IL CULTO
DELL'EMPIETA' di paolo Speciale
Intensi sono stati il calore e la passione con cui ha battuto le mani,
insegno di solidarietà, una inquietante moltitudine di tutori dell'ordine ad
alcuni colleghi già condannati con sentenza definitiva.
I giudici hanno accolto la tesi della “colposità” nel reato contestato ai
protagonisti della triste vicenda del giovane Federico Aldrovandi.
Invero, non stupisce più di tanto l'ennesima inopportuna esternazione di
sentimenti deviati, quale pratica attuazione di una ideologia viziata e
corrotta che, anche per profonda ignoranza ed a causa di pubbliche selezioni e
percorsi formativi poco accurati, determina la pericolosa confusione ontologica
tra il mandato di servizio in favore dei cittadini ricevuto dalla stessa
collettività con la facoltà –abuso di potere prevaricare su di essa stessa.
Fa riflettere la dilagante, rinnovata e talvolta feroce empietà che si
impadronisce delle singole coscienze, cancellandole anche a posteriori
dell'evento indotto e privandole dunque così anche del necessario -e diremmo
naturale – pentimento.
La condivisibile espressione “nessuno tocchi Caino” - sempre che di Caino
si tratti e non ci pare questo il caso - trova fondamento sulla sacralità e
sulla assoluta intangibilità della vita umana, vista come diritto inalienabile
secondo la più evoluta e civile accezione sociale, nonché come dono secondo
quella prettamente religiosa.
In entrambe le intenzioni dovrebbe occupare un posto insostituibile la
pietà, intesa come sentimento presente ed innato in ogni uomo, dono
complementare alla virtù della carità troppo spesso represso.
Ma sempre più oramai si tende ad infierire con ogni mezzo sull'altro nella
piena consapevolezza dell'essergli manifesto apporto di danno, talvolta anche
fatale.
Pensiamo infatti stoltamente di poter decidere su ciò che non ci appartiene
e di cui abbiamo solo il possesso, e lo facciamo nome di una autorità che
ci siamo autoconferiti, generata esclusivamente dal cattivo uso della libertà
di cui disponiamo.
Di qui la negativa conseguenza social-contingente determinata dalla
riprovevole azione di quella parte “ammalorata” dello Stato garante-tutore, che
così finisce con il compiere, malgrado i comunicati ufficiali di condanna, la
propria identificazione morale– impropria e paradossale - con il proprio
violatore, agendo addirittura con metodi ancora più esecrabili di esso.