28 feb 2015

Le ragioni dell'incalzante supremazia della cultura religiosa orientale

di vincenzo cacopardo

Quali possono essere le ragioni odierne che vedono il cristianesimo recedere in termini di seguaci a beneficio della religione islamica tendente a crescere in modo quasi esponenziale?
Fino a qualche tempo fa erano circa due miliardi i cristiani e rappresentano la religione più diffusa al mondo. La maggior parte di loro, oggi, sono di nazionalità non europea. Il cristianesimo rimane, senza ombra di dubbio, una religione di origine europea. Anche se il Cristo nasce e opera in Palestina, la sua predicazione si diffonde per l’intero Impero romano, diventando la religione ufficiale, che si propaga nell’intero continente europeo.

Le forme assunte nel corso del tempo dalla religione cristiana nelle varie parti del mondo hanno un’importanza fondamentale per poterne comprende la spiritualità profonda del messaggio verso i popoli. La storia ci dice che nel 1054 vi fu quella che venne definita la rottura decisiva tra cristiani d’Oriente e quelli d’Occidente e che quella che avvenuta nel 1517 divise i cristiani 'protestanti europei dai cattolici romani.

Questi due argomenti restano di particolare importanza e devono essere percepiti in un'unica visione riguardo al percorso della storia del cristianesimo. Sappiamo, anche, che nel passato la religione cristiana diventa, nel corso del IV secolo, la chiesa costantiniana, nella quale il rapporto tra gerarchie ecclesiastiche e potere civile è sempre più stretto. Così nelle diverse modalità di affermare una propria fede, si intrecciano lotte per il predominio all’interno dello stesso ordine ecclesiale che si opponeva con forza in una lotta con un potere temporale.
Per comprendere il senso delle scissioni va ricordato il contesto nel quale avvengono e cioè... il confronto tra le culture profondamente differenti: quella orientale bizantina e quella occidentale romana. Una cultura religiosa dell’Europa continentale.. che si contrappone a quella dell'Europa mediterranea in uno scisma definito storico.

Questo per quanto riguarda la storia...Ma dopo tanti secoli possiamo accorgerci di quanto tutto si sia trasformato. Negli anni appena passati, giusto nel dopo guerra,..durante la ricrescita dell'Europa, la religione cristiana andava espandendosi facendo forza sui i suoi forti valori basati principalmente sul messaggio di Cristo in terra : amore, speranza, misericordia, umiltà, fede, carità..etc., oggi ci accorgiamo di quanto.. di tutto ciò.. sia stato osservato e convertito assai poco da una società occidentale tanto ipocrita..quanto poco attenta ai doveri cristiani rispetto ad un principio di equità chiaramente insito nella propria cultura religiosa.

Non è quindi difficile poter comprendere come la società europea, e gran parte di quella del continente americano, abbiano potuto incidere negativamente sui principi stessi della propria religione a dispetto di una crescita sempre maggiore di una cultura religiosa orientale e soprattutto mussulmana. La problematica è sicuramente individuabile nel contesto di una negativa “cultura” occidentale che ha finito col presentarsi agli occhi del mondo in modo assai poco conforme ai valori fondamentali..per finire col rendersi persino ipocrita...regalando maggior forza ad una religione mussulmana che, a parte le deprecabili insensate frange del fondamentalismo insito al suo interno, appare sicuramente più osservante e  meno sottomessa dall'incedere assoluto di una devastante economia del potere 

La problematica quindi non rimane solo legata ai differenti principi religiosi..ma si amplia nel contesto di una più vasta cultura dell'economia mondiale.

Oggi sembriamo avere il Pontefice giusto nel momento giusto..Papa Francesco.. infatti ..appare come la figura per la riconquista di quei valori evangelici che rappresentano la vera forza del cristianesimo. Un'opera di evangelizzazione che.. col suo forte temperamento umano ..pare essere trasmessa con la necessaria umiltà.. castigando decisamente la dominante cultura ed i deleteri principi avanzati da una politica economica senza freni ed alcuna equità.

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27 feb 2015

l'analisi di Domenico Cacopardo sugli scandali del calcio

di domenico cacopardo
Sono trascorsi diversi giorni dall’incontro tra il sottosegretario Delrio (ora anche saggista con «Cambiando l’Italia»), il presidente del Coni, Giovanni Malagò e il presidente della disastrata Federazione italiana gioco calcio, Carlo Tavecchio, dopo il mezzo scandaluccio provocato dalle incaute dichiarazioni telefoniche del presidente della Lazio Claudio Lotito, sulla possibilità che il club di una piccola città come Carpi «salga» serie A. Parole, quelle di Lotito, che hanno gettato una luce inquietante sul governo calcistico e sulla sua capacità di orientare i campionati.


