30 apr 2014

La libera comunicazione del Cavaliere..un argine al Movimento 5stelle?


UNA SINGOLARE PENA
di vincenzo cacopardo 
Col solito documento piegato nella mano destra che  di continuo sventola per richiamare l’attenzione su un impegno ( esclusivo oggetto di una sua comunicazione) Silvio Berlusconi, intervistato da Corrado Formigli, persevera contro una corrente della giustizia con finalità di intervento politico. Insiste dichiarando ridicolo pensare che possa ritenersi  rieducato con la consegna ai colloqui quindicinali con gli assistenti sociali. 
Se.. per questa pena da scontare non si può che essere d’accordo anche per il semplice fatto che gli rende una immensa possibilità di comunicare attraverso un teatrino a dir poco spettacolare, sembra più difficile pensare che le sue parole circa la magistratura politicizzata, lasceranno il Tribunale di sorveglianza in silenzio dopo le ordinanze imposte il 15 aprile scorso dal provvedimento della Sorveglianza. Potrebbero persino costargli una agibilità politica spedendolo agli arresti domiciliari.
Con la solita ossessione del “colpo di Stato” riguardo alla sua sentenza, il Cavaliere continua a provocare, ma quello che non si percepisce bene è la convenienza dato il fatto che l’attuale pena gli offrirebbe maggiori vantaggi. Vantaggi che.. tra l’altro.. non dovrebbero essergli offerti e che si interpretano come un errato insegnamento per quei cittadini i quali si sentiranno di poter commettere frodi appellandosi alla ridicola pena di quattro misere ore alla settimana.
Un ulteriore anomalia del sistema giudiziario che sembra solo continuare ad ammonire Berlusconi con avvisi e senza decisioni definitive.. non esistendo un vero tetto alle diffide oltre il quale scatta in automatico la perdita del beneficio. Ma nell'intervista a Formigli, l'ex presidente del Consiglio chiama in causa anche il capo dello Stato, reo di non avergli concesso motu proprio la grazia. Un’ulteriore provocazione che oggi viene permessa ad un simile personaggio politico al quale continuano a proporsi interviste.
E’ più che chiaro, quindi, che tali concessioni non possono che essere volute in forza della maggiore preoccupazione di oscurare la figura di chi potrebbe.. in un certo senso.. arginare un più ampio consenso alla politica di Grillo: Si rende aiuto ad una comunicazione di Berlusconi perché il suo Partito dovrebbe porsi come l’unica vera opposizione al governo..potendo così limitare la marcia di un Movimento antisistema che continua a mettere ansia ai potentati vigenti.
Da ciò anche l’attaccamento studiato a tale personaggio promosso dal furbo sindaco d’Italia che non perde occasione di approfittarne.   




29 apr 2014

Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo

di domenico Cacopardo
La luna di miele tra Matteo Renzi e il Paese è terminata. Una cosa normale, se il suo arrivo in politica non fosse stato accompagnato da attese messianiche, peraltro ampiamente deluse.
E, nonostante tutto, l’esperimento avviato dall’exsindaco di Firenze va sostenuto: la sua caduta, infatti, renderebbe ancora più drammatica la crisi e ci avvierebbe, infine, a quel commissariamento europeo (molto positivo dov’è stato applicato)non voluto da Monti, che considerava se stesso il commissario.
La questione è la solita: le riforme. Non si sono fatte e non si fanno. E quelle di cui ha parlato Renzi sono impantanate alla Camera (lavoro) e al Senato (istituzionali). Giorgio Napolitano s’è speso per rimettere in moto la macchina, ma il premier dovrà piegare la propria protervia alla necessità di cercare e trovare intese anche con i propri gruppi parlamentari, in maggioranza ostili al nuovo corso. E si vede, eccome!
Del resto, sotto elezioni, una sconfitta di Renzi avrebbe effetti devastanti sul Pd, in cui gli excomunisti sono prevalenti, ma gli exdemocristiani governano. Ne risentirebbe il Paese che ha iniziato il cammino del rilancio  secondo modalità che, purtroppo, non produrranno più occupazione.
Cresceranno i profitti. Gli investimenti solo a condizione che si liberalizzi il mercato del lavoro e che il fisco assuma dimensioni accettabili.
È inutile intervenire sulle retribuzioni, diminuendole: è una tassazione surrettizia, mentre occorre tagliare drasticamente le uscite e porre una diga alle vere dissipazioni, ricorrendo a conoscitori della macchina dello Stato, non a consulenti formatisi in organismi internazionali, alla Cottarelli, che nulla sanno nel merito, o a funzionari municipali. E poi, l’inesperienza totale dei ministri del Pd, a parte Poletti e Padoan, aggrava una situazione di patologica insufficienza del personale di governo.
C’è voluto, il 25 aprile, il richiamo di Napolitano per far riflettere gli italiani sulle sciocchezze uscite dalla bocca della ministro della difesa Roberta Pinotti (e da quella di Cottarelli): prima di affermare tagli incoerenti e prematuri, occorre riflettere sul modello di forze armate di cui abbiamo necessità, tagliando drasticamente la base e il vertice dell’apparato militare, risparmiando sul numero degli uomini e guadagnando in professionalità ed efficienza. Prima di cancellare il programma F35, bisogna definire l’entità della forza aerea che serve all’Italia. Allo stesso modo va affrontata la questione delle due portaerei costruite in un occasionale delirio di potenza.
Insomma, lo svelto Renzi si sta preparando agli esami di maturità con una classe di rimandabili.
Il ritorno in campo di Berlusconi è un aiuto insperato, visto che, comunque, contribuirà a ridimensionare il previsto successo di Grillo e l’astensionismo.
A proposito: a qualcuno, a palazzo Chigi, visti i sondaggi, è venuto il dubbio che le decisioni del governo e la comunicazione del premier non siano molto efficaci per contrastare la crescita del movimento a 5Stelle?
Insomma, c’è qualcuno che riflette su ciò che non va nel palazzo? E nel Paese?


