5 mar 2015

Interessante articolo di Giulio Ambrosetti sulla corruzione

Lo ‘scivolone’ di Roberto Helg e la ‘caduta’ di Antonello Montante

(Riportiamo l'opinione dal giornale online “La Voce” )

Quello che colpisce, nella vicenda di Roberto Helg, acchiappato dai carabinieri mentre intasca una tangente, è la ‘naturalezza’ del gesto: l’imprenditore chiede la proroga del contratto di affitto del locale che ha sede nell’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo. E lui, Helg, vice presidente della Gesap, la società che gestisce lo scalo aeroportuale del capoluogo dell’Isola, fa quattro conti e, con il piglio di un contabile esperto, spiega all’imprenditore - peraltro un rinomato pasticcere - quello che risparmierà una volta ottenuta la nuova proroga e la somma che dovrà essere corrisposta a titolo di ‘contributo’. Santi Palazzolo - questo il nome del noto imprenditore - viene così a sapere che risparmierà un bel po’ di quattrini (tangente a parte, ovviamente), perché il rinnovo avrebbe potuto prevedere una riduzione del canone di affitto.

Questa, forse, è la parte ‘sociologicamente’ più interessante di tutta la storia. La Gesap è una società partecipata da soggetti pubblici. E’ una società per azioni con la seguente composizioni azionaria: la Provincia di Palermo (oggi commissariata dalla Regione siciliana) con circa il 40 per cento delle azioni; il Comune di Palermo con circa il 30 per cento delle azioni; la Camera di Commercio di Palermo (della quale Helg è presidente) con il 20 per cento circa delle azioni e poi altri azionisti minori con piccole partecipazioni. Stando a quello che si capisce dalle intercettazioni ambientali, la Gesap avrebbe provveduto a ridurre il canone di affitto del locale all’imprenditore.
Dunque entrate in meno per la società pubblica (cioè per i cittadini siciliani) e denaro fresco risparmiato dall’imprenditore. Soldi che, quest’ultimo, avrebbe in buona parte utilizzato per pagare la tangente. A chi? Helg è di sicuro uno di questi ‘fortunati’, visto che è stato acciuffato con il ‘sorcio in bocca’: 30 mila euro in contanti sistemati in una busta sul tavolo e un assegno di 70 mila euro in tasca.
Ovviamente, è solo un ‘caso’ (i famosi casi della vita…) che, di lì a poco, si sarebbe dovuto riunire il consiglio di amministrazione della Gesap “per decidere - leggiamo sul Giornale di Sicilia on line - se applicare la clausola che prevede il rinnovo triennale o fare una gara per affidare ad altri l’immobile”. Del resto, solo un cretino può pensare che il vice presidente di una società intasca l’anticipo di una tangente senza avere la matematica certezza di poter ‘ottemperare’ agli impegni che ha assunto con l’imprenditore taglieggiato.
Insomma, Helg - ammesso che abbia fatto tutto da solo (ma chi ci crede?) - avrebbe dovuto avere la certezza del “sì” del consiglio di amministrazione e degli stessi vertici amministrativi della società. Non bisogna dimenticare che un atto così importante - soprattutto se postula una riduzione del canone di affitto - non può passare senza il consenso dei vertici amministrativi della Gesap.
La domanda è sempre la stessa: Helg ha fatto tutto da solo? A noi la solitudine, in un affare così importante, suona strana. Del resto, il tenore delle registrazioni, come ha scritto la nostra Antonella Sferrazza, lascerebbe pensare alla presenza di inevitabili quanto logiche complicità. Helg spiffererà tutto, compresi i nomi dei suoi eventuali compari, anche per alleggerire la sua posizione processuale, che si annuncia pesante assai? O rimarrà zitto, avallando la tesi della solitudine del suo atto?

