8 giu 2015

una analisi sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo: Il caso De Luca

Puntualmente.. il consigliere Cacopardo, trova modo e motivi per affrontare una questione che.. già da tempo.. si sarebbe dovuta esaminare con prudenza.. non esponendo figure compromesse ad una candidatura

Se nella fattispecie il reato è davvero lieve (sempre che di reato possa parlarsi) è anche vero che tutti i parlamentari nel passato hanno votato detta legge Severino che, nel bene o nel male, intendeva porre precisi limiti anche alla presentazione delle figure politiche: Una normativa che traeva il suo presupposto dagli allarmanti studi compiuti dall'UE e dall'OCSE in materia di corruzione e che dettava nuove cause ostative alle candidature negli enti locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica. Un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità a tutte le cariche pubbliche elettive.

Non era difficile, in Campania, tagliare questo nodo.. invece di imporre forzatamente Vincenzo De Luca alla presidenza della regione Campania, il quale non potrà insediarsi a causa della stessa legge. E' vero!..De Luca è stato condannato solo in primo grado per abuso d'ufficio... ma la cosa per la legge Severino provoca la sospensione immediata dall’incarico. 

In questi giorni si è molto discusso su come debba applicarsi la legge nel caso di un amministratore eletto ma non ancora insediato. Raffaele Cantone sostiene che De Luca dovrà avere per legge almeno il tempo di formare la giunta e nominare un vice-presidente a cui affidare l’incarico, in attesa del processo di appello del suo caso. Ma la domanda naturale è quella di chiedersi se la legge Severino debba essere interpretata come decadenza dall’incarico (come avvenuto in simili altri casi) ..sia che intervenga la Corte Costituzionale ..sia la stessa Avvocatura di Stato.

Al di là delle innate capacità di Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, secondo cui la legge Severino nel caso di De Luca agisce come una “sospensione” e non come una “decadenza”, resta davvero incomprensibile il fatto di come sia stata posta con ostinazione tale candidatura per una chiara volontà di opporsi ai limiti di una normativa in realtà voluta e votata dalla stramaggioranza della politica.

Qualcuno afferma che De Luca possa insediarsi, nominare la giunta e solo dopo essere sospeso per gli effetti della legge Severino: a quel punto la guida della Regione sarebbe assicurata dal vicepresidente scelto dallo stesso De Luca. Tutto ciò era sicuramente noto al premier Renzi che ha optato per una più sicura vittoria della regione.. non preoccupandosi di fomentare critiche e parecchi dubbi. Dimenticandosi, nella qualità di falso rottamatore, il principio delle “regole” di cui tanto si riempe la bocca.

Più che una anomalia quello che salta agli occhi in un fatto come ciò definisca una certa prepotenza da parte della politica di fare e disfare a piacimento e convenienza. Nella fattispecie... è inutile tergiversare: O si cambia la legge Severino o non si presentano tali candidati!

La Corte costituzionale ci dice : “È indubbio che la sospensione obbligatoria...integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del Presidente che gli preclude l’esercizio delle attribuzioni connesse alla carica… con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto”. Come è indubbio che nel recente passato i provvedimenti assunti dallo stesso premier Renzi in applicazione della legge Severino, hanno rispettato questi principi: Un esempio per tutti rimane il caso di un amministratore regionale coinvolto nello scandalo Mose, dove Palazzo Chigi ha dato atto che la interdizione retroagisce al momento in cui la incompatibilità si è determinata.

Il caso Campania si è rivelato un gran pasticcio istituzionale. Quello che stupisce non può essere il lieve reato in questione, quanto l'impudenza di dover prendersi gioco di una legge che, nel bene o nel male, è stata votata quasi all'unanimità da forze politiche che oggi sembrano trovare mille pretesti per non attuarla.
Vincenzo cacopardo



Si sta facendo strada una valutazione puntuale delle discutibili norme introdotte dall’avvocato Severino durante la sua discutibile «performance» al ministero della giustizia.
La «cacciarella» alle streghe imbastita dal vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio (studente fuori corso nell’Università di Napoli, trasferito da Grillo alla Camera dei deputati e, quindi, alla vicepresidenza) deve arrestarsi di fronte alle fondate osservazioni del commissario anticorruzione Raffaele Cantone, uno che nell’Università di Napoli s’è laureato e che ha vinto un difficile concorso in magistratura, e del procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo (anche lui laureato e vincitore di concorso).
Convengono entrambi in una critica specifica alla Severino, a proposito della sospensione dell’exsindaco (sospeso) di Salerno, Vincenzo De Luca, appena eletto presidente della regione Campania: in sostanza, dicono i due alti magistrati di riconosciuta esperienza, nessuno può essere sospeso da una carica che non (ancora) ricopre.
Il clamore, quindi, suscitato dall’elezione, dalla proclamazione e dall’imminente insediamento deve placarsi in attesa che De Luca, integrato nell’incarico, costituisca la giunta e inizi l’attività amministrativa.
I richiami dei concorrenti, primo fra tutti, Stefano Caldoro, ma anche, nel solito modo scomposto e rumoroso, dei 5 Stelle, non riescono a scalfire le esigenze formali e sostanziali che la situazione legislativa impone senza incertezze.
Il medesimo argomento elettorale dell’inidoneità di De Luca alla candidatura (con il corollario dell’esternazione della Bindi in versione giacobina) viene meno: tutti hanno saputo che, una volta eletto e insediato nella presidenza, De Luca avrebbe subito una sospensione la cui sussistenza e durata sarebbe stata oggetto di uno specifico procedimento giudiziario.
Nonostante questo impedimento (non immediato) De Luca è stato votato da elettori pienamente consapevoli, tanto da vincere le elezioni. Un risultato derivante certo dagli eccellenti risultati ottenuti durante la sindacatura salernitana, ma anche per l’accentuata simpatia che gli ha procurato l’uscita di Rosy Bindi.
Ora, nell’ordine, ci saranno la ricognizione dell’avvenuta elezione, l’insediamento e la nomina di una giunta con l’indicazione di un vicepresidente. Subito dopo, il presidente del consiglio, cui compete l’onere della sospensione, assumerà il relativo provvedimento. De Luca farà un passo indietro lasciando l’onere di governare al suo vicepresidente e si rivolgerà all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo la decisione della Corte di cassazione che ha escluso la competenza dei Tar.
C’è una ragione precisa e incontestabile nella scelta della Cassazione: gli effetti di una sentenza debbono rimanere nell’orbita dell’autorità che l’ha comminata, anche se gli stessi si sono sostanziati in un atto amministrativo.
Questo fa emergere con chiarezza l’errore della Severino (peraltro, avvocato di chiara fama) e, soprattutto del Parlamento che ha approvato le norme: il compito di stabilire in ogni caso specifico le cosiddette pene accessorie spetta al giudice giudicante e solo a lui, che deve vigilare sulla loro attuazione, secondo i principi generali dell’ordinamento.
L’avere immaginato un meccanismo «juke box» per le stesse, introducendo un discutibile (e, probabilmente, incostituzionale) automatismo tra accertamento del reato e sospensione, può solo rispondere a una esigenza di popolarità politica, inconcepibile per un ministro «tecnico» di un governo «tecnico».
Ovviamente, la questione non rimarrà tal quale è, anche perché manca qualsiasi graduazione della pena accessoria, vigente anche per un reato residuale e minore come l’abuso d’ufficio.
Nel caso De Luca, una questione terminologica («project manager» invece di «coordinatore di progetto», insieme a un compenso nient’affatto faraonico) che difficilmente supererà il vaglio delle corti superiori.
Gli agitatori della pubblica opinione dovrebbero essere più cauti, giacché a furia di agitarsi anche contro i mulini a vento saranno credibili come gli urlatori di «Al lupo, al lupo!»
Domenico Cacopardo