Un incauto incontro, quello accordato da Delrio, nella qualità di sottosegretario con delega allo sport, ai capi di Coni e di Figc, visto che è stato subito utilizzato come una specie di investitura governativa di Tavecchio per attuare le riforme di cui il calcio avrebbe bisogno. Non si sa quali. Dunque quelle che fanno comodo al signor Tavecchio e ai suoi amici, tra i quali, non dimentichiamolo, spiccano proprio Lotito e Galliani.
Sarebbe stato meglio che Delrio, prima di accordare udienza a Tavecchio, avesse chiesto al suo staff qualche ricerca sul personaggio che stava per ricevere, in modo da valutarne la personalità. Diciamo subito che, osservato sotto il profilo del «rating di legalità», di recente entrato nell’ordinamento (Autorità Antitrust e Autorità Anticorruzione) a tutela delle amministrazioni pubbliche, il signor Tavecchio non riuscirebbe a raggiungere la soglia minima.
La norma sul «rating» stabilisce, infatti, che per ottenere una «stelletta», il minimo cioè, un’azienda deve dichiarare che i soggetti rilevanti ai fini del «rating» (direttore tecnico, direttore generale, rappresentante legale, amministratori, soci) non sono destinatari di misure di prevenzione e/o cautelari, sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs. 74/2000, per reati ex d.lgs. n. 231/2001, per i reati di cui agli articoli 346, 346 bis, 353, 353 bis, 354, 355 e 356 del codice penale e per il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 1 bis del d.l. n. 463/1983, convertito dalla legge n. 638/1983.
Carlo Tavecchio, secondo quanto emerge (incontestato) da fonti giornalistiche e dal web avrebbe subito le condanne alla reclusione nel 1970, 4 mesi per falsità in titoli di credito, nel 1994, 3 mesi per evasione fiscale, nel 1996, 3 mesi e 28 giorni per omesso versamento di contributi previdenziali e assicurativi, nel 1998, 3 mesi per omissione o falsità in denunce obbligatorie e 3 mesi per violazione delle norme antinquinamento.
Con questi precedenti, il signor Tavecchio non potrebbe quindi ottenere il «rating» di legalità e non potrebbe concorrere, se avesse un’impresa, ad alcun appalto pubblico.
A integrare il profilo di questo presidente di Federazione sportiva, va ricordato che lo stesso ha dato alle stampe un libro sul calcio: la sua Federazione e altri organismi associati ne hanno comprato un numero imponente di copie. Un’autonoma decisione, ufficialmente non ispirata in alcun modo dall’autore e, quindi, un esemplare esercizio del potere diretto e di quello indiretto.
Se poi, il sottosegretario allo sport avesse fatto allargare lo «screening» ai presidenti delle principali società di calcio, avrebbe scoperto che alcuni di essi hanno precedenti penali, oltre che sportivi.
Rimane un mistero perché tante persone, «normali» e non, ambiscano alla presidenza di una società di calcio, che difficilmente procura un utile adeguato all’impegno che richiede. I maligni guardano al ricco mercato estero che fa preferire un mediocre giocatore straniero a un mediocre giocatore italiano, magari «prodotto» dal vivaio della società che la persona «normale» presiede, una preferenza che permetterebbe le lucrose transazioni sull’estero lontano dagli occhiuti agenti di polizia tributaria.
È questo l’ambientino con il quale Delrio ha preso contatto.
E che s’è ulteriormente deteriorato in questi ultimi giorni con la situazione del Parma calcio, spolpato sino all’osso da una gestione sotto esame della Procura di Parma. Una situazione che getta un’ombra sinistra sulla regolarità del campionato, visto che, da una certa data, la squadra ha cessato praticamente di esistere.
Un ambientino così speciale che Giovanni Malagò, il presidente «rinnovatore» del Coni, accolto con grandi speranze purtroppo deluse, non riuscì a rinnovare, visto che, dopo alcune languide minacce, accettò senza fiatare l’elezione di Tavecchio. Un’operazione, quella Tavecchio, che, tra l’altro, ha condotto alla responsabilità della nazionale italiana un certo Antonio Conte, oggetto dell’accusa di «frode sportiva» nell’atto di chiusura di indagini redatto dalla Procura della Repubblica di Cremona.
Allo stato, dal punto di vista calcistico internazionale siamo quindi messi così: il presidente della Federazione Tavecchio è squalificato per razzismo (qualcosa di molto grave nello sport, per definizione interraziale), il commissario tecnico è accusato di frode sportiva dalla giustizia ordinaria.
Il Coni ha fatto filtrare l’informazione che «non ci sarebbero le condizioni» per commissariare la Federazione gioco calcio.
Delrio sia coerente con gli slogan di Renzi e cambi verso. Si rivolga a qualcuno che ne capisce, per esempio, all’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di valutare se ci sono gli estremi per il commissariamento. Magari disponga prima un’inchiesta, incaricando la Guardia di Finanza o chiedendola alla Corte dei conti.
È probabile che qualche elemento significativo, tale da suggerire il commissariamento, emerga. Ed è possibile che il semplice annuncio di un’inchiesta induca qualcuno a togliere il disturbo.



26 feb 2015

un commento alla nuova analisi di D. Cacopardo sulla responsabilità dei giudici



Benché i dati di fatto siano indiscutibili, ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati dell’8-9 novembre 1987 (80,20% di sì), avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione. E questo per l’opposizione feroce della magistratura organizzata, quella stessa che, con incredibile faccia tosta, partecipava alle inaugurazioni degli anni giudiziari con il libretto della Costituzione in mano, per significare che ne era lo strenuo difensore. Dimenticava che la giustizia, cioè l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano», quel medesimo popolo che, interpellato nelle forme richieste, aveva, in stragrande maggioranza, scelto di introdurre la responsabilità.

Un anno dopo il referendum, venne adottata la legge per l’indennizzo riparatorio per ingiusta detenzione, una atroce violenza, l’ingiusta detenzione, praticata dal 1945 a oggi a circa 4 milioni di italiani, tutta gente che, passata attraverso le maglie della giustizia ne è uscita prosciolta prima del giudizio o assolta. Gli italiani che, dopo il 1988, hanno ottenuto l’indennizzo per ingiusta detenzione sono circa 50.000. Nel solo 2014, in base ai dati oggi disponibili, ci sono stati 143 risarcimenti con una spesa di circa 4,2 milioni di euro.

In questi giorni, ha fatto scalpore la liquidazione di 40.000 euro a favore di Vittorio Emanuele di Savoia per l’ingiusta detenzione subita per ordine di Henry John Woodcock e Alberto Iannuzzi, rispettivamente Pm e Gip di Potenza. 

Dopo una interminabile gestazione, dovuta alla determinante presenza di numerosi magistrati nelle file del Pds prima e del Pd poi, e alla minacciosa azione lobbistica delle associazioni sullo stesso partito (da sempre protettore, beneficiario e succubo della categoria), martedì 24, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge che introduce una effettiva responsabilità civile dei magistrati per colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni. Il concetto di «colpa grave» è abbastanza definito. Si tratta dell'affermazione di un fatto inesistente o della negazione di un fatto esistente; della violazione manifesta della legge e del diritto comunitario; del travisamento del fatto o delle prove; dell’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale al di fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

Il meccanismo dell’indennizzo si metterà in moto su ricorso del cittadino, ma, diversamente da quanto oggi previsto, non ci sarà il filtro preventivo di una valutazione del competente tribunale distrettuale. Lo Stato, verificati i presupposti e le circostanze dell’evento, procederà direttamente alla liquidazione con l’obbligo (ed è questa la grande novità) di rivalersi sul magistrato responsabile della colpa grave. Ci saranno due anni di tempo (dalla sentenza di condanna del responsabile) perché gli organi dello Stato esercitino il diritto di rivalsa, il cui limite è portato alla metà dell’importo sino alla metà dello stipendio annuo. Nel caso di dolo, cioè di abuso esercitato per fini illeciti, la rivalsa è totale e senza limiti.

Nella sostanza, le vergini sacerdotesse della giustizia pura e dura, quelle dell’obbligatorietà teorica dell’azione penale e della pratica discrezionalità, non sono state violentate né lo saranno. La «verifica» dei risultati della nuova legge, annunciata dal «premier» per «premiare» l’Anm che, di fronte alla insostenibilità della posizione, ha rinunciato a proclamare uno sciopero, non darà nessun dato eversivo dell’ordine attuale, anzi, confermerà che, tra il prima e il dopo, l’esercizio effettivo dell’azione di rivalsa avrà un incremento marginale. Anche perché la decisione sarà presa in forma «domestica» e cioè da altri magistrati che, com’è dimostrato dalla storia, avranno poca voglia di infierire. «Cane non mangia cane», dice la saggezza popolare.

L’aspetto più significativo della nuova legge è l’introduzione di un deterrente (la rivalsa). Basterà a impedire che i Pm definiscano un teorema e vadano in cerca di pentiti pronti a confermarlo? È difficile dirlo in questa fase. Ragione vorrebbe che così fosse.