A prescindere da quello che dirà, sono invece perfettamente rintracciabili le complicità politiche di Helg. Parliamo, tanto per cominciare, di un imprenditore di Palermo che, negli ultimi anni, non ha brillato nella propria attività di commerciante. Gli è invece andata meglio in politica. La sua stella si è elevata nel cielo della politica nella seconda metà degli anni ’90, quando in Sicilia trionfava il centrodestra, tra Forza Italia e Alleanza nazionale. Noi, a dir la verità, ricordiamo Helg tra gli azzurri di Berlusconi. Grazie al centrodestra Helg farà incetta di incarichi pubblici.
Nel 2008, quando l’allora presidente della Regione, Totò Cuffaro, si dimette in seguito alla condanna inflittagli dalla Giustizia, il centrodestra siciliano entra in crisi. Un anno dopo la Regione siciliana è amministrata da un governo di centrosinistra presieduto da Raffaele Lombardo. In realtà, Lombardo è stato eletto con quasi il 70 per cento dei voti di lista nel centrodestra. Pensando di trovare una copertura ai suoi guai giudiziari, ha effettuato il ribaltone: ha messo fuori dal governo dell’Isola i partiti di centrodestra che l’hanno votato e ha ‘imbarcato’ il Pd che ha perso le elezioni e Confindustria Sicilia, all’epoca nota per le battaglie antimafia (i conti di Lombardo si riveleranno sbagliati, perché alla fine verrà condannato in primo grado per mafia: ma questa è un’altra storia).
In queste giravolte trasformiste di Lombardo e del Pd, Helg, pur essendo nato con il centrodestra, mantiene tutte le poltrone. Una spiegazione parziale c’è: il Comune e la Provincia di Palermo, tra il 2008 e il 2012, sono ancora amministrate dal centrodestra. E poi Lombardo è nato con il centrodestra. Quindi…
Nella maggio del 2012 Leoluca Orlando viene rieletto Sindaco di Palermo. E nel novembre dello stesso anno Rosario Crocetta viene eletto presidente della Regione siciliana dal centrosinistra. Lo spazio di manovra di Helg, a questo punto, si dovrebbe ridurre. Invece - ed è qui la vera stranezza - Helg mantiene sia la poltrona di presidente della Camera di Commercio di Palermo (che dipende dalla Regione di Crocetta), sia la poltrona di vice presidente della Gesap. Sulla società aeroportuale il Sindaco di Palermo, Orlando, si limita a piazzare alla presidenza della società aeroportuale l’ex senatore Fabio Giambrone. Nessuno apre una vertenza politica contro Helg. Certo, la legge non consente di sbattere fuori un vice presidente di società per azioni. Ma porre almeno una questione politica sarebbe stato il minimo. Invece, nulla.
Un anno dopo - siamo nel 2013 - la situazione diventa paradossale: la Regione di Crocetta commissaria le nove Province regionali. Di fatto, il centrosinistra siciliano controlla la Provincia e il Comune di Palermo, che insieme detengono oltre il 70 per cento delle azioni della Gesap. Ma Helg, nominato dal centrodestra, rimane inamovibile vice presidente della società che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo. E’ anche il presidente di Confcommercio di Palermo. E rimane anche presidente della Camera di Commercio del capoluogo dell’Isola che, lo ricordiamo ancora una volta, dipende dalla Regione siciliana e, in particolare, dall’assessorato alle Attività produttive, branca dell’amministrazione regionale che, dal 2009, è controllata in maniera quasi ‘militare’ da Confindustria Sicilia di Antonello Montante, il presidente di questa organizzazione imprenditoriale oggi sotto inchiesta per mafia. Insomma, centrodestra o centrosinistra, Roberto Helg è sempre in sella.
Di fatto, lo ribadiamo, Helg è inamovibile: rimane al capo della Confcommercio di Palermo, alla vice presidenza della Gesap e alla presidenza della Camera di Commercio di Palermo. Nessuno, alla Regione al Comune di Palermo, si interroga su un personaggio di centrodestra che rimane in carica con il centrosinistra al potere. Certo, gli incarichi sono triennali e nessuno lo può toccare. Ma dal 2009 ad oggi sono passati sei anni! Se ne deduce che il centrosinistra - soprattutto alla Regione - con Helg ci ha ‘bagnato’ il pane. Anche perché, nel frattempo, una parte di Forza Italia ha dato vita al Nuovo centrodestra democratico, il cui leader è il siciliano Angelino Alfano. E siciliano è anche l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, anche lui nel Nuovo centrodestra e grande protettore, ovviamente politico, di personaggi legati alla Gesap. 
Ma, al di là degli intrecci tra Confindustria Sicilia, Confcommercio, Regione siciliana, Comune e Provincia di Palermo, un dato emerge con chiarezza: Helg non è un personaggio qualunque. Perché in Sicilia - e soprattutto a Palermo - non si mantengono certi posti (e certi rapporti) nella gestione della cosa pubblica senza essere parte di un sistema di potere (nell’accezione siciliana del termine…). La caduta di Helg coincide con la caduta del presidente di Confindustria Sicilia, il già citato Montante. Entrambi fanno parte di un sistema di potere collaudato. Entrambi si sono cimentati nelle attività antimafia, nel nome della legalità. Entrambi sono imprenditori. Ed entrambi rappresentano organizzazioni imprenditoriali.
All’inizio del nostro ragionamento abbiamo sottolineato la ‘naturalezza’ con la quale Helg si accingeva ad incassare i soldi. E’ evidente che non lo sfiorava nemmeno lontanamente l’idea di essere beccato. Così come Montante non immaginava certo di finire nel ‘tritacarne’ mediatico di un’inchiesta penale per mafia. Da qui una domanda: che cosa sta succedendo in Sicilia?
Montante sostiene di essere finito in un gioco perverso. Qualcuno starebbe utilizzando una storia di oltre trent’anni fa (una foto che lo ritrae, appena diciottenne, con un personaggio poi diventato un noto mafioso) e le dichiarazioni dei pentiti per mettere in cattiva luce lui e la sua attività antimafia. La tesi del presidente di Confindustria Sicilia non è campata in aria. Per almeno due motivi. In primo luogo, perché se è ormai acclarato che in Italia - e soprattutto in Sicilia - si fa carriera con l’antimafia, è piuttosto azzardata la tesi di un’antimafia che diventa mafia.
In secondo luogo, perché Montante e i suoi amici di Confindustria Sicilia sono diventati troppo invadenti, se è vero che ‘spatuliano’ (ovvero dettano legge) nella gestione idrica, nella gestione dei rifiuti, nella gestione della partecipazione della Sicilia all’Expo di Milano 2015 (altro mega affare da decine di milioni di euro), provando anche a infilarsi nella gestione dei beni confiscati alla mafia (su questo terreno, con molta probabilità, si sono scontrati con personaggi ben più potenti di loro). Tra l’altro, come abbiamo già scritto nel passato, quest’Agenzia per i beni confiscati alla mafia è solo uno strumento pericoloso nelle mani di una politica italiana in parte ancora collusa con la mafia. Fatte salve la buona fede e la correttezza delle persone che lavorano in quest’Agenzia, non può essere esclusa l’ipotesi che la politica punti a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia per riconsegnarli sottobanco ai mafiosi. La trattativa o le trattative tra mafia e Stato non sono invenzioni. Tutt’altro.
Con molta probabilità, la disavventura di Montante e, per certi versi, anche lo scivolone di Helg girano intorno agli affari realizzati nel nome dell’antimafia. Qualcuno ha scritto che la modalità con la quale Helg si è fatto beccare dai Carabinieri lascerebbe pensare al comportamento di uno sprovveduto. Noi non conveniamo con questa tesi. Helg non ci sembra uno sprovveduto. Il vice presidente della Gesap - lo ribadiamo - non immaginava minimamente di essere finiti in trappola.
Da qui altre due considerazioni.
Prima considerazione: il comportamento di Helg non è un fatto straordinario, ma è un fatto ‘ordinario’ in una Sicilia dove la corruzione è a livelli elevatissimi, soprattutto nella pubblica amministrazione. Non lo diciamo noi: l’hanno detto qualche giorno fa i giudici della Corte dei Conti per la Sicilia nell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Qualcuno ha letto male le dichiarazioni dei giudici contabili. Quando la Corte dei Conti dice che la Sicilia è tra le regioni più corrotte d’Europa, non si riferisce alla Regione siciliana, come ha scritto qualcuno per denigrare le istituzioni autonomistiche. I giudici della Corte dei Conti si riferiscono alla ‘presunta’ classe dirigente siciliana, fatta in larghissima maggioranza da ‘banditi’.
A cominciare dai consiglieri comunali che riuniscono le commissioni consiliari cinque-sei volte alla settimana per intascare le indennità maggiorate. O ai deputati regionali che acquistano costosi regali per mogli, mariti e amanti con i soldi dei gruppi parlamentari dell’Ars (per non parlare dello scandalo dei rimborsi agli stessi consiglieri comunali fino ad oggi ‘insabbiato’). Tra questi ‘banditi’ ci sono anche gli amministratori pubblici che prendono ordinariamente le tangenti (e qui torniamo all’improbabile tesi di un Helg che, da solo, si ‘ammucca 100 mila euro di tangente: noi non ci crediamo).
Seconda considerazione: Helg ci ha messo del suo per farsi acciuffare. Ma è indubbio che le società aeroportuali della Sicilia, oggi, fanno gola ad alcuni gruppi esteri che hanno saldi alleati in Sicilia. Su questo fronte, con molta probabilità, si sta consumando uno scontro con imprenditori siciliani. In ballo c’è la gestione di quattro aeroporti: il ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo, l’aeroporto ‘Florio’ di Trapani, l’aeroporto Fontanarossa di Catania e l’aeroporto ‘Pio La Torre’ di Comiso (gli ultimi due sono gestiti da un’unica società, la Sac: e secondo noi non sono da escludere, nelle prossime settimane, ‘scherzetti’ all’ombra dell’Etna, considerato che l’aeroporto catanese è destinato a diventare l’hub della Sicilia).
Insomma, gli interessi che in questo momento si scontrano sono tanti. Forse troppi.
Giulio Ambrosetti



3 mar 2015

L'economia ed il sociale..nella fragilità di una politica odierna


di vincenzo cacopardo

Per non voler apparire “gufo”..come usualmente pare far comodo a Renzi verso coloro che contestano nel merito le sue riforme, ma al contrario... volendomi approcciare più realisticamente in un contesto sociale ed economico odierno, mi sembra evidente che la crisi del sistema sia ormai giunta al collasso.