6 giu 2015

L'"aria mefitica di Roma" di domenico Cacopardo

C’è un’aria mefitica per le vie di Roma, non per il persistente inquinamento da traffico automobilistico, ma soprattutto per le esalazioni provenienti dall’inquinamento morale che l’attraversa.
Quando pensiamo che questa città sarà la sede dell’anno santo straordinario indetto da papa Francesco e vorrebbe essere il luogo di una prossima Olimpiade («già si arrotano in denti per la possibile pantagruelica ‘magnata’»), un moto di indignazione nasce spontaneo, per lo spettacolo ora in scena, per gli attori che lo animano e per la «futura programmazione».
La questione «mafia capitale», infatti, con decine di arresti in vari campi politici sembra ridursi nelle accese polemiche di queste ore al dilemma «Marino sì» «Marino no». Certo, il sindaco ce ne mette di suo, quando sostiene che, in qualche modo, i successi investigativi del procuratore della Repubblica Pignatone, magistrato di lungo corso, proveniente da Palermo e Reggio Calabria, con esperienze specifiche in materia di criminalità organizzata, dipendono da lui medesimo, il primario che ha abbandonato il primariato americano per dedicarsi alla politica italiana, in un primo tempo, e poi romana.
La verità è che Roma deve essere risanata nel profondo, partendo dall’ultimo ufficio della polizia municipale nella più sperduta borgata e arrivando al fatale colle del Campidoglio. E che per farlo è necessaria la sospensione delle attività politico-amministrative e l’attribuzione delle stesse a un ente commissariale che per un periodo di almeno cinque anni provveda, mantenendo in piedi le attività di quotidiano interesse dei cittadini, a una profonda epurazione del tessuto burocratico cittadino.
Qualcosa di simile a ciò che fece il regno d’Italia inventando un Commissariato straordinario per Napoli che, con mutamenti nominalistici, governò il capoluogo campano sino al dopoguerra.
Appare ottuso e inconsapevole un atteggiamento volto a mantenere immutati gli assetti istituzionali del comune di Roma e della regione Lazio. Essi, soprattutto il secondo, sono strettamente legati al passato del Pd e alla nomenklatura che ne era responsabile, a partire da Bersani, al quale era anche molto legato il noto presidente della provincia di Milano, Penati.
La «tabula rasa» non è un cieco sparare nel mucchio. La «tabula rasa» è una misura di salute pubblica analoga a quelle che si è costretti ad adottare in presenza di focolai di grave infezione.
L’agitazione di Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario al partito romano, non coglie la necessità di chiudere in modo esemplare un capitolo, trasferendolo dal suo tavolo alla più vicina discarica. Finché non si renderà conto di questa irrinviabile necessità, lui e il suo partito continueranno a sprofondare nella melma nella quale un gruppo dirigente affarista e spregiudicato l’ha gettato.
Il medesimo discorso andrebbe rivolto anche ai responsabili di Forza Italia, di Fratelli d’Italia e del gruppo popolare che si riferisce a Tabacci: ma questi cosiddetti partiti sono ectoplasmi senza il fiato occorrente per compiere l’autocritica immediata che ci si aspetta da loro.
Diverso è il caso del Pd che di comune e regione ha la responsabilità attuale e al quale appartengono molti imputati eletti non nel passato remoto ma di recente nelle tornate che hanno portato al potere Marino e Zingaretti.
C’è qualcuno che dubiti che, per esempio, l’attuale prefetto di Roma, Franco Gabrielli farebbe meglio di qualsiasi sindaco in una contingenza come l’attuale? Del resto, sul tema del giubileo Gabrielli s’è mosso più e meglio di quanto non abbia fatto Marino o chiunque altro in città.
Prima che l’Italia si ritrovi con la faccia al muro nella temperie dell’anno santo, Matteo Renzi cerchi nel proprio «sentiment» ciò che serve: azzeri tutto. Commissari comune e regione e dia agli italiani la sensazione di una reale, drastica volontà di pulizia. Altrimenti il suo futuro politico nel governo e nel partito subirà l’appannamento in cui sperano la minoranza del Pd e gli avversari del nuovo corso.

Domenico Cacopardo

4 giu 2015

Renzi... monotono e stancante menestrello

Cinture allacciate... o paracadute?
di vincenzo cacopardo

"Allacciatevi le cinture, perché stiamo decollando davvero, piaccia o non piaccia a chi passa il tempo a lamentarsi. Stiamo rimettendo il Paese a correre come deve correre". "Lavorando duro l'Italia riprende il volo"... Non se ne può più del continuo blaterare del sindaco d'Italia che con i suoi “lasciatemelo dire” insiste col comunicare in modo tanto fazioso..quanto stancante.

Un premier che dovrebbe chiacchierare meno ed occuparsi più dei fatti! Sappiamo ormai bene che la sua politica dei “bonus” non ha prodotto alcunchè! ..L'allarme per la mancanza del lavoro è una certezza, malgrado il suo comunicare disinvolto ricco di slogan...

Una comunicazione che ha finito col consumarsi in una retorica assai sterile e.. sopratutto ripetitiva: il solito concertino ricco di performance ammiccanti... profusi abbracci con gli accoliti adoranti.. oltre ai tanti baci offerti.. simili a certi “vasa vasa” di un personaggio politico siciliano. Ma lui, al contrario, è il toscano forbito.. con una certa dialettica... mitizzato da un popolo ormai smarrito in una speranza mai suffragata da risultati validi ed idonei.

Qui non si tratta più di essere gufi o non gufi, ma di saper leggere in lungimiranza per scorgere quanta difficile strada in salita aspetta il nostro Paese..La realtà è sempre davanti agli occhi dei cittadini ..come appare ai loro occhi il perenne quadro dei tanti che ormai rifiutano questa politica affidata ad una comunicazione ricca di inganni. Una triste realtà che vede un Paese ormai decotto in mano ad un governo incapace di esprimere idee e cambiamenti innovativi efficaci.. 

I tanti non votanti hanno dato una chiara e secca risposta al sindaco dei sindaci ed alla sua truppa di ministri in perseverante adorazione di una politica ipocrita proposta con saccenteria e senza alcun rispetto per l'equità e la democrazia.

Gufi o non gufi..meglio preparare un paracadute...    

sempre più yankee.....

Un appunto al nuovo editoriale di domenico Cacopardo

L'articolo di Domenico esprime..  in tono chiaro.. le incapacità di questo governo di porre argine alle enormi calamità che investono il nostro Paese. Malgrado ciò il consigliere persevera coll'indurre nuovamente Renzi ad adeguarsi...ma adeguarsi a che? Renzi non sembra aver mai proseguito verso una fattiva strada in favore di una crescita economica del nostro Paese ed in realtà si è solo adeguato ad i dettati espressi da una comunità europea che sembra infischiarsene dei reali problemi della nostra Nazione.

