11 feb 2015

due parole sul vincolo di mandato..

Libertà di espressione o ubbidienza ai gruppi? 
di vincenzo cacopardo

L'articolo 67 della Costituzione venne appositamente scritto per fornire ai membri deputati eletti nel Parlamento una propria libertà di espressione....fu concepito per garantire la più assoluta libertà ai membri eletti alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica. In altre parole, I costituenti, per garantire maggiore democrazia ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il Partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere. Il vincolo, semmai, avrebbe legato l'eletto agli elettori per una natura di responsabilità politica.
Il principio si fonda sul fatto che i rappresentanti eletti non possono essere i rappresentanti di un distretto particolare, ma della nazione intera e, quindi, non potrebbe essere conferito loro alcun mandato.

Sull'argomento diversi studiosi della dottrina si sono espressi in modo diverso e oggi risulta palese che la costituzione di gruppi in seno alle Camere ha generato un'ulteriore anomalia secondo la quale.. ogni partito ha la pretesa di imporre il rispetto della relativa disciplina.. traducendosi, di fatto, in una violazione del principio di libertà di mandato: La disciplina dei gruppi parlamentari rimane un freno ad ogni libertà di espressione ed ogni comportamento insubordinato dell'eletto finisce col divenire oggetto di sanzioni disciplinari che, come tutti sappiamo, in alcuni casi portano all'espulsione dal partito o alla non ricandidatura alle successive elezioni.

Partendo da questo articolo.. indubitabilmente fissato dalla Carta suprema, dovremmo toglierci ogni incertezza sul comportamento del trasferimento dei parlamentari da un partito all'altro. In un sistema proporzionale che non costringe in due determinate posizioni come invece quello bipolare, un parlamentare difficilmente può restare imprigionato da un obbligo di pensiero. Se l'articolo sul vincolo di mandato ha una più evidente logica in un sistema parlamentare bipolare che ne definisce una più aggregata maggioranza di unione dove i parlamentari tendono a seguire le linee dettate dal leader del Partito dominante ...ne ha meno in un sistema proporzionale dove si formano gruppi e coalizioni nella stessa Aula parlamentare e dove lo spazio alle proprie idee potrebbe difficilmente essere ristretto.Un sistema di elezione proporzionale definisce automaticamente un andamento parlamentare più fluido e meno rigido prevedendo fluttuazioni naturali in base al dibattito interno sulle singole questioni.

Il parlamentare ha un diritto sul proprio pensiero politico che supera ogni altro dubbio su altri interessi. Se sul piano dell'etica politica vi possono essere seri dubbi su queste strane migrazioni, non possiamo che attenerci a ciò che i costituenti hanno scritto in favore di un primario libero pensiero che prevale su tutto il resto.

Qualcuno, come me, pensa che la causa di queste dislocazioni non sia imputabile all'art 67, ma piuttosto alle pessime leggi elettorali sfornate fino ad oggi.. che non tengono conto..o meglio sottovalutano il valore di quest'articolo: Se il principio del vincolo di mandato è rappresentativo di una propria libertà di pensiero, è logico che questi rimanga libero, conducendo un lavoro normativo di un programma che dovrebbe restare aperto e separato da ogni condizionamento governativo. In poche parole: è proprio l'articolo 67(senza vincolo di mandato) riguardo alla libertà di pensiero dei Parlamentari.. che dovrebbe far riflettere sulle decisioni riguardanti la regolamentazione di un programma incidendo sul percorso (separato) di ogni governabilità. Come..al contrario.. una governabilità non potrebbe mai obbligare un percorso normativo parlamentare costringendo l'importanza dello stesso art 67.
Non sembra quindi necessario cambiare l'articolo 67 della costituzione sul vincolo di mandato, quanto appare di maggior opportunità rielaborare e disciplinare l'art 49 sui Partiti per poi formulare una legge elettorale più utile per il nostro Paese.



10 feb 2015

Quella visione politica ancora bloccata sulle contrapposizioni ideologiche





di vincenzo cacopardo

La costante pretesa di voler seguire il percorso di un paradigma politico istituzionale secondo la forma mentis del passato.. non aiuta a crescere e frena ogni possibile innovazione su un sistema che ormai appare logoro. Nessuna politica fino ad oggi si è mai protesa verso un progetto di ricerca diverso..più innovativo.. che partendo dal basso.. difenda le regole di una democrazia e nel contempo imprima forza e sostegno ad ogni governabilità. Inoltre… insistere col costruire un nostro sistema sulla base di modelli esterofili non può significare essere nel giusto… perché non è detto che altri sistemi, pur nella loro efficienza, esprimano un vero principio democratico..come non è detto che possano essere compatibili con una cultura storico politica e territoriale come la nostra. La risposta di ogni politico basata sulla visione esterofila è limitativa oltre che di poco aiuto... ecco perchè risulta essenziale proiettarsi in direzione di un pensiero mentale diverso e di innovazione.

Se qualcosa di forte questo nostro Paese ha sempre saputo esprimere..queste sono le idee... Idee proposte con genialità...ed il fatto che ancora nel campo di un riassetto politico..esse non di scorgono...è proprio perchè si resta frenati da una visione che sembra costantemente sopravvalutare tutto ciò che è straniero: Se è giusto avere una conoscenza del mondo che ci sta intorno..non è certo sano..nè conveniente.. copiarne ogni principio.

Non è quindi detto che un sistema bipolare costruito sulle antiche ideologie possa oggi risultare utile al nostro Paese..anzi..se a questo aggiungiamo le profonde anomalie ancora esistenti nel nostro sistema..si manifesta una reale impossibilità di poter costruire un simile modello al fine di perseguire un correto principio di democrazia. Insomma...quella che veramente potrebbe risultare più utile è una ricerca di un percorso sistemico alternativo ed innovativo,.. più funzionele e congenito con la cultura e la storia del Paese che potrebbe rendere onore e competitività alla nostra Nazione...Capisco bene che di tratterebbe di qualcosa di rivoluzionario sull'assetto istituzionale esistente, ma non sono forse queste trasformazioni che danno apertura ad una solida innovazione rendendo forza ad un vero cambiamento?