Il sistema è decotto.. e non solo nel nostro Paese, ma anche sul piano internazionale. Vi sono motivi logici per i quali si è arrivati a tutto questo: La politica non è stata più capace di imporre una guida attenta sui temi riguardanti il sociale e l'economia. Naturalmente i due argomenti restano legati poiché è pur sempre la politica a dover guidare ogni processo di innovazione utile, guardando di dovere in lungimiranza

Al contrario sembra essersi portata avanti una particolare mentalità di chi ha sempre considerato la politica in termini di competizione agonistica, contribuendo a favorire un pensiero sostanzialmente di reazione e assai poco costruttivo. Tutto ciò continua ad accadere proprio perchè non si è voluto mettere mano ad un vero cambiamento che potesse arginare la mentalità passata con la quale ancora si pretende di portare avanti ogni tema a guida politica: Si pagano salati i conti di un modo di pensare troppo legato al passato in cui le contrapposizioni ideologiche non potranno più portare a risultati positivi per piani sociali ancora privi di vere idee innovative.

Si è poi sempre preteso di poter imporre una governabilità per una illusoria stabilità che, favorendo una semplificazione amministrativa, ha finito col soffocare sempre più i pensieri e precludere ogni strada alle idee. Quello che oggi si evidenzia è proprio il negare l'importanza delle idee in un campo in cui è proprio il funzionamento del sistema che ne necessita. Sarebbe, infatti più utile dedicarsi al funzionale andamento del sistema evitando la ricerca di qualunque soluzione immediata, frettolosa ed anticostruttiva a beneficio di una carente e poco utile stabilità

Sul piano dell'economia..se non si cambia indirizzo difficilmente, oggi, un Paese come il nostro, potra' dare sfogo ad una attività economica più brillante in termini di investimenti e di conseguente economia reale! Un pensiero spontaneo, oggi, è quello di non riuscire a capire perché mai ci si deve adeguare ad un simile percorso di sofferenza imposto da un modo di interpretare il modello economico prevalentemente in termini di operazioni per il facile arricchimento dei pochi che continuano a restare indifferenti.. trascurando lo scopo vitale di una società civile, la cui sopravvivenza dovrebbe basarsi in un’economia effettiva di sviluppo e di equità. Sembra chiaro che le potenti lobby guidano l'andamento della stessa politica in modo determinato e contribuiscono a difendere gli interessi degli Istituti di Credito internazionali.. trasformati in luoghi in cui si continua ad investire su operazioni finanziare sicure, trascurando l’indispensabile sostegno alle aziende che producono.

Ma anche questo tema alla base rimane un problema sicuramente politico.

Con le attuali illogiche procedure non sarà mai possibile uscirne, anche in considerazione che si stanno, da tempo, impegnando i debiti delle Nazioni in un gioco finanziario ad alto rischio, malgrado le manovre poste in essere dal presidente della BCE Draghi riguardo ai 1100 miliardi del “Quantitative Easing” per smuovere i mercati fino al 2016. Sappiamo tutti che saranno sempre le banche a dover prendere le decisioni, ma dovrebbe essere pur sempre la politica a guidarne il controllo per un processo evolutivo dell'economia con un’attenzione diretta a proteggere gli interessi sociali....
La situazione oggi rimane incandescente sia nei temi del sociale che in quelli dell'economia ambedue legati fra loro da decisioni politiche sempre più fragili...Non dovremmo però mai dimenticare che l'economia è stata studiata dalla società, ma anche per la società, per un benessere, ma soprattutto per il suo benessere.

2 mar 2015

Da un jobs act... ad un family act..



"UN DUETTO INSENSATO " di vincenzo cacopardo

Abbiamo già diverse volte messo in evidenza l'inopportuno metodo dell'uomo solo al comando ed in questo quadro sembra davvero sgradita l'esultanza di NCD capeggiata da un politico come Alfano ormai additato come tra i più sfuggenti e scivolosi. Un partito, il suo.. che non potrà mai vedere un futuro poiché appare appeso ad un percorso di comodo suggerito esclusivamente e perentoriamente dal sindaco d'Italia Renzi. 

Alfano asserisce col tono di chi crede di poter portare innovamento, che dopo il jobs act..vi sarà una family act... poiché ..per il suo partito.. la famiglia è solo quella composta da un uomo e una donna che fanno dei figli. Una asserzione..con la pretesa di promuovere una riforma come fosse un'idea innovativa tutta sua. Al di là del fatto che il concetto di famiglia è di fatto insito nei principi della legge italiana, sarà veramente uno spettacolo poter vedere la elaborazione "alfaniana" su un argomento di questa fatta in relazione con le ideologie del PD. Inoltre non potrà di certo essere Alfano il testimonial di una riforma sulla famiglia che oggi deve tener conto delle enormi trasfomazioni avvenute in seno ad una società ormai globalizzata. Difficile poter immaginare Alfano alla guida di trasfomazioni sociali innovative condotte con lungimiranza.

Questo duetto Renzi-Alfano passerà alla storia come uno di quegli anomali compromessi basati esclusivamente su rinunce ed interessi ..Molti i compromessi, ma sempre pochissime le idee..se non quelle di sostenersi a vicenda costruendo riforme che un domani si evidenzieranno poco costruttive e forse persino disastrose. 












Quel determinismo che spacca i partiti ...




di vincenzo cacopardo

In un editoriale sulla gazzetta di Parma, Domenico Cacopardo esordisce scrivendo che le minacce provocatorie dei dissidenti interni al PD sono fondate sull’acqua: "il Paese e l’Europa sono in ripresa; Renzi gode di un’ampia maggioranza parlamentare. Del resto, se Bersani e i suoi seguaci avessero la meglio, torneremmo nel baratro da cui, tenacemente, siamo usciti. Nonostante gli sforzi, rimarranno testimoni di un passato che non tornerà".

Domenico insiste affermando che l'offensiva scatenata contro Renzi, partendo dai decreti delegati del «jobs act», sui licenziamenti collettivi e sul licenziamento disciplinare, non può sortire alcun successo anche perchè la questione è già risolta nella legge, malgrado i pareri (obbligatori ma non vincolanti) che le commissioni parlamentari dovevano esprimere sui decreti stessi.

Ma la stessa Presidente della Camera Boldrini sottolinea l'importanza dei pareri sfavorevoli da parte delle commissioni di Camera e Senato ..in una circostanza che vede nel tema del lavoro un diritto costituzionalmente espresso sulla nostra suprema Carta. Siamo quindi al solito punto che vede operare il governo con il consueto metodo tranchand della semplificazione e della fretta. 

In realtà questo non riguarda solo il Jobs Act...in quanto tutto l'impianto generale delle riforme voluto dal restauratore "sindaco d'Italia" risulta esser condotto con la boria tipica di chi pensa che il parlamento rappresenta solo una perdita di tempo da bypassare attraverso continui decreti e fiducie.

E mentre il premier rimane forte alla guida di un partito che sembra rispondere esclusivamente al suo assoluto determinismo...dimostrando assai poco di sinistra, un'altra sinistra più radicale sembra reagire e potrebbe venir fuori alla guida di qualche sindacalista. Dall'altro lato rimane poco di una destra ormai frantumata tra Salvini e Tosi e quel poco che resta di un Berlusconi..il quale sembra perdere continuamente consensi....Un'altra nuova politica (seppur frantumata) viene spinta da un naturale processo dettato dai tempi e dai relativi condizionamenti espressi dalla società..una politica dei tanti partiti e dei tanti movimenti che cercano di trovare un proprio indirizzo..dando sfogo ad un libero pensiero. Il movimento 5Stelle, malgrado il grande successo riportato negli anni passati, continua a procedere perdendo pezzi e dedicandosi prevalentemente sul tema della provocazione. 