Le sconfitte di Renzi , come già messo da tempo in evidenza nel mio Forum, sono nate prima che lui cominciasse... non solo per il modo con il quale si è sempre posto con estrema arroganza, ma proprio per il merito stesso di quelle che ancora oggi vengono definite da qualcuno come “riforme”: Riformare non significa cambiare in modo generico e frettoloso, significa soprattutto riorganizzare.. e questo nostro Paese ha visto in quest'anno solo una corsa verso il tempo ...una frettolosa opera di semplificazione solo utile ad incorniciare un quadro assai poco visibile di sviluppo.

Renzi ha avuto grandi colpi di fortuna : il quantitative Easing, il calo del prezzo del petrolio, il cambio favorevole con l'estero, l'Expo..ma con la sua saccenteria ha solo costruito fumo. In quanto alle riforme costituzionali e la legge elettorale..potremmo vedere presto nel futuro i gravi danni che porteranno a tutto il sistema istituzionale che di vorrebbe democratico.

Il richiamo di Domenico al vertice europeo è uno dei motivi di preoccupazione. La visita a Berlino del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi che si e' trattenuto fino a tardi discutendo con la cancelliera Angela Merkel, con il presidente francese Francois Hollande, con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e con la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, aveva l'interesse di trovare una possibile linea di compromesso per risolvere la crisi del debito di Atene e l'assenza di un rappresentante del nostro governo, dimostra (oltre che una chiara disorganizzazione) un insensato disinteresse da parte del nostro Paese, il quale.. tra l'altro.. pare aver fornito alla Grecia quasi 50 miliardi di euro durante il governo Monti -(Ancora una nota con la quale si deve rimarcare il percorso di quel famigerato governo Monti che da un lato prendeva 50 miliardi di euro in prestito dal mercato con l'emissione di Btp.. e con disinvoltura tagliava le pensioni attraverso una mostruosa legge Fornero).

E' inutile sottolineare quali enormi conseguenze vi sarebbero per il nostro Paese che con questo buco continuerebbe a mettere in crisi il suo già precario bilancio. Le conseguenze sarebbero drammatiche anche per la Bce e lo stesso Draghi che potrebbe rischiare le dimissioni. Ma al di là di ciò quello che colpisce è proprio il comportamento di un governo come il nostro resosi manchevole di una indispensabile presenza e di nuove idee in proposito.

Con tutto il rispetto per chi vuole oggi proporsi per un cambiamento come quello voluto dal nostro Premier, e per coloro che lo seguono decantandone l'impegno, bisognerebbe cercare di comprendere che non è solo sufficiente cambiare genericamente e semplificativamente, ma è molto più importante definire il cambiamento attraverso logiche utili e funzionali che possano vedere in lungimiranza e che non ci allontanino dagli essenziali principi di una democrazia.

Nelle utime immagini..durante lo svolgimento delle regionali, il nostro Premier ha dimostrato di essere sempre più un appassionato yankee...apparendo in una particolare tuta mimetica tipica dei marines. Un altro dei suoi gesti comunicativi che continuano ad incidere solo sull'immagine e che poco risultato rendono al nostro paese.. se non quello di una chiara ruffianata in favore del paese americano.. sicuramente amico, ma assai lontano dalle nostre problematiche mediterranee.
Vincenzo cacopardo


Scive Domenico Cacopardo

Dopo le vittorie, è venuto il tempo delle sconfitte e dei ridimensionamenti. Parliamo di Matteo Renzi che, dopo un anno condotto a ritmi, soprattutto comunicazionali, trascinanti, si trova davanti a una dura realtà che non si piega alle sue esigenze propagandistiche. È, in queste contingenze, che si può giudicare la tempra di un «leader».
Lo «smisurato» «ego», la fiducia in se stesso piena di presunzione, la mancanza di cultura politica, il provincialismo, il banale cinismo sono gli elementi che emergono con più evidenza da poco più di un anno di direzione del governo e del partito.
Il prodotto sin qui visibile di questo complesso di difetti è stato l’avvio di un miracoloso processo riformista, pieno di contraddizioni e di manchevolezze, tuttavia importante per rimettere in modo un Paese paralitico.
Oggi però, la dimensione dell’insufficienza e del -speriamo provvisorio- crac di Renzi è la politica internazionale, soprattutto europea. Non ci riferiamo all’inesistenza del semestre italiano, passato come passa una folatina di vento della sera, ma all’assenza sistematica dai tavoli che contano nei momenti che contano.
Ci riferiamo al vertice europeo di lunedì 1° giugno, celebrato da frau Merkel, Hollande, Junker, Lagarde e Draghi, e all’intesa franco tedesca che l’ha preceduto, rivelata dal settimanale Die Zeit.
Va ricordato che sabato, a Trento, a margine del convegno economico di Innocenzo Cipolletta, Renzi, aveva incontrato Valls, primo ministro francese, e annunciato una specie di asse franco-italiano per «cambiare verso» all’Europa.
Il senso di tutto questo non è tanto la nostra irrilevanza europea, che non è nuova e risale all’uscita di scena di Kohl, Mitterand e Craxi, quanto l’incapacità del premier italiano e della sua scadentissima squadra di conoscere tempestivamente ciò che bolle in pentola a Bruxelles, a Berlino, a Parigi e a Francoforte.
I contenuti delle intese definite nel vertice di lunedì e nel bilaterale franco-tedesco sono molto importanti e segnano una strada di rafforzamento dell’Europa e dei suoi poteri sovranazionali.
Era fatale e l’abbiamo ricordato tante volte: o l’Unione marcia sulla via dell’integrazione o si avvita in un processo di dissoluzione. Quindi, per sopravvivere più Europa, non meno, secondo le inconsistenti e autolesionistiche tesi delle forze populiste in giro nell’Eurozona.
C’è da attendersi per i prossimi mesi l’attuazione della nuova linea di politica comunitaria: integrazione politica con maggiore interdipendenza delle politiche; maggiori poteri dell’eurogruppo (decisione, azione, cogenza); coinvolgimento del Parlamento europeo nell’adozione di riforme radicali imposte d’ufficio ai paesi membri. I paesi dell’Unione esterni all’eurozona saranno liberi di aderire o non aderire ai nuovi sviluppi politici.
In questa prospettiva, la prima beneficiaria o vittima della rinnovata iniziativa europea è l’Italia e con essa il suo garrulo primo ministro. Tutte le formule sin qui adottate, le contorsioni, l’indifferenza rispetto all’enorme problema del taglio delle spese, le erogazioni di quattrini, diventeranno in poco tempo quello che sono: inutili pannicelli caldi da rimuovere a favore di misure incisive nei confronti delle tante rendite di posizione vigenti e delle sacche di parassitismo.
Storicamente, nella testa di coloro che hanno guidato il processo di integrazione europea, ultimi De Michelis e Carli a Maastricht, c’è sempre stata l’idea che il vincolo europeo ci avrebbe aiutato a risolvere gli annosi problemi nazionali, dal debito pubblico, al sistema fiscale, alla giustizia, alla trasformazione della pubblica Amministrazione da peso morto a supporto positivo per la vita quotidiana degli italiani. E anche della recente e gravissima questione «immigrati», nella quale ci dibattiamo tra incapacità politica e amministrativa e imbrogli, il vero elemento, quest’ultimo, di congiunzione tra il fenomeno e la criminalità interna e internazionale, che impedisce, per inconfessabili motivi, la svolta più volte annunciata.
Il governo riformista di Renzi è passato su questi specifici punti come una piuma d’oca passa sulla pelle di un paziente. Per difficoltà oggettive e per totale incapacità del personale politico addetto.
Ora, unitamente al calo di ruolo internazionale dell’Italia, vedremo un calo di peso interno del governo, che sarà costretto ad attuare politiche più determinate ed efficaci decise altrove, nella sede sovranazionale di cui siamo fondatori.
Nonostante i mal di pancia di Grillo e dei suoi grullini, di Salvini e delle sue truppe e dell’inconsistente coacervo di particelle della sinistra (pensavamo, sbagliando, che con la rielezione l’insopportabile Vendola sarebbe finalmente scomparso dai nostri schermi quotidiani), la maggiore presenza dell’Europa dovrebbe esserci utile, sia in termini di razionalizzazione del sistema, sia in termini di possibilità di ripresa (e di lotta alla disoccupazione).
A una sola condizione: che il governo, da chiunque diretto, si attesti su una linea del Piave e si mostri pronto a difenderla a costo di minacciare l’uscita dall’Unione. La linea della tutela dell’apparato industriale italiano, costantemente minacciato dalla superpotenza egemone, la Germania, e di una politica industriale gelosa degli interessi nazionali, si tratti della siderurgia, della gomma e dell’energia.
I basilari della nostra esistenza come soggetto partecipe del Wto non possono essere messi in discussione.
Renzi dovrà rapidamente adeguarsi. Altrimenti sarà iscritto nella storia come un’impalpabile meteora durata l’«espace d’un matin».
Domenico Cacopardo