Oggi restiamo ancora abbarbicati alle contrapposizioni ideologiche(destra-sinistra) e guai a uscirne fuori.. senza invece cercare di anteporre..merito a metodo.. idee a compimento..o..ancora.. programmi a funzionamento. Si resta ancora bloccati in posizioni che continuano a creare alterazione gigantesche pur di salvare maldestramente un primario principio di governabilità..Questo perchè ancora non si vuole accettare il fatto che una governabilità rimane un traguardo da ricercare con attenzione attraverso un principio di metodo più sicuro che parta dalle fondamenta.

Sappiamo bene che la politica per muoversi deve far uso delle istituzioni, ma queste dovrebbero essere rinnovate seguendo un cambiamento imposto da una società che deve innovarsi di continuo. La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa poiché rimasta vittima della mancanza di alcuni valori fondamentali ormai spariti del tutto.

La visione odierna è certamente legata ad una condizione che lega in modo assiomatico il compito del politico nel suo genere: Una concezione che parte dal principio che chi governa, oltre a decidere, deve essere in grado di definire le normative. Un concetto legato ad una politica determinata nel passato, in cui si aveva una visione alta dei suoi valori, suggerendo costituzionalmente un armonico raccordo tra i due poteri, al fine di una costruzione più utile e corretta. Ma è proprio questa la base di partenza sulla quale si potrebbe porre qualche riserva, poiché non è detto che, oggi, questa procedura possa essere quella giusta per determinare la funzionalità e la concretezza delle proposte. Anzi, partendo dall’alto, ogni proposta, finisce spesso con l’essere bloccata o distorta in via parlamentare. Al contrario, poi, attraverso la molteplicità dei decreti o le richieste di fiducia, si svilisce notevolmente il lavoro dei parlamentari.

L’idea di poter dividere in modo più deciso le funzioni del potere legislativo da quello esecutivo, affidando ruoli separati per tutto l’arco della legislatura, non è sicuramente gradito alle forze politiche odierne: Il fatto di non poter dare contestualmente voce ed esecuzione alle loro azioni, li vedrebbe sottoposti in uno strano compito che non riuscirebbero a percepire positivamente. La maggioranza di loro si opporrebbe di certo ad una idea simile, ritenendo impossibile creare un ambito in cui chi governa e decide un programma, non viene contestualmente inserito in quella opera di costruzione delle leggi, essenziale per la determinazione progettuale di ciò che si vuole realizzare.

Rimane comunque, il fatto che proprio ”un programma”, in via preventiva, non può non essere  vagliato, discusso, partecipato ed infine votato dagli stessi cittadini.

La politica non può solo avere un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza nell’esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo costruttivo della società. In base a questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi apparire come un paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità creativa, geniale ed intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare iniziative politiche idonee e funzionali alle esigenze,  anche se solo in termini teorici. Le capacità di chi esercita questo ruolo appaiono  essere prevalentemente di inventiva il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per certi versi vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro, devono sempre avere una buona conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale del paese in cui si vive. Ben diversa rimane l’attività di chi deve predisporsi per una amministrazione in termini di conoscenza e quindi anche di esperienza per la soluzione di un processo costruttivo e di un buon funzionamento: Chi amministra deve avere un ruolo determinato e diretto verso la conoscenza scientifica di ciò che si deve con efficienza realizzare.

Ecco, perciò, la determinazione dei due ruoli che differentemente potremmo definire “induttivi” e  “deduttivi”. Ruoli che, per scopo ed esigenza, definiscono due strade diverse che dovrebbero raggiungere un unico percorso costruttivo in relazione alla definizione di una “politica” che si vorrebbe funzionale.

Una delle parole chiave, quindi, sembrerebbe essere la “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed innovazione, ma intesa anche come teoria secondo la quale, nelle varie culture, la funzione dei singoli elementi culturali, ha un’importanza predominante sulla evoluzione stessa. Uno studio organizzativo che dovrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.

Le odierne esperienze dovrebbero ormai aver reso chiaro l’impossibilità di ricercare una governabilità stabile in un sistema democratico...se non attraverso una azione costruttiva di base, poiché solo così, una vera governabilità non potrà mai essere inventata o, ancor peggio, imposta.  Se la politica deve avere la funzione di “regolare i rapporti tra i cittadini e governare lo Stato”, proprio per questo, il principio specificato in quel verbo “regolare” che ne dovrebbe indicare la strada, non potrà che risultare propedeutico ed utile ad ogni azione del “governare.



9 feb 2015

un pensiero sull'analisi di Rosario Neil Vizzini in merito alla questione ucraina