Berlusconi con Alfano..Renzi con Alfano..ma senza Berlusconi ..Berlusconi senza Salvini..Salvini contro Tosi..Vendola con Civati...Gran confusione ma quali i nuovi scenari?..
Quello che sta accadendo accentua la mia convinzione sul fatto che non potrà mai costruirsi un sistema bipolare... se non attraverso una costrizione dovuta ad una legge elettorale che condizionerà ogni libera interpretazione dei pensieri ed ogni concezione di vera democrazia e che.. comunque... vedrà sempre il frantumarsi di una ogni maggioranza.

Ciò che oggi appare come una stranezza ..non dovrebbe invece preoccupare: Non è altro che il naturale percorso di una politica libera che vorrebbe lavorare senza alcun condizionamento da parte di una pretesa governabilità. Un governo che, al contrario, dovrebbe essere espresso separatamente e che dovrebbe procedere la sua opera di esecutore dietro la spinta di un parlamento sempre più libero...

La ricerca di ciò non è facile..ma le strade per riuscirvi..potrebbero esistere se solo si abbandonasse la vecchia idea delle contrapposizioni e si lavorasse in favore di un progetto istituzionale più innovativo ed efficiente. La stabilità tanto desiderata imposta da chi oggi pretende di poter comandare da solo in un sistema di democrazia, dovrà sempre fare i conti con tutto ciò.
















28 feb 2015

Le ragioni dell'incalzante supremazia della cultura religiosa orientale

di vincenzo cacopardo

Quali possono essere le ragioni odierne che vedono il cristianesimo recedere in termini di seguaci a beneficio della religione islamica tendente a crescere in modo quasi esponenziale?
Fino a qualche tempo fa erano circa due miliardi i cristiani e rappresentano la religione più diffusa al mondo. La maggior parte di loro, oggi, sono di nazionalità non europea. Il cristianesimo rimane, senza ombra di dubbio, una religione di origine europea. Anche se il Cristo nasce e opera in Palestina, la sua predicazione si diffonde per l’intero Impero romano, diventando la religione ufficiale, che si propaga nell’intero continente europeo.

Le forme assunte nel corso del tempo dalla religione cristiana nelle varie parti del mondo hanno un’importanza fondamentale per poterne comprende la spiritualità profonda del messaggio verso i popoli. La storia ci dice che nel 1054 vi fu quella che venne definita la rottura decisiva tra cristiani d’Oriente e quelli d’Occidente e che quella che avvenuta nel 1517 divise i cristiani 'protestanti europei dai cattolici romani.

Questi due argomenti restano di particolare importanza e devono essere percepiti in un'unica visione riguardo al percorso della storia del cristianesimo. Sappiamo, anche, che nel passato la religione cristiana diventa, nel corso del IV secolo, la chiesa costantiniana, nella quale il rapporto tra gerarchie ecclesiastiche e potere civile è sempre più stretto. Così nelle diverse modalità di affermare una propria fede, si intrecciano lotte per il predominio all’interno dello stesso ordine ecclesiale che si opponeva con forza in una lotta con un potere temporale.
Per comprendere il senso delle scissioni va ricordato il contesto nel quale avvengono e cioè... il confronto tra le culture profondamente differenti: quella orientale bizantina e quella occidentale romana. Una cultura religiosa dell’Europa continentale.. che si contrappone a quella dell'Europa mediterranea in uno scisma definito storico.

Questo per quanto riguarda la storia...Ma dopo tanti secoli possiamo accorgerci di quanto tutto si sia trasformato. Negli anni appena passati, giusto nel dopo guerra,..durante la ricrescita dell'Europa, la religione cristiana andava espandendosi facendo forza sui i suoi forti valori basati principalmente sul messaggio di Cristo in terra : amore, speranza, misericordia, umiltà, fede, carità..etc., oggi ci accorgiamo di quanto.. di tutto ciò.. sia stato osservato e convertito assai poco da una società occidentale tanto ipocrita..quanto poco attenta ai doveri cristiani rispetto ad un principio di equità chiaramente insito nella propria cultura religiosa.

Non è quindi difficile poter comprendere come la società europea, e gran parte di quella del continente americano, abbiano potuto incidere negativamente sui principi stessi della propria religione a dispetto di una crescita sempre maggiore di una cultura religiosa orientale e soprattutto mussulmana. La problematica è sicuramente individuabile nel contesto di una negativa “cultura” occidentale che ha finito col presentarsi agli occhi del mondo in modo assai poco conforme ai valori fondamentali..per finire col rendersi persino ipocrita...regalando maggior forza ad una religione mussulmana che, a parte le deprecabili insensate frange del fondamentalismo insito al suo interno, appare sicuramente più osservante e  meno sottomessa dall'incedere assoluto di una devastante economia del potere 

La problematica quindi non rimane solo legata ai differenti principi religiosi..ma si amplia nel contesto di una più vasta cultura dell'economia mondiale.

Oggi sembriamo avere il Pontefice giusto nel momento giusto..Papa Francesco.. infatti ..appare come la figura per la riconquista di quei valori evangelici che rappresentano la vera forza del cristianesimo. Un'opera di evangelizzazione che.. col suo forte temperamento umano ..pare essere trasmessa con la necessaria umiltà.. castigando decisamente la dominante cultura ed i deleteri principi avanzati da una politica economica senza freni ed alcuna equità.

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27 feb 2015

l'analisi di Domenico Cacopardo sugli scandali del calcio

di domenico cacopardo
Sono trascorsi diversi giorni dall’incontro tra il sottosegretario Delrio (ora anche saggista con «Cambiando l’Italia»), il presidente del Coni, Giovanni Malagò e il presidente della disastrata Federazione italiana gioco calcio, Carlo Tavecchio, dopo il mezzo scandaluccio provocato dalle incaute dichiarazioni telefoniche del presidente della Lazio Claudio Lotito, sulla possibilità che il club di una piccola città come Carpi «salga» serie A. Parole, quelle di Lotito, che hanno gettato una luce inquietante sul governo calcistico e sulla sua capacità di orientare i campionati.