3 giu 2015

una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Sembrano esservi strane dissonanze su quanto esprime Domenico quando affronta il problema del governo, delle riforme.. e dello stato attuale del nostro Paese. In riferimento a quelle “minoranze che non si piegano ad una maggioranza che si è continuamente imposta nei delicati temi della politica sociale”, Domenico, come altri lettori pragmatici in direzione di una politica più cinica che funzionale, insiste sull'importanza di doverli prontamente rimuovere: Una considerazione che... seppur legittima, finisce col non entrare mai in una più precisa visione contestuale di merito...ossia non entra in profondità sulla sostanza di alcune scelte che devono per evidenza essere discusse in termini più appropriati. 

Nel contempo il consigliere ci scrive di una “mitologia del passato che impedisce interventi di riforma parlando anche di un ricambio generazionale del personale politico”... e cioè dell'insistenza di dover proseguire nella strada di quella rottamazione di cui tanto il premier ha romanzato. Ma anche in questo percorso.. Renzi, giorno per giorno, pare manifestare consuete incoerenze.

Per Domenico Cacopardo il capitano (Renzi) sembra essere l'unico capace di portare avanti un percorso riformatore, seppur non coadiuvato altrettanto bene dalla sua squadra di governo. Malgrado le mie enormi perplessità sulla figura fin troppo avventata e semplicista del nostro capo di governo, non posso che trovarmi d'accordo, ma quello che dovrebbe far riflettere Domenico.. è proprio il fatto che sia stato lo stesso sindaco d'Italia ad aver scelto i suoi collaboratori.

Riguardo alla mite figura del Presidente Mattarella non posso che concordare. Più che una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere”, mi sembra che la funzione intrapresa dal capo dello Stato si sia rivelata poco felice nel modo di interpretare lo stesso ruolo di garante, sicuramente poco consapevole della modernità di cui necessita la politica odierna.. sia nel linguaggio.... che in quello che Domenico definisce “orizzonte culturale e ideale”.

Con tutto il rispetto che si deve alla figura istituzionale del nuovo Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato di membro della Corte Costituzionale avrebbe dovuto indurlo a valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
vincenzo cacopardo



C’è un profondo sentimento mitologico nella Repubblica anno 2015. Investe una parte importante del personale politico, a partire dal presidente Mattarella, alle prese con una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere. C’è, nel suo modo di interpretare il ruolo, una grave inconsapevolezza dell’attualità, dei suoi linguaggi, delle sue sensibilità, del suo orizzonte culturale e ideale.
Venuto dopo uno spregiudicato interventista come Napolitano, responsabile di cose buone e di cose pessime, Mattarella ha riportato la presidenza a un’insignificanza di genere democristiano, quando sarebbe stato necessario aprire un dialogo con la pubblica opinione e le sue contraddittorie esigenze. Anche la scelta di uno staff mediocre e passatista e, quindi, sclerotico, ha contribuito alla pallida interpretazione della presidenza.
L’esempio dirompente di papa Francesco I (che, in qualche misura come Renzi, ha saltato tutti i corpi intermedi, la gerarchia cioè, ed è andato verso il popolo di Dio e non di Dio) non gli è servito, purtroppo.
Rimane l’amaro in bocca ai tanti, e tra essi chi scrive, che avevano sperato in una forte restaurazione dei principi e della correttezza istituzionali, coniugato con la capacità eroica di testimoniare al Paese i valori repubblicani.
Anche la celebrazione (in sedicesimo) di ieri, Festa della Repubblica, è nella tradizione veteroDc, tutta tesa a cancellare i termini e gli aspetti di una tradizione che va comunque preservata, in una fase storica che vede la nostra forza militare impegnata in tanti scacchieri del mondo.
Il Paese, al termine della crisi epocale, è ancora diviso tra mitologia e modernità. La modernità s’è andata affermando in questi ultimi anni, per merito di giovani generazioni venute alla ribalta nell’impresa e nella società, dopo esperienze, anche drammatiche, in Italia e all’estero (agevolate dalla rete), che hanno fatto percepire il complesso di principi che anima la competizione mondiale degli organismi complessi e degli individui.
Il resto è rimasto alla mitologia costruita dal marxismo e dalla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, nella quale il rapporto tra produzione e distribuzione di valore è disarticolato, tanto che la distribuzione può-deve avvenire secondo le necessità dei beneficiari, non in base alla disponibilità del sistema-nazione.
Guardiamo al fenomeno politico più recente, quello inventato da un comico senza più risorse comiche, Beppe Grillo. Le sue proposizioni non tengono conto delle esigenze dell’economia («It’s economy, stupid», Billy Clinton) e si inoltrano in un terreno in cui il lavoro, come istituto etico e comunitario, non viene considerato. Del resto, diciamocelo francamente, la gran parte del personale politico inventato da Grillo e dalla mente Casalegno è privo di significative esperienze professionali, tanto che la politica, per essa, è un divertente (e insostituibile) modo di sbarcare il lunario.
La mitologia repubblicana ispira il sindacato, in particolare la Cgil. La rivendicazione dei diritti, di cui è vessillifera, è un’astrazione pericolosa: in una situazione nella quale deve ancora riprendere l’accumulazione capitalistica (la creazione cioè di ricchezza da investire prima e da redistribuire poi), governano le esigenze della ripresa e quelle di offrire occasioni di lavoro, quelle poche che sono sul mercato, a condizioni che assicurino la competitività.
È la produttività il tema, generalmente dimenticato tuttavia, cruciale per la sopravvivenza dell’economia manifatturiera italiana, seconda solo alla Germania in Europa, ma dimenticata dall’immenso, parassitario apparato pubblico nazionale.
Anche Landini è il sacerdote di una religione druidica destinata all’ascolto di una minoranza di fedeli. Le sue belle parole d’ordine si scontrano con la realtà reale e aleggiano come vuote petizioni di principio senza possibilità di ascolto.
Ciò che deve essere messo a punto (e ancora non lo è) è il percorso di questo governo e del suo «premier». Certo, il guado è iniziato ed è in corso, ma ciò che manca è una squadra capace di coadiuvare il ‘capitano’ in modo utile ed efficace.
Non a caso, credo, il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi ha riparlato di riforma dell’Amministrazione. Quella immaginata dalla ministro Madia è inesistente, frutto di un’ignoranza totale del problema e delle soluzioni più aggiornate che sono state attuate nel mondo avanzato, a partire dall’Amministrazione flessibile «per progetti». In una situazione nella quale mancano le risorse, l’unica strada possibile, con l’apparato dello Stato, è quella di aumentarne il prodotto e la produttività, uscendo dalla biblica condanna di un’Amministrazione pensata per i suoi impiegati, di una scuola per gli insegnanti, di un esercito per i generali.
È la mitologia del passato che impedisce anche questi interventi di riforma. Una mitologia alla quale il governo non si deve piegare a costo di essere esso stesso non solo riformista, ma anche rivoluzionario.
Certo, c’è da riprendere, senza incertezze, la strada del ricambio generazionale del personale politico, cioè continuare in modo inesorabile la rottamazione: non tanto per il ruolo e le idee dei «vecchi» quanto perché la loro presenza impedisce ai giovani di presentarsi, compiere esperienze e assumere le responsabilità del cambiamento.
Le mitologie e gli interessi pelosi che ispirano le minoranze del Pd (quelle che da mesi non votano a favore del governo), debbono essere rivelati, messi in piazza e rimossi. Altrimenti, la palude continuerà a inghiottire nelle sue sabbie mobili quel poco di nuovo che cerca di avanzare.
Il passato è il luogo della Storia. Non può essere il luogo di una nostalgia padrona del presente.
Domenico Cacopardo