di rosario neil Vizzini

L’Ucraina desidera l’Europa più di quanto l’Europa desideri l’Ucraina. Dietro le aperture e il sostegno di facciata alla nazione ex sovietica le grandi nazioni europee come Francia e Germania la temono. Entrando nell’Unione, infatti, ne sarebbe il principale paese per estensione territoriale, con una potenzialità economica (è il maggior produttore di grano al mondo, a cui si aggiungono le risorse naturali in situ e in transito dalla Russia) capace di spostare verso Est il centro degli equilibri europei.
Ma Francia e Germania sbagliano. Perché l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione è il più grosso affare che l’Europa possa mai concludere nella sua storia millenaria. Neanche Alessandro Magno si spinse a tanto. Nemmeno l’Impero Romano. Né fu permesso a Hitler. Con il plusvalore che la voglia di Europa dell’Ucraina non è indotta da invasioni militari o ricatti economici, ma legata solo e indissolubilmente alla volontà del popolo ucraino, espressa fin dall’inizio della rivolta contro il satrapo Yanukovich affiancando alla bandiera nazionale quella europea, e che guardacaso hanno gli stessi colori.
Una volontà popolare con cui tutti hanno dovuto fare i conti: l’Europa, messa quantomeno in imbarazzo da tanto dichiarato amore sanguigno e i suoi governi e cittadini antiunionisti messi in tragicomico; la Russia, che non ha potuto andare oltre l’annessione della Crimea. L’America e la Cina, che prima nel paese concludevano ottimi affari a prezzi stracciati. E tutti sono rimasti spiazzati dai veri fautori e finanziatori dell’alzata d’orgoglio degli ucraini, i banchieri ebrei.
Quegli stessi banchieri che fino a poco tempo prima si erano resi complici e sodali degli speculatori che aggredivano gli stati sovrani (Grecia, Cipro, la Spagna, il Portogallo, la stessa Italia, vi ricordate?) e che a cominciare proprio dall’Ucraina hanno iniziato a investire sulla sovranità, sulla voglia e la capacità di un popolo di rendersi indipendente, di liberarsi. Per questo l’Ucraina attrae ma fa paura, perché nonostante le difficoltà economiche date da questa transizione, è un paese libero. E che liberamente ha scelto l’Europa. Quando potrebbe benissimo starsene da solo.
L’Ucraina insomma, oltre al denaro sonante, porta in dono all’Europa una delle tradizioni culturali che l’ha costituiscono, quella Yiddish, quella degli ebrei europei. Le prime vittime del fanatismo nazista e comunista. Personalità del calibro di Menachem Mendel Shneerson, l’ultimo Lubavitcher Rebbe, medaglia d’oro del Congresso degli Stati Uniti d’America, dai suoi seguaci considerato il Messia. O di Menachem Mendel Hager, il Caritatevole, fondatore della dinastia chassidica Viznitz. Si chiamava ODESSA l’organizzazione segreta che aiutava i nazisti a fuggire scoperta da Simon Wiesenthal. Un patrimonio di valori di cui l’Europa ha fame ma che i governi sembrano ignorare. Se non osteggiare senza passare per antisemiti. Perché questo legame tra il potere finanziario e il popolo è a dir poco fastidioso per la politica. Addiruttura letale.
Se dunque l’Europa e l’Ucraina hanno solo da guadagnarci chi ha da perderci? L’America. Un’Europa forte con dentro l’Ucraina costituirebbe un grosso problema per gli Stati Uniti, così grosso che neanche la firma del TTIP così com’è risolverebbe.
Ma questo perché continua a campeggiare l’ormai vecchio e arrugginito sistema maschilista nordamericano. Se ci fosse una donna Presidente tutto si risolverebbe. Ella potrebbe ad esempio riaprire il dialogo con le tante leader donne dell’America Latina. Potrebbe parlare con Angela Merkel. E stringere un buon accordo con l’Europa. E fregarsene così di Putin. Che ci rimarrebbe malissimo. L’indifferenza è un’arma micidiale, specie in mano a una donna.

E invece ci tocca assistere ai tragicomici effetti del vecchio metodo basato sulla costruzione del nemico. Agli psicologi americani che danno dell’autistico a Putin sostenendo che ha la sindrome di Asperger per metterlo in cattiva luce. E poi si scopre che ne soffrono alcune tra le persone più sensibili e genialoidi del genere umano: Albert Einstein, Marilyn Monroe, Abraham Lincoln, per esempio, gli attori Dan Akroyd e Daryll Hannah. La cantante Susan Boyle.

Eppure è stato bravo Vladimir Putin. Ha dato prova di grande apertura e di prontezza, sia riguardo ai diritti umani sia nell’annussare subito l’aria nuova nelle prospettive economiche e nelle relazioni internazionali. Per primo tra i leader mondiali si è presentato in Vaticano per rendere omaggio a Papa Francesco appena eletto. Ha stretto ottime relazioni con l’America Latina.
Subito dopo ha perdonato le Pussy Riot, peraltro scomparse, dato che erano diventate famose non per la loro musica ma perché vittime del regime. E infine ha liberato lo storico nemico Michail Borisovič Chodorkovskij.

Per non parlare del nuovo e amabile corso politico, e religioso anche, di Hassan Rouhani in Iran. Insomma questi due hanno dimostrato di saperci fare. Forse per questo stanno antipatici ai più, specie agli arrugginiti occidentali. Sbaglia invece la comunità internazionale a privarsi di queste intelligenze quando potrebbe guadagnarci. Il cambiamento viene dall’Asia. E noi siamo una penisola dell’Asia, non dell’America. Per questo è assurda una delegazione di pace congiunta Europa-Stati Uniti. Perché hanno interessi in conflitto. Cosa è andato a fare più volte nell’Est Ucraina il capo della CIA John O. Brennan? Chi manovra i ribelli filorussi quando quella gente ha tutto da guagnarci a entrare in Europa e non interessa alla Russia? Che cosa abbiano fatto davvero di male Russia e Iran per meritare quelle sanzioni? E lo spionaggio e le torture della CIA che tuttora vanno impuniti invece?

Vanno tolte le sanzioni alla Russia per sbloccare lo stallo ucraino e fermare la guerriglia. Putin sa bene che non può riavere l’Ucraina. E’ tramontata l’epoca dei governi fantoccio. Anche perché non conveniva più. Dato che i fantocci si erano fatti troppo furbi. Yanukovich infatti rubava tanto agli ucraini quanto ai russi e accumulava ricchezze private in Europa. Questioni di debiti e crediti incrociati che si metterebbe subito a posto se non ci fossero le sanzioni.


La analisi di Vizzini sembra abbastanza esatta poiché è chiaro che, un paese come l' Ucraina identificato e determinato nella sua cultura storica..pare aver subito la supremazia dei paesi occidentali in modo assai particolare. Credo anch'io che vi sia una indissolubile volontà del popolo ucraino, espressa con palese evidenza anche contro una certa tirannia..Un principio che..sottovalutato, non potrebbe aiutare a vedere in un'ottica più lucida. ....E bisogna anche tenere in considerazione alcuni avvenimenti avvenuti in concomitanza e subito dopo l'indipendenza della Crimea che non possono essere sottovalutati. 

Non abbiamo verità certe sui fatti svoltisi nel recente passato in Ucraina..ma una lunga serie di dubbi. Una faccenda apparsa subito ambigua che ha portato conseguenze nello stesso paese ucraino. Sono ormai in tanti ormai a pensare che tutti i guai dell’Ucraina sono nati per mantenere in vita la Nato e tutto il loro apparato militare... a premere sui confini per generare l’ingresso in Europa dei paesi dell’Est come un atto in contrasto alla Russia. Sembra che nella stessa Crimea vi siano stati inni di gioia e qualche disapprovazione, ma il passaggio della Crimea alla Russia rimane comunque un dato di fatto.Mosca ha sempre dichiarato legittima la dichiarazione di indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea ed ha evocato in proposito lo statuto dell'ONU.

