10 lug 2013

Un commento sulla nuova enciclica "Lumen Fidei"

Nello scorrere della lettura della nuova Enciclica costituita da ottantadue pagine scritte a quattro mani, si intuisce la forte presenza del profondo pensiero dell’emerito Papa Benedetto XVI. Malgrado la firma autografa di Francesco, Pontefice regnante, si riconosce l’accento del Papa teologo che aveva quasi completato una prima stesura di Lettera Enciclica sulla fede.
Ed è lo stesso papa Bergoglio ad affermare, senza alcun indugio, la sua profonda gratitudine a Ratzinger..Papa Francesco ci informa che, assumendo il suo prezioso lavoro, è riuscito ad aggiungere al testo ulteriori contributi.
Ancora un nuovo episodio epocale giacchè mai si erano incontrati nel contempo due Papi e mai contribuendo assieme alla stesura di una simile Enciclica

La “luce della fede” è suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione. Lo stesso Pontefice ci spiega che si aggiunge alle Encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza, assumendo così, il “prezioso lavoro” compiuto precedentemente dal Papa emerito. A questa “prima stesura” ora il Santo Padre Francesco aggiunge “ulteriori contributi”.

Ma qual è lo scopo…quali le motivazioni che hanno portato a questo documento? Se non quelle di voler indicare.. nella fede, una luce capace di accendere l’esistenza dell’uomo in terra: Essere di aiuto per l’umanità affinchè si possa meglio identificare una distinzione fra ciò che rappresenta il bene e ciò che identifica il male. Un messaggio che, nel mondo contemporaneo, si avverte in modo particolare. Un’epoca nella quale sembra essersi persa anche la speranza sul futuro di noi stessi.
Da molti, la fede è oggi vista come un’illusione…un passo verso il buio. La Lettera vuole spingere ad una riflessione profonda poichè non intende identificare la fede come naturale presupposto scontato, ma come un dono voluto che andrebbe protetto e fortificato.

Nella lettura son rimasto attratto dal riferimento sulla storia di Israele, dove si pone la distinzione tra la fede e l’idolatria: Quell’adorazione degli idoli pagani che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri, ove si specifica che: “ lo disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli di attendere il tempo della promessa. 

Anche se in modo diverso, vi è un preciso legame con ciò che tende oggi a proliferare! 

Al contrario di chi tendeva a disperdersi nell’idolatria, chi aveva fede nell’amore di Dio che accoglieva  e perdonava, si affidava ad un dono gratuito ed alla sua misericordia…scorgendo un luminoso cammino verso la salvezza. Questo cammino da sempre tende a rendere stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli.
Nell’enciclica si sottolinea che l’amore di Dio è il fondamento della fede: “nella contemplazione della morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza”, perché Egli vi rivela il suo amore incrollabile per l’uomo: Cristo, in quanto risorto, rappresenta un testimone attendibile ed affidabile.
La fede...quindi..non guarda solo alla figura di Cristo, ma vede dai suoi occhi. Il figlio di Dio ci spiega chi è Dio e noi ci affidiamo a chi, più  competente, ci guida. La sua incarnazione, infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà, ma ci aiuti a coglierne il significato più profondo. Nell’Enciclica viene specificato come, grazie alla fede, l’uomo si salva, perché si apre ad un Amore che lo precede e lo trasforma dall’interno.

Ma l’aspetto interessante rimane il riferimento all’idolatria, per la quale si scorge ancora oggi una certa attrazione. Sebbene quella del mondo contemporaneo potrebbe essere comparata più ad un’“esaltazione” verso alcune figure, non cambia di certo il punto di vista di chi vi scorge un deprecabile desiderio tendente ad osannare e mitizzare.

L’esaltazione odierna, (come l’idolatria nel passato), non può che opporsi al concetto di fede cristiana, come non può di certo essere utile  per la crescita sociale di ogni comunità. Quindi, il principio della fede su questo punto, non potrebbe che aiutare un certo processo sociale e politico, in quanto, contrapponendosi a quella adorazione innaturale, rende l’uomo più consapevole e disponibile ad un indispensabile amore per l’umanità.

Le precedenti Encicliche sulla carità e sulla speranza non potrebbero mai essere slegate da questa ulteriore Lettera sulla fede. Quella fede alla quale i due Pontefici fanno riferimento, altro non può essere che una speranza alla quale l’uomo deve affidarsi per poter dare un senso alla propria vita e la carità vuole rappresentarne il mezzo per arrivarvi. All’uomo che soffre.. Dio non dona un ragionamento,  ma offre la sua presenza che apre una luce nelle tenebre. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza.