Tuttavia, quando si ha a che fare con le corporazioni autoreferenziali, non vale la ragione, vincono gli interessi di gruppi, sottogruppi e conventicole. E, se questi interessi suggeriranno ritorsioni nei confronti del Pd e del suo «leader» Renzi, il cui coraggio riformista va apprezzato, ne vedremo delle belle. 

Non c’è che da aspettare un anno per capire. Abbiamo atteso così tanto tempo che un anno è proprio poca cosa.
domenico Cacopardo



Una riforma in tal senso andava fatta..bisogna però adesso vederla definita nella sua particolarità per poterla valutare obiettivamente ed in relazione al contesto attuale.
Certo..come afferma Domenico..ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum... avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione..come è anche certo che sulle sentenze.. l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano» e per questi motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve sostanzialmente leggersi in senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, (cioè deve intendersi come un ordine al potere esecutivo). Se così non fosse , non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Questo non può essere un aspetto da sottovalutare poiché la realizzazione dello Stato di diritto comporta l’obbligo delle istituzioni statali a mantenersi entro i limiti della legge. Questi limiti assumono un carattere di rilievo politico quando il cittadino, titolare delle sue libertà civili, vi si trovi in conflitto, ma anche quando chi opera in relazione con lo Stato ne abusa attraverso la forza di quello che ormai è definito come un “Potere”.
Bisogna innanzitutto considerare che la forma di indipendenza della magistratura. Valutarne attentamente la loro autonomia che è sempre apparsa tanto radicale quanto errata..e cioè.. il frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, ha finito col produrre effetti contrari.

Non è facile dare un giudizio su una riforma sulla responsabilità dei giudici senza prima osservare le ragioni che hanno portato a definire un “potere” giudiziario ( in realtà nato come un “Ordine”), mostrandolo nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri. Un Potere che, come tutti ormai dovremmo aver chiaro, non è esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi.
La storia vuole che i padri costituenti italiani, avvezzi nel vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono un organo :il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza del giudizio.

L'inganno.. oggi.. sta nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che deve rifiutare è proprio un governo senz'altro, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro Organo.

Ritornando alla riforma odierna... al di là di un chiaro desiderio espresso dai cittadini attraverso un referendum.. bisogna anche considerare la scarsa conoscenza di una buona parte del popolo che si è espressa in una consultazione allo scopo assai generico di una responsabilità su un lavoro così delicato... senza tener conto delle continue evidenti anomalie insite negli altri ordinamenti. Anomalie che, messe in confronto con l'operato di una politica che norma i fondamentali compiti dei poteri stessi, appaiono volute prese di posizioni.: il conflitto di interessi insito nella politica odierna..in realtà pone grossi dubbi sulla possibilità di formulare nel merito leggi in proposito, poichè la stessa politica porta responsabilità assai peggiori verso i cittadini .

Pertanto.. forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere prima, quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici.. facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Vincenzo cacopardo

25 feb 2015

Governo anomalo in un sistema politico ormai malato

di vincenzo cacopardo

Il governo del giovane Sindaco d'Italia va avanti come un treno senza nemmeno dare uno sguardo attento ai semafori posti nel suo percorso: Ormai tra decreti attuativi e fiducie... con canguri e tagliole, si procede come se nulla fosse ed in barba alle regole istituzionali che regolano i principi di un vero sistema democratico.

I parlamentari appaiono ormai palesemente sottomessi ad un governo e per un evidente vantaggio di una sicura poltrona (circa 14.000 euro mensili sicuri) soggiaciono ad ogni fiducia posta da chi sa di potersi porre con sicumera e supponenza. L'idea di una crisi di governo potrebbe interrompere la più che favorevole posizione di vantaggio remunerativo. L'Aventino sembra ormai superato e qualche ribelle oppositore continua ad esprimersi con forza ritornando subito dopo nei ranghi del proprio Partito.

Il capo dello Stato ancora non si esprime su considerazioni di metodo che, in realtà, gli appartengono in qualità di garante di un sistema di democrazia che dovrebbe vedere nel parlamento il punto centrale di tutta la politica istituzionale.

la mancata attribuzione dei poteri di indirizzo politico al Presidente della Repubblica, fa sì che tali poteri vengano accentrati nel raccordo Parlamento – Governo”.
Così recita il diritto Costituzionale, ma sembra evidente che questo raccordo oggi venga intaccato destando serie preoccupazioni per la garanzia dello stesso principio di democrazia: i due ruoli non riescono più ad operare in condizioni di indipendenza e, pur nella loro distinzione funzionale, risultano condizionati da un pressante potere partitico che li sottomette al proprio interesse. Renzi oggi rappresenta l'evidenza di tutto ciò e quella tendenza equilibratrice che si voleva tramite il raccordo, non appare per nulla possibile. La centralità del Parlamento non determina più la sua vera fondamentale funzione ed ogni azione governativa finisce sempre col prevalere e condizionare pragmaticamente ogni indispensabile percorso politico parlamentare...

Ci vorrebbero idee innovative,ma nessuno si impone in una ricerca occorrente più opportuna! 

In nome di riforme quasi del tutto imposte, si sta pretendendo di cambiare un sistema politico attraverso il forzato metodo governativo non privandosi di una serie di ricatti e posizioni ambigue.

Malgrado un primo accenno, sebbene ritardato... ma comunque di auspicio.. da parte della benevola presidente Boldrini, nulla sembra cambiare poiché il pragmatismo governativo pare prevalere su tutto in mancanza di vere idee da contrapporre. Tra anomalie evidenti e chiare forzature, si procede nella più assoluta mancanza dei principi cardine che una carta costituzionale in realtà vorrebbe imprimere: Viviamo in uno Stato parlamentare e questo basterebbe per porre l’importante azione delle Camere come centralità dalla quale dovrebbe dipendere ogni regola ed ovviamente l’indirizzo culturale ed economico del nostro Stato democratico. I ruoli legislativi, quindi, non possono che essere primari e propedeutici a quelli governativi. Il contrario di questo si chiama regime! 