Anch’io penso che qualcuno a palazzo Chigi dovrebbe porsi seriamente queste domande: la comunicazione ed alcune scelte decise del premier.. spesso non aiutano e determinano quasi meccanicamente una reazione che induce a scegliere la strada di un cambiamento forte e rischioso come quello più travolgente di Grillo.
Se continua questa determinazione e l’eccessivo assolutismo nelle scelte …è più che evidente che una buona parte dei cittadini si sposterà verso il Movimento di Grillo che rappresenta una vera rottura contro chi si è già posto similmente in questo ventennio. Renzi..come Berlusconi alza un’asticella troppo alta sulle riforme  importanti per il futuro della politica ed inoltre non manifesta un vero metodo sulle scelte di lavoro per la crescita. Non so dire, al contrario del cugino, se le capacità tecniche di Padoan e Poletti siano tali da proteggere il cammino avventato di una personalità come Matteo Renzi, ma di certo.. le vere scelte dovrà operarle chi guida il governo.. poiché sono scelte politiche.  E’ anche vero, come giustamente sostiene Domenico, che ormai l’esperimento va sostenuto. Ci ha creduto una politica allo sbando che oggi si trova quasi ricattata da questa figura oggi sostenuta nei consensi: Immaginiamoci cosa succederebbe se Renzi fosse messo alle corde (anche motivatamente) e decidesse di abbandonare!
Le attese messianiche le lascio ai cittadini..limitandomi a guardare il nuovo teatrino di una politica che oggi continua a sostenersi attraverso le figure assai plateali di Berlusconi, Renzi e Grillo, trascurando l’importanza di una seria ricerca di nuovi sistemi più utili al percorso di una funzionale politica.

vincenzo cacopardo

un articolo del consigliere Cacopardo sugli apprendisti stregoni

Se avesse studiato –o, almeno, letto- un qualsiasi manuale di strategia, Barak Obama avrebbe imparato che, in politica, occorre misurare i passi e le decisioni con la capacità di sostenerli, alla luce delle forze in campo.
Se avesse usato l’elementare prudenza che questa regola impone a chi ha responsabilità di comando, avrebbe cercato di valutare, prima di scatenare le rivoluzioni nel Nord-Africa, cosa sarebbe potuto accadere dopo.
Sono passati tre-quattro anni dalla Rivolta dei gelsomini, la prima, scoppiata in Tunisia, e il bilancio nello scacchiere è fallimentare. Nella stessa Tunisia, mercé la regia francese, la situazione sembra stabilizzata mediante un ragionevole compromesso costituzionale tra integralisti e laici. Si tratta di un accordo fragile che può andare in crisi da un momento all’altro, non appena gli islamisti si produrranno in qualche nuovo affondo sulla condizione femminile o un attentato di loro adepti provocherà l’ennesima strage.
L’Egitto è uscito dall’instabilità e dalla sostanziale primazia dei Fratelli musulmani del presidente Morsi, vincitore delle elezioni, per il colpo di Stato militare che, presto, dopo una nuova consultazione, darà il governo al generale Mansour, ben deciso a ridimensionare il peso politico del radicalismo religioso. In una nazione dove esistono una borghesia laica e dove i giovani guardano a Occidente, il favore popolare sembra assicurato.
I disastri peggiori sono altri due: la Libia, in preda all’anarchia e con una forte presenza di milizie qaediste (presenti anche nel Sud della Tunisia) e la Siria, nella quale i qaedisti stessi hanno preso in mano il movimento anti Assad con tutte le drammatiche conseguenze di cui si legge sempre meno nei quotidiani occidentali, tutti sposati alla causa dei ribelli. Nemmeno le continue stragi di religiosi cristiani, la biblica fuga di qualche centinaio di migliaia di siriani verso l’Europa, riescono a introdurre un po’ di realismo nelle valutazioni delle opinioni pubbliche continentali. I governi, invece, sembrano più consapevoli (anche se tacciono) e investono nel sostegno ai ribelli nonqaedisti con risultati poco rassicuranti. Gli esperti valutano che i non siriani nelle file dei anti Assad siano la maggioranza e che appartengano a oltre 250 nazionalità diverse (in maggioranza, però, ceceni). Non è nemmeno chiaro dove sia oggi l’Arabia Saudita, visto che il suo sostegno al fronte rivoluzionario s’è trasformato in non voluto supporto al fronte di Al Qaeda (nemico n. 2, dopo gli sciiti).
Queste considerazioni sono la premessa di un breve ragionamento sull’Ucraina. Mutatismutandis, la questione sembra una Cuba rovesciata. Nella crisi di Cuba, Krusciev intendevano installare i propri missili a poche miglia dalla Florida. In questa, Obama intende completare l’accerchiamento dei russi con strumenti politici e militari.
C’è un secondo fine, nell’appoggio americano al governo provvisorio ucraino (nel quale ambienti della destra neonazista e xenofoba hanno un peso significativo): il ridimensionamento del ruolo della Germania, della sua ostpolitik, e dell’Europa nel suo complesso, più portata a commerciare che a competere con la Russia di Putin.
Alla fine, l’isolamento indurrà Obama a miti consigli per addivenire a un ragionevole accomodamento. Anche perché non ha altri strumenti di pressione, a parte il militare, opzione spuntata e, quindi, inesistente.

Ne valeva la pena?