Se analizziamo gli eventi accaduti a Kiev il giorno della fuga di Janukovich ( piazze in allarme occupate dai manifestanti europeisti per un appoggio occidentale, la prodiga reazione dell'Europa della Merkel ed in particolar modo.. il sostegno americano), ci accorgiamo come di contro, da parte di Mosca... vi sia stata una evidente scelta democratica degli abitanti attraverso il ricorso ad un referendum che non può lasciare alcuno spazio a pensieri diversi o subdole pretese. Naturalmente il coro dei media occidentali ha imputato alla Russia un atto di aggressione militare invocando sanzioni dichiarando che era insostenibile appoggiare un presidente ucraino che rifiutava di portare il paese in Europa, il tutto in un sostegno più che apprezzabile da parte degli Stati Uniti che a loro volta dichiarano di aver investito miliardi di dollari negli ultimi vent’anni per dare all’Ucraina un futuro memorabile...

Ma cosa è accaduto davvero?...Sembrano volersi volutamente nascondersi alcuni fatti essenziali avvenuti a febbraio quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.

Appare certo che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei territori dell'est: - Si parla di una fuga di Janukovich prima della sua destituzione per paura di fare una brutta fine. Chi ha vinto e chi ha perso?
L'america che ancora una volta ha voluto imporre la sua supremazia al di là di ogni altro interesse?...o la Russia.. che in qualche modo ha voluto dichiarare il suo sdegno di fronte alle posizioni territoriali che meno competono agli Stati Uniti e persino alla giovane Europa?

Gli ultimi avvenimenti ci avvisano che.. mentre Hollande spinge per un dialogo illustrando un piano di pace e la Merkel si muove per una cauta risoluzione.. la Nato pare spingere verso un intervento armato. L'Occidente non esclude quindi un'opzione militare in Ucraina..valutando bene prima la fornitura di equipaggiamento e armi all'esercito di Kiev, per fronteggiare i separatisti filorussi. In tutto ciò...Kiev, pare pronta a dichiarare la completa cessazione del fuoco per fermare il crescente numero di vittime tra i civili ed il presidente ucraino ha precisato che..nel merito.. il suo governo abbia avuto il sostegno da parte della Merkel e di Hollande.

Vedremo presto gli sviluppi di questa storia esposta dai media in modo poco convincente ed a volte di parte. Sembra comunque chiaro che le sanzioni verso la Russia operate da un paese come il nostro... con una crisi economica fuori dal normale... appaiono sprovvedute ( e pesanti per le casse dello Stato), malgrado il nostro governo, con la costante ipocrisia che lo accompagna..si sia accodato in tutto e per tutto ad una politica estera dei paesi economicamente più forti. Una politica che potrebbe spingerci in conflitti ed atti di terrorismo ancora più pericolosi.
vincenzo cacopardo




7 feb 2015

Brillante analisi di Domenico Cacopardo..

Brillante analisi di Domenico Cacopardo sulla quale non si può che concordare...
Prendendo spunto dal caso greco, Domenico argomenta le perplessità di un sistema che sembra non offrire alternative per una crescita reale dei Paesi aderenti. Appare oggi imperativa, determina e fin troppo determinante... la visione di una economia internazionale europea che costringe le regole degli Stati aderenti: Il continuo controllo sul debito e le direttive sulla stabilità dei Paesi della comunità condizionano a prescindere ogni percorso economico ricercato dai singoli e diversi paesi. Difficilmente, oggi, anche un Paese come il nostro, potrebbe dare sfogo ad una economia più brillante in termini di investimenti e di conseguente economia reale!... 
v.cacopardo


that is the question...
Con drammatica immediatezza Alexis Tsipras, primo ministro greco, e Yanis Varoufakis, suo ministro dell’economia, sbattono il muso contro il muro di Mario Draghi, presidente della Bce, e di Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze tedesco.
I rispettivi ragionamenti sono elementari: le misure adottate dal governo di Atene aggravano le condizioni della finanza pubblica e la Banca europea non può più negoziare i titoli di debito delle banche elleniche, sostiene Draghi; siete debitori e noi rifiutiamo di vedervi spendere spensieratamente altri euro, sostiene Schäuble.
Messo in questi termini, tutto viene ridotto all’osso e sottoposto alla logica inoppugnabile di un sistema neoliberista, fondato su una specie di «Gold standard» europeo, cioè l’euro.
Le lezioni della storia nulla hanno insegnato ai governanti dell’Unione europea, diretti da frau Merkel. Nulla il ’29 e il successivo arrivo del nazismo. Nulla le crisi da inflazione degli anni ’70. Rimane il dogma intoccabile di una linea politica e politico-economica che teorizza e applica un impoverimento indefinito di alcuni paesi indebitati, in vista di un lontanissimo riassetto (all’«eurostandard»), contando sul fatto che le popolazioni europee continueranno a votare per questa politica e per la miseria che serpeggia nei loro paesi.
Nessuno ritiene che la vittoria di Siriza in Grecia abbia un reale significato generale. Nessuno pensa alla crescita di Podemos in Spagna (un partito di sinistra) o del Fronte Nazionale in Francia, con l’appendice non irrilevante della Lega in Italia. Nessuno si rende conto che il muro eretto a Francoforte e a Bruxelles può innescare il temuto «Grexit» e la ridiscussione dell’idea d’Europa. Nemmeno l’Europa carolingia, l’asse preferenziale cioè stabilitosi tra la Francia di Mitterand e la Germania di Shmidt e Khol, continuato sino all’arrivo di Sarkozy e delle sue sventatezze, può resistere al vento che spira da Sud-Est, alla luce della crisi profonda che attraversa la Francia, stretta nella irresolubile contraddizione delle esigenze deflazionistiche propugnate a Bruxelles e a Berlino e le necessità di contenere l’impoverimento del Paese che il poco autorevole Hollande non riesce a intepretare e guidare.
In qualche modo, alla svolta politica greca si può applicare la metafora romana dell’attraversamento del Rubicone da parte di Cesare contro il divieto del Senato.
Se la Grecia ha attraversato il Rubicone e non teme le reprimende e gli inviti a tornare nei ranghi, tutto l’assetto dell’«impero» (l’Unione europea) ne risentirà rapidamente.
Anche perché, uno Tsipras può nascere dovunque e contestare il continuo impoverimento in vista di un dopodomani migliore.
La questione è preliminare: «… that is the question …» dice Amleto nel celebre soliloquio, possiamo ripetere noi oggi. Se devi 10.000 euro alla banca e non li hai, hai un problema. Se devi 1o.ooo.ooo e non li hai, il problema è della banca. 

