L'argomento
sulla magistratura suggerito dal consigliere Cacopardo...pone diverse
analisi e valutazioni già espresse in parte dallo stesso nella sua disamina: Il sistema giudiziario necessita sicuramente di una
riforma che ponga maggior affidamento e renda un miglior servizio
alla società.
Se per
quanto riguarda l'argomento delle intercettazioni si deve riuscire a
trovare un punto di equilibrio che possa rendere garanzia ai
cittadini differenziandone l'esigenza in modo opportuno da quello
condotto per la ricerca delle pericolose associazioni delinquenziali,.. per ciò che attiene il CSM non si può escludere una critica sul metodo di una organizzazione istituzionale indipendente
dagli altri poteri dello Stato.
Quando
Domenico Cacopardo scrive di “un combinato disposto,
interpretato in senso esclusivamente endogeno e, quindi, in modo
inidoneo a renderlo coerente e strettamente collegato alle esigenze
di una società sviluppata come quella italiana”..asserisce
qualcosa che sento di condividere e per la quale occorre far luce sui
principi:
Nel
passato..per difendere la libertà occorreva la mediazione di un
organo indipendente e questo non poteva che essere una parte
essenziale per la funzione del giudice in un regime democratico.
L' organizzazione fu messa su dai nostri padri costituenti per far
sì che la libertà civile potesse ottenere concreta realizzazione.
Una libertà che non è mai stata di matrice politica, poichè non
potrebbe mai essere un giudice ad impedire che si possano travolgere
con la forza le istituzioni di uno Stato democratico....Se
così non fosse, non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di
clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Nella
Costituzione, con la introduzione del Consiglio Superiore della
Magistratura, si attua l’indipendenza totale dal potere
esecutivo... Ma questa forma di indipendenza è sempre apparsa tanto
radicale.. quanto errata, frutto di un primitivo concetto della
divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli
estremismi, oggi, non può che produrre effetti contrari. Non si è
attentamente considerato che, il potere giudiziario è, nella sua
struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri.
Un
potere che non viene esercitato dal complesso dei giudici, ma da
ciascuno di essi. I padri costituenti italiani, abituati a vedere i
giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera,
progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che
il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura,
fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per
affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono l'organo:il
Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da
membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri
politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del
Potere giudiziario, né.. ebbero presente che questa struttura
sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere,
che è e sarà sempre l’indipendenza di ogni giudizio.
L’equivoco
sta proprio nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del
suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente,
ciò che rifiuta è proprio un governo, tanto che sia in mano
all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto...
forse.. la strada da seguire sarebbe dovuta essere quella di ridurre
al minimo la necessità di governo dei giudici e facendo il possibile
per regolarizzare, a mezzo della legge, la loro carriera. Possiamo
comunque asserire che in questa strada,.. non si è mai tenuto in
considerazione l’assioma politico che, creare un potere comporta,
inevitabilmente, il sorgere di molti desideri per la sua conquista:
Se questo potere si pone nelle mani degli stessi giudici, la
conseguenza inevitabile sarà sempre quella dello scatenarsi di una
guerra interiore tra loro per la conquista di detto potere.
La
lotta di queste “correnti” interne al CSM, ha continuamente rotto
quello che sarebbe dovuto essere un “vantaggio” che si voleva
costituito da giudici in maggioranza. L’aspetto più grave resta il
fatto che si è creato un organismo che non riesce a trovare una
collocazione legittima in un regime politico fondato sulla divisione
dei Poteri.
Da
tutto ciò, sono nate e continuano, le interminabili discussioni per
stabilire fino a che punto il CSM possa definirsi un organo
costituzionale sulla forma dei suoi atti amministrativi e sulla
possibilità di ricorso contro gli stessi. Si è tuttavia ritenuto di
superare questa difficoltà dicendo che il CSM è solo un organo
sostanzialmente amministrativo collocato in seno all’ordine
giudiziario con l’unica funzione di poter provvedere agli aspetti
amministrativi del suddetto Ordine...Ma negli anni questo è
risultato un argomento verbale privo di realtà in quanto, come è
ampiamente dimostrato, ogni potere di un’alta amministrazione..
assume conseguentemente un carattere politico. Quindi, anche in
questo caso, l’amministrazione della giustizia assume un carattere
politico..La domanda è quindi:E’ possibile dirigere tutta la parte
amministrativa dell’esercizio del Potere giudiziario.. senza fare
politica della giurisdizione?
Il
difetto sta nell’aver creato questo organismo, nel quale le
dichiarazioni rese da un Ministro responsabile di una politica,
possano essere messe in discussione da questo stesso organismo
“politicamente irresponsabile”. Bisogna perciò comprendere che
il potere dei giudici è solo un potere di controllo: Si tratta
essenzialmente di un potere di “veto” rispetto ad ogni agire ed
operare che fuoriesce dai limiti della legge. Un giudice può
impedire ogni azione che non rispetti i limiti della legge, ma non
potrà mai porre questi limiti (compiti del Potere legislativo) né
può mai suggerire i progetti che, entro questi limiti, il Governo
appresta.
