Berlusconi all’Economia?
Come dire un Cadorna alla Difesa
di Alberto cacopardo
Berlusconi
ci ha appena annunciato che, nel caso di una improbabile vittoria della sua coalizione, ci risparmierebbe l’oltraggio di una sua rinnovata guida
del governo: si metterebbe al ministero dell’Economia. Ci vuole una bella
faccia tosta.
Purtroppo
ben pochi hanno una chiara percezione di quanto sia stata catastrofica per
questo paese la guida berlusconiana della sua economia. Ma c’è un dato, un solo
dato, che la dice molto lunga sull’argomento.
E’ un dato di enorme rilevanza politica e storica
che, inspiegabilmente, è sfuggito del tutto all’attenzione dei più.
Fu
reso noto in Italia, il 29 ottobre 2010, soltanto da un articolo di
Repubblica, inspiegabilmente relegato in tredicesima pagina. Era
ripreso da un’elaborazione pubblicata il 24 ottobre dal quotidiano spagnolo El
Pais, sulla base del World Economic Outlook prodotto
quell’ottobre dal Fondo monetario Internazionale.
Il
dato riguardava la classifica generale dei tassi di crescita del Pil in 180
paesi del mondo, per il decennio 2000-2010. Il decennio berlusconiano per
eccellenza, in cui il cavaliere afflisse il paese con la sua illuminata
conduzione per quasi tutto il decennio, con la breve e tormentata interruzione
del secondo governo Prodi fra il 2006 e il 2008.
Ebbene,
in quel decennio berlusconiano, il tasso di crescita italiano è risultato
l’ultimo di tutto il pianeta, con la sola eccezione di Haiti che, colpita come
fu dal terribile terremoto che tutti ricordiamo, non può fare testo. Non è un
dato sorprendente? No: è agghiacciante.
Nel
commentare in quei giorni la notizia in un post sul
mio blog, scrivevo: “E' scontato che in questa classifica i paesi
più ricchi risultino fra gli ultimi, poiché, per fortuna, in quest'ultimo
decennio sono stati quelli che erano dieci o cento volte più poveri di noi a
crescere di più. Infatti al primo posto (con un impressionante
387,45%) c'è la
Guinea Equatoriale, la
Cina è al sesto col 170,86%, l'Etiopia al
decimo, l'India al ventesimo, e così via. Mentre gli Stati Uniti sono al numero
152, la
Gran Bretagna al 157, la
Francia al 162 e la
Germania addirittura al centosettantaduesimo
posto. Non era scontato, però, che l'Italia si collocasse proprio ultima.” Con
una crescita del 2,43% nell’intero decennio, precedevamo di appena un soffio la
povera Haiti, col suo 2,39%.
Ma
il dato più agghiacciante, completamente sottaciuto dall’articolista di
Repubblica, era il colossale distacco che ci separava dagli altri paesi in coda
alla classifica. Il penultimo era il Portogallo, con una crescita decennale del
6,47%, pari a quasi il triplo della nostra, mentre quella della Germania, col
suo 8,68%, era oltre tre volte e mezzo tanto.
Nel
2010, alla vigilia della tempesta che ci ha investiti, la
Spagna aveva un Pil pro capite di 29.652
dollari, di poco superiore ai nostri 29.418, ma era cresciuta del 22,43% in
quel decennio, ossia dieci volte più di noi. E la
Grecia, su cui già si addendavano nubi
minacciose, aveva un reddito di 28.832 dollari a testa, cioè quasi pari al
nostro, ma il suo Pil era cresciuto di oltre il 28% in quei dieci anni.
Questa
era la condizione dell’Italia alla fine del decennio berlusconiano.
Un’autentica catastrofe nazionale. E tutto questo, si badi bene, prima che arrivasse la tempesta che ci
ha resi ancor più poveri di prima.
E’
difficile spiegare una simile catastrofe senza addossarne la responsabilità
all’uomo che ha guidato e condizionato il paese in tutti i modi in quel
decennio. E che lo ha fatto perennemente strombazzando ai quattro venti la
propria impareggiabile competenza economica, perennemente promettendo dietro
l’angolo il secondo miracolo italiano.
Che
un simile personaggio si venga a candidare adesso al ministero dell’Economia è
come se Luigi Cadorna, dopo aver guidato la rotta di Caporetto, si fosse
candidato a ministro della Guerra alle elezioni del 1919. Ma certo, Cadorna non
aveva televisioni.