una nota del consigliere Cacopardo sulla recenti elezioni regionali

Se c’è una materia opinabile, almeno nei commenti di politologi ed editorialisti, questa è il risultato delle elezioni, sempre, sempre, ma soprattutto in Italia, estensibile come un tessuto gommoso.
Invece, per gli addetti ai lavori, i pochi che sanno che «la politica è una scienza esatta», l’esito delle elezioni deve essere esaminato in profondità per capire le sue valenze positive e negative e trarne indicazioni per il prossimo giro.
Proviamo anche noi a trarre alcune prime conclusioni.
Il primo sconfitto, il più grande, quello indiscutibile, è l’istituto regionale. Una partecipazione di circa il 50% mostra disinteresse nei confronti di assemblee e presidenti-governatori, logorati da decenni di malgoverno, di clientele e di evidenti fallimenti.
Già l’istituto era nato come un ibrido, estraneo alla storia patria, figlio del solidarismo cattolico (clamorosamente bocciato dai profondi mutamenti degli ultimi cinquant’anni) e del disegno di potere del Pci costituente, che aveva scelto una strategia periferica di conquista dello Stato. La pratica attuazione dell’istituto regionale avvenne nel 1970, dopo una stagione, gli anni ‘60, dominati dal mito illuministico della programmazione, un’idea dei socialisti ispirata dalla voglia di simildirigismo sovietico.
Nella realtà di questi trentacinque anni, le regioni si sono comportate in modo irresponsabile, mettendo in scena una grave imitazione dei vizi dello Stato centrale, dal clientelismo più spinto, alla dissipazione di quote crescenti delle risorse pubbliche, senza alcuna attenzione ai vincoli di bilancio. E ciò non riguarda solo le sciagurate regioni del Sud, prima fra tutte la Campania, nella quale la regione di Bassolino investì anche in formazione professionale di veline, e la Calabria, per molti versi addirittura peggio dell’amministrazione partenopea, ma anche le esibite (a torto) Lombardia ed Emilia-Romagna.
Renzi deve prendere atto dell’orientamento popolare e incidere in modo più deciso sul titolo III della Costituzione a scapito delle competenze e del ruolo delle regioni: una scelta determinante per tagliare le uscite dello Stato e, di conseguenza, tassazione e debito pubblico.
Il presidente del consiglio rifletterà anche sulle sue sconfitte personali. La prima riguarda il personale raccogliticcio e impreparato (in gran parte di provenienza bersaniana, saltato sul suo carro) cui si è appoggiato, dalla Moretti alla Paita a coloro che, immeritatamente, siedono nel governo. L’inesorabilità della politica ne mette in rilievo l’inidoneità a svolgere un ruolo significativo. Occorre perciò mettere mano ai «minus», dall’ectoplasma Madia, alla medesima Serracchiani, in eccesso di esposizione televisiva, capace di un’affermazione demenziale e azzardata come «Il Pd chiederà a tutti i suoi eletti di sottoscrivere un impegno a dimettersi in caso di ricevimento di un avviso di garanzia», per dare al volto del governo lineamenti accattivate e reale efficienza. L’inconsapevole Serracchiani, così, ha concesso a chiunque vorrà colpire un eletto in qualsiasi organismo, il potere di rimuoverlo a prescindere da ogni considerazione specifica, di merito.
La seconda concerne l’insufficiente rinnovamento del partito, ancora, nella nomenklatura, lontano da un’adesione convinta alla linea del suo leader. E qui, si innestano i casi Bindi (che non può passare sotto silenzio) e Bersani esibitosi in un’insostenibile solidarietà all’esasperato radicalismo della presidente dell’Antimafia.
Se Renzi intende portare il Pd alle elezioni politiche perché governi il Paese per un altro quinquennio avrà molto da lavorare.
I confronti circolati con il 40% delle europee è fuorviante. Nelle regionali, si confezionano, intorno ai candidati, numerose liste di appoggio, con il compito di moltiplicare il numero di coloro che, volendo conquistare elettori ottengono, comunque, un sicuro effetto mobilitativo. Le regionali ci danno, in fin dei conti, un Pd non sconfitto. Se Renzi giocherà bene le sue carte, le possibilità di vincere il 2018 si consolideranno. Soprattutto se gli riuscirà l’operazione «Partito della nazione.»
Questo significa che le minoranze di quel partito scivoleranno ulteriormente nell’insignificanza e nell’inesistenza politica.
Va male il Nuovo Centro Destra: e questo è un problema che si deve porre il «premier». La sua gamba moderata non può essere amputata. Il prossimo rimpasto ne deve tenere conto.
Perde Berlusconi con la sua ultima «raffica». Il risultato di Toti è esclusivamente dovuto alla divisione del centro-sinistra e all’apporto delle truppe cammellate di Salvini. Non può essere un’indicazione per la ricostruzione di un centro-destra con «chanche» di ripresa.
Anche la presunta vittoria di Grillo è discutibile: se il movimento contestativo si ferma intorno al 20%, è evidente che non ha capacità di mobilitazione. Anzi la sua capacità di mobilitazione è così scarsa e scadente da limitarsi, in pratica, a un 10% dell’elettorato (avendo votato solo il 50% degli aventi diritto). Probabilmente, alle politiche, la sua presenza aiuterà Renzi a raggiungere il quorum prima del ballottaggio.
Non è discutibile il successo di Salvini. Non entriamo nel merito della sua proposta politica, ma osserviamo che questo successo non ha nessuna possibilità di trasformarsi in proposta di governo se non all’interno di un rinnovato centro-destra, diretto da una credibile e giovane leadership. Per quanti sforzi possa fare, dunque, il destino di Salvini è quello di agitatore xenofono e di satellite di un partito forte diverso dal suo.
Nei prossimi giorni, dopo il rimpasto di governo ormai non più rinviabile e le novità alla testa del Pd, capiremo meglio il percorso del Paese da qui al 2018.