Due pensieri sulle esigenze funzionali del sistema della politica odierna



l'ostentato cinico realismo tendente a penalizzare le idee”

Se, come oggi, ci si adatta lavorando nel proprio campo senza l’apporto di una vera e rivoluzionaria ricerca, si rimarrà sempre immobili in un sistema dal quale si attinge ma, al quale, non sarà mai reso un contributo per il giusto efficace cambiamento. Ciò porta ad un inevitabile stallo dove lo stesso sistema si costringe in un percorso viziato che tenderà sempre a riparare falle senza innovare mai nulla. In seguito si continuerà ad adattarsi, come oggi si usa, ai cosiddetti modelli esterofili che nulla possono se non accentuare tali difficoltà, in quanto non esattamente in linea con la cultura territoriale e la storia del nostro paese.
Credo che qualunque sistema odierno pretendesse di assumere in se il pluralismo di una politica di base e di dialogo ed una governabilità stabile, non potrà che trovare enormi difficoltà per il contrastante aspetto derivante dalla diversa funzione di queste due azioni”. Qualsiasi novità che si intendesse proporre dovrebbe solo seguire la naturale esigenza di un ovvio ed equilibrato percorso chiedendo, pertanto, di non dipendere da un severo pragmatismo amministrativo, ma da una cultura del dialogo e del buon senso. Occorrerebbe una vera novità per mirare ad un cambiamento più dinamico per non reprimere ogni azione di base e per non costringere quella governabilità che, invero, continua ad apparire alquanto imposta...Sicuramente poco funzionale!
Nel momento storico attuale, forse anche a causa di una forte recessione mondiale, si sopravvive attraverso l’unica risorsa mentale della tangibilità e della concretezza, non  reagendo con la forza delle iniziative e delle idee e questo penalizza il giusto percorso della crescita di una società. In ogni campo del sociale ed a maggior ragione oggi, una visione troppo forzata di un certo ostentato realismo, non può mai far sperare in una crescita, al contrario, trascinerà avanti un popolo al servizio di un sistema malato. 
Eventi storici, come quelli dell’unione dei paesi europei, avrebbero dovuto determinare, attraverso una naturale integrazione ed aggregazione, un successo per iniziative ed innovazione. Si sarebbe dovuta riscontrare l’affermazione di un percorso costruito attraverso un naturale scambio della conoscenza, del dialogo e delle idee. A volte, come qualcuno asserisce, risulta più utile coniugare le diversità, anziché tentare di aggregare certe omogeneità...I recenti episodi che vedono gli odierni contrasti tra Oriente ed Occidente ne sono la prova concreta.
Vincenzo cacopardo

23 feb 2015

Il jobs Act.. nel futuro incerto di una economia globalizzata


di vincenzo cacopardo

A volte guardando il giovane sindaco d'italia Renzi viene voglia di rimpiangere Berlusconi. Il che è tutto dire..ed equivale ad affermare che in fondo il cavaliere, con tutti i suoi eccessi e gli errori macroscopici, nel suo avanzare determinato, aveva comunque un senso più discreto nel processo di guida governativa...Se Berlusconi si contornava di figure politiche poco stimabili..Renzi, nel suo incedere, si circonda di una comunicazione ingannevole e di un determinismo ai limiti... ed a volta al di sopra delle regole... che supera ogni rispetto per i cittadini e le istituzioni.

Da questo punto di vista Renzi risulta anche più dannoso poichè azzarda oltre ogni limite nel campo dei suoi compromessi e conflitti.. come fossero ormai naturali anomalie di un sistema che lui stesso vorrebbe combattere.. fingendo di rottamare. Lui usa il sistema anomalo e distorto..per creare un cambiamento che donerà il bastone del comando ad una governabilità più forte... e lo fa con la decisa spinta dei poteri economici più forti.

Ad esempio: Se in suo jobs Act si è voluto..si è voluto anche e soprattutto per la volontà dei forti poteri europei che hanno reclamato tale riforma al fine di poter dare un accesso più ampio ad investimenti nel nostro Paese. In tal modo potremmo anche vedere crescere il nostro Paese sul piano economico (e questa potrebbe essere già una buona cosa), ma con gli interessi prevalenti di una economia che da fuori investe nel nostro territorio e che potrebbe frenare.. nel futuro...lo sviluppo di aziende prettamente nostre e con capitali nostri.... Molto facile che diversi marchi spariranno e si modificheranno per volontà di nuove padronanze. Si potrà obiettare affermando che entrerà più lavoro nel Paese...e questa potrà essere una realtà positiva, ma con questa eventualità.. si aprirà anche un mercato che offrirà  opportunità ad un numero elevato di aziende estere di investire in Italia..Il rischio è quello di restare definitivamente dipendenti e condizionati da chi potrà sfruttare questa occasione per dominarci. Ecco una ragione plausibile del forte incoraggiamento sulla riforma da parte dell'Europa!

Ma questa ormai è la dura realtà di una strana globalizzazione che guida il mercato moderno e che, oltre a togliere di mezzo l'importanza della qualità di ogni prodotto (da sempre sicuramente un nostro valore), continuerà a premiare solo la forza delle realtà industriali più ricche esistenti in Europa. Una probabilità..non inconfutabile, ma se vista in lungimiranza potrebbe dar vita a dubbi sulla attività di un Paese.. come il nostro, in prevalenza manifatturiero...che avrebbe bisogno di spingere nuove attività in nome della qualità e dell'innovazione. L'energia lavorativa potrebbe essere svenduta a grosse potenziali aziende estere e queste potrebbero anche mantenere sedi fiscali all'estero...Vedremo..

Questi motivi portano, comunque, altri dubbi ed incertezze sulla costruzione di una società internazionale come la nostra... che pare orientarsi sempre più verso l'apertura di quella forbice tra ricchezza e povertà. Questo perchè... trionfando sempre più, con autorità..un'economia finanziaria..si tenderà a togliere più spazio all'inventiva che rappresenta il vero valore per la ricerca di una qualità. Si mirerà ad offrire meno possibilità e speranze verso chi si propone attraverso le idee per proprie nuove iniziative. Iniziative..le quali.. oggi non sembrano essere accompagnate da una guida politica economica attraverso un jobs-Act che pare, invece, indirizzarsi più sulle regole di un lavoro... che alla ricerca di un riscontro dello stesso. 

Analisi e valutazioni sulle questioni libiche



Quello che difficilmente posso comprendere in queste analisi di Domenico Cacopardo è il porre la questione Oriente - Occidente come uno scontro nel quale misurarsi per una vittoria. Se uno scontro.. ossia un conflitto.. deve continuare, non vi potrà mai essere un vero vincitore ma una lunga serie di atti terroristici e di vendette inutili ed anticostruttive...Una vera vittoria vi sarà quando si porrà una fine utile ad un piano di sopravvivenza comune.  

Al di là di un qualunque impegno attraverso un intervento diretto...rimane comunque sempre presente il fenomeno dell'immigrazione a danno prevalente del nostro territorio che pare non essersi affrontato con il giusto equilibrio, malgrado le continue lusinghe sull'operato del nostro Premier ...considerato ormai come un eroe da coloro che ne lodano ogni sua azione in proposito. Ma possiamo davvero continuare a restare inermi di fronte ad un simile problema che coinvolge tanto l'Oriente ..quanto l'Occidente? Il vero problema è proprio quello di arrestare questo esodo intervenendo con una politica(sempre trascurata) di aiuti nel loro stesso territorio in cui si vivono grandissime ed evidenti difficoltà di sopravvivenza...e questo ormai sembra chiaro a tanti.. 