Poiché l’Italia e la Grecia emettono titoli come li emettono tutti gli altri, quando il meccanismo di crescita del Pil si inceppa, le due nazioni non possono procedere con la ricetta precedente l’introduzione dell’euro: stampare moneta&svalutare. L’unica soluzione, immaginata a Bruxelles e a Berlino, è instaurare una politica di austerità: e ciò è accaduto, secondo l’autorevole americano Foreign Affairs, mediante un «constitutional coup d’état», quello che ha portato al potere in Grecia Samaras con la «Troika» (tre funzionari di Bce, Fmi e Unione) e in Italia Monti.

I sacrifici imposti agli italiani sono stati meno duri di quelli che si sono visti ad Atene: la Grecia ha dovuto tagliare stipendi, pensioni e assistenza sanitaria. Ha visto impennarsi gli indici di mortalità, di povertà, di disoccupazione. Tutto in negativo, salvo due stagioni turistiche da record, fertilizzate dal crollo dei prezzi e dalla necessità di incassare gli euro freschi di cui sono stati portatori prevalenti tedeschi, italiani e francesi.
Era immaginabile cosa sarebbe accaduto alla successive elezioni, quando la dura ricetta avrebbe già dispiegato tutti i suoi effetti: nessun povero (la maggioranza) avrebbe votato per confermare la propria povertà. Nessuno si sarebbe sacrificato sino alla fame per non mettere in discussione i soldi dovuti al sistema bancario internazionale, il medesimo che ha causato il disastro del 2008, da cui è risorto con robuste iniezioni di denaro pubblico, di proprietà dei medesimi cittadini impoveriti.
Se c’è qualcuno, a Bruxelles e a Berlino, che intende salvare il progetto europeo e l’euro che ne è il nucleo, questo deve misurarsi con la realtà, e cioè con Siriza e Tsipras per trovare una via d’uscita su ristrutturazione del debito e fine dell’austerità. Sul punto, confermando la propria inconsistente sensibilità internazionale, il «premier» Renzi ha dichiarato il proprio appoggio a Draghi che non ne ha bisogno e non può deflettere dal rigore (nemico anche dell’Italia), tanto da «spingere» Tsipras verso l’apertura di una «querelle» a Bruxelles.
Allo stringere, questo è il problema: gestire la situazione correggendo lo stolido dogma neoliberista con pragmatico realismo. Aprire un varco alla ristrutturazione del debito greco e all’avvio di una reale politica di rilancio.
Altrimenti ci sarà la deflagrazione.
Insomma, se frau Merkel non avrà coraggio e si chiuderà nel proprio legittimo fortino rifiutando di dare vero ossigeno ai greci, i tempi diventeranno più duri e finirà che ognuno andrà per la sua strada, in mezzo a pericoli crescenti, compreso quel confronto militare che nel lontano orizzonte appare e scompare.
Frau Merkel e il suo popolo accetteranno il sacrificio di fare i conti con la realtà di un (o più) «partner» cicala mentitrice e, per evitare guai maggiori, adeguarvisi?
«… that is the question …»
Domenico Cacopardo

6 feb 2015

La fine di un patto...

di vincenzo cacopardo

E' sicuramente pensabile che Renzi abbia scelto Mattarella per affinità elettive e soprattutto..per calcoli politici. Renzi e Mattarella, l'uno presidente del consiglio e l'altro presidente della Repubblica, vengono fuori da una storia politica che è l’incontro tra la cultura cattolica democratica e quella comunista. 

Renzi oggi, con i poteri inconsueti che usa... attraverso una leadership e un anomalio doppio incarico ( cui nessuno tiene in considerazione)... gode di una assenza totale di concorrenti che ne esaltano fin troppo l'immagine. Quindi l'asturo giovane Premier ha operato una scelta di un Presidente della Repubblica che fu un politico del passato più vicino e conforme alla sua stessa tradizione politica e tutto ciò fa pensare che, in tal modo egli possa perfezionare un eccezionale raggruppamento di potere.

Qualcuno pensa che la rottura del Patto detto del Nazareno sia stata decretata di forza dallo stesso Renzi come un tatticismo per neutralizzare la resistenza minacciosa dei gruppi dissidenti interni al suo Partito. Il sindaco d'Italia, usando ogni mezzo per poter andar dritto per la sua strada, ha scelto di ricompattare il suo Partito per eleggere il successore di Napolitano.. senza esporsi agli attacchi della sinistra interna, ed ha deciso per la strada dell'elezione di un democristiano senza nessun accordo con il partito di Berlusconi.

La domanda scontata di oggi è quella di capire fino a che punto Renzi può adesso sentirsi tranquillo avendo con sé l’opposizione di chi fino ad oggi lo ha appoggiato sulle riforme di importanza istituzionale. Malgrado vi sia chi malignamente pensa che vi possa essere stato un ulteriore accordo sottobanco col Cavaliere e che tutto ciò a cui oggi assistiamo potrebbe essere un teatrino per ingannare volutamente gli assidui spettatori di una politica da gossip, io credo che la scelta operata da Renzi sia stata studiata con l'intuito di chi brama per ottenere i riflettori puntati su di se e con un fine preciso con il quale ha ritenuto di poter trionfare con successo da unico protagonista: Ha usato il partito di Forza Italia.. allettando Silvio Berlusconi riponendogli una certa considerazione e, come fece per Letta, una volta sicuro di avere altre strade aperte a garanzia di un proprio successo, lo ha inesorabilmente isolato...Questo è lo stile del giovane sindaco d'Italia e questo è quello che gli attira il consenso di chi premia la furbizia spettacolare di una politica odierna.