Domenico Cacopardo

2 giu 2015

Regionali: vittorie ..sconfitte... od insuccesso elettorale?


di vincenzo cacopardo

Il sindaco d'Italia sapeva benissimo che l'elezione del suo candidato Vincenzo De Luca in Campania avrebbe portato grossi problemi in seno al suo stesso Partito oltre ad una lettura non del tutto positiva circa un modo di affrontare il delicato tema delle candidature, ma il suo gioco (poiché sempre in un gioco competitivo egli ama confrontarsi) era quello di vincere a tutti i costi...seppur col chiaro rischio che nella stessa Regione si sarebbe finito con un azzardato commissariamento..Quello che per lui conta è sempre stata la vittoria e la costruzione veloce di un governo in una Regione che aveva.. in certi territori..una forte e radicata posizione politica avversa. Renzi ha sempre guardato con estremo cinismo al pragmatico successo di una vittoria elettorale ed, in questo suo modo di procedere, ha messo in seconda posizione ogni normativa riguardante il ruolo di un candidato compromesso....La vittoria per lui non sembra mai aver prezzo!

Nel Veneto la Moretti, ha avuto una grande mazzata. Riflesso del continuo processo di invalidazione di un consenso precedente... Sarebbe stato politicamente più etico chiudere il suo mandato europarlamentare...invece di prendersi gioco degli stessi elettori. Una Regione che ha visto, come era immaginabile, andare avanti con successo l'opera politica della Lega di Salvini, fin troppo osannata per motivi populistici di tutta evidenza.

Queste elezioni regionali hanno comunque messo in evidenza la tendenza continua della poca affluenza alle urne. Hanno ancora una volta dimostrato che esiste il partito nascosto dei non votanti e... sebbene lo stesso Premier abbia pronunciato parole (forse non del tutto corrette nel momento in cui sono state espresse) di una votazione che non avrebbe formulato alcuna attendibilità al suo operato governativo, la realtà è apparsa proprio opposta: Quando la metà degli aventi diritto non va a votare, sia che si tratti di elezioni regionali o politiche nazionali, esiste anzitutto una certezza: La convinzione di non condividere alcuna governabilità, soprattuto nel contesto odierno in cui le nuove riforme hanno messo in disamina le stesse regioni fornendo loro nuove riorganizzazioni definite proprio da un sistema a trazione governativa.

Poco importa il cinque a due od il sei a uno...quello che oggi dovrebbe essere veramente messo in discussione è l'allontanamento della enorme massa di aventi diritto al voto che di certo non possono aver apprezzato né le nuove riforme..nè il nuovo sistema elettorale nazionale promosso attraverso l'infelice “Italicum”. Ridicola inoltre (oltre che poco rispettosa nei confronti di una donna) la nuova regola imposta da alcune regioni dove un candidato nel possibile ballottaggio deve essere di altra specie..Come dire che non esiste alcun principio di merito e che il genere femminile ha bisogno di essere supportato da idioti principi e non da vere capacità.

A conti fatti quasi un elettore su due ha scelto di non andare a votare. Undici punti in meno rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare il 64,1% degli aventi diritto.

28 mag 2015

Piccola nota su una attenta analisi del consigliere Cacopardo


Difficile pensare di far cambiare rotta a questa Europa dell'austerità, comunque l'analisi condivisibile di Domenico... che pare adesso osservare con maggiore attenzione il peso insopportabile di una governabilità imperante, cade di continuo nella strenua difesa del nostro premier che, non certo nel bene, ha voluto che un tale insopportabile sistema.. vincesse. Lo spostamento di 180° gradi dell’asse di governo, indicato da Domenico, tutto a favore del potere esecutivo, è stato voluto per volontà diretta dell'attuale esecutivo...o mi sbaglio?

Riguardo alle prossime elezioni regionali...non credo quindi che sia importante solo il «curriculum», in modo da capire se ci sono precedenti inquietanti nelle figure politiche, poiché è sempre il sistema che, impostato in senso malato, conduce alla cattiva strada anche chi è armato di buona volontà e persino di un ricco curriculum. Non è neanche facile accantonare frustrazioni e invidie sociali per ragionare in modo collettivo, quando si impongono sacrifici continui a chi non li merita e non riesce nemmeno a sopportarli. Quindi la strada dell'abbandono al voto prende sempre più il sopravvento, poiché dettata da una certa anoressia nei confronti di una politica politicante, priva di idee, ricca di malcostume, anomalie e diseguaglianze.

«Scarpe rotte eppur bisogna andar» conclude Domenico Cacopardo, ma solo chi le ha veramente rotte può accorgersi di quanto pesante è questo infernale tragitto dettato dalla potenza e prepotenza di una Europa che tende a fare di tutta l'erba un fascio in modo assai discutibile!
vincenzo cacopardo



Ormai ci siamo: tra cinque giorni si vota in 7 regioni per l’elezione dei consigli (assemblee legislative) e dei presidenti.
Penso che sia un errore chiamarli governatori, una banale imitazione «della Merica», che ha l’unico effetto di ampliare l’«ego» ipertrofico di una categoria di cittadini (sindaci, presidenti di regione, un tempo presidenti di provincia) che leggi sconsiderate hanno trasformato in ducetti «legibus soluti» con la potestà di condizionare gli altri politici e la politica in senso generale.
Basti pensare alla loro prevalenza sulle assemblee elettive, la cui sopravvivenza dipende dall’accordo con il presidente o il sindaco di turno.
Uno spostamento di 180° gradi dell’asse di governo, tutto a favore del potere esecutivo, capace di condurre una comunità al disastro, come di beneficarla nel caso raro di una saggia e corretta amministrazione.
È inutile fare nomi: tutti ne conosciamo almeno uno. Il loro mantra è la comunicazione, non la sostanza delle idee che rappresentano e dovrebbero attuare.
Come constatiamo, il male è arrivato a Roma: non penso tanto a Renzi che si trova a navigare in uno stretto tempestoso e irto di scogli, quanto a chi verrà un giorno e troverà un apparato legislativo e istituzionale tutto spostato in favore del governo e, senza limiti, potrà fare e disfare.
Perciò, per queste ragioni sostanziali, sono importanti le elezioni regionali. Votando, dovremmo osservare bene i nomi dei candidati e ricercare il loro «curriculum» sulla rete, in modo da capire se ci sono precedenti inquietanti, tali da metterne in discussione la moralità.
Certo, questa è un’operazione di ‘controllo’ cui non pensano le persone normali, quelle non compromesse con i candidati a rischio. Gli altri, i non normali, invece, li cercano i candidati compromessi in modo da esercitare meglio le loro influenze indebite e immorali.
Poi, dovremmo guardare i programmi, puntando alle cose precise e concrete che vi sono scritte: un modo per verificare se tra sei mesi o un anno le intenzioni divulgate prima delle elezioni saranno state mantenute.
Ma, nei programmi dobbiamo anche trovare la plausibilità. Questo è un valore che non siamo molto abituati a ricercare e che, invece, dovrebbe il discrimine tra ciarlatani e politici veri, che hanno in testa l’interesse pubblico.
Non temo di consegnarvi l’esempio dei grillini e del loro Movimento 5Stelle: le esternazioni di Grillo sono spesso demenziali (basti pensare all’attacco al professor Umberto Veronesi per un presunto eccesso di mammografie, strumento indispensabile per la prevenzione dei tumori al seno), ma giustificate dai suoi seguaci come paradossi per ottenere l’attenzione dei media (che in realtà non gliela fanno mancare) e del pubblico o, quando non lo sono, riguardano problemi ai quali non hanno una soluzione praticabile-plausibile. Basti pensare a Parma, dove il sindaco Pizzarotti è stato eletto alla conclusione di una campagna contro l’inceneritore che poi è stato regolarmente ultimato e messo in funzione. Un elettorato emozionato non ha dato ascolto a coloro che spiegavano scientificamente la non dannosità dell’impianto e a coloro che segnalavano l’impossibilità di fermare i lavori e le convenzioni da tempo sottoscritte.
Questo deve essere un criterio di giudizio. Se c’è una bella promessa o una battaglia ‘contro’ (vedi l’Alta Velocità in Val Susa o l’Expo) occorre un ragionamento semplice, non particolarmente raffinato, per capire se è utile o meno alla nazione. E accantonare frustrazioni e invidie sociali per ragionare in modo collettivo. Diceva il filosofo Antonio Rosmini, che ognuno di noi dovrebbe scegliere come se fosse nelle condizioni di farlo per tutta la comunità.
Così dovremmo votare domenica prossima.
C’è un’ultima considerazione da tener presente: che non saranno elezioni senza conseguenze politiche. Se non immediati, gli effetti si vedranno a medio termine sia a Roma che nelle sedi regionali, per l’orientamento che suggeriranno ai contendenti in campo e per gli effetti sulla vita quotidiana delle persone vista la capacità e la propensione a utilizzare le addizionali Irpef al posto del taglio delle spese. 
La lezione di Atene e della Spagna ci dice, infine, che non si può essere ‘Antiausterità’ senza essere antieuropei. Chi lo dice è un mentitore.