Anche per questo pare opportuna la chiusura della Lettera  in riferimento alla Beata Maria che ha sempre creduto malgrado le sue sofferenze, il Papa invita a guardare a Maria come l’“icona perfetta” della fede, perché, in quanto Madre di Gesù, ha concepito fede e gioia, ma ha anche vissuto nel dolore e nella speranza.

Malgrado il mio essere agnostico e le tante perplessità in proposito, riesco a trovare un senso  a questa fede cristiana cosi bene evidenziata… da definirla quasi come un “valore sociale” indispensabile per il futuro del mondo odierno.

L’uno attraverso la particolare profondità della mente…l’altro con l’uso dell’umiltà e  lo spiccato amore verso il prossimo, questi due Pastori della Chiesa, rappresentano oggi l’espressione di ciò che in noi stessi vive ed esiste. La ragione ed il sentimento…la mente ed il cuore…che sono spesso stati contrapposti e condizionanti nella storia dell’uomo, ma sono i doni importanti che devono trovare un equilibrio al fine di non scontrarsi reciprocamente e nella speranza di un riscontro con un futuro migliore: 
I due Pontefici ne rappresentano oggi una chiara espressione.

vcacopardo

9 lug 2013

l'ottimismo di Letta nella difficile ricerca del sistema elettorale

Il presidente del Consiglio Enrico Letta dichiara  che 'Il Porcellum è un monstrum che non garantisce rappresentanza ed alcuna governabilità. Un inefficace sistema a rischio di incostituzionalità, che va superato al più presto”
Letta continua affermando che "non dobbiamo cercare scorciatoie e cadere nell'errore di considerare la legge elettorale la causa unica di tutti i mali della politica italiana".  Paragona il sistema elettorale ad un abito sgualcito su di un corpo inadeguato che mostra pesantezza e carenze rispetto alle avvenute trasformazioni della società italiana
Il suo pensiero è rivolto a tutto il sistema politico.. al bicameralismo paretario ed al numero eccessivo dei parlamentari che ingessano una democrazia determinante e decisiva".
Un caos ingenerato anzitutto da un sistema non all'altezza delle sfide con le quali un paese come l'Italia deve oggi misurarsi.
Il presidente Letta prosegue.. soffermandosi sul ventennio di un bipolarismo muscolare e inconcludente che ha inibito le necessarie riforme. Riferendosi all’attuale governo asserisce che "il momento politico-istituzionale può portare  un approccio diverso, meno bellicoso, al confronto tra parti. Un governo che riunisce esponenti di formazioni che negli scorsi anni si sono fronteggiate aspramente, senza produrre nel complesso un gran bello spettacolo. Colpa dei nostri limiti, ma anche delle regole del gioco e del contesto nel quale si è svolto il confronto: un impianto costituzionale architettonicamente splendido, ma da ammodernare, un po' come certi nostri stadi".
Continua con una metafora calcistica "di rizollare un terreno di gioco appesantito da troppe battaglie e di regole che favoriscano la fluidità del confronto e la certezza del risultato".
Al di là delle metafore, già da tempo..ampiamente proposte nei miei post…si scorge in queste esternazioni, la mia ripetuta e precisa critica alla funzionalità del sistema istituzionale colpevole dei profondi limiti a cui fa riferimento il Presidente del Consiglio.
I limiti e le regole (di quello che per me non appare affatto un gioco) sono il risultato chiaro di un confronto che si è inasprito a causa di un bipolarismo malato che si è voluto a tutti i costi senza una base storico culturale che avrebbe dovuto funzionare come solida base di’appoggio. Limiti imposti da una cultura moderata che difficilmente avrebbe potuto accettare il repentino cambio al nuovo sistema, poichè aveva visto un Paese formarsi su una forte politica democristiana da oltre cinquant’anni.
Oggi..il Presidente dichiara di essere molto fiducioso sul futuro “perché abbiamo un largo consenso nel Parlamento e nel Paese ed uno dei punti principali del nostro lavoro è quello di mirare alla riforma della politica italiana”

Parlare di riforme..però..in una situazione che vede oggi al Governo due forze politiche ideologicamente contrapposte è anche un non senso.Quali riforme produttive in favore del Paese potranno mai venire fuori? Nel coacervo di visioni e di utopie... si esprimeranno continue discussioni e perdite di tempo che rischieranno di penalizzare una sana crescita.
vincenzo cacopardo
Post correlato: Il coraggio di cambiare