Renzi oggi appare in una botte di ferro, non teme più colpi interni del suo partito ormai privo di ogni altro pensiero al di fuori dal suo...Un partito senza alcuna espressione personale, solo piegato all'evidente forza di chi tende ad infondere un potere di restaurazione al suo interno. Col prossimo arrivo dei deputati di Scelta Civica in adesione al PD..con le esagerate esaltazioni del gruppo di Vendola per la nuova nomina del capo dello Stato..Renzi pare aver spinto il proprio consenso sia verso sinistra che al centro dove permane ancora una linea di comodo di alcune forze di quel centro di Casini che oggi non saprebbe proprio dove configurarsi.

Il famigerato Patto del Nazareno, può quindi dirsi definitivamente defunto, poiché Renzi non ha più alcun bisogno di patti.. avendo raggiunto il suo scopo. Il problema rimane sulle pericolose e semplificate riforme che si continuano ad affrontare col solito determinismo e l'approsimazione tipica di chi sa di essere solo al comando.





Un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo

INESORABILI CONSEGUENZE

La storia della Repubblica, non si può negarlo, è entrata in una nuova fase. Siamo ancora nel guado, naturalmente, ma molti dei massi che impedivano di procedere sono stati rimossi, a sinistra e a destra.
A sinistra, nel Pd, la «vis» contestativa delle varie minoranze è stata congelata: con la candidatura e l’elezione di Sergio Mattarella, sono finiti i mal di pancia, ma è anche terminata la prospettiva politica dei tanti nani che gonfiavano il petto contro Matteo Renzi. Penso a Civati, a Fassina e ai loro seguaci, più rane da Batracomachia (le rane sono note per il gracidio) che attori politici, anche se da strapazzo. Il vento gonfia le vele di Renzi e lo conduce sulla rotta che ha scelto, quella del rinnovamento, orale e sostanziale, e delle riforme. È possibile che, presto, quella gente torni a mugugnare, ma dovrebbe avere percepito chiaramente che non ha prospettive e che la sponda greca di Siriza è inesistente.
La Bce, sospendendo la negoziazione dei titoli delle banche di quel Paese, ha indicato, senza ombra di equivoci, che non ci sono strade alternative a una ragionevole austerità. A meno che Tsipras non intenda uscire dall’euro e affrontare la difficile navigazione in mare aperto con l’aiuto peloso della Russia di Putin.
Nel giro di boa compiuto con l’elezione di Mattarella, s’è aperto un campo di gara nuovo e inesplorato: la coesistenza con un consapevole tutore della Costituzione, dei suoi valori e delle sue procedure, non condizionato dal para-leninismo di Napolitano che anteponeva il «nobile» fine alle regole. Un tutore che, con garbo e senza tambureggiamenti, incanalerà le iniziative in corso e quelle prossime nei binari della più trasparente correttezza istituzionale.
Passata la sbornia da successo (un successo, l’elezione del presidente, vero e grande), Renzi, la Boschi e Del Rio si renderanno conto che il difficile non sarà rappresentato dalle bizze di Berlusconi, Alfano e minoranze Pd, ma dalla necessità di una rigorosa produzione legislativa, alla quale sono del tutto impreparati per proprie e altrui deficienze.
Non succederà nulla di eclatante, solo un consistente aggiustamento del modo di lavorare, nel quale forme e contenuti avranno il medesimo peso e conteranno di più. A garanzia che ciò che si andrà a decidere sarà meno effimero e dilettantesco di quanto già deciso.
È questo lo specifico contributo che Mattarella al Quirinale darà al Paese.
A destra, il declino prima e l’avvitamento ora della «leadership» Berlusconi sono di tutta evidenza. Il problema c’è sempre stato da quando, nell’autunno del 1993, annunciò la propria discesa in campo, con l’impegno di liberare l’Italia da «lacci e lacciuoli», trasformandola in una democrazia liberale compiuta. Abbiamo visto com’è andata a finire.
Ora, purtroppo, non si scorge all’orizzonte chi possa assumersi l’onere di costruire un partito liberal-conservatore definendo una prospettiva europea ed europeista.
Per il momento, a destra, rimangono protagonisti la Lega di Salvini, capace di convogliare e galvanizzare gran parte dello scontento del Nord (e di altrove), e Grillo coi suoi grillini, alle prese, però con una questione vitale: la specchiata onestà del presidente Mattarella, scelto da questo disprezzatissimo (da loro) Parlamento, è percepita da tutti gli italiani e impedisce i soliti ritornelli nihilisti in cui il Movimento a 5 Stelle s’è specializzato. Li abbiamo visti già e li vediamo i vari yuppini alla Di Maio pronti a fare il passo, l’unico passo cui pensano sin dal giorno dell’adesione al partito: entrare nel sistema e scalarlo come ogni rispettabile carrierista politico di ogni rispettabile paese democratico.
Alfano, suicida politico, non ha alcuna autonomia sostanziale: o si arrende e si allea con il perdente Berlusconi per le elezioni regionali o si arrende e si presenta con Casini, consapevole che sarà difficile ottenere qualche seggio in qualche regione del Sud, di quelle in cui la catena della clientela exdemocristiana funziona ancora. Nel frattempo, la strada obbligata è quella di lavorare lealmente nel governo, con la coscienza che da un momento all’altro può accadere l’evento che metterà fine alla sua carriera politica.
Perciò, Renzi andrà avanti, baldanzoso come sempre, sotto la vigile e ferma attenzione di un garante che non garantirà, come nello scorso anno, solo lui, ma tutti gli italiani.


Sempre lucide le analisi di Domenico Cacopardo che, malgrado la sua approvazione sul metodo delle riforme renziane, pone parecchi dubbi sulla rigorosa futura produzione legislativa, per la quale sottolinea “il Premier ed i componenti del suo governo risultano del tutto impreparati per proprie e altrui deficienze”.