L’Europa si identifica nella politica di austerità pretesa dalla Germania e imposta a tutti i paesi dell’Unione, anche i più deboli e indebitati, a costo di avvitarli in una spirale senza senso che conduce alla desertificazione delle economie e alla povertà generale.
Quindi, un pezzetto di futuro dell’Europa si giocherà domenica 31 maggio. Se si crede all’Europa, dobbiamo consegnarle un’ultima occasione per correggere la rotta e restituire una speranza alle giovani generazioni, ai disoccupati, ai poveri.
E se questa possibilità vogliamo darla e averla, non possiamo indebolire il governo attuale, l’unico che c’è in pista, l’unico che, contando sulla propria stabilità, può pretendere ragionevoli aggiustamenti della politica comunitaria. Del resto la vittoria di Duda in Polonia costringerà Berlino a spostare il proprio asse politico e a considerare il ruolo e il peso delle tre grandi economie del Sud: Francia, Italia e Spagna.
Un terzetto come non mai diviso per le perenne e risorgente responsabilità francese, i cui contenuti storici e politici stanno diventando insopportabili.
«Scarpe rotte eppur bisogna andar», dicevano gli alpini in Russia. Qualcosa di simile lo dobbiamo dire pure noi per terminare la traversata della steppa, in cerca di un miglioramento sostanziale dell’Europa e dell’Italia.
Domenico Cacopardo

27 mag 2015

Assemblea Regionale e consensi procacciati.

di vincenzo cacopardo
La recente inchiesta giudiziaria del Parlamento siciliano mette ancora a rischio , la già precaria credibilità della politica siciliana.

Si parla di posti di lavoro e di euro distribuiti in previsione di scambi di preferenze elettorali: i nomi di tre deputati eletti in ambigue posizioni politiche fa tanto pensare a come ancora in Sicilia si opera per una politica di comodo e strumentale a propri interessi. Uno di essi è oggi persino presidente della commissione Bilancio dell'Ars, un altro pare avere sfiorato la vittoria al Comune di Palermo.

L'indagine sembra partita dalla Finanza o meglio dal Nucleo speciale di polizia valutaria. Ai domiciliari pure un finanziere ed il caso dovrebbe fare riferimento alle elezioni amministrative dell'anno 2012: In sostanza sembra che il pacchetto di voti che non bastò ad un aspirante consigliere comunale sarebbe stato sfruttato dai altri tre candidati a Palazzo dei Normanni attraverso promesse di denaro e posti di lavoro in cambio di preferenze.

Al di là di questo specifico caso sul quale indaga la procura che dovrà stabilire una verità tra le promesse e lo specifico reato..e prendendo tuttavia spunto da esso, non si può certo non evidenziarsi il metodo costante con il quale la politica (soprattutto in paesi meno sviluppati del territorio del Sud) continui a procedere attraverso le strade poco chiare di scambi di favori ed agevolazioni a scopo di interesse per le preferenze...E questo: sia che il reato sia davvero commesso o se, al contrario, vi siano promesse che inducano ad impedire un corretto indirizzo sull'espressione del voto.

In questa sede, quindi, la mia critica non può che fermarsi ad una valutazione etico politica.. esulando conseguentemente da ogni giudizio giuridico.

La sola idea che nel nostro Paese vi siano ancora figure disposte a vendere il voto in cambio di pochi euro o di un posto di lavoro... non può lasciare indifferenti soprattutto in un mezzogiorno già povero di per sè ed in un'isola come la nostra dove il vuoto politico fa si che tali procedure vengano ormai identificate come le comuni prassi delle quali non si può restare sorpresi: Un sistema abituale che impedisce ormai ogni crescita e che mette in evidenza la figura politica come quella di un qualsiasi procacciatore d'affari in un'attività di intermediazione.

Per quanto riguarda la nostra Sicilia e l'attività politica svolta in un'Assemblea regionale già di per sé assai contestata per i grossi emolumenti ed i vitalizi resi ai deputati, l'attenzione non può che ricadere sul metodo con il quale gli stessi partiti perseverano ad impegnarsi al procacciamento di voti mettendo costantemente poca attenzione alle necessità di una cittadinanza..anzi.. traendo dal singolo bisogno.. l'incentivo per continuare a sottrarre consensi. 

26 mag 2015

Immigrazione..un fenomeno cui porre utili e serie alternative

di vincenzo cacopardo
La Francia , il Regno Unito, la Spagna ed altro otto Stati della comunità sono contro le quote degli immigrati. Un brutto segno per la nostra Nazione che oggi pare lottare solitaria contro un avvenimento che resta di carattere mondiale.

Sappiamo che tanti di questi immigrati sono profughi poichè lasciano il proprio paese a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali. Vi sono però dei distingui.. e cioè.. quelli regolari e quelli irregolari che.. a differenza.. non posseggono alcun permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità competente.
Il migrante irregolare è dunque una persona che è entrata in un Paese straniero evitando i controlli di frontiera o che, avendo un visto scaduto, permane irregolarmente nel territorio che lo ospita...Vi è poi la categoria dei clandestini..ovvero coloro che, pur avendo ricevuto un ordine di espulsione, rimangono nel paese che li accoglie. Dal 2009 la clandestinità è un reato penale.


La condizione di rifugiato è invece definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Dal punto di vista giuridico-amministrativo è una persona cui è riconosciuto lo status di rifugiato perché se tornasse nel proprio paese d’origine potrebbe essere vittima di persecuzioni.


Queste.. in linea di massima.. le varie categorie degli immigrati che oggi persistono nel nostro territorio: Una serie di differenze che determinano una ulteriore difficoltà nel riscontro delle regole per la gestione dei tanti ospiti che cominciano ad invadere in modo eccessivo il nostro Paese. Un avvenimento che pare non trovare tregua e che si sarebbe dovuto prevedere in tempo attraverso una politica internazionale che avrebbe dovuto saper leggere in lungimiranza fenomeni mondiali di tale portata...ponendovi rimedio attraverso uno studio preventivo.