Un incauto incontro, quello accordato da Delrio, nella qualità di sottosegretario con delega allo sport, ai capi di Coni e di Figc, visto che è stato subito utilizzato come una specie di investitura governativa di Tavecchio per attuare le riforme di cui il calcio avrebbe bisogno. Non si sa quali. Dunque quelle che fanno comodo al signor Tavecchio e ai suoi amici, tra i quali, non dimentichiamolo, spiccano proprio Lotito e Galliani.
Sarebbe stato meglio che Delrio, prima di accordare udienza a Tavecchio, avesse chiesto al suo staff qualche ricerca sul personaggio che stava per ricevere, in modo da valutarne la personalità. Diciamo subito che, osservato sotto il profilo del «rating di legalità», di recente entrato nell’ordinamento (Autorità Antitrust e Autorità Anticorruzione) a tutela delle amministrazioni pubbliche, il signor Tavecchio non riuscirebbe a raggiungere la soglia minima.
La norma sul «rating» stabilisce, infatti, che per ottenere una «stelletta», il minimo cioè, un’azienda deve dichiarare che i soggetti rilevanti ai fini del «rating» (direttore tecnico, direttore generale, rappresentante legale, amministratori, soci) non sono destinatari di misure di prevenzione e/o cautelari, sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs. 74/2000, per reati ex d.lgs. n. 231/2001, per i reati di cui agli articoli 346, 346 bis, 353, 353 bis, 354, 355 e 356 del codice penale e per il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 1 bis del d.l. n. 463/1983, convertito dalla legge n. 638/1983.
Carlo Tavecchio, secondo quanto emerge (incontestato) da fonti giornalistiche e dal web avrebbe subito le condanne alla reclusione nel 1970, 4 mesi per falsità in titoli di credito, nel 1994, 3 mesi per evasione fiscale, nel 1996, 3 mesi e 28 giorni per omesso versamento di contributi previdenziali e assicurativi, nel 1998, 3 mesi per omissione o falsità in denunce obbligatorie e 3 mesi per violazione delle norme antinquinamento.
Con questi precedenti, il signor Tavecchio non potrebbe quindi ottenere il «rating» di legalità e non potrebbe concorrere, se avesse un’impresa, ad alcun appalto pubblico.
A integrare il profilo di questo presidente di Federazione sportiva, va ricordato che lo stesso ha dato alle stampe un libro sul calcio: la sua Federazione e altri organismi associati ne hanno comprato un numero imponente di copie. Un’autonoma decisione, ufficialmente non ispirata in alcun modo dall’autore e, quindi, un esemplare esercizio del potere diretto e di quello indiretto.
Se poi, il sottosegretario allo sport avesse fatto allargare lo «screening» ai presidenti delle principali società di calcio, avrebbe scoperto che alcuni di essi hanno precedenti penali, oltre che sportivi.
Rimane un mistero perché tante persone, «normali» e non, ambiscano alla presidenza di una società di calcio, che difficilmente procura un utile adeguato all’impegno che richiede. I maligni guardano al ricco mercato estero che fa preferire un mediocre giocatore straniero a un mediocre giocatore italiano, magari «prodotto» dal vivaio della società che la persona «normale» presiede, una preferenza che permetterebbe le lucrose transazioni sull’estero lontano dagli occhiuti agenti di polizia tributaria.
È questo l’ambientino con il quale Delrio ha preso contatto.
E che s’è ulteriormente deteriorato in questi ultimi giorni con la situazione del Parma calcio, spolpato sino all’osso da una gestione sotto esame della Procura di Parma. Una situazione che getta un’ombra sinistra sulla regolarità del campionato, visto che, da una certa data, la squadra ha cessato praticamente di esistere.
Un ambientino così speciale che Giovanni Malagò, il presidente «rinnovatore» del Coni, accolto con grandi speranze purtroppo deluse, non riuscì a rinnovare, visto che, dopo alcune languide minacce, accettò senza fiatare l’elezione di Tavecchio. Un’operazione, quella Tavecchio, che, tra l’altro, ha condotto alla responsabilità della nazionale italiana un certo Antonio Conte, oggetto dell’accusa di «frode sportiva» nell’atto di chiusura di indagini redatto dalla Procura della Repubblica di Cremona.
Allo stato, dal punto di vista calcistico internazionale siamo quindi messi così: il presidente della Federazione Tavecchio è squalificato per razzismo (qualcosa di molto grave nello sport, per definizione interraziale), il commissario tecnico è accusato di frode sportiva dalla giustizia ordinaria.
Il Coni ha fatto filtrare l’informazione che «non ci sarebbero le condizioni» per commissariare la Federazione gioco calcio.
Delrio sia coerente con gli slogan di Renzi e cambi verso. Si rivolga a qualcuno che ne capisce, per esempio, all’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di valutare se ci sono gli estremi per il commissariamento. Magari disponga prima un’inchiesta, incaricando la Guardia di Finanza o chiedendola alla Corte dei conti.
È probabile che qualche elemento significativo, tale da suggerire il commissariamento, emerga. Ed è possibile che il semplice annuncio di un’inchiesta induca qualcuno a togliere il disturbo.



26 feb 2015

un commento alla nuova analisi di D. Cacopardo sulla responsabilità dei giudici



Benché i dati di fatto siano indiscutibili, ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati dell’8-9 novembre 1987 (80,20% di sì), avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione. E questo per l’opposizione feroce della magistratura organizzata, quella stessa che, con incredibile faccia tosta, partecipava alle inaugurazioni degli anni giudiziari con il libretto della Costituzione in mano, per significare che ne era lo strenuo difensore. Dimenticava che la giustizia, cioè l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano», quel medesimo popolo che, interpellato nelle forme richieste, aveva, in stragrande maggioranza, scelto di introdurre la responsabilità.

Un anno dopo il referendum, venne adottata la legge per l’indennizzo riparatorio per ingiusta detenzione, una atroce violenza, l’ingiusta detenzione, praticata dal 1945 a oggi a circa 4 milioni di italiani, tutta gente che, passata attraverso le maglie della giustizia ne è uscita prosciolta prima del giudizio o assolta. Gli italiani che, dopo il 1988, hanno ottenuto l’indennizzo per ingiusta detenzione sono circa 50.000. Nel solo 2014, in base ai dati oggi disponibili, ci sono stati 143 risarcimenti con una spesa di circa 4,2 milioni di euro.

In questi giorni, ha fatto scalpore la liquidazione di 40.000 euro a favore di Vittorio Emanuele di Savoia per l’ingiusta detenzione subita per ordine di Henry John Woodcock e Alberto Iannuzzi, rispettivamente Pm e Gip di Potenza. 

Dopo una interminabile gestazione, dovuta alla determinante presenza di numerosi magistrati nelle file del Pds prima e del Pd poi, e alla minacciosa azione lobbistica delle associazioni sullo stesso partito (da sempre protettore, beneficiario e succubo della categoria), martedì 24, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge che introduce una effettiva responsabilità civile dei magistrati per colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni. Il concetto di «colpa grave» è abbastanza definito. Si tratta dell'affermazione di un fatto inesistente o della negazione di un fatto esistente; della violazione manifesta della legge e del diritto comunitario; del travisamento del fatto o delle prove; dell’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale al di fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

Il meccanismo dell’indennizzo si metterà in moto su ricorso del cittadino, ma, diversamente da quanto oggi previsto, non ci sarà il filtro preventivo di una valutazione del competente tribunale distrettuale. Lo Stato, verificati i presupposti e le circostanze dell’evento, procederà direttamente alla liquidazione con l’obbligo (ed è questa la grande novità) di rivalersi sul magistrato responsabile della colpa grave. Ci saranno due anni di tempo (dalla sentenza di condanna del responsabile) perché gli organi dello Stato esercitino il diritto di rivalsa, il cui limite è portato alla metà dell’importo sino alla metà dello stipendio annuo. Nel caso di dolo, cioè di abuso esercitato per fini illeciti, la rivalsa è totale e senza limiti.

Nella sostanza, le vergini sacerdotesse della giustizia pura e dura, quelle dell’obbligatorietà teorica dell’azione penale e della pratica discrezionalità, non sono state violentate né lo saranno. La «verifica» dei risultati della nuova legge, annunciata dal «premier» per «premiare» l’Anm che, di fronte alla insostenibilità della posizione, ha rinunciato a proclamare uno sciopero, non darà nessun dato eversivo dell’ordine attuale, anzi, confermerà che, tra il prima e il dopo, l’esercizio effettivo dell’azione di rivalsa avrà un incremento marginale. Anche perché la decisione sarà presa in forma «domestica» e cioè da altri magistrati che, com’è dimostrato dalla storia, avranno poca voglia di infierire. «Cane non mangia cane», dice la saggezza popolare.