I risultati della politica odierna del nostro Paese si leggeranno fra qualche anno. Nel frattempo una destra si spegne, ma... come tutti possiamo intuire..a volte è quasi naturale scomparire per rinascere più forti ed io credo che il Paese sia destinato ad andare più a destra che a sinistra. Non che ne sia particolarmente contento..ma la storia ce lo ha insegnato ..la destra è spesso vincente nel nostro Paese.. anche perchè nel suo pensiero liberista si racchiude la teoria economica, filosofica e politica che prevede la libera iniziativa e il libero mercato che col valore supremo del denaro, sembra vincere sempre su un'equità sociale. Comunque...quando una posizione politica muore..ne risorge un'altra che potrebbe essere più forte della precedente.

Tuttavia, per quanto concerne la Grecia..non possiamo tralasciare la profonda problematica economica finanziaria che potrebbe leggersi in modi differenti.
Pier Luigi Magnaschi su Italia Oggi scrive qualcosa di interessante per rendere più misurata la faccenda ellenica :
È vero però che la Grecia ha sulle spalle un debito insostenibile. Ed è vero che gli interessi e i rimborsi su questo debito sono diventati troppo onerosi. Per uscire dalla strettoia, bisogna ridurre il fardello del debito (allungandone il tempo di restituzione e riducendo gli interessi a carico della Grecia) ma è anche vero, come ha detto il ministro dell’economia tedesco, Wolfgang Schaeuble che «Le cause della crisi rimangono in Grecia ed è qui che esse debbono essere rimosse» mentre è in corso l’aiuto, comunitario da una parte (Bce e Commissione) e internazionale dall’altro (Fmi). La decisione di ieri l’altro di Draghi di «non accettare più i titoli sovrani greci come garanzia in cambio di liquidità» è stata quindi un segnale inequivocabile e chiarificatore.
Il problema Grecia (ma non solo) esiste. Esso può essere affrontato con il concorso di tutti ma anche con l’adesione della Grecia che non può certo essere umiliata ma non può nemmeno fare la voce grossa
Da questo punto di vista la posizione di Renzi è stata molto chiara. Il premier italiano ha infatti detto che la decisione della Bce è stata «una decisione legittima, che mette tutti i soggetti attorno a un tavolo in un confronto diretto e mi auguro positivo». Il premier italiano non si è rifugiato nella
demagogia buonista anche perché sa che l’Italia ha erogato alla Grecia un soccorso di 43 miliardi (ai tempi di Monti) e non sarebbe bello apprendere che, per far contento Tsipras, questo enorme malloppo se ne andasse in fumoAiutati che il ciel ti aiuta», hanno insomma detto alla Grecia i leader dei paesi europei che sono pronti a collaborare ma che chiedono, ad esempio, che la risibile pressione fiscale al 34% sia alzata, nel tempo, almeno di dieci punti, che il piano di privatizzazioni prosegua, che la corruzione venga ridotta, che le assunzioni clientelari cessino e così via..

Io credo che il problema Grecia... per far sì che non possa allargarsi su altri Paesi della Comunità, dovrebbe essere affrontato con estremo equilibrio, poiché rientra in una concezione globale di una strada che l'Europa pare da tempo persegue e cioè quella di mettere alle strette i Paesi che da canto loro non potranno mai avere una via d'uscita (crescita/debito). La mentalità è simile a quella che impongono gli Istituti di credito quando mettono alle strette un imprenditore che, ormai indebitato, potrebbe salvarsi solo finanziando un progetto valido a lungo termine e non offrendo ulteriori linee di credito da restituire in tempi stretti e tassi irragionevoli.
L'equilibrio non spicca certamente in una Comunità europea dove una Troika la fa da padrona e dove tutto si valuta solo in termini di interessi finanziari.

vincenzo cacopardo

5 feb 2015

Due parole su idee e cambiamento...



"Solo chi è tanto pazzo da credere di poter cambiare il mondo..lo cambia veramente!"
Questa frase non è di un letterato..nè di un filosofo o un profondo sociologo, ma appartiene a chi, con l'impegno e le idee.... è riuscito a costruire un impero che ha contribuito a cambiare il mondo: Stewe Jobs.

Nella frase di Jobs vi è inteso un impegno che si sprigiona quasi meccanicamente da parte di chi è portatore di idee e le propone esprimendosi senza condizionamenti tramite una logica. Non è certo l'ambizione o un forte determinismo a creare un giusto mutamento...

Potendo accostarci ad un paragone con chi esercita una politica odierna con l'intenzione di poterne cambiare il verso, potremmo asserire che la qualità delle idee rappresenta la componente essenziale per la garanzia di un vero cambiamento in positivo...Idee che oggi non si vedono o che vengono arginate da un primario desiderio di fretta nel semplificare.
Un cambiamento che si propone di mutare l'assetto sistemico della politica istituzionale attraverso una semplificazione risulta deleterio...se a questa aggiungiamo la fretta, potremo assistere ad una logica reazione che vi potrà essere nel breve futuro.
Seguendo questo filo logico non possiamo non accorgerci di quanto.. in questo campo.. siano importanti la ricerca e le teorie, che aprendo il campo alle idee...seppur contrastanti con una ingiustificata corsa alla premura..possono garantire un percorso migliore e più funzionale.
L’errore che abitualmente si pratica… da parte di tanti che si propongono in politica..è quello di pretendere di poter affrontare un cambiamento senza uno studio di ricerca propedeutico edificato su base teorica: Si procede..così.. costantemente verso la pratica... senza un adeguato percorso di analisi teorica che, partendo da un'idea, individui una strada più logica e meno rischiosa.
Ma l'assunto appare chiaro:.. -Non vi potrà mai essere una pratica.. senza un anteposto studio teorico!... E ciò, per la politica, è uno dei problemi che pone ancora argine alla possibile ricerca di una solida governabilità.
vincenzo cacopardo


Mattarella.. e i tamburi dell'insinuazione

di vincenzo cacopardo

Il proliferare delle tante notizie riguardanti il padre di Sergio Mattarella non rende merito alla Sicilia ed ai siciliani stessi. Il fracasso dei tamburi..alimenta ogni sorta di maldicenza e dopo l'elezione di Sergio Mattarella Capo dello Stato, su network e giornali sembra essersi scatenata una sorta di insinuazione supportata da commenti poco gradevoli oltre che valutati in modo antistorico.

