Un appunto al nuovo editoriale di domenico Cacopardo
L'articolo
di Domenico esprime.. in tono chiaro.. le incapacità
di questo governo di porre argine alle enormi calamità che investono
il nostro Paese. Malgrado ciò il consigliere persevera coll'indurre
nuovamente Renzi ad adeguarsi...ma adeguarsi a che? Renzi non sembra
aver mai proseguito verso una fattiva strada in favore di una
crescita economica del nostro Paese ed in realtà si è solo adeguato
ad i dettati espressi da una comunità europea che sembra
infischiarsene dei reali problemi della nostra Nazione.
Le
sconfitte di Renzi , come già messo da tempo in evidenza nel mio Forum, sono
nate prima che lui cominciasse... non solo per il modo con il quale
si è sempre posto con estrema arroganza, ma proprio per il merito
stesso di quelle che ancora oggi vengono definite da qualcuno come
“riforme”: Riformare non significa cambiare in modo generico e
frettoloso, significa soprattutto riorganizzare.. e questo nostro Paese ha
visto in quest'anno solo una corsa verso il tempo ...una frettolosa
opera di semplificazione solo utile ad incorniciare un quadro assai
poco visibile di sviluppo.
Renzi ha
avuto grandi colpi di fortuna : il quantitative Easing, il calo del
prezzo del petrolio, il cambio favorevole con l'estero, l'Expo..ma
con la sua saccenteria ha solo costruito fumo. In quanto alle riforme
costituzionali e la legge elettorale..potremmo vedere presto nel futuro i
gravi danni che porteranno a tutto il sistema istituzionale che di vorrebbe democratico.
Il
richiamo di Domenico al vertice europeo è uno dei motivi di
preoccupazione. La
visita a Berlino del presidente della Banca centrale europea, Mario
Draghi che si e' trattenuto fino a tardi discutendo con la
cancelliera Angela Merkel, con il presidente francese Francois
Hollande, con il presidente della Commissione europea Jean-Claude
Juncker e con la direttrice del Fondo Monetario Internazionale,
Christine Lagarde, aveva l'interesse di trovare una possibile linea
di compromesso per risolvere la crisi del debito di Atene e l'assenza
di un rappresentante del nostro governo, dimostra (oltre che una
chiara disorganizzazione) un insensato disinteresse da parte del
nostro Paese, il quale.. tra l'altro.. pare aver fornito alla Grecia
quasi 50 miliardi di euro durante il governo Monti -(Ancora una nota
con la quale si deve rimarcare il percorso di quel famigerato governo
Monti che da un lato prendeva 50 miliardi di euro in prestito dal
mercato con l'emissione di Btp.. e con disinvoltura tagliava le
pensioni attraverso una mostruosa legge Fornero).
E'
inutile sottolineare quali enormi conseguenze vi sarebbero per il
nostro Paese che con questo buco continuerebbe a mettere in crisi il
suo già precario bilancio. Le conseguenze sarebbero drammatiche
anche per la Bce e lo stesso Draghi che potrebbe rischiare le
dimissioni. Ma al di là di ciò quello che colpisce è proprio il
comportamento di un governo come il nostro resosi manchevole di una
indispensabile presenza e di nuove idee in proposito.
Con
tutto il rispetto per chi vuole oggi proporsi per un cambiamento come
quello voluto dal nostro Premier, e per coloro che lo seguono
decantandone l'impegno, bisognerebbe cercare di comprendere che non è
solo sufficiente cambiare genericamente e semplificativamente, ma è
molto più importante definire il cambiamento attraverso logiche
utili e funzionali che possano vedere in lungimiranza e che non ci
allontanino dagli essenziali principi di una democrazia.
Nelle
utime immagini..durante lo svolgimento delle regionali, il nostro
Premier ha dimostrato di essere sempre più un appassionato
yankee...apparendo in una particolare tuta mimetica tipica dei
marines. Un altro dei suoi gesti comunicativi che continuano ad
incidere solo sull'immagine e che poco risultato rendono al nostro
paese.. se non quello di una chiara ruffianata in favore del paese
americano.. sicuramente amico, ma assai lontano dalle nostre
problematiche mediterranee.
Vincenzo
cacopardo
Scive
Domenico Cacopardo
Dopo
le vittorie, è venuto il tempo delle sconfitte e dei
ridimensionamenti. Parliamo di Matteo Renzi che, dopo un anno
condotto a ritmi, soprattutto comunicazionali, trascinanti, si trova
davanti a una dura realtà che non si piega alle sue esigenze
propagandistiche. È, in queste contingenze, che si può giudicare la
tempra di un «leader».
Lo
«smisurato» «ego», la fiducia in se stesso piena di presunzione,
la mancanza di cultura politica, il provincialismo, il banale cinismo
sono gli elementi che emergono con più evidenza da poco più di un
anno di direzione del governo e del partito.
Il prodotto
sin qui visibile di questo complesso di difetti è stato l’avvio di
un miracoloso processo riformista, pieno di contraddizioni e di
manchevolezze, tuttavia importante per rimettere in modo un Paese
paralitico.