Riguardo all'Italia..se dobbiamo fare affidamento sulle qualità dell'intelligence nel territorio libico, come afferma Domenico, (pur nutrendo dubbi grandi come una casa) rimane sempre più difficile risolvere la problematica degli sbarchi..ed appare abbastanza evidente la poca attenzione da parte dell'Europa in proposito. Il controllo degli sbarchi, così come è oggi non può portare a nulla di buono se non si opera preventivamente...e di conseguenza.. un vero controllo sull'infiltrazione di terroristi non potrà mai essere garantita.. 

Non è difficile ormai immaginare, visto i trascorsi e le continue esperienze, come da parte del nostro Paese si debba sempre aspettare una tragedia prima di intervenire con un efficiente e sicuro impegno preventivo. La prevensione sembra non appartenere alla nostra Nazione avendo toccato di mano.. anche in seno al nostro territorio.. tragedie che hanno sempre messo in discussione un operato in gran ritardo rispetto ad ogni calamità previsionale. 
vincenzo cacopardo


Nelle ultime analisi sulle decisioni governative relative alla Libia...Domenico Cacopardo ..scrive:

L’obbiettivo è quello di mettere insieme le varie fazioni non fondamentaliste che si stanno confrontando e combattendo in Libia, per arrivare a un governo di unità nazionale capace di contrapporsi all’Isis sia sul piano militare che su quello civile. I due aspetti sono strettamente legati tra di loro: affrontati in modo unitario i combattenti dell’Isis (intorno ai 15.000) possono essere battuti e perdere quell’aura di invincibilità di cui sono contornati. Quindi, sul piano civile, si può affrontare la ricostruzione dello Stato (magari federale) e il ritorno a una normale attività economica, che permetterebbe di incassare i cospicui ricavi provenienti dal petrolio e dal gas. 

La mossa giusta di Renzi, in questa situazione, è stata quella di scrivere ad Al Sisi, presidente egiziano, e di inviargli una lettera con un messo di note qualità, Marco Minniti. Alieno dalle ribalte sin dal suo primo ingresso nel governo (D’Alema 1, 1998), Minniti è stato sempre uomo di macchina, occupandosi di presidenza del consiglio, di servizi segreti e di difesa. Chi lo conosce, sa che è persona capace ed equilibrata che gode di stima negli ambienti militari e d’«intelligence» interni e internazionali, e che Renzi ha fatto un vero affare chiamandolo a collaborare. Poiché conosce il gioco, Minniti s’è ritagliato lo spazio che le proprie capacità, del tutto peculiari in un contesto governativo piuttosto improbabile, gli hanno meritato. Se il «dossier» libico è nelle sue mani, possiamo essere certi che sarà trattato con la cura, la prudenza e la visione che merita.
Come accade sempre di più negli scenari globali, la partita è complessa e non si possono escludere dal tavolo dei giocatori la Russia e la Cina, dotate entrambe di un insuperabile potere di veto in sede di Nazioni Unite, ma entrambe alle prese con agguerriti gruppi fondamentalisti.
Se guardiamo un momento indietro, ci possiamo rendere conto delle responsabilità americane e, più precisamente, di Obama nell’avere invocato una «Primavera» araba senza valutarne le conseguenze, avendo anzi teorizzato che da essa doveva inevitabilmente scaturire la democrazia.
La carta geografica di Medio Oriente e di Africa è una pelle di leopardo di zone in mano ai terroristi e ai loro simpatizzanti.

L’Islam moderato e l’Occidente (con l’Italia) hanno oggi l’opportunità di scegliere il terreno di scontro, nel quale misurarsi con loro e batterli in modo inesorabile.

Meglio non alimentare le velleità dei nostri imberbi governanti.
domenico Cacopardo

20 feb 2015

Nuovo appunto di Domenico Cacopardo



“Libia, ruolo guida dell’Italia” titolava un giornale della capitale dopo la solita non decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul complesso di questioni che agitano i paesi rivieraschi del Mediterraneo. 

Era errato aspettarsi qualcosa di diverso dal Palazzo di Vetro. L’avevamo scritto nei giorni scorsi che il problema rappresentato dalla Libia non era affrontabile in quella sede.

E hanno sbagliato tutti coloro che, in Italia, avevano invitato il governo a sospendere qualsiasi iniziativa demandando il problema alle Nazioni Unite. Un errore commesso in buona e in cattiva fede dalla politica inconsistente di questi tempi, un po’ per ignoranza un po’ per ignavia. 

Non perché ci sia una realistica possibilità di un intervento italiano in Libia o, semplicemente, volto a impedire il biblico afflusso di immigranti illegali (non rifugiati) in corso ormai da tempo. Per la Libia non abbiamo le risorse e i mezzi per intervenire. La comunicazione formulata al Consiglio di sicurezza dal rappresentate italiano all’Onu «l’Italia è pronta a guidare una missione di pace» è del tutto velleitaria, visto che, su di essa, non c’è il preventivo consenso dei nostri amici più «cari», cioè gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna che aprirono un fronte libico alle nostre spalle provocando il disastro attuale. 

Anche una «leadership» diplomatica è al di là delle nostre possibilità, proprio perché nessuno darebbe a un peso piuma come noi l’autorizzazione a misurarsi sul ring della grande politica mondiale.

Per quanto riguarda l’immigrazione ci vorrebbe una capacità di iniziativa politica che è completamente estranea alla cultura di questo governo, benché Gentiloni sia tutt’altro che un incompetente o un incapace. 

Del resto, il ricorso all’Onu (dell’Egitto) avrebbe avuto un senso per noi solo a condizione che fosse stato effettuato dopo un’adeguata preparazione, con la costruzione di una platea di consenso, nella quale fossero compresi gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. 

Nella realtà, l’Egitto è strettamente aiutato dagli Usa che l’hanno assistito nel «raid» di Derna.

Quindi dopo la riunione del Consiglio di sicurezza, il cerino, acceso da altri (Usa, Francia GB), è rimasto nelle nostre tremolanti mani. Un tremore di cui è plateale testimonianza l’invito del prefetto di Treviso agli immigrati illegali presenti nel centro raccolta della sua provincia di disperdersi nel resto del territorio nazionale ed europeo.

Un’ennesima caduta di stile e di legalità europea, tale da indebolire ulteriormente la nostra posizione nell’Unione.

Ma, se il cerino dell’immigrazione di massa è nelle nostre mani, è bene riflettere sulla politica più opportuna per arginare il fenomeno. Spogliandolo, innanzi tutto, da quell’aura di «soccorso dovuto» che l’ha ammantato in questi anni.