Al di là della dura dichiarazione espressa sul Fatto Quotidiano, più moderata e cauta, esposta da Martelli..concentrata sulla distinzione tra Piersanti Mattarella e Pio La Torre., si ha la sensazione che si voglia in tutti i modi portare discredito alla figura del nuovo Capo dello Stato..senza alcuna motivazione valida...Sicuramente di cattivissimo gusto e non difficile da individuare in un contesto di una politica odierna assai subdola e priva di argomenti validi.

Riccardo Nuti del Movimento 5Stelle ha affermato che: "Lodare Mattarella come antimafia perché il fratello fu ucciso dalla mafia è falso e ipocrita perché allora bisognerebbe dire anche che il padre era vicino alla mafia..ma se è vero che gli errori dei genitori non possono ricadere sui figli, allora non possono essere utilizzate altre vicende dei parenti in base alla propria convenienza.”

Questo commento che potrebbe far discutere..non tiene in considerazione una serie di motivi che riguardano la personalità del presidente Mattarella ed altre considerazioni storiche che dovrebbero essere analizzate in modo diverso. Fare oggi questo tipo di riferimenti ...oltre che un'idiozia, è perfettamente fuori luogo.

Innanzitutto non credo che Sergio Mattarella abbia mai lodato se stesso nella sua lotta contro la criminalità organizzata .. combattendo con essenziale onestà in direzione di una società malata attraverso un'attività politica..senza mai compiacersene. Poi, al di là di ogni malignità, il contesto storico in cui è vissuto ed ha svolto la sua attività di politico il padre Bernardo, non può essere mai messo in relazione..nè può essere valutato con i parametri di oggi, in quanto le attività criminali del passato.. dominanti in un territorio quasi abbandonato da uno Stato..vedevano una politica che per trionfare doveva in qualche modo relazionarsi con tanti personaggi ( per lo più non ancora riconosciuti criminali) per far crescere il territorio e porre argini possibili ad una educazione culturale e sociale. Non è quindi detto che tutti coloro che svolgevano una attività politica nel passato dovessero per forza sporcarsi le mani superando i giusti limiti della legalità...come al contrario oggi (con faciloneria) si tende a voler asserire.

Simili insinuazioni, (tendenti a fare di tutta l'erba un fascio).. vengono puntualmente tirate fuori ad orologeria come illazioni per colpire..o per dare la sensazione di individuare qualcosa di marcio sulle figure che si affermano.. persino quando la personalità è quella moralmente integra di un uomo il nuovo Presidente della Repubblica.  

4 feb 2015

Mattarella e l'impetuoso renzismo


Le riforme...come finirà? di vincenzo cacopardo
Non si possono sottovalutare le anomalie costanti del nostro sistema politico a cui nessuno continua a far caso... come non si può non constatare il processo di semplificazione con il quale Renzi ed il suo governo pensano di poter portare a termine il percorso delle riforme costituzionali ed istituzionali per il cambiamento. Per cui ...la sensazione rimane sempre quella che.. la strada operata dal giovane sindaco d'Italia...potrebbe non rispondere ad un processo di vero mutamento per un miglior funzionamento dell'azione politica istituzionale in favore di una democrazia.

Le disquisizioni del premier... sottolineate da termini come “turbo” uniti alla velleità di arrestare ogni strada ai partiti più piccoli, sono argomenti di un chiaro percorso verso un monolitico bipartitismo. Renzi cammina verso la strada di un Parlamento che possa identificarsi in due soli schieramenti e che possa garantire a priori una governabilità. Se è vero che la politica del nostro Paese esce appena fuori da un sistema di bicameralismo perfetto( che tanto perfetto non lo era più da tempo)..è anche vero che adesso si cerca in tutti i modi di portare avanti un sistema solo attraverso la fretta e con la forza di un cinico pragmatismo che potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso.

Negli anni passati..i due poli (destra–sinistra)..hanno continuato a scontrarsi sui diversi principi..alternandosi e contrapponendosi con sempre maggiore forza senza fare esperienza di un periodo storico che aveva visto.. proprio nel trasformismo.. un preciso segnale di avvertimento nei confronti di una politica troppo costretta. Questa lotta alla difesa delle rigide posizioni ha finito col rendere ancora più difficile l’equilibrata ricerca delle riforme. Oggi si parte da riforme sempre più ridotte e semplificative per modellare.. o meglio.. forzare.. un sistema che.. alla sua base..rimarrà sempre rigido ...Un sistema che potrebbe essere destinato ad implodere con danni assai peggiori: La divisione netta di due soli pensieri, senza un adeguato percorso, non può portare alcun beneficio alla indispensabile funzione della politica. Chi vuole imporre questi sistemi semplificativi per ricercare una più comoda governabilità, sembra non considerare assolutamente l’importanza di una azione culturale parallela che, se troppo costretta, finirà sempre col reagire violentemente all’evidente limitazione del pensiero.

Rileggendo la storia politica di questi ultimi vent’anni, non può sfuggire a chiunque l’inconsistenza di una politica nazionale che sembra aver dormito e messo le radici sui palazzi del potere.. senza alcuna vera capacità di intuito lungimirante. Oggi ..invece di provvedervi attraverso una ricerca più appropriata, si stringono i tempi con l'uso improprio di provvedimenti poco funzionali e troppo costringenti.

Passando invece ad oggi: Dopo la figura poco elegante di Alfano, Renzi, da vero politico democristiano, dichiara di aver rispetto per gli alleati, non mancando di puntualizzare di non voler mettere il governo in una discussione tra partiti. Il giovane Premier si dice ambiguamente aperto al confronto con chiunque e di avere il pensiero agli italiani...Si dice fiero di voler tirare dritto per la sua strada e torna a scommettere sulle sue riforme istituzionali...purchè restino quelle sue..

Non volendo descrivere come "arbitro" Il nuovo Presidente Mattarella (evitando il poco gradevole riferimento calcistico che mal si adatta ad una disciplina e alla cultura politica)..e definendolo.. assai meglio.. come una figura di "garante" delle istituzioni..vorrei sperare, dopo il sobrio discorso alla Camera, che il suo sguardo possa essere a difesa degli interessi della base e cioè di una vera democrazia popolare... in favore di quelle formule più equilibrate che possano far crescere la politica verso un futuro sociale più equo e conveniente.