26 apr 2014

L’avanspettacolo..del Cavaliere

di vincenzo cacopardo

Sembra che il “burlesque" sia un genere di spettacolo ironico che nel passato acquisì caratteristiche più comiche e parodistiche.. composto da caricature, canzoni e danze e che.. col passare del tempo.. ha perso il suo elemento caricaturale divenendo sempre più simile al varietà o meglio.. "avanspettacolo". ..E quale miglior avanspettacolo ci attende oggi, se non quello che presto ci offrirà la pena che dovrà scontare Silvio Berlusconi?
Sta per cominciare il più divertente spettacolo nello scenario politico degli ultimi tempi. Un simpatico “burlesque” senza sosta per la gran parte di quel pubblico  che gradisce simili esibizioni..con la stampa premurosa che si scatenerà nel continuo assedio della location dove Berlusconi farà le sue brevi, ma esilaranti, apparizioni.
Non sarà difficile immaginare un nuovo spettacolare teatrino ormai tipico della commedia politica italiana accentuato dalla giustificata sudditanza psicologica della quale saranno attori gli stessi operatori sociali che avranno il compito di assisterlo…Tra sorrisi …baciamani….battutine…canzoncine e barzellette, il Cavaliere troverà terreno fertile per ironizzare sul suo stato.
Sarebbe stato più logico, proprio per via del suo delicato ruolo politico, rendergli meno visibilità ed imporre gli arresti domiciliari, seppur con la possibilità di esprimere, attraverso i giusti e moderati mezzi della comunicazione (privato dalla quale… si sarebbe reso ulteriormente vittima).
Ho già sottolineato quanto questo Paese non conosca alcun equilibrio… ed oggi, fornendo ad un condannato in terzo grado e pluriinquisito, un palcoscenico adatto dove potersi esprimere, non farà altro che aiutarlo in una comunicazione che catturerà ulteriori consensi da parte dei tanti che continuano a valutare la politica in modo plateale .
Ma forse..come qualcuno ha già messo in evidenza, tutto ciò si vuole proprio per non lasciare come unico potenziale avversario politico di Renzi, il comico leader del Movimento 5 stelle. Tutto farebbe pensare a questo: una pena da scontare assai mite in termini di impegno su un palcoscenico ideale. Chiunque altro non avrebbe avuto tali attenzioni e tanto spazio.
La paura che il Movimento di Grillo possa rimanere l’unico avversario nella contesa in seno ad un insensato sistema bipolare, sembra incidere persino su una pena da infliggere ad un politico come Berlusconi che, sebbene ormai passato negli anni, continua a pensare di proporsi in tutti i modi in termini di innovazione politica… Il Cavaliere davanti alle telecamere di “Porta a Porta”  arriva persino ad affermare il timore di una crollo della democrazia pur insistendo, in modo contraddittorio, a sostenere la validità di quel bipolarismo secco che rende poca consistenza alla voce rappresentativa del popolo.
La tesi di dover continuare a proporre questo sistema, unita alla paura di dare troppa forza all’unico Movimento di opposizione, potrebbe aver spinto i poteri fino al paradosso di simili ridicole pene da scontare….


Lo spettacolo ha inizio.. si apre una nuova “piece” all’italiana……       

25 apr 2014

Interessante delucidazione del Consigliere Cacopardo

di domenico Cacopardo

Si dice che il diavolo si celi nei particolari. Ma, in questi giorni, ci vorrebbe l’intervento personale di Dio per evitare che il governo Renzi finisca impallinato da tanti di quei particolari da costituire un fallimento.
Parliamo del decreto-legge del venerdì santo, quello salvifico per quei cittadini che potranno ricevere, da maggio a dicembre, un bonus fiscale di 80 euro al mese.
L’art. 13 stabilisce che «… dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione … è fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente …»
Una norma, questa, figlia della campagna scatenata da varie parti contro gli alti stipendi a prescindere dalla qualità dell’incarico conferito o dell’impegno richiesto, e quindi molto popolare nelle mente di chi, venendo da Rignano sull’Arno, immagina che l’alta burocrazia statale sia un nemico da abbattere e da dare in pasto alla massa dei tricoteurs in giro dall’Alpe alle Piramidi.
Ma basterà che un dirigente pubblico qualsiasi o un magistrato, il giorno dopo avere ricevuto la busta-paga del mese di maggio presenti un ricorso, perché in pochi mesi salti l’impianto legislativo, a meno che il Parlamento, con l’aiuto dei propri servizi giuridici, non cambi radicalmente la norma. Infatti –cosa che qualsiasi praticante di diritto pubblico e amministrativo dovrebbe sapere- essa colpisce i diritti quesiti e l’autonomia contrattuale delle parti.
Mi spiego: con un atto unilaterale del governo, meglio dello Stato (se le camere approveranno) non si possono ridurre le legittime spettanze, già stabilite, di qualsiasi categoria di dipendenti pubblici. In secondo luogo, gli stipendi in busta paga dei dirigenti dello Stato si compongono di due voci: lo stipendio in senso stretto e un compenso connesso all’incarico conferito stabilito con un atto contrattuale stipulato tra l’Amministrazione e l’interessato. Questo atto contrattuale, definito con la legislazione vigente al momento della firma, ha durata variabile da 3 a 5 anni. Esso non può essere modificato con un atto d’imperio durante il suo periodo di validità.
Diciamocelo francamente: nella renziana bulimia di parole non c’è spazio per chiamare le cose col loro nome. Si ricorre a fictiones per chiamarle in modo diverso. In sostanza, invece di ricorrere allo strumento fiscale (le imposte), l’unico utilizzabile per ottenere una perequazione, come confermato di recente dalla Corte costituzionale, si preferisce parlare di taglio degli stipendi. Mai di nuove tasse.
Il sistema salterà per mano di quei giudici cui Renzi stesso vorrebbe togliere legittimazione: i magistrati dei Tar che, quando saranno interpellati, dovranno trasmettere gli atti alla medesima Corte costituzionale.
C’è un altro elemento che incide sulla coerenza del decreto-legge e lo si trova nelle premesse (un’altra diavoleria che, di certo, gente tutta politica come De lrio non dovrebbe avere letto con attenzione). In esse, pregne di declamazioni drammatiche, non ci si riferisce all’intervento sugli stipendi pubblici, a meno che esso sia all’interno del concetto «…garantire la razionalizzazione, l’efficienza, l’economicità e la trasparenza dell’organizzazione degli apparati politico istituzionali e delle autonomie locali.»


Insomma, ci vuole proprio la personale mano di Dio per impedire che l’esperimento Renzi, macchiato dall’incompetenza, finisca nel ridicolo. E l’Italia nel precipizio.

