IL "CAOS AGITATO" del consigliere Domenico Cacopardo
La giornata parlamentare del 24 luglio sarà ricordata per la scomposta agitazione delle minoranze nei confronti di Renzi e della sua ampia maggioranza. Anche la manifestazione davanti al Quirinale va iscritta nell’albo del dilettantismo politico, venato dallo squadrismo riportato alla ribalta dai distintissimi esponenti del M5S. Insomma, un caos agitato che ha portato acqua al mulino del premier e al suo riformismo pop. Chiamiamo pop il cosiddetto riformismo di Renzi perché è privo di un disegno coerente e compiuto e consiste in un «happening» continuo, nel quale il mondo si divide in sodali-dipendenti e nemici.
Il pasticcio nasce nelle insufficienze di Pietro Grasso, presidente del Senato e nel suo comportamento ondivago. L’ammissione del voto segreto su alcuni emendamenti in accettazione dei desideri dei grillini, ma contro la maggioranza, ha poi suscitato il severo richiamo del Quirinale e la decisione della conferenza dei capigruppo di porre il limite dell’8 agosto. È evidente che 8000 emendamenti dovevano, nella mente degli strateghi che hanno scelto questa strada, costringere il governo a desistere o a trattare.
Ma è altrettanto chiaro che la resa di Renzi sarebbe stata totale, in quanto non c’era una seconda linea di riserva.
Perciò, la maggioranza non aveva altra strada che indicare una data limite per il dibattito. Altrimenti, il Parlamento sarebbe stato inchiodato per mesi sulla riforma del Senato e del titolo V, dimenticando tutta l’imponente, spesso inutile, produzione legislativa.
La parola «elezioni», pronunciata da Giachetti e dal cerchio magico renziano era un’arma spuntata. Napolitano, nonostante l’impegno anomalo nel sostegno del governo (già manifestato per Monti e Letta, con il finale che s’è visto), non può concedere le elezioni durante il semestre italiano di presidenza. E che la resa di fronte al ricatto degli emendatori, avrebbe cuociuto a fuoco lento il ministero per condurlo presto alla fine (successore designato Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia con funzioni commissariali).
Questo non significa che il futuro della riforma è assicurato. Tutt’altro, viste le incertezze del premier, ignaro delle trappole parlamentari e digiuno di troppi capitoli dell’Abc della politica.
Immaginate che la fascinosa Boschi, riprendendo le parole di Renzi, per negare un disegno autoritario, ha annunciato un referendum sulla riforma, dimenticando che il referendum è dovuto (non dal governo, ma dal sistema) se le riforme costituzionali non raggiungono la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento.
Troppi fronti aperti tutti insieme, una specie di palingenesi alla tedesca, nemici a Est, nemici a Ovest, a Nord e a Sud: sappiamo come andò a finire e quali ferite una simile guerra inferse ai tedeschi.
Su questa strada il «boy-scout» fiorentino non andrà lontano. Ma i pericoli che corre, purtroppo, coinvolgono Giorgio Napolitano e la medesima Repubblica, dato che si manifestano in una congiuntura economica che sfiora la tragedia: il messaggio di fiducia di Renzi non è passato; la mossa degli 80 euro inutile; l’economia peggiora; il bilancio anche, visto che si sono decise spese dimenticando i vincoli europei.
Troppo per Renzi, troppo per tutti noi.