La gente che arriva è gente che ha pagato agli scafisti un prezzo variabile tra 1000 e 5000 dollari e che, in questo modo, alimenta un fenomeno di grandi dimensioni ben lontano dal fondamentalismo islamico. Solo una lucrosa operazione per bande criminali, delle quali, di fatto, diventiamo complici. E più i nostri natanti corrono avanti e indietro per il Mediterraneo più la voce si sparge sulle coste libiche e arriva sino al Corno d’Africa, da cui proviene una percentuale importante dei clandestini. 

L’Italia è solo il luogo di transito per il resto dell’Unione. Il fatto che sia, sostanzialmente, lasciata sola a gestirlo dimostra che il nostro ruolo nell’Unione è marginale.

Tuttavia, questa deriva umanitaria e lassista non può continuare all’infinito. 

Qualcosa accadrà. Alle nostre spalle.

Altrove, in sedi note alle quali non siamo invitati, qualcuno starà definendo un’azione politica di supporto ai paesi islamici laico-moderati e azioni per mettere intorno a un tavolo i capi delle fazioni tribali libiche alla ricerca di un’intesa per ostacolare i tagliagole dell’Isis in vista della ricostruzione di un tessuto statuale. 

Perché la notizia non ci sia data dai giornali, il governo, dimenticata l’inutile Mogherini, deve avere una politica e perseguirla seriamente. 
domenico cacopardo




19 feb 2015

Considerazioni sulle odierne contrapposizioni religiose nel mondo

Il difficile rapporto di integrazione fra i popoli condizionati da una cultura mentale che sconfina in insensati conflitti”
di vincenzo cacopardo

Quello che oggi dovrebbe far riflettere è il constatare un certo radicalismo come manifestazione eccessiva sulle posizioni di tipo religioso che finiscono col generare discordia tra i popoli del pianeta. Si distinguono oggi diverse religioni che finiscono col determinare e condizionare la vita degli esseri umani attraverso principi e valori sociali diversi: Cristiani, cattolici e protestanti,ortodossi, ebrei, mussulmani,orientali antichi, mormoni, spiritualisti, avventisti, testimoni di Geova...etc


Di queste sembrano contrapporsi con violenza soprattutto due dottrine religiose più significative in termini di seguaci: la religione cristiana e quella  islamica, che generano sempre più una netta separazione culturale tra l'Occidente  e l'Oriente.

Una certa forma mentis ormai edificata nella società sembra condurre l'individuo e plasmarlo nel sistema rendendolo.. non più come un essere pensante a se, ma come dominato da un insegnamento che col tempo determina la sua coscienza.. mettendolo in relazione con le comunità nelle quali... il pensiero religioso... finisce con l'incidere in un assoluto culturale. Anche in questo caso, come in altri, l'individuo rimane bloccato da una forte percezione connaturata attraverso insegnamenti appresi durante la sua crescita... restando nella forte convinzione di essere nel giusto. Molti aderenti ad una religione considerano la propria fede più influente o diffusa di quanto non sia nella realtà e ne rimangono aggrappati per motivi congeniti.

Tutto ciò non accadrebbe se la visione sociale e politica per l'integrazione dei popoli rimanesse laica, separata da un pensiero esistenziale che dovrebbe mantenersi in una sfera individuale e... soprattutto..se non si avessero tali certezze in merito all'identificazione di un'entità divina superiore.

Quello che in realtà veramente conta è il messaggio sia esso di Cristo o di Maometto. Noi occidentali naturalmente abbiamo avuto un insegnamento spinto verso una dottrina religiosa cristiana e da questa dovremmo ricavarne il meglio senza incidere oltre il dovuto sul pensiero delle altre culture religiose..D'altronde l'essenza del messaggio cristiano sta proprio nell'amore e nel rispetto verso gli altri e questo basterebbe per poter interporsi e relazionarsi serenamente con un pensiero diverso dal nostro...

Non è facile, nè rispettoso porsi come critico o arbitro in materie di questo tipo così delicate ed appartenenti allo spirito ed alla sensibilità di ognuno, ma si può di certo affermare la linea sottile che unisce le due religioni:  Per i mussulmani il Corano, così come lo si legge oggi, rappresenta il messaggio rivelato quattordici secoli fa dal loro Dio a Maometto, per i cristiani è stato lo stesso riguardo ad un Vangelo rivelato da Cristo ai suoi discepoli credenti o ancora prima.. con le tavole di Mosè. 

Il Corano è foriero di alcuni elementi fondamentali: monoteismo senza termini mediani fra Dio creatore e l'universo creato; una provvidenza divina che si estende ai singoli individui; un'immortalità personale con un'eternità di felicità o di dolore a seconda della condotta tenuta nella vita terrena. Il messaggio di Cristo non ha forse i suoi punti in comune nella sua evangelizzazione? La differenza la fanno solo gli esseri umani quando con il loro strapotere o la loro limitata cultura si pongono su questi temi con supponenza e mancanza di umiltà e rispetto.


Qualunque ostentazione verso l’individuazione del Divino potrebbe rappresentare una visione troppo azzardata e persino superba.. se espressa da un essere umano. Ciò.. anche in considerazione delle Sacre scritture che potrebbero essere state elaborate volutamente costruendo attorno alla figura di un uomo religioso, un ambito spirituale, mistico e fin troppo trascendente. Oggi tutto questo ci porta persino alle guerre ed è davvero contraddittorio leggere sacri testi e pensare che "il sacro" stesso possa portare l'uomo alla bestialità spargendo del sangue. Il modo di agire di ogni uomo dovrebbe basarsi su una visione prettamente umana della propria permanenza in questo mondo: Quando tanti pensano di avere avuto il dono di aver trovato Dio (forse… peccando un po’ di presunzione)…altri, non ostentando alcuna sicurezza… continuano a cercarlo ..analizzando con maggior senso critico ed equilibrio, l’ipotesi di una sua esistenza .. non ponendolo mai come ostacolo ad una integrazione fra i popoli.

Ricercare attraverso un proprio pensiero è un compito doveroso e necessario per l’uomo ...(sia esso occidentale od orientale)..in tanti, invece, si privano di questo.., restando appesi ad una visione di superficie e da credenze universali acquisite per tradizione: Sono coloro che meno si pongono in profondità le domande sulla esistenza.. finendo col risultare i più pericolosi. L’ignoto e l’ultraterreno rimangono le vere incognite che coinvolgono l’essere umano che, seppur credente, non può riuscire a percepirne il senso, ma sono anche i misteri che sembrano ostacolare la difficile ricerca del suo equilibrio terreno. 

E' difficile quindi comprendere come e perchè l'individuo resti intrappolato in questa forma mentale che lo condiziona nei rapporti con gli altri esseri umani quando la loro stessa condizione è assai piccola ed infinitesimale rispetto ad una entità soprannaturale della quale non potranno che avere soltanto una percezione e mai una reale certezza. 


La sfera religiosa rimane individuale e preziosa come il proprio pensiero, ma non dovrebbe mai intaccare i rapporti di integrazione fra i popoli.   