24 apr 2014

Breve commento ad un articolo di Domenico Cacopardo del 24/4/2014

di domenico Cacopardo
Ormai è chiaro: la prima vera partita, Renzi la gioca sul decreto-lavoro.
Il voto di fiducia, celebrato ieri, al di là del risultato numerico, è simile al break che impone l’arbitro ai pugili in corpo a corpo. Ma, domani o dopodomani, al Senato, la partita riprenderà più virulenta di prima. È vero che a palazzo Madama i numeri sono più favorevoli al governo, ma è altrettanto vero che, se si tornasse alla stesura originaria, il decreto cadrebbe alla Camera, nel girone di ritorno.
Ora, quali sono le ragioni sostanziali che spingono la minoranza del Pd a ingaggiare battaglia su questo terreno?
Prima di parlare dei massimi sistemi, affrontiamo i minimi (e forse più concreti sotto vari punti di vista): una delle questioni riguarda la formazione professionale. Vogliamo quella aziendale o quella regionale? Le persone ragionevoli non esiterebbero a rispondere “aziendale”, visti i continui scandali che hanno investito le attività formative regionali (l’ultimo in evidenza quello attribuito al deputato Pd Francantonio Genovese, di Messina). Invece, la maggioranza del gruppo parlamentare del Pd (tutti nominati da Bersani, ma ormai in libera navigazione) preferisce la formazione regionale. È evidente che la scelta pubblicistica risponde all’esigenza di alimentare l’opaco circuito che finisce per finanziare il partito e i sindacati. Niente di più concreto, quindi. C’è poi il problema delle proroghe dei contratti a tempo determinato nell’ambito temporale previsto in 36 mesi: 5 o 8? La questione è solo strumentale, una prova di forza insomma, ma se passerà la linea dei ribelli del Pd (5 proroghe) sarà più difficile trovare imprese che assumano. L’aspetto più scandaloso di questa scelta è che tutti sanno che per stimolare il lavoro, specie giovanile, occorre allentare il regime vincolistico. Una volta allentatolo e indotte le aziende ad assumere a tempo determinato, sarà fisiologico che i lavoratori migliori, i più produttivi e professionali, siano assunti a tempo indeterminato. Sarebbe patologico il contrario.
Il regista di questa operazione antiRenzi, ma anche antilavoratori, giovani in special modo, si chiama Cesare Damiano, già ministro del lavoro nel disastroso governo Prodi 2 (2006-2008). Nel disastro, ebbe una parte anche il nostro, visto che fu lui a proporre e ottenere la riforma della riforma delle pensioni, consentendo anticipati collocamenti a riposo. Un contributo palpabile ai guai della finanza pubblica nei quali ci dibattiamo. La subordinazione al sindacato conservatore per antonomasia, la Cgil, rende necessarie operazioni senza sbocchi, che aggravano la crisi occupazionale dei nostri giorni senza offrire prospettive per il futuro. La cosa più paradossale in questo passaggio politico, è l’invisibilità di Confindustria, sempre meno associazione datoriale, sempre più burocrazia asservita agli interessi contingenti del sindacato preferenziale (sempre la Cgil).
Veniamo ora ai massimi sistemi: l’obiettivo strategico della minoranza del Pd (maggioranza nel gruppo parlamentare della Camera) è ridimensionare Renzi, costringendolo a una trattativa continua su tutti i temi dell’agenda di governo. Un progetto che, alla vigilia delle elezioni, marchia di irresponsabilità protagonisti e comprimari.
Certo, c’è qualche sponda importante come il Movimento 5 Stelle: ma non si può fondare un programma su di loro, visto che gli utili idioti non mancano mai nelle aule parlamentari. Purtroppo per loro, normalmente in tempi brevi vengono asfaltati dalla storia.
  


Mi ritengo d’accordo col cugino Domenico riguardo alla scelta di stimolare il lavoro allentando il regime vincolistico, ma nutro qualche dubbio sulle sue perplessità circa una discussione del programma di Renzi da parte del Partito. Un normale ed utile dialogo  che non sembra costringerlo ad una trattativa continua su tutti i temi dell’agenda di governo, ma ad uno scambio necessario e più che consueto che deve svolgersi all’interno di ogni Partito.
Non sembra invero che Renzi.. dal canto suo, si faccia ostruire la strada da chiunque, dettando continue proposte di cambiamento con estrema determinazione e spesso senza nemmeno scambiarsi.. arrivando addirittura a proporre voti di fiducia. Se la sua azione può essere lodevole sul piano della volontà e l’impegno..non è detto possa sempre esserlo nel merito.

Se ad esempio su alcuni temi del lavoro si può con più facilità essere d’accordo col Premier.. lo stesso non può dirsi su altre scelte che non sembrano mirare esattamente ad una crescita economica. Per non parlare delle riforme costituzionali che lo vedono legato a personaggi come Verdini e company….Ma si può davvero essere certi di queste importanti riforme per il futuro della politica proposte e decise assieme a tali personaggi? 
Le perplessità in seno al suo Partito sono giustificate anche se a volte supportate dall’invidia, ma possono risultare motivate anche dall’entità stessa del cambiamento proposto. Renzi potrà anche lavorare bene ed avere buoni propositi, ma deve sapersi confrontare con chi, forse, vorrebbe limitare un simile autoritarismo governativo. 
vincenzo cacopardo      