In una
vera democrazia la forza effettiva sta nel convincimento di un popolo
di darsi una forma di governo: la forza che poi distribuisce i poteri
a mezzo dei quali lo Stato si organizza. Nelle mani del Potere
esecutivo si mette la forza materiale..mentre al giudice si da
soltanto forza ed autorità morale.
Bisognerebbe
partire da questi principi fondamentali per riuscire a mettere mano
con logica ad un argomento talmente scottante che compete la
sicurezza dei nostri cittadini e senza il quale diventa sempre più
difficile poter avere un riscontro utile a favore della democrazia. Grazie.. perciò ..a Domenico che mi ha dato la possibilità di esprimermi nel merito
vincenzo cacopardo
Sembra
un errore inevitabile, quello dell’Associazione nazionale
magistrati che ha celebrato a Bari il proprio congresso nazionale.
Probabilmente
deriva dall’essere il sistema giudiziario autoreferenziale e privo
di ogni meccanismo indipendente di misurazione dell’attività degli
uffici e dei singoli, dalle cui valutazioni discendano immediati
effetti pratici (di funzione e di carriera). Un po’ come la scuola
italiana costruita per i docenti, non per i discenti, e incapace di
accettare qualsiasi criterio di valutazione dell’insegnamento,
talché siamo sempre in coda alle classifiche internazionali sulla
qualità didattica nazionale.
Certo,
l’art. 104 della Costituzione scrive che «La magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.»
E l’art. 107 continua: «Art. 107. I magistrati sono inamovibili.
Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad
altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio
superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le
garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il
loro consenso … I magistrati si distinguono fra loro soltanto per
diversità di funzioni.»
Un
combinato disposto, interpretato in senso esclusivamente endogeno e,
quindi, in modo inidoneo a renderlo coerente e strettamente collegato
alle esigenze di una società sviluppata come quella italiana.
Le
distonie quotidiane che colgono gli utenti del «Servizio giustizia»
mostrano a tutti, meno che ai responsabili associativi, quali
distanze si siano accumulate tra il datore di lavoro dei magistrati,
il cittadino contribuente, e i problemi quotidiani del cittadino
medesimo.
Dice
Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm: «L’indipendenza si
alimenta … di una cultura fondata sul rispetto …»
Ma
lascia nel cassetto il caso Palermo, quello di Silvana Saguto e della
gestione dei beni sequestrati alla mafia: non una questione
personale, ma un problema strutturale e organizzativo, che pone, per
l’ennesima volta, un interrogativo rimasto senza risposta (quello
della vigilanza in tempo reale dell’attività dei magistrati).
Non
riflette, Sabella, sul fatto che il rispetto è un valore sociale che
non può essere preteso per legge o per imposizione di qualche
autorità. È un valore simile all’autorevolezza, che nasce e si
alimenta intorno a chi lo merita e lo coglie nella comune percezione
popolare. Delegittimazione e sfiducia non sono vietabili da un
decreto ministeriale e, quando ci sono, derivano da comportamenti
giudiziari che si auto-delegittimano e provocano sfiducia.
Per
condivisa carità di patria non facciamo esempi né nomi, giacché
tutti, anche il dottor Sabelli conosce i casi più eclatanti e quelli
meno eclatanti che rimangono chiusi nel chiuso delle stanza del
Palazzo dei Marescialli (sede del Csm).
L’altra
accusa diretta al governo riguarda una specie di maggiore attenzione
al tema delle intercettazioni rispetto alla lotta alla mafia.
Un’accusa gravissima che andrebbe circostanziata puntualmente,
altrimenti diventa solo strumento di polemica politica, di attacco
politico, di informazione politica distorta dalla visione
(particolare) di un organismo che è il sindacato delle toghe.
Quanto
alla corruzione (le norme di contrasto sarebbero «timide»),
l’affermazione di Sabella deriva da un vizio di impostazione: non è
la legge penale che scoraggia la corruzione. Non lo è e non lo
sarebbe nemmeno se fosse stabilita la pena dell’ergastolo. È
talmente modesta la «performance» processuale da non essere capace
di disincentivare seriamente l’attività corruttiva.
Manca
–e non poteva essere diversamente- qualsiasi consapevolezza (anche
nel commissario anticorruzione Cantone) che la prevenzione è la sola
strada, la più efficace: l’aggiornamento del diritto
amministrativo con l’introduzione di procedure inderogabili,
pubbliche accompagnate da fidejussioni integrali, a garanzia del
risultato, cioè del raggiungimento dell’oggetto dell’appalto. Da
questo punto di vista né il codice degli appalti di Altero Matteoli
né questo in corso di approvazione di Delrio riescono a imporre
comportamenti virtuosi.
Insomma,
l’intervento politico di Sabella è sbagliato proprio in punto
politico e si caratterizza più per la formulazione di accuse sparate
nel mucchio che per l’individuazione dei fatti specifici e concreti
che quelle accuse giustificherebbero.
Nel
successivo dibattito non sono mancate voci ragionevoli ed
equilibrate.
Ma
rimane di fondo, l’inconsapevolezza che la giustizia è un servizio
al cittadino: garantito, veloce, efficace.
Almeno
così dovrebbe essere: per noi il Paese del mai, forse.
Domenico
Cacopardo