18 feb 2015

Una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul prossimo conflitto in Libia


Ormai lo scontro sembra certo...ma come avverrà..in che modo? Possiamo solo sperare in una «peace enforcing», per imporre la pace attraverso l’uso della forza con estrema precauzione.

Il nostro Paese come anche la Francia, è in difficoltà finanziarie e non v'è dubbio che una responsabilità collettiva dovrebbe essere presa dall'Unione europea. In qualunque modo si svolgerà un attacco da parte del nostro Paese esso comporterà dei pericolosissimi rischi anche per i militari stessi che... operanti in quel territori... ove fossero presi prigionieri... sarebbero di certo decapitati.

Ma non possiamo essere ipocriti nel sottovalutare il temibile Califfato, in un territorio con le coste così vicine alle nostre che, in vista della moltitudine di sbarchi prevista, rappresenta oggi un vero pericolo per tutto l'Occidente. 

E' vero!..è inutile nascondere che nel passato furono fatti enormi errori con una guerra in Libia per togliere di mezzo la tirannia di un colonnello (che tutto sommato manteneva un certo ordine), lasciando, appresso, il territorio nelle mani di nessuno, ma è anche vero che in tutto ciò.. l'Italia ha avuto minori responsabilità rispetto ad altri Paesi che oggi dovrebbero intervenire. 

Vi sono stati di certo motivi di carattere economico, ma, anche di questi, oggi, l'Italia ne paga più di tutti il prezzo..poichè lascia un mercato in essere con la Libia (si parla di circa due miliardi) e potrebbe perdere anche.. il già precario.. beneficio dell'energia che ci viene inviata.

Immaginiamo un aeroporto e un gasdotto nelle mani di un califfato disposto a tutto. Immaginiamo aerei civili pronti a partire verso le nostre capitali carichi di prigionieri e materiale esplosivo..L'intervento occorre...ed anche in fretta poichè gli errori si stanno pagando e potrebbero pagarsi più caramente...Speriamo che lo “sgangherato governo “ possa muoversi con una strategia accurata e non con il solito uso della semplificazione!

In ballo sembra esservi la sopravvivenza di un Occidente, ma sarà sicuramente il nostro Paese (tra l'altro il più vicino alle coste libiche), a pagarne le maggiori conseguenze. La via di una pace attraverso la forza appare quindi doversi studiare con l'Europa.. con fretta ed estrema precauzione.
vincenzo cacopardo



IRRESPONSABILI EVOLUZIONI di domenico cacopardo
È difficile seguire gli irresponsabili, continui cambiamenti di linea del governo Renzi, che, spesso, sembra più una combriccola di buontemponi fiorentini alla «Amici miei», che l’esecutivo di un Paese importante come l’Italia. La politica estera è il terreno su cui si misura più propriamente la capacità di essere protagonisti autorevoli e ascoltati.

Già l’esperienza del semestre italiano di presidenza europea, con l’infelice esordio della candidatura di un’inesistente Federica Mogherini all’inesistente incarico di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, era stata indicativa. Ora, il pasticcio «immigrazione illegale e Libia» ha messo in luce un dilettantismo così spiccato da superare le più pessimistiche aspettative.

Mettiamo in fila l’accaduto. Paolo Gentiloni, ministro degli esteri, persona cauta e riflessiva (non dichiarerebbe se non avesse sentito il primo ministro), dichiara che occorre combattere il terrorismo, ormai sulla «Quarta sponda» mediterranea. Subito dopo, Roberta Pinotti, ministro della difesa, annuncia che ci sono 5000 militari italiani pronti a capeggiare un corpo d’intervento in Libia. Matteo Renzi, in modo equivoco, concorda, salvo poi, tra domenica e lunedì, chiamarsi fuori e riferirsi all’Onu come sede di una qualsiasi iniziativa per contrastare l’avanzata dei tagliagole dell’Isis. Una questione, l’Isis in Libia, che si intreccia, come avevamo scritto la settimana scorsa, con l’arrivo della massa di immigrati illegali, di cui fa parte una modesta percentuale di rifugiati politici.

In proposito, fonti dei nostri servizi (Aise) fanno filtrare la notizia di 600.000 persone in attesa d’imbarco verso l’Italia.

Naturalmente, s’è visto di tutto, in particolare il ritorno di tutti i pacifisti ch’erano, da qualche tempo, a riposo.

Partiamo dalla presenza degli jihadisti in Libia. Si ritiene che siano tra i 12000 e i 15000 e che siano in espansione numerica e territoriale. Poiché laggiù si combatte una guerra tribale da un lato e politico-religiosa (gli aderenti all’Isis) dall’altro, risulta evidente che c’è una sproporzione di motivazioni e che, fatalmente, i radicali islamici sono destinati a prevalere, consolidando una conquista che, come uno «Scacco matto» cambia la geografia del Nord-Africa.

Si dice: «Fatti loro».

Invece, sono anche fatti nostri e per due sostanziosi motivi: il primo riguarda le nostre necessità energetiche (olio e gas) fortemente legate alle risorse libiche, sostenute da contratti (Eni) a lungo termine; in secondo luogo le esigenze di sicurezza. La caduta della Libia renderebbe precaria la situazione in tutta la regione, investendo Tunisia, Algeria e il medesimo Egitto. 

Se questo è il problema, dobbiamo ammettere che la sua soluzione è al di fuori della nostra portata. I 5000 uomini della Pinotti fanno ridere per la macroscopica sottovalutazione delle esigenze militari. Ce ne vorrebbero almeno 50000 per mettere in sicurezza alcune zone e città costiere, impedendo all’Isis di «prendere» in mano la nazione. Quindi, l’operazione è di scala militare e costi non sostenibili dalla sola Italia né, probabilmente, da una coalizione con la Francia e la Spagna. 

Si dice: se la vedano gli arabi; costituiscano loro una forza di intervento e di «peace enforcing»; noi li aiuteremo. Com’è accaduto in passato, la forza degli estremisti religiosi islamici è tale da rendere probabile che qualsiasi formazione militare composta da musulmani, schierata contro di loro, sia destinata a squagliarsi per l’irresistibile attrazione del fondamentalismo. 

Perciò, invocare l’Onu è manifestazione d’ignoranza del ruolo delle Nazioni Unite e delle loro capacità operative. L’unico corpo di Caschi blu operativo in questo momento è in Congo e registra il totale fallimento della propria missione.

Le sedi, pertanto, di qualsiasi iniziativa sono la Nato e l’Unione europea. Attualmente, non è prevedibile la definizione di una politica comune di contenimento e contrasto dell’jihadismo mediterraneo.

Cosa resta sulle nostre spalle? Resta l’immigrazione con le sue inattese dimensioni, prossime a diventare bibliche, se almeno metà di coloro che sarebbero pronti a imbarcarsi ci riuscisse nei prossimi mesi. 