Renzi- Grillo.. schermaglie da campagna elettorale


Renzi su Twitter. "I comici milionari dicono che 80 euro sono una presa in giro. Se provassero a vivere con 1200 euro al mese non lo direbbero".
Non per difendere Grillo e le sue truppe…ma questl’ultima dichiarazione di Renzi risulta tanto banale quanto sciocca..E’ logico e che chiunque farebbe fatica a vivere con questa cifra…e c’è anche tanta altra gente che fa sforzi per riuscire a vivere con molto meno.
A prescindere dal continuo twittare da parte di chi dovrebbe usare il tempo per “pensare” un po’ di più alla logica del suo “fare”, toccare questo tasto dall’alto di un premierato è sempre inopportuno.. poiché somiglia tanto ad una provocazione tipica di una campagna elettorale di basso stampo.. dimostrando scarsa sensibilità nei confronti degli stessi cittadini:  Se è vero che Grillo può essere milionario, è anche vero che esercita una professione che gli ha dato tale possibilità, per il resto potrebbe essere valutato solo sul piano della sua posizione politica circa il modo di interpretare il suo incomprensibile cambiamento. La posizione di Renzi, invece, se pur non milionaria, appare comunque di estrema agiatezza e ricavata da un percorso politico pubblico i cui risultati sono ancora tutti da vedere. Non è tanto questo che colpisce in un Premier.. quanto il fatto che una battuta viene gettata lì solo per provocare...
Ma forse Renzi tocca questo tasto di proposito accostandosi in tono assai adulatore a quella categoria di cittadini.. additando in modo subdolo Grillo come colui che in qualche modo vorrebbe opporsi all’aumento degli ottanta euro, quando invece il comico (come del resto.. tanti altri), non vorrebbe far intendere nulla di ciò, ma mettere in dubbio una simile strategia poco vincente sul piano pratico che non può risolvere i veri problemi di una crescita.


Sebbene non siano mancate le risposte a difesa di Grillo, questo stupido attacco appare come un disegno da campagna elettorale promosso da chi avendo una posizione di governo non dovrebbe inserirsi.. nè suscitare tali sterili polemiche.
vincenzo cacopardo

23 apr 2014

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA PERSONALITA’ POLITICA ED IL LAVORO DEL PREMIER RENZI

       

1)    La corsa contro il tempo di Matteo Renzi è primaria.. la sua frase  “piaccia o non piaccia, andiamo fino in fondo” incanta. Il suo Partito appare ammutolito…succube della sua forte determinazione e senza alcuna critica che possa contrapporsi per mettere in evidenza i possibili risvolti di una modo assai “tranchant” per la determinazione delle nuove regole.

2)     Oggi..il suo scambio di vedute si riduce al “prendere o lasciare”come se si fosse in un tavolo da gioco..e persino all’interno del suo Partito nessuno osa mettersi in contrasto. Il suo continuare a ripetere “ci metto la faccia” può essere inteso come un ripetitivo slogan, ma viene interpretato dai suoi colleghi di Partito come un minaccioso aut aut…Un Partito ormai ammutolito…altro che democratico!

3)  Il modo un po’ sfacciato di affrontare le riforme di Renzi piace al popolo che non desidera approfondire alcuna tematica di rispetto verso le logiche di una democrazia ormai ampiamente superate nel metodo e persino nel merito: Poco importa purchè una figura decisionista riesca a mettere ordine nella politica sporca ed incapace di questi anni! Questa oggi la frase più comune:Il Paese è a terràalmeno vi è una persona determinata che vuole tagliare gli sperperi e gli alti costi della politica!

4)   La semplificazione, con la quale Renzi si appresta a voler riformare.. non è detto possa essere convincente solo per il fatto che si potrebbero abbattere costi e diminuire le spese, poiché un disegno più solido.. ricercato e proposto con maggiore approfondimento, potrebbe egualmente diminuirne i costi..non omettendo di rendere l'azione più sicura e funzionale.  Se oggi in tanti guardano al nuovo Premier come colui che si compenetra nella ricerca delle soluzioni, restando solo incerti sul metodo col quale si muove, in meno si pronunciano sul merito delle sue scelte.

5)   Alcune riforme istituzionali sembrano davvero insignificanti se poste in termini di miglioramento delle funzioni. Non sono utili a migliorare, ma solo a dare l’apparenza di un ridimensionamento delle spese, un risparmio che.. come pare ormai provato.. risulta addirittura esiguo.  Ma è ancora più stupefacente e desta maggiore inquietudine, il fatto di non riuscire a vedere un vero percorso costituzionale futuro di tutto questo suo progetto.

6)    Credo che un vero statista oggi dovrebbe aver l’intuito di percepire l’importanza primaria di una crescita e di quanto possa esser importante accompagnare lo sviluppo del Paese attraverso scelte qualitative. La principale meta di Renzi sembrano essere quegli ottanta euro per i lavoratori sotto i venticinquemila euro: Una idea modesta e sicuramente non geniale..nè confacente alla necessità che oggi ha la nostra Nazione per un bisogno di vera crescita.

7)  Senza crescita vi è maggiore disoccupazione… e l’aumento dell’occupazione potrà portare conseguenze ben peggiori! Qualcuno plaude al piano di Renzi e qualche altro  preferisce attendere gli esiti delle sue proposte alla manovra. Malgrado ciò..i provvedimenti del giovane Premier sembrano non garantire ancora una vera crescita.


8)    Le sue piccole trasformazioni, però.. lo accrediteranno nel paese..un paese che, come tutti ormai sappiamo, tende ad esaltare o a buttare giù ogni figura. La capacità di vendere di Renzi sarà pari  alla sua permanenza nel teatro di quella politica del "fare"..(anche far poco)..ma se anche quel poco sarà fatto, per molti cittadini, dopo i lunghi anni di una politica in declino, sarà sempre un ottimo risultato.  Nel suo muoversi con decisione Renzi troverà una miriade di ostacoli, molti delatori ed altrettanti invidiosi che gli metteranno il bastone tra le ruote…pagherà..quindi… una certa disinvolta determinazione e si accorgerà anche delle tante difficoltà poste da una particolare incrostazione burocratica che impedirà certe sue avventate ambizioni di cambiamento.