Oggi però,
la dimensione dell’insufficienza e del -speriamo provvisorio- crac
di Renzi è la politica internazionale, soprattutto europea. Non ci
riferiamo all’inesistenza del semestre italiano, passato come passa
una folatina di vento della sera, ma all’assenza sistematica dai
tavoli che contano nei momenti che contano.
Ci
riferiamo al vertice europeo di lunedì 1° giugno, celebrato da frau
Merkel, Hollande, Junker, Lagarde e Draghi, e all’intesa franco
tedesca che l’ha preceduto, rivelata dal settimanale Die Zeit.
Va
ricordato che sabato, a Trento, a margine del convegno economico di
Innocenzo Cipolletta, Renzi, aveva incontrato Valls, primo ministro
francese, e annunciato una specie di asse franco-italiano per
«cambiare verso» all’Europa.
Il senso di
tutto questo non è tanto la nostra irrilevanza europea, che non è
nuova e risale all’uscita di scena di Kohl, Mitterand e Craxi,
quanto l’incapacità del premier italiano e della sua scadentissima
squadra di conoscere tempestivamente ciò che bolle in pentola a
Bruxelles, a Berlino, a Parigi e a Francoforte.
I contenuti
delle intese definite nel vertice di lunedì e nel bilaterale
franco-tedesco sono molto importanti e segnano una strada di
rafforzamento dell’Europa e dei suoi poteri sovranazionali.
Era fatale
e l’abbiamo ricordato tante volte: o l’Unione marcia sulla via
dell’integrazione o si avvita in un processo di dissoluzione.
Quindi, per sopravvivere più Europa, non meno, secondo le
inconsistenti e autolesionistiche tesi delle forze populiste in giro
nell’Eurozona.
C’è da
attendersi per i prossimi mesi l’attuazione della nuova linea di
politica comunitaria: integrazione politica con maggiore
interdipendenza delle politiche; maggiori poteri dell’eurogruppo
(decisione, azione, cogenza); coinvolgimento del Parlamento europeo
nell’adozione di riforme radicali imposte d’ufficio ai paesi
membri. I paesi dell’Unione esterni all’eurozona saranno liberi
di aderire o non aderire ai nuovi sviluppi politici.
In questa
prospettiva, la prima beneficiaria o vittima della rinnovata
iniziativa europea è l’Italia e con essa il suo garrulo primo
ministro. Tutte le formule sin qui adottate, le contorsioni,
l’indifferenza rispetto all’enorme problema del taglio delle
spese, le erogazioni di quattrini, diventeranno in poco tempo quello
che sono: inutili pannicelli caldi da rimuovere a favore di misure
incisive nei confronti delle tante rendite di posizione vigenti e
delle sacche di parassitismo.
Storicamente,
nella testa di coloro che hanno guidato il processo di integrazione
europea, ultimi De Michelis e Carli a Maastricht, c’è sempre stata
l’idea che il vincolo europeo ci avrebbe aiutato a risolvere gli
annosi problemi nazionali, dal debito pubblico, al sistema fiscale,
alla giustizia, alla trasformazione della pubblica Amministrazione da
peso morto a supporto positivo per la vita quotidiana degli italiani.
E anche della recente e gravissima questione «immigrati», nella
quale ci dibattiamo tra incapacità politica e amministrativa e
imbrogli, il vero elemento, quest’ultimo, di congiunzione tra il
fenomeno e la criminalità interna e internazionale, che impedisce,
per inconfessabili motivi, la svolta più volte annunciata.
Il governo
riformista di Renzi è passato su questi specifici punti come una
piuma d’oca passa sulla pelle di un paziente. Per difficoltà
oggettive e per totale incapacità del personale politico addetto.
Ora,
unitamente al calo di ruolo internazionale dell’Italia, vedremo un
calo di peso interno del governo, che sarà costretto ad attuare
politiche più determinate ed efficaci decise altrove, nella sede
sovranazionale di cui siamo fondatori.
Nonostante
i mal di pancia di Grillo e dei suoi grullini, di Salvini e delle sue
truppe e dell’inconsistente coacervo di particelle della sinistra
(pensavamo, sbagliando, che con la rielezione l’insopportabile
Vendola sarebbe finalmente scomparso dai nostri schermi quotidiani),
la maggiore presenza dell’Europa dovrebbe esserci utile, sia in
termini di razionalizzazione del sistema, sia in termini di
possibilità di ripresa (e di lotta alla disoccupazione).
A una sola
condizione: che il governo, da chiunque diretto, si attesti su una
linea del Piave e si mostri pronto a difenderla a costo di minacciare
l’uscita dall’Unione. La linea della tutela dell’apparato
industriale italiano, costantemente minacciato dalla superpotenza
egemone, la Germania, e di una politica industriale gelosa degli
interessi nazionali, si tratti della siderurgia, della gomma e
dell’energia.
I basilari
della nostra esistenza come soggetto partecipe del Wto non possono
essere messi in discussione.
Renzi dovrà
rapidamente adeguarsi. Altrimenti sarà iscritto nella storia come
un’impalpabile meteora durata l’«espace d’un matin».
Domenico
Cacopardo