Non era difficile poter comprendere che tale fenomeno avrebbe reso difficile una convivenza con paesi occidentali di diversa cultura e storia: Oggi si parla con troppa facilità di integrazione, non comprendendo che l'avvenimento, in un momento storico in cui l'economia dei paesi occidentali è in grande affanno ed in cui si devono fare i conti con la mancanza di lavoro, si pone come un avversità, sebbene potrebbe portare anche note positive.

Quello che riesce incomprensibile è il fatto che pare sottovalutarsi un fenomeno storico di portata immane che ci coinvolge giorno per giorno e che sembra montare in modo spropositato portando insicurezza in tutto il paese Europa.
Eppure non sarebbe difficile immaginare un impegno da parte di tutte la forze politiche ocidentali europee per un piano da studiare con altri paesi orientali che possa prevedere la ricerca di spazi in territori abbandonati dove ricostruire insieme nuovi paesi e nuove economie. Con uno sforzo interattivo che potrebbe vederci coplici e fattivi nella costruzione di un futuro insieme.

La terra è grande e la popolazione è troppa..ma quello che fa tanto pensare è la cattiva distribuzione e la anomala concentrazione.  

Una analisi di Domenico Cacopardo sulla crisi dell'Occidente

La sensazione è che si stiano scrivendo gli ultimi paragrafi del capitolo che tratterà della crisi dell’Occidente e dell’Europa.
Il panorama internazionale, infatti, denuncia il verificarsi degli effetti dell’inesistente «leadership» americana: il deterioramento dei rapporti Usa-Russia, collegato alla folle idea di trasformare l’Ucraina nella punta avanzata di uno schieramento ostile allo zar di Mosca, rimuovendo, con un «putsch» sostenuto dal movimento neonazista di Kiev, il presidente –regolarmente eletto- Yanukovich per sostituirlo col filoamericano Poroshenko; le contraddizioni insanabili della politica mediorientale, dalla Siria all’Iraq, all’Iran agli Emirati e all’Arabia Saudita. Su questo punto basta ricordare che in Siria, gli Stati Uniti (con Francia e Regno Unito) hanno promosso e sostenuto la rivolta anti-Assad, finanziando, con l’Arabia Saudita e gli Emirati, gli insorti, compresi quelli legati ad Al Qaeda, poi confluiti nell’Isis. Alla fine, cioè oggi, s’è creata una situazione per cui l’America, di fatto sostiene Assad contro i rivoluzionari, terroristi e tagliagole, tra i quali militano 20.000 combattenti occidentali. In Iraq, l’America s’è appoggiata agli sciiti, diventando avversaria dei sunniti, amici di Arabia Saudita ed Emirati. L’esercito iraqeno s’è squagliato, come previsto, e sono rimasti a combattere sul terreno i miliziani iraniani con qualche gruppo locale. L’«appeasement» con l’Iran, in dirittura d’arrivo, aliena le simpatie dell’Islam (sunnita) moderato e amico dell’Occidente, capeggiato dall’Egitto ed esteso alla Tunisia che è in gravi difficoltà, vicina com’è alla fornace libica. Sulla Libia, vogliamo dire qualcosa? Che la colpa, cioè la responsabilità totale, è di Sarkozy (in procinto di tornare in sella a Parigi sostituendo l’imbarazzante Hollande) e di Obama, il primo illuso dall’idea di rimuovere l’Italia e i suoi interessi, prendendo in mano l’economia del Paese, il secondo in cerca di un utopico ampliamento del campo democratico?
Quanto all’Europa, dobbiamo registrarne l’inesistenza politica. Sia nella gestione dei rapporti con la Russia, con la Germania autolesionista schierata nel campo «amerikano», stretta tra la necessità di tenere insieme gli stati satelliti, tutti nemici della Russia, dalla Polonia alla Lettonia, alla Finlandia (che sembra voler mobilitare, nell’attesa di un confronto con i russi) e quella di mantenere una salda «leadership» sull’Unione.
Sia per la questione profughi, per la quale non è stata in grado di definire in tempi accettabili una politica comune, senza distinguo e riserve mentali (nessuno può negare che l’opposizione all’ipotesi in circolazione dei paesi legati alla Germania è un’operazione mandataria, nel senso che, non potendo Berlino dire no, per tanti motivi comprensibili, fa dire no ai suoi amici), subordinate e uscite imprevedibile come quella di Hollande.
Il risultato, dicevamo, è l’inesistenza politica europea e americana. Abbiamo infatti visto come la Russia abbia reagito alle sanzioni occidentali: firmando uno storico accordo economico con la Cina (il più grande mai firmato dalle due nazioni), che ha confinato l’Europa nel ruolo di mesto e impotente spettatore. A margine c’è da ricordare che l’Ucraina è sull’orlo del «default» e che la sua unica via d’uscita è un corposo intervento europeo.
Alle questioni internazionali si aggiungono i problemi interni. Va certificata la gravità della malattia europea, indotta dalle politiche sbagliate di Bruxelles, condotte sulla linea imposta da frau Merkel. È lei il più grande fallimento politico dell’Unione, per l’egemonia tedesca e per il modo in cui s’è realizzata, con la colpevole acquiescenza dei governi nazionali, a partire dall’Italia. Una politica interna (comunitaria) che ha portato povertà e malcontento, e che non prevede in tempi ragionevoli un corposo recupero dell’occupazione, a parte, appunto, la Germania e paesi satelliti. Dobbiamo sapere, per esempio, che ogni problema che si presenta nell’armatura industriale italiana è un’opportunità per quella tedesca.
C’è da dire che anche la Bce meriterebbe una discussione approfondita, senza esclusione per l’era Draghi, tacciato, forse a ragione, di esprimere una visione che è utile soltanto per il mondo della finanza. Le prime indiscrezioni dicono che le banche (anche italiane) registreranno nel 2015 profitti mai visti, mentre la situazione sociale delle nazioni degraderà ulteriormente.
In questo contesto c’è la Grecia che non pagherà le rate del debito in scadenza e la Spagna, nella quale si affermano alle elezioni i movimenti antieuropei. Non aggiungo la parola populisti, perché il clima è proprio cambiato. Una politica europea non equilibrata, distruttiva, non solo ha aggravato la crisi, approfondendone i termini, ma ha contribuito a creare la sensazione di un’Europa oppressiva e persecutrice.
L’esempio greco dimostra che il cambiamento di linea di Tsipras non ha funzionato e che, quindi, s’è aperta una voragine, nella quale precipiterà la Grecia e, con essa, la speranza europea. Se in Spagna la marcia di Podemos continuerà, nonostante il miglioramento del Pil, aspettiamoci una rottura insanabile con Bruxelles.
La verità vera è che se l’Unione non è fertilizzata dal consenso popolare, è destinata a dissolversi con un tonfo i cui effetti economici e politici investiranno tutto il secolo.
Sembra un destino atroce: a cento anni dalla Prima guerra mondiale, l’Europa, almeno con le persone che, attualmente, la dirigono, si trova davanti a una crisi irresolubile, occupazionale, economica e di consenso.
Non ci sono le condizioni per uscirne. Purtroppo, vegeteremo nella stagnazione: si aggraveranno i contrasti infraeuropei e nelle nazioni. La tirannia di Bruxelles sta arrivando al capolinea, con l’Italia impotente e succube.
Domenico Cacopardo