vincenzo cacopardo

Nel PD muore la dialettica politica


LA POLITICA CHIUDE LE PORTE ALLA DEMOCRAZIA
 DI VINCENZO CACOPARDO
L’atteggiamento di sudditanza del Partito Democratico per Renzi appare ormai evidente. Un Partito che al suo interno rimane privo di alcuna dialettica in riferimento ad un deciso modo di procedere del loro leader. Nessuno entra più nel merito delle azioni e persino l’animella gentile di  Cuperlo preferisce fare dichiarazioni su una “partita del cuore”del Premier, difendendo la possibilità che Matteo Renzi giochi la sua partita di calcio e non obiettando più su qualunque altra decisione in seno al suo Partito. Si!...sembra proprio che il Partito sia ormai solo di Renzi e nessuno al suo interno può più permettersi di ostacolare ogni sua decisione.
Ma il silenzio assordante del PD su ogni decisione del nuovo sindaco d’Italia è..a dir poco...pericoloso perché isola ogni dialettica e scambio al suo interno..conducendo questo contenitore di consensi alla stregua del partito del Cavaliere dove conta solo la voce del leader e non l’utile confronto.
Sulla delicata materia delle riforme costituzionali Matteo Renzi, pone un veto assoluto, e per non ricevere colpi bassi, sembra volersi riparare sotto un più sicuro e comodo voto di fiducia. Qualcosa che un tempo avrebbe fatto rabbrividire i tanti personaggi che guardavano ai valori di una vera democrazia…
Una certa dialettica democratica pare stia lasciando il passo all’assoluto decisionismo di una figura che, seppur intelligente e brillante, si pone con supponenza e presunzione verso le soluzioni. Poco importa come ci si muove..quando i risultati immediati sono quelli di apparire determinati e risoluti come sa fare Renzi.. e assai meno importa ingabbiare una democrazia se gli effetti potrebbero essere quelli di far credere al risorgere economico di un Paese... Quali saranno però le conseguenze certe, non è dato saperlo adesso..lo sapremo più avanti…In questo momento avere una figura decisa al comando, per far fronte ad una decadente politica litigiosa del passato, appare la cosa più importante!    
La democrazia si avvia verso la morte!..Giovanni Belardelli professore associato di storia delle dottrine politiche alla facoltà di scienze politiche dell’università di Perugia, ha diverse volte sottolineato col suo pensiero  questo pericolo in riferimento a ciò che è già accaduto una volta nella storia italiana…e cioè: il suicidio del sistema democratico che.. con l’avvento al potere di Mussolini.. fu soprattutto il risultato degli errori e delle incapacità di tutti gli altri attori politici. Anche se in modo più soft e meno drammatico, si sta ritornando all’identico pericolo dei tempi passati, poiché…. sia con la riforma della legge elettorale.. che con quella riguardante l’assetto costituzionale, si spiana di fatto la strada ad un nuovo caso di suicidio della democrazia. 
Molti Partiti e Movimenti che oggi si battono nel territorio.. pare non percepiscano bene il loro destino..il loro allontanamento è ormai deciso da una globalizzazione della politica che tende a non favorire  più alcun pensiero che non sia determinato dall’alto.. limitando fortemente i valori essenziali del vivere sociale.  
La politica chiude le sue porte, aprendole verso l’assolutismo delle figure predominanti. Gli odierni decisionisti vedranno un grande consenso supportato dalle proposte allettanti basate su opportunità di nuove risorse in busta paga, ma mai nelle funzionali riforme che possano far partire dal basso programmi più validi ed opportuni.  





22 apr 2014

una nota all'articolo del prof Belardelli sul Corsera

Le due anime inconciliabili 
del centrodestra

di Giovanni Belardelli
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«In Europa prima l’Italia»: lo slogan che campeggia sui manifesti del Nuovo centrodestra cattura involontariamente la fisionomia evanescente, la leggerezza verrebbe da dire, che attualmente caratterizzano non solo l’Ncd ma un po’ tutti gli eredi dello schieramento che, sotto la guida di Berlusconi, ha segnato per quasi un ventennio la politica italiana. Uno schieramento che oggi, nelle sue varie componenti interne ed esterne al governo, affronta le elezioni europee con slogan che, diciamo la verità, appaiono un po’ tutti uguali: da quello, appena citato, del partito di Alfano, al «più Italia in Europa» di FI, fino all’«Italia chiamò» di Fratelli d’Italia e alla stessa associazione creata da uno dei suoi leader, Alemanno, che si chiama - neanche a dirlo - Prima l’Italia. I messaggi politici debbono essere per forza semplici e immediati. Tuttavia colpisce come (esclusa ovviamente la Lega) i vari spezzoni del vecchio centrodestra si siano limitati a girare attorno alla parola Italia, forse nell’illusione di arginare in questo modo la concorrenza degli assai più aggressivi e (temo) efficaci messaggi antieuro del M5S.

Ma dietro lo scarso spessore politico di certi slogan c’è qualcosa che va oltre le prossime elezioni europee ed evidenzia piuttosto una contraddizione e un limite che hanno attraversato l’intera esperienza del centrodestra italiano dal momento in cui nacque, grazie a Berlusconi, nel 1994. Fin dall’inizio esso si trovava ad avere un’identità ancipite. Da una parte si presentava come una forza moderata, che era in grado di contrapporsi con successo alla sinistra postcomunista e si candidava a rappresentare e sostenere le posizioni della Chiesa su tutta una serie di temi etici. Dall’altra, soprattutto Forza Italia si proponeva come artefice di una «rivoluzione liberale» imperniata sulla riduzione delle tasse e più in generale della presenza eccessiva dello Stato nella vita dei cittadini. Ciascuna delle due identità presentava delle contraddizioni interne: ad esempio, la difesa dei valori cattolici era poco conciliabile con il modello individualistico-acquisitivo veicolato dalle tv berlusconiane; e d’altro canto la promessa riduzione della presenza oppressiva dello Stato trovava un ostacolo nella richiesta di protezione e benefici di tipo assistenzialistico ben presente anche fra gli elettori del centrodestra. In ogni caso (e soprattutto) presentarsi come l’alleanza dei moderati e insieme di chi propugnava la rivoluzione liberale dava origine a una contraddizione seria, con cui il centrodestra ha dovuto convivere per un ventennio. Lo ha potuto fare senza esserne troppo penalizzato (tanto da governare per vari anni) grazie al fatto che la leadership personale di Berlusconi copriva, e annullava nei suoi effetti potenzialmente negativi, la contraddizione anzidetta.