L’aspetto più significativo della nuova legge è l’introduzione di un deterrente (la rivalsa). Basterà a impedire che i Pm definiscano un teorema e vadano in cerca di pentiti pronti a confermarlo? È difficile dirlo in questa fase. Ragione vorrebbe che così fosse.

Tuttavia, quando si ha a che fare con le corporazioni autoreferenziali, non vale la ragione, vincono gli interessi di gruppi, sottogruppi e conventicole. E, se questi interessi suggeriranno ritorsioni nei confronti del Pd e del suo «leader» Renzi, il cui coraggio riformista va apprezzato, ne vedremo delle belle. 

Non c’è che da aspettare un anno per capire. Abbiamo atteso così tanto tempo che un anno è proprio poca cosa.
domenico Cacopardo



Una riforma in tal senso andava fatta..bisogna però adesso vederla definita nella sua particolarità per poterla valutare obiettivamente ed in relazione al contesto attuale.
Certo..come afferma Domenico..ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum... avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione..come è anche certo che sulle sentenze.. l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano» e per questi motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve sostanzialmente leggersi in senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, (cioè deve intendersi come un ordine al potere esecutivo). Se così non fosse , non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Questo non può essere un aspetto da sottovalutare poiché la realizzazione dello Stato di diritto comporta l’obbligo delle istituzioni statali a mantenersi entro i limiti della legge. Questi limiti assumono un carattere di rilievo politico quando il cittadino, titolare delle sue libertà civili, vi si trovi in conflitto, ma anche quando chi opera in relazione con lo Stato ne abusa attraverso la forza di quello che ormai è definito come un “Potere”.
Bisogna innanzitutto considerare che la forma di indipendenza della magistratura. Valutarne attentamente la loro autonomia che è sempre apparsa tanto radicale quanto errata..e cioè.. il frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, ha finito col produrre effetti contrari.

Non è facile dare un giudizio su una riforma sulla responsabilità dei giudici senza prima osservare le ragioni che hanno portato a definire un “potere” giudiziario ( in realtà nato come un “Ordine”), mostrandolo nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri. Un Potere che, come tutti ormai dovremmo aver chiaro, non è esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi.
La storia vuole che i padri costituenti italiani, avvezzi nel vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono un organo :il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza del giudizio.

L'inganno.. oggi.. sta nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che deve rifiutare è proprio un governo senz'altro, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro Organo.

Ritornando alla riforma odierna... al di là di un chiaro desiderio espresso dai cittadini attraverso un referendum.. bisogna anche considerare la scarsa conoscenza di una buona parte del popolo che si è espressa in una consultazione allo scopo assai generico di una responsabilità su un lavoro così delicato... senza tener conto delle continue evidenti anomalie insite negli altri ordinamenti. Anomalie che, messe in confronto con l'operato di una politica che norma i fondamentali compiti dei poteri stessi, appaiono volute prese di posizioni.: il conflitto di interessi insito nella politica odierna..in realtà pone grossi dubbi sulla possibilità di formulare nel merito leggi in proposito, poichè la stessa politica porta responsabilità assai peggiori verso i cittadini .

Pertanto.. forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere prima, quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici.. facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Vincenzo cacopardo

25 feb 2015

Governo anomalo in un sistema politico ormai malato

di vincenzo cacopardo

Il governo del giovane Sindaco d'Italia va avanti come un treno senza nemmeno dare uno sguardo attento ai semafori posti nel suo percorso: Ormai tra decreti attuativi e fiducie... con canguri e tagliole, si procede come se nulla fosse ed in barba alle regole istituzionali che regolano i principi di un vero sistema democratico.

I parlamentari appaiono ormai palesemente sottomessi ad un governo e per un evidente vantaggio di una sicura poltrona (circa 14.000 euro mensili sicuri) soggiaciono ad ogni fiducia posta da chi sa di potersi porre con sicumera e supponenza. L'idea di una crisi di governo potrebbe interrompere la più che favorevole posizione di vantaggio remunerativo. L'Aventino sembra ormai superato e qualche ribelle oppositore continua ad esprimersi con forza ritornando subito dopo nei ranghi del proprio Partito.

Il capo dello Stato ancora non si esprime su considerazioni di metodo che, in realtà, gli appartengono in qualità di garante di un sistema di democrazia che dovrebbe vedere nel parlamento il punto centrale di tutta la politica istituzionale.

la mancata attribuzione dei poteri di indirizzo politico al Presidente della Repubblica, fa sì che tali poteri vengano accentrati nel raccordo Parlamento – Governo”.
Così recita il diritto Costituzionale, ma sembra evidente che questo raccordo oggi venga intaccato destando serie preoccupazioni per la garanzia dello stesso principio di democrazia: i due ruoli non riescono più ad operare in condizioni di indipendenza e, pur nella loro distinzione funzionale, risultano condizionati da un pressante potere partitico che li sottomette al proprio interesse. Renzi oggi rappresenta l'evidenza di tutto ciò e quella tendenza equilibratrice che si voleva tramite il raccordo, non appare per nulla possibile. La centralità del Parlamento non determina più la sua vera fondamentale funzione ed ogni azione governativa finisce sempre col prevalere e condizionare pragmaticamente ogni indispensabile percorso politico parlamentare...

Ci vorrebbero idee innovative,ma nessuno si impone in una ricerca occorrente più opportuna! 

In nome di riforme quasi del tutto imposte, si sta pretendendo di cambiare un sistema politico attraverso il forzato metodo governativo non privandosi di una serie di ricatti e posizioni ambigue.

Malgrado un primo accenno, sebbene ritardato... ma comunque di auspicio.. da parte della benevola presidente Boldrini, nulla sembra cambiare poiché il pragmatismo governativo pare prevalere su tutto in mancanza di vere idee da contrapporre. Tra anomalie evidenti e chiare forzature, si procede nella più assoluta mancanza dei principi cardine che una carta costituzionale in realtà vorrebbe imprimere: Viviamo in uno Stato parlamentare e questo basterebbe per porre l’importante azione delle Camere come centralità dalla quale dovrebbe dipendere ogni regola ed ovviamente l’indirizzo culturale ed economico del nostro Stato democratico. I ruoli legislativi, quindi, non possono che essere primari e propedeutici a quelli governativi. Il contrario di questo si chiama regime! 



