
Vincenzo
cacopardo
Scrive Domenico Cacopardo
La furbizia
è un brutto vizio nazionale e diventa manifestazione di insipienza
quando è palesemente usata da un personaggio istituzionale. Ci
riferiamo a Pietro Grasso, presidente del senato, che, l’altro ieri
proprio nel giorno in cui spiegavamo i termini tecnici della
«querelle» che andrà in scena a Palazzo Madama martedì 8
settembre, se n’è uscito con un’intervista a Monica Guerzoni del
Corriere nella quale è proprio il negativo stigma nazionale a
risultare protagonista.
Sostiene,
infatti, l’esimio presidente, già magistrato ordinario e
procuratore generale antimafia che: «… bisogna usare questo tempo
per un eventuale accordo politico …» Come dire che, prima di
operare, occorre un consulto, fingendo di ignorare che i consultandi
sono di parere e di scuole opposte e irriducibili.
E qui, in
questo banale stilema, si concentra, purtroppo, quello che sarebbe
esagerato chiamare il pensiero del nostro caro presidente.
Tutti sanno
che la minoranza del Pd (proprio Bersani ha nominato Pietro Grasso
senatore e poi presidente) prospetta modifiche sostanziali al disegno
di legge di riforma della camera alta, tali da vanificare il progetto
di Matteo Renzi e di Elena Boschi.
Al di là
dei particolari, il progetto della sinistra del Pd intende realizzare
il mantenimento del bicameralismo sostanziale, con il quale
tornerebbero in campo i poteri di interdizione che tutte le minoranze
parlamentari possono oggi esercitare come ieri. Non domani, se il
disegno di legge del governo dovesse passare.
Insomma,
Bersani, Chiti, Cuperlo, Gotor e gli altri sodali, vogliono abbattere
quanto votato sino a ora (anche da loro) e riportare le riforme
istituzionali a zero. Fra l’altro, va ricordato che nel pacchetto
di un possibile accordo maggioranza-minoranza Pd ci sarebbe un
ripensamento sull’Italicum, la legge elettorale appena approvata.
Come, giustamente, si rileva da più parti, il vero fine che
perseguono i contestatori non è questa riforma –di sicuro
perfettibile, viste le incongruenze e gli errori, salvo lo scopo di
mettere la parola fine al bicameralismo perfetto- ma Renzi, il suo
governo e la sua segreteria del Pd.
Se il
premier vuole suicidarsi, ecco la corda tesagli da Pietro Grasso,
consapevole forse(ma se lo sia o no è poco importante) che questo
suo banale richiamo alla ragionevolezza e all’accordo politico è
una trappola predisposta per far cadere il governo e il complesso di
novità che ha introdotto e che intende introdurre nel sistema
italiano, schiodandolo da venticinque anni, più o meno, di
immobilismo.
Tonini, un
altro dei premi Nobel del bastimento renziano, si sforza di trovare
un argomento valido o forte, dicendo: «… rivotarlo …» (la
riforma del Senato) «… sarebbe una forzatura difficilmente
spiegabile …»
Nessuno dei
due (Grasso e Tonini) entra nel merito delle modifiche votate dalla
Camera dei deputati sul testo approvato dal Senato e sulla necessità
inderogabile che le stesse siano sottoposte a una votazione del
Senato stesso.
Sarà,
senza dubbi, la prima volta che quest’assemblea «legge» il nuovo
art. 1 e l’emendamento del «dal» all’art. 2. Testi questi che
dovranno tornare alla Camera (seconda lettura) e di nuovo al Senato
(quarta).
La
senatrice Anna Finocchiaro, presidente della commissione affari
istituzionali, avrà in mano la patata bollente proprio l’8
settembre e credo che non potrà ignorare la realtà concreta dei
fatti. Anzi, se la ignorasse, si troverebbe presto in guai maggiori,
visto cosa potrebbe accadere se una simile svista, apparentemente
favorevole al governo, non fosse rilevata. Alla fine si riporterebbe
indietro l’orologio della riforma.
Siamo al
punto in cui i romani dicevano: «Hic Rodhus hic salta».
Con questa
frase sottolineavano che ci sono ostacoli che vanno affrontati di
petto, non aggirati. E questo è proprio il caso.
Comprendiamo
bene che più si allarga il campo della discussione più i rischi di
stravolgimento del testo del disegno di legge di riforma del Senato
diventano concreti.
Ma, ormai,
il governo non ha alternative: deve affrontare una serie di votazioni
successive sugli emendamenti che Grasso giudicherà ammissibili, e
poi, sull’art. 1 e sul 2. Del resto, nell’implicito della
dichiarazione del presidente del Senato c’è una sorta di
promessa-minaccia: senza accordo politico sarò costretto a applicare
il regolamento e a far votare tutti gli emendamenti che giudicherò
ammissibili.
Certo,
Grasso, parlando di accordo politico, ammicca a un accordo non solo
maggioranza-minoranza Pd, ma ancora più vasto, magari con il
Movimento 5 Stelle e Sel. Un accordo che gli conferirebbe la nomina a
«zio» di un nuovo schieramento, e l’immeritata investitura a
quasi-leader pronto per il futuro e per presiedere il governo
elettorale che potrebbe essere necessario dopo il crollo di Renzi.
L’accordo
non ci sarà, per l’indisponibilità dei partiti e dei gruppi, e
perché, ormai, queste manovrette da corridoio non hanno alcuna
possibilità di successo.
È
sgradevole citarsi: ma prima della stagione delle ferie avevamo
osservato che, al rientro, Renzi si sarebbe trovato davanti una serie
di appuntamenti parlamentari per la vita o per la sua morte politica.
Ci siamo:
la giostra ha inizio l’8 settembre.
I cavalieri
e le dame, però, sono tutti, più o meno impreparati ad affrontare
un simile noncavalleresco torneo.