Considerati in un’ottica storica, il carisma di Berlusconi e la sua straordinaria capacità di comunicare direttamente con gli elettori senza bisogno della mediazione partitica, ci appaiono come una grande risorsa politica, ma anche come un non meno grande limite. Una risorsa perché hanno fatto sì che il fondatore di FI fosse per anni l’unico politico italiano in grado di muoversi agevolmente sul terreno della nuova «democrazia del pubblico» (secondo la definizione del politologo Bernard Manin). Ma anche un limite perché la crisi della leadership carismatica di Berlusconi - accelerata dalle sue vicende giudiziarie, certo, ma resa definitiva da un ovvio dato anagrafico - riconsegna agli ex alleati del centrodestra, pressoché intatta, quella contraddizione iniziale tra due anime poco o punto conciliabili. Senza che si veda all’orizzonte qualcuno che, dotato di un analogo carisma, possa svolgere la funzione di collante svolta per vent’anni da Berlusconi.


Con questo articolo.. Belardelli rende chiara la posizione ambigua e scomposta delle restanti posizioni di destra nel nostro Paese, in cui l’unica vera identificazione rimane fissata sulla figura carismatica di Silvio Berlusconi.. reso ormai handicappato nella comunicazione a causa delle proprie vicende giudiziarie. Ma le posizioni dei Partiti di destra rimangono anche ostacolate dalla preponderante azione comunicativa di un personaggio come Renzi che, attraverso i consueti slogans, pare anche muoversi con la cadenza di un democristiano vecchio stampo.
Lo schieramento di destra nelle sue diverse componenti, sia interne che esterne al governo, si propone con la solita retorica e privo di un vero programma, ma mentre Alfano sembra costretto a seguire pari passo i propositi dello stesso Capo del Governo, il Partito di Forza Italia pare essersi impantanato in una azione di ricerca di un nuovo messaggio politico che difficilmente riuscirà a trovare. Quella leadership carismatica del Cavaliere, come sottolinea il professor Belardelli, riconsegna intatta agli alleati, quella contraddizione iniziale tra due anime poco conciliabili.


Ma la realtà è anche quella che oggi non permette di vedere in questi politici di destra un pensiero politico che possa identificarli, anche per via del fatto che le stesse contrapposizioni ideologiche vanno via via scomparendo in favore di posizioni pragmatiche più aderenti ai bisogni di una società che, dopo l’inconsistente ventennio, sembra non voler digerire qualsiasi posizione politica. Se Renzi avanza non è perché sia di sinistra, ma perché rappresenta una freschezza giovanile di un modo di far politica deciso e pragmatico che entusiasma la stragrande maggioranza dei cittadini a prescindere dai futuri risultati che si dovranno vedere.

21 apr 2014

La nuova posta di Paolo Speciale

Dei diritti e delle pene di paolo Speciale
Quando una sentenza è definitiva e quindi, come si suole dire, “passa in giudicato”, dovrebbe solo constatarsi la sua esecutività e riservare ad essa ed a chi l'ha pronunciata ogni dovuta deferenza, che si concretizza, formalmente ma anche sostanzialmente, con la non sottrazione da parte dell'imputato alla “inflictio”.
Definisco illegittima qualsiasi pretesa - specie se supportata dall'uso improprio di pubbliche facoltà istituzionali - di totale astensione da libera manifestazione di pensiero, tranne quando ciò non comporti vilipendio.
Quando l'esercizio di un potere - come quello giudiziario - comincia a perdere i pezzi della propria componente genetica fondante, cioè quella del mero servizio alla collettività senza di essa cercare impropri consensi che invece appartengono alla politica, giunge il momento in cui chi ne abbia la responsabilità – il Parlamento - è tenuto ad attivare ogni procedura prevista per la tutela del “diritto”: cosa è esso infatti se non il reciproco rispetto delle funzioni e del ruolo di ciascuno?
La nostra è una democrazia matura, che non può permettersi di confondere il rispetto delle istituzioni con il sopraggiunto vero e proprio culto fondamentalista delle stesse, creando così – come giustamente Piero Ostellino scrive oggi sul Corriere della Sera - altre caste che nascono dalle ceneri di altre.
Ecco perché ora dobbiamo liberarci al più presto dalla comune ed ormai pressoché unica accezione di una magistratura che riscatta i governati in quanto persecutrice dei governanti corrotti: per farlo dobbiamo essere supportati proprio da coloro che amministrano la giustizia. Come? Ogni uomo di buona volontà potrebbe cominciare a non considerare più, aprioristicamente, un attacco all'indipendenza delle toghe qualsiasi proposta di riforma del sistema giudiziario: il Consiglio Superiore della Magistratura, in quanto organo di autogoverno, formuli esso stesso proposte di cambiamento avviando un democratico confronto interno che restituisca, dopo il ventennio berlusconiano e di “mani pulite”, sia alle Procure che ai Tribunali il “potere del servizio”, sia che inquisiscano e/o giudichino Berlusconi sia che si pronuncino sull'autore di uno scippo.
Concludo: non posso che esprimere tutta la mia allarmata perplessità dinanzi ad un inaccettabile baratto consistente nella imposizione del silenzio assoluto ad un condannato in cambio del mantenimento a valere su di esso del beneficio di espiare la pena con modalità diverse dalla detenzione.


20 apr 2014

Un governo tra gufi e scommesse...


di vincenzo cacopardo
Per 15 milioni di persone le tasse diminuiscono, gli oneri contributi scendono e la promessa diventa realtà. Così..ha precisato il premier Matteo Renzi, dopo la conferenza stampa in cui ha illustrato varie misure adottate dal governo in ambito soprattutto fiscale. Il punto centrale del suo decreto riguarda gli ormai famosi 80 euro nelle buste paga di maggio per i lavoratori con i redditi più bassi, in relazione a cui Renzi ha confessato di essere felice e di avere smentito i «gufi», precisando che si tratta di «una misura che non è una tantum, ma strutturale com’è strutturale il processo di taglio alla spesa». Ha trovato la copertura finanziaria per il 2014 in 6,9 miliardi che diventeranno 14 nel 2015». Ha annunciato anche la riduzione dell’IRAP del 10%, anche in questo caso attraverso «misure strutturali».

