Quanto
sta accadendo a Salvatore Girone e a Massimiliano Latorre, i marò italiani in
attesa di processo, ci aiuta a capire che non solo in Italia le istituzioni
operano tra contraddizioni quotidiane. In India ne soffrono l’azione giudiziaria,
di polizia e di governo.
Ricapitoliamo.Il
15 febbraio 2012, al largo (acque internazionali) di Kerala nel mare Arabico,
la nave Enrica Lexie dell’Aframax incrocia un natante con 5armati che danno
l’impressione di prepararsi a un attacco. La zona è critica per le frequenti
apparizioni di pirati. Sulla Lexie ci sono alcuni componenti del Nucleo
militare di protezione (NMP) della Marina Militare. La sensazione
dell’imminenza di un’aggressione spinge i marò italiani a esplodere tre serie di
colpi di avvertimento.
Muoiono
due indiani, Ajesh Pin e Valentine, imbarcati su un peschereccio che non è
detto sia la medesima minacciosa imbarcazione avvistata dalla Lexie.
La
Guardia costiera indiana ordina di raggiungere il porto di Kochi. Consultato
l’armatore, il comandante, pur essendo in acque internazionali e avendo,
quindi, il diritto di proseguire la navigazione, aderisce all’ordine, vira e
attracca in porto. Un grave errore del quale dovrebbe essere chiamato a
rispondere, insieme all’Aframax in sede civile e al Registro Navale.
A Kochi,
dopo una breve inchiesta, i marò italiani, che si dichiarano innocenti,sono
arrestati e inizia, sulla loro pelle,un storia lunga due anni.
C’è un
fatto, non contestabile né contestato, alla base della vicenda: l’incidente è
accaduto in acque internazionali e la giurisdizione è italiana.
Dal
punto di vista indiano, invece, la vicenda è sì avvenuta in acque
internazionali, ma nella cosiddetta ‘fascia contigua’ in cui vigerebbe, senza
riconoscimento Onu, una giurisdizione locale, obbligata a chiarire i termini
della vicenda e, quindi, a sottoporre i responsabili a processo.
Vanno
qui ricordate le polemiche (soprattutto da parte militare) che accompagnarono
la decisione del ministro della difesa La Russa di dotare di presenze militari–senza
garanzie specifiche sul comportamento dei civili in comando- le nostre navi
mercantili in viaggio in mari pericolosi. La caccia, tuttavia, ad assegni
integrativi dei magri stipendi convinse lo Stato maggiore della Marina a non
insistere nelle perplessità e ad accettare i nuovi compiti assegnati.
La
seconda questione riguarda l’‘impegno indiano di‘non permettere’ una condanna a
morte dei marò.
Un
‘impegno’ preso per buono con faciloneria dal governo Monti, visto che in ogni
ordinamento fondato sulla separazione dei poteri un commitment del genere è
scritto sull’acqua. Questa considerazione avrebbe dovuto spingere il governo
italiano e, segnatamente, i ministri tecnici Terzi e Di Paola a non rispettare
l’obbligo di ritorno in India in occasione del breve viaggio dei marò in Italia
per il Natale 2012. Dichiarando che i marò sarebbero tornati in India solo dopo
che una sede internazionale avesse stabilito la giurisdizione indiana, avrebbero
dovuto iniziare una vertenza in sede Onu, con eccellenti carte da giocare.
Ma le
esigenze dell’industria della difesa, troppo legata alle autorità militari,
indussero il governo a sacrificare la libertà dei nostri fucilieri di Marina.
Di
recente, l’autorità giudiziaria indiana ha confermato di non ritenersi
vincolata da nessun impegno a non infliggere la pena di morte. La polizia sta
definendo un atto di accusa paradossale: pirateria. La situazione è a questo
punto.
Realisticamente,
le prospettive non sono incoraggianti, anche se, alla fine, potremo avere una
pena detentiva scontabile in Italia.
È
evidente che non ci sono gli strumenti politici o
militari per esercitare una reale pressione sugli indiani. Possiamo solo e
subito rivolgerci all’ONU (il Segretario generale ha già risolto problemi del
genere), a un tribunale internazionale e all’Unione europea.Ci vorrebbe un
autorevole ministro degli esteri.
Già. Ma c’è
qualcuno a capo della Farnesina?
Vero e sconcertante ciò che sottolinea il cugino
Cacopardo! Se resta veramente incomprensibile l’assurdo comportamento del nostro
Governo rispetto alle due figure sacrificate, rimane ancor più sconvolgente il prevalente coinvolgimento dell’industria della Difesa che, con l’insensata scelta di far prevalere
altri interessi, ha messo a rischio la vita dei due
fedeli Marò. Il Governo, non impedendo quel ritorno in India, ha finito con l'aumentare un pericolo che oggi sembrerebbe palesarsi peggiore. Una ennesima anomalia di un sistema politico ormai alla deriva
che espone ad imprudenti rischi il nostro Paese!
Possiamo solo sperare sul Governo
attuale..che pur non apparendo sufficientemente robusto, né autorevole.. sembra aver visto
la ministra Bonino dialogare per un impegno con i ministri delle Finanze e del Commercio indiani. L’India pare aver assicurato la promessa a far sì che il loro governo decida sui marò
entro il 3 febbraio. Naturalmente non si può che vivere con angoscia il tempo che
resta.. e non si può che restare vicini ai nostri valorosi militari.
vincenzo cacopardo