Due pensieri sulle esigenze funzionali del sistema della politica odierna



l'ostentato cinico realismo tendente a penalizzare le idee”

Se, come oggi, ci si adatta lavorando nel proprio campo senza l’apporto di una vera e rivoluzionaria ricerca, si rimarrà sempre immobili in un sistema dal quale si attinge ma, al quale, non sarà mai reso un contributo per il giusto efficace cambiamento. Ciò porta ad un inevitabile stallo dove lo stesso sistema si costringe in un percorso viziato che tenderà sempre a riparare falle senza innovare mai nulla. In seguito si continuerà ad adattarsi, come oggi si usa, ai cosiddetti modelli esterofili che nulla possono se non accentuare tali difficoltà, in quanto non esattamente in linea con la cultura territoriale e la storia del nostro paese.
Credo che qualunque sistema odierno pretendesse di assumere in se il pluralismo di una politica di base e di dialogo ed una governabilità stabile, non potrà che trovare enormi difficoltà per il contrastante aspetto derivante dalla diversa funzione di queste due azioni”. Qualsiasi novità che si intendesse proporre dovrebbe solo seguire la naturale esigenza di un ovvio ed equilibrato percorso chiedendo, pertanto, di non dipendere da un severo pragmatismo amministrativo, ma da una cultura del dialogo e del buon senso. Occorrerebbe una vera novità per mirare ad un cambiamento più dinamico per non reprimere ogni azione di base e per non costringere quella governabilità che, invero, continua ad apparire alquanto imposta...Sicuramente poco funzionale!
Nel momento storico attuale, forse anche a causa di una forte recessione mondiale, si sopravvive attraverso l’unica risorsa mentale della tangibilità e della concretezza, non  reagendo con la forza delle iniziative e delle idee e questo penalizza il giusto percorso della crescita di una società. In ogni campo del sociale ed a maggior ragione oggi, una visione troppo forzata di un certo ostentato realismo, non può mai far sperare in una crescita, al contrario, trascinerà avanti un popolo al servizio di un sistema malato. 
Eventi storici, come quelli dell’unione dei paesi europei, avrebbero dovuto determinare, attraverso una naturale integrazione ed aggregazione, un successo per iniziative ed innovazione. Si sarebbe dovuta riscontrare l’affermazione di un percorso costruito attraverso un naturale scambio della conoscenza, del dialogo e delle idee. A volte, come qualcuno asserisce, risulta più utile coniugare le diversità, anziché tentare di aggregare certe omogeneità...I recenti episodi che vedono gli odierni contrasti tra Oriente ed Occidente ne sono la prova concreta.
Vincenzo cacopardo

23 feb 2015

Il jobs Act.. nel futuro incerto di una economia globalizzata


di vincenzo cacopardo

A volte guardando il giovane sindaco d'italia Renzi viene voglia di rimpiangere Berlusconi. Il che è tutto dire..ed equivale ad affermare che in fondo il cavaliere, con tutti i suoi eccessi e gli errori macroscopici, nel suo avanzare determinato, aveva comunque un senso più discreto nel processo di guida governativa...Se Berlusconi si contornava di figure politiche poco stimabili..Renzi, nel suo incedere, si circonda di una comunicazione ingannevole e di un determinismo ai limiti... ed a volta al di sopra delle regole... che supera ogni rispetto per i cittadini e le istituzioni.

Da questo punto di vista Renzi risulta anche più dannoso poichè azzarda oltre ogni limite nel campo dei suoi compromessi e conflitti.. come fossero ormai naturali anomalie di un sistema che lui stesso vorrebbe combattere.. fingendo di rottamare. Lui usa il sistema anomalo e distorto..per creare un cambiamento che donerà il bastone del comando ad una governabilità più forte... e lo fa con la decisa spinta dei poteri economici più forti.

Ad esempio: Se in suo jobs Act si è voluto..si è voluto anche e soprattutto per la volontà dei forti poteri europei che hanno reclamato tale riforma al fine di poter dare un accesso più ampio ad investimenti nel nostro Paese. In tal modo potremmo anche vedere crescere il nostro Paese sul piano economico (e questa potrebbe essere già una buona cosa), ma con gli interessi prevalenti di una economia che da fuori investe nel nostro territorio e che potrebbe frenare.. nel futuro...lo sviluppo di aziende prettamente nostre e con capitali nostri.... Molto facile che diversi marchi spariranno e si modificheranno per volontà di nuove padronanze. Si potrà obiettare affermando che entrerà più lavoro nel Paese...e questa potrà essere una realtà positiva, ma con questa eventualità.. si aprirà anche un mercato che offrirà  opportunità ad un numero elevato di aziende estere di investire in Italia..Il rischio è quello di restare definitivamente dipendenti e condizionati da chi potrà sfruttare questa occasione per dominarci. Ecco una ragione plausibile del forte incoraggiamento sulla riforma da parte dell'Europa!

Ma questa ormai è la dura realtà di una strana globalizzazione che guida il mercato moderno e che, oltre a togliere di mezzo l'importanza della qualità di ogni prodotto (da sempre sicuramente un nostro valore), continuerà a premiare solo la forza delle realtà industriali più ricche esistenti in Europa. Una probabilità..non inconfutabile, ma se vista in lungimiranza potrebbe dar vita a dubbi sulla attività di un Paese.. come il nostro, in prevalenza manifatturiero...che avrebbe bisogno di spingere nuove attività in nome della qualità e dell'innovazione. L'energia lavorativa potrebbe essere svenduta a grosse potenziali aziende estere e queste potrebbero anche mantenere sedi fiscali all'estero...Vedremo..

Questi motivi portano, comunque, altri dubbi ed incertezze sulla costruzione di una società internazionale come la nostra... che pare orientarsi sempre più verso l'apertura di quella forbice tra ricchezza e povertà. Questo perchè... trionfando sempre più, con autorità..un'economia finanziaria..si tenderà a togliere più spazio all'inventiva che rappresenta il vero valore per la ricerca di una qualità. Si mirerà ad offrire meno possibilità e speranze verso chi si propone attraverso le idee per proprie nuove iniziative. Iniziative..le quali.. oggi non sembrano essere accompagnate da una guida politica economica attraverso un jobs-Act che pare, invece, indirizzarsi più sulle regole di un lavoro... che alla ricerca di un riscontro dello stesso. 

Analisi e valutazioni sulle questioni libiche



Quello che difficilmente posso comprendere in queste analisi di Domenico Cacopardo è il porre la questione Oriente - Occidente come uno scontro nel quale misurarsi per una vittoria. Se uno scontro.. ossia un conflitto.. deve continuare, non vi potrà mai essere un vero vincitore ma una lunga serie di atti terroristici e di vendette inutili ed anticostruttive...Una vera vittoria vi sarà quando si porrà una fine utile ad un piano di sopravvivenza comune.  

Al di là di un qualunque impegno attraverso un intervento diretto...rimane comunque sempre presente il fenomeno dell'immigrazione a danno prevalente del nostro territorio che pare non essersi affrontato con il giusto equilibrio, malgrado le continue lusinghe sull'operato del nostro Premier ...considerato ormai come un eroe da coloro che ne lodano ogni sua azione in proposito. Ma possiamo davvero continuare a restare inermi di fronte ad un simile problema che coinvolge tanto l'Oriente ..quanto l'Occidente? Il vero problema è proprio quello di arrestare questo esodo intervenendo con una politica(sempre trascurata) di aiuti nel loro stesso territorio in cui si vivono grandissime ed evidenti difficoltà di sopravvivenza...e questo ormai sembra chiaro a tanti.. 

Riguardo all'Italia..se dobbiamo fare affidamento sulle qualità dell'intelligence nel territorio libico, come afferma Domenico, (pur nutrendo dubbi grandi come una casa) rimane sempre più difficile risolvere la problematica degli sbarchi..ed appare abbastanza evidente la poca attenzione da parte dell'Europa in proposito. Il controllo degli sbarchi, così come è oggi non può portare a nulla di buono se non si opera preventivamente...e di conseguenza.. un vero controllo sull'infiltrazione di terroristi non potrà mai essere garantita.. 