Se avesse perso questa scommessa avrebbe perso anche la faccia!
In corso d’opera sembra, però, non aver dato corso all’impegno verso i crediti delle aziende in favore delle pubbliche amministrazioni..gli oltre 60 miliardi diventano adesso solo 14..ma ciò è stato davvero frutto di una comunicazione fin troppo azzardata…Un peccato che adesso viene classificato come veniale rispetto ad un impegno globale che guarda in più fronti.

Renzi prosegue spedito per la sua strada e se ..come era prevedibile, il passo della copertura finanziaria per le proposte di aumento in busta paga è quasi del tutto superato, adesso con lo stesso piglio il sindaco d’italia affronterà le altre posizioni di sofferenza delle società partecipate, degli incapienti e delle partite IVA.
Ma Renzi dovrebbe mettere mano anche al disegno di legge più importante per la crescita.. e cioè quello del suo “job act” (ossia.. per restare italiani.. delle riforme del lavoro). Qui il Premier si gioca la sua grande partita poiché non si tratta di accontentare una fetta di lavoratori con un aumento in busta, ma di offrire nuove opportunità per chi il lavoro non c’è lo ha.

Come ho sempre messo in evidenza il nodo delle riforme costituzionali rimane un punto sul quale è assai difficile poter essere d’accordo col giovane premier. Questo perché non si tratta di ricercare coperture finanziarie, ma di lavorare in favore di una tesi che non argini i principi fondamentali di una democrazia. Il problema da risolvere sta proprio nel saper operare in favore di riforme che non abbassino i principi di una democrazia rappresentativa in favore spropositato di una governabilità imposta. Bisogna avere una certa sensibilità politica per non comprendere quanto importante sia dare voce alle minoranze pur tenendo separato un contesto governativo efficiente.

Al di là di chi possa pensarla come lui, questo fa sì che persino l’efficienza governativa del giovane premier possa essere messa in dubbio da una buona parte di quella politica che guarda in direzione dei principi di una politica dei valori a difesa di una sovranità popolare. 

Un nuovo articolo del Consigliere Cacopardo

di domenico Cacopardo
Silvio Berlusconi, ottenuta l’agibilità politica è tornato in campo. Non è dato sapere quali siano le ragioni che hanno indotto il Tribunale di sorveglianza di Milano di infliggergli un servizio sociale di 4 ore la settimana, in tutto, con gli sconti di pena, meno di 200 ore. Un sospetto si fa strada, però, e riguarda le conseguenze di una compagna elettorale senza l’ex-cavaliere: i contendenti sarebbero stati solo due, Renzi e Grillo.
Se facciamo un passo indietro e guardiamo alle elezioni del sindaco di Parma (2012), possiamo osservare che il ballottaggio ha avuto luogo tra un vecchio e incolore quadro excomunista come il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, al primo turno vicino al 40%, e il giovane outsider grillino Federico Pizzarotti, con il 20% circa. Nel testa a testa, tutto l’elettorato di centro-destra privo di candidato e ostile a ciò che rappresentava l’uomo del Pd, riversò i suoi voti proprio su Pizzarotti conducendolo all’insperata vittoria.
Un’elezione europea celebrata senza Berlusconi avrebbe fatalmente visto una quota importante del suo elettorato riversarsi sulle liste del Movimento a 5 Stelle, consegnandogli non solo il monopolio dell’opposizione, ma percentuali inimmaginabili.
Quindi, una pena mite, mitissima ha restituito l’uomo di Arcore alla campagna elettorale, mettendo in discussione il previsto secondo posto di Grillo. È vero che il comico ci sta mettendo del suo per scendere nei gradimenti degli italiani: in una competizione con il voto di preferenza, le sue liste di sconosciuti collegate alle parole d’ordine eccessivamente radicali, spesso sbagliate o controproducenti hanno serie possibilità di anticipare il flop che, a medio termine, è lecito pronosticare per un movimento antisistema, xenofobo e razzista come il suo.
Renzi, per ora, veleggia col vento del consenso popolare in poppa. I suoi avversari interni ed esterni acquisiscono la patente di conservatori antiriformisti, di difensori del vecchio sistema e dei vecchi leader, insomma perdono qualsiasi appeal.
Rimangono, grandi come macigni, i problemi che ci portiamo dietro da vent’anni. Per risolverli occorre definire con certezza il ruolo che il ceto medio deve rivestire nell’Italia della ripresa e della ricostruzione. È il ceto medio, che s’è diviso tra destra centro e sinistra, che esprime il maggior tasso di simpatia (non corrisposta) verso l’exsindaco di Firenze.
Subito dopo il 25 maggio 2014, giorno delle elezioni europee, la luna di miele tra Renzi e gli italiani cesserà e anche i suoi rinvii e i suoi errori verranno al pettine.
Primo fra tutti, l’ulteriore aggravio del carico fiscale che colpisce proprio il ceto medio. E, subito dopo, l’attacco (renziano) alla burocrazia: i numeri di quella italiana sono minori della Gran Bretagna e della Francia, ma in linea con la Germania. Quello che non è in linea è il prodotto, cioè il contributo al Pil: mentre nei paesi citati la macchina pubblica è un serio supporto all’economia nazionale, in Italia è il maggiore freno, il costo senza ritorni che tutti siamo costretti a pagare. Mettere questa macchina in moto è in compito improbo, ma non rinviabile: certo non sarà la Madia ad affrontarlo.
La ricreazione e le indulgenze termineranno d’improvviso e l’exboy-scout fiorentino sarà costretto a ricorrere a tutte le sue qualità politiche per continuare. Sì, per continuare.

Nulla è più caduco dell’improvviso successo non confortato da veri, misurabili, immediati risultati.