L’altro giorno una motovedetta della Guardia costiera (disarmata?), minacciata coi «Kalashnikov» dai trafficanti non ha reagito, restituendo loro i gommoni dell’orrore. In un Paese normale, il comandante dell’unità sarebbe stato sottoposto a procedimento disciplinare militare. In Italia invece, uno dei capi della Guardia costiera ha sostenuto che la motovedetta era armata e che non si è ritenuto di contrastare i banditi per il timore di conseguenze per i migranti raccolti dal natante italiano. Come se banditi in fuga con la cassaforte (e i gommoni sono la cassaforte dei trafficanti, visto l’uso che ne fanno) fossero stati intercettati dai Carabinieri, che avrebbero recuperato la cassaforte. Ma, vista la loro (dei furfanti) minaccia armata, i Carabinieri, impauriti delle possibili conseguenze sui passanti, gliel’avessero restituita. Nel caso motovedetta, i gommoni erano vuoti, visto che i migranti erano già stati raccolti. 

Quindi rimane forte e pesante il pericolo di invasione di un numero enorme di clandestini e la necessità di impedirla. Un’ipotesi è la ripetizione dell’«Operazione Albania», quando la Marina militare (anni ’90) fu mandata a distruggere gli scafi nei porti albanesi per bloccare il tragico traffico di uomini. E, questa ipotesi, è al momento l’unica iniziativa fattibile, in attesa che l’aggravarsi della crisi spinga il «concerto» della Nazioni a scendere in campo.






16 feb 2015

Un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Libia



di domenico Cacopardo
Che, a questo punto, sia emerso in tutta la sua gravità, anche per noi italiani, il pericolo Isis, appare evidente, vista la crescente presenza dello Stato islamico terrorista nell’exLibia, quasi del tutto conquistata. Ci manca poco infatti che Tobruk e Tripoli siano sommerse dalla moltitudine di tagliagole che ha infestato il mondo arabo. Anche se Tobruk e Tripoli non sono ancora cadute, i militanti della Jihad sono presenti in forze nel Sud della Tunisia e dell’Algeria, in Ciad e in Mali, a testimonianza di una manovra che non si arresta e si avvia a coinvolgere tutto il mondo islamico (basta pensare, oltre che alla Siria e all’Iraq, anche alla Nigeria, all’Afghanistan e al Pakistan, sempre sull’orlo, quest’ultimo, di finire nelle mani dei taliban).

Un pericolo, questo dell’Isis, che riguarda certo le nazioni musulmane laiche e moderate, ma anche noi, poiché è nella natura di questo ormai non più sedicente Califfato di riproporre lo schema che, nella Storia, s’è conosciuto varie volte, concludendosi sempre nello scontro frontale tra Oriente e Occidente e nella vittoria finale di quest’ultimo (Poitiers, Vienna, Budapest, Kosovopolie, Lepanto).

Che ormai i margini di attesa si siano esauriti, l’ha testimoniato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, un uomo sempre cauto, e l’ha confermato il presidente del consiglio, ribadendo la necessità di un’operazione Onu e non Nato. Il senso della dichiarazione di Renzi fa pensare a un intervento di «peace keeping», cioè di promozione della pace tra le fazioni in campo.

Qui, un osservatore senza pregiudizi può rilevare che il «peace keeping» non c’entra nulla. La questione è ben diversa, al minimo si tratta di «peace enforcing», cioè di imporre con le armi la pace. 

Oggettivamente, il governo italiano non poteva dire di più. Per esempio che l’Isis e i suoi militanti sono una forza eversiva dell’ordine internazionale che va combattuta e abbattuta, strada questa che non è nelle corde dell’Onu, ma appartiene tutta alla Nato.

5000 uomini italiani sarebbero pronti (Roberta Pinotti, ministro della difesa) a sbarcare in Libia, assumendo la responsabilità di una missione militare di cui farebbero parte truppe francesi e del Regno Unito. Altre forze potrebbero-dovrebbero essere mobilitate, per esempio quelle tedesche.
Dobbiamo dire che, per fortuna e per volontà precisa dell’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, già capo di stato maggiore della difesa e poi ministro, ci ritroviamo con due portaerei, la Cavour e la Garibaldi, e possiamo garantire un qualificato supporto alla missione.

C’è un problema di costi che, sperabilmente, l’Unione europea affronterà direttamente.

E, infine, c’è un'altra questione. Vitale.

Nel 2015, il 1° marzo, si compiono 119 anni dal disastro di Adua. Le recenti guerre dell’Iraq e dell’Afghanistan sono costate decine di migliaia di caduti occidentali, ma hanno lasciato sul terreno una situazione politico-militare peggiore rispetto al loro inizio.

Questa che si ha in mente, non sarà un’operazione incruenta. Sarà guerra vera e propria guerra dura e sanguinosa al di là del nome che le sarà dato. Dobbiamo saperlo.

E dobbiamo sapere che, se si scende in campo, bisognerà farlo per vincere: in palio c’è la sopravvivenza dell’Occidente e dell’Islam moderato.

«Tertium non datur», non c’è alternativa. 



Circa tre anni fa fa, Francia, UK e Usa, decisero una guerra contro la Libia. Una guerra che l'Occidente ha combattuto contro Gheddafi e quattro milioni di beduini...in poche parole: Una guerra tra un gigante ed un nanerrottolo. 

Il risultato di ciò fu l'autentica destabilizzazione di un paese composto da tribù governate con forza da un leader sgradevole fin che si vuole, ma che risultava efficace per la stabilità del territorio. Oggi pensiamo con terrore a questo paese a un tiro di schioppo dalle nostre coste.. poiché in quel territorio tutto è cambiato ed è cambiato anche il processo mentale degli stessi beduini libici. 

Si poteva comprendere che si sarebbe arrivati a questo punto e che il Califfato si sarebbe imposto in un territorio divenuto terra di nessuno. Dopo la caduta di Gheddafi..nessuno ha pensato di riunirsi attorno ad un tavolo diplomatico per comprendere e risolvere le problematiche che nascono dopo un conflitto che destabilizza un potere, tendendo a comprimere derive di tipo terroristiche . 

La Libia oggi “è caduta nell’anarchia e nel caos e non possiamo oggi meravigliarci di un simile risvolto. Sappiamo anche che dietro ad uno scopo di ristabilimento dei diritti umani da parte dei francesi, vi erano anche interessi di tipo economico. L’Italia sembra aver già pagato per una guerra contro i propri interessi... facendosi trascinare dalla stessa Francia.

Quello che desta inquietudine... oltre alla mancanza di una qualsiasi veduta più attenta su queste azioni non studiate preventivamente, è il fatto di affrontare con impeto e poca attenzione guerre senza pensare seriamente alle conseguenze che potrebbero scatenarsi. Si spera almeno che non siano nel metodo solo distruttive..ma in buona parte costruttive. 
Vincenzo cacopardo