Non è difficile ormai immaginare, visto i trascorsi e le continue esperienze, come da parte del nostro Paese si debba sempre aspettare una tragedia prima di intervenire con un efficiente e sicuro impegno preventivo. La prevensione sembra non appartenere alla nostra Nazione avendo toccato di mano.. anche in seno al nostro territorio.. tragedie che hanno sempre messo in discussione un operato in gran ritardo rispetto ad ogni calamità previsionale. 
vincenzo cacopardo


Nelle ultime analisi sulle decisioni governative relative alla Libia...Domenico Cacopardo ..scrive:

L’obbiettivo è quello di mettere insieme le varie fazioni non fondamentaliste che si stanno confrontando e combattendo in Libia, per arrivare a un governo di unità nazionale capace di contrapporsi all’Isis sia sul piano militare che su quello civile. I due aspetti sono strettamente legati tra di loro: affrontati in modo unitario i combattenti dell’Isis (intorno ai 15.000) possono essere battuti e perdere quell’aura di invincibilità di cui sono contornati. Quindi, sul piano civile, si può affrontare la ricostruzione dello Stato (magari federale) e il ritorno a una normale attività economica, che permetterebbe di incassare i cospicui ricavi provenienti dal petrolio e dal gas. 

La mossa giusta di Renzi, in questa situazione, è stata quella di scrivere ad Al Sisi, presidente egiziano, e di inviargli una lettera con un messo di note qualità, Marco Minniti. Alieno dalle ribalte sin dal suo primo ingresso nel governo (D’Alema 1, 1998), Minniti è stato sempre uomo di macchina, occupandosi di presidenza del consiglio, di servizi segreti e di difesa. Chi lo conosce, sa che è persona capace ed equilibrata che gode di stima negli ambienti militari e d’«intelligence» interni e internazionali, e che Renzi ha fatto un vero affare chiamandolo a collaborare. Poiché conosce il gioco, Minniti s’è ritagliato lo spazio che le proprie capacità, del tutto peculiari in un contesto governativo piuttosto improbabile, gli hanno meritato. Se il «dossier» libico è nelle sue mani, possiamo essere certi che sarà trattato con la cura, la prudenza e la visione che merita.
Come accade sempre di più negli scenari globali, la partita è complessa e non si possono escludere dal tavolo dei giocatori la Russia e la Cina, dotate entrambe di un insuperabile potere di veto in sede di Nazioni Unite, ma entrambe alle prese con agguerriti gruppi fondamentalisti.
Se guardiamo un momento indietro, ci possiamo rendere conto delle responsabilità americane e, più precisamente, di Obama nell’avere invocato una «Primavera» araba senza valutarne le conseguenze, avendo anzi teorizzato che da essa doveva inevitabilmente scaturire la democrazia.
La carta geografica di Medio Oriente e di Africa è una pelle di leopardo di zone in mano ai terroristi e ai loro simpatizzanti.

L’Islam moderato e l’Occidente (con l’Italia) hanno oggi l’opportunità di scegliere il terreno di scontro, nel quale misurarsi con loro e batterli in modo inesorabile.

Meglio non alimentare le velleità dei nostri imberbi governanti.
domenico Cacopardo

20 feb 2015

Nuovo appunto di Domenico Cacopardo



“Libia, ruolo guida dell’Italia” titolava un giornale della capitale dopo la solita non decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul complesso di questioni che agitano i paesi rivieraschi del Mediterraneo. 

Era errato aspettarsi qualcosa di diverso dal Palazzo di Vetro. L’avevamo scritto nei giorni scorsi che il problema rappresentato dalla Libia non era affrontabile in quella sede.

E hanno sbagliato tutti coloro che, in Italia, avevano invitato il governo a sospendere qualsiasi iniziativa demandando il problema alle Nazioni Unite. Un errore commesso in buona e in cattiva fede dalla politica inconsistente di questi tempi, un po’ per ignoranza un po’ per ignavia. 

Non perché ci sia una realistica possibilità di un intervento italiano in Libia o, semplicemente, volto a impedire il biblico afflusso di immigranti illegali (non rifugiati) in corso ormai da tempo. Per la Libia non abbiamo le risorse e i mezzi per intervenire. La comunicazione formulata al Consiglio di sicurezza dal rappresentate italiano all’Onu «l’Italia è pronta a guidare una missione di pace» è del tutto velleitaria, visto che, su di essa, non c’è il preventivo consenso dei nostri amici più «cari», cioè gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna che aprirono un fronte libico alle nostre spalle provocando il disastro attuale. 

Anche una «leadership» diplomatica è al di là delle nostre possibilità, proprio perché nessuno darebbe a un peso piuma come noi l’autorizzazione a misurarsi sul ring della grande politica mondiale.

Per quanto riguarda l’immigrazione ci vorrebbe una capacità di iniziativa politica che è completamente estranea alla cultura di questo governo, benché Gentiloni sia tutt’altro che un incompetente o un incapace. 

Del resto, il ricorso all’Onu (dell’Egitto) avrebbe avuto un senso per noi solo a condizione che fosse stato effettuato dopo un’adeguata preparazione, con la costruzione di una platea di consenso, nella quale fossero compresi gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. 

Nella realtà, l’Egitto è strettamente aiutato dagli Usa che l’hanno assistito nel «raid» di Derna.

Quindi dopo la riunione del Consiglio di sicurezza, il cerino, acceso da altri (Usa, Francia GB), è rimasto nelle nostre tremolanti mani. Un tremore di cui è plateale testimonianza l’invito del prefetto di Treviso agli immigrati illegali presenti nel centro raccolta della sua provincia di disperdersi nel resto del territorio nazionale ed europeo.

Un’ennesima caduta di stile e di legalità europea, tale da indebolire ulteriormente la nostra posizione nell’Unione.

Ma, se il cerino dell’immigrazione di massa è nelle nostre mani, è bene riflettere sulla politica più opportuna per arginare il fenomeno. Spogliandolo, innanzi tutto, da quell’aura di «soccorso dovuto» che l’ha ammantato in questi anni.

La gente che arriva è gente che ha pagato agli scafisti un prezzo variabile tra 1000 e 5000 dollari e che, in questo modo, alimenta un fenomeno di grandi dimensioni ben lontano dal fondamentalismo islamico. Solo una lucrosa operazione per bande criminali, delle quali, di fatto, diventiamo complici. E più i nostri natanti corrono avanti e indietro per il Mediterraneo più la voce si sparge sulle coste libiche e arriva sino al Corno d’Africa, da cui proviene una percentuale importante dei clandestini. 

L’Italia è solo il luogo di transito per il resto dell’Unione. Il fatto che sia, sostanzialmente, lasciata sola a gestirlo dimostra che il nostro ruolo nell’Unione è marginale.

Tuttavia, questa deriva umanitaria e lassista non può continuare all’infinito. 

Qualcosa accadrà. Alle nostre spalle.

Altrove, in sedi note alle quali non siamo invitati, qualcuno starà definendo un’azione politica di supporto ai paesi islamici laico-moderati e azioni per mettere intorno a un tavolo i capi delle fazioni tribali libiche alla ricerca di un’intesa per ostacolare i tagliagole dell’Isis in vista della ricostruzione di un tessuto statuale. 

Perché la notizia non ci sia data dai giornali, il governo, dimenticata l’inutile Mogherini, deve avere una politica e perseguirla seriamente. 
domenico cacopardo