8 lug 2013

La “polis” e la visione ristretta del “modus administrandi”

di vincenzo cacopardo
Sono sempre più' convinto che la politica debba essere considerata come una dottrina che operi in favore della società: Il sapere e la conoscenza di chi sa mettersi a disposizione della comunità per la soluzione funzionale delle esigenze di tutti.
Sappiamo bene che la prima definizione di "politica" (dal greco πολιτικος, politikós) risale ad Aristotele ed è legata al termine "polis". Un termine che in greco significa città e che secondo il filosofo, assumeva il significato di amministrazione della "polis" per il bene di tutti.
Successivamente…per il sociologo, filosofo e storico tedesco Max Weber… la politica è sempre stata legata al potere e quindi anche al monopolio legittimo dell'uso della forza. Infine..per l’odierno politologo Giovanni Sartori, la politica è rappresentata da una sfera delle decisioni sovrane della collettività. Al di là di ogni definizione, la politica in senso generale, riguarda tutti i soggetti inseriti in una società e non può essere di pertinenza solo di coloro che vi operano attivamente.
Definire la politica nel riduttivo senso dell’“amministrare” per il bene di tutti è, oltre che demagogico, limitativo e poco utile per lo stesso scopo che essa dovrebbe prefiggersi. In più…quel concetto di “polis” Aristotelica riferita alla amministrazione cittadina…risulta restrittiva e poco utile.. quando la si paragona alla politica condotta da uno Stato che, in un ambito molto più vasto, dovrebbe seguire le esigenze e le funzioni istituzionali connesse al grande territorio (ciò vale ancora di più oggi, in considerazione del fatto che un sindaco siede al comando del governo di un intero Paese).
Se, ancora oggi, noi restiamo fermi ai principi di una politica come “amministrazione della polis”, non comprendendo l’importanza strategica di una visione più "funzionale" e globale che deve  svolgere nell’intero Paese, resteremo in una logica ristretta che non ci permetterà di operare con maggiore interazione in ogni dibattito Europeo.
L’altro aspetto importante è quello determinato dal predominante significato che si tende a dare alla politica e cioè: quello  limitato alla sola  “amministrazione del bene di tutti”.
La politica non può solo avere un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza nell'esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo costruttivo della società.
Ecco, perciò, la determinazione dei due ruoli (“induttivi” e  “deduttivi”). Ruoli che, per scopo ed esigenza, definiscono due strade diverse  al fine di raggiungere un unico percorso costruttivo in relazione alla definizione di una “politica” che si vorrebbe utile e funzionale. 
Ed ecco anche la ragione per la quale sarà sempre più insensato seguire un principio della politica circoscritto al puro ambito amministrativo: Una logica che porta ad una consequenziale  determinazione di principi senza un positivo riscontro con i valori.
Se oggi.. è importante interagire con gli Stati della Comunità Europea…non è nemmeno pensabile che si possa farlo solo in un ristretto ambito amministrativo..Il ruolo induttivo della ricerca e delle idee risulta essenziale e, persino, propedeutico ad un funzionale “modus operandi”.
Guardare ad un futuro della politica significa indicare percorsi più attinenti affinchè si possa definire una logica strada intesa come percorso secondo il quale, il dialogo, la cultura e le idee, devono avere un’importanza predominante sulla evoluzione stessa di ogni formula amministrativa.
                         Lo spirito della democrazia

L’"autoritarismo" che nuoce alla politica


Bebbe Grillo e Silvio Berlusconi hanno in comune un aspetto rappresentato dal forte autoritarismo al quale si aggrappano.. ben sapendo  quale forte presa, questo, può avere nei confronti dei tanti cittadini insicuri e preoccupati dalla pesante situazione economica esistente nel Paese.
Si evidenzia tuttavia una diversità sul “modus operandi” delle due figure che vede da un lato un Berlusconi personalità pragmatica, irriducibile e tenace, voler procedere verso la solita comunicazione capziosa tendente ad ostentare un ottimistico futuro per tutti…e dall’altro un comico.. improvvisatosi politico, che avrebbe dovuto costruire il nuovo cambiamento attraverso maggior metodo e senza posizioni assolute che oggi tendono a polverizzare un Movimento creato in modo assai approssimativo.  
In ambedue i personaggi primeggia un forte assolutismo ed un autoritarismo quasi surreale che condiziona in modo inequivocabile ogni dialogo con i partecipanti che vi aderiscono. Ma quello che colpisce è sicuramente l’atteggiamento di subordinazione di tutti coloro che… seguendo con ostinazione tali processi pseudopolitici  fortemente dispotici… finiscono col "gratificarsene"... identificandosi similmente ad un gregge soddisfatto dal misero pascolo in cui li conduce il loro supremo ed unico pastore.
Berlusconi continua provocando col solito metodo aderente al passato sistema, e (con scarsa fantasia) ripropone la rinascita ed il percorso di un partito..mentre Grillo…che con opportunità e coraggio, ha avuto almeno il merito di rompere il muro dell’inconcludente bipolarismo, non sembra affatto capace di promuovere e portare avanti idee concrete .
Di certo...ambedue le figure...col profondo autoritarismo del loro modo di proporsi ed esprimersi…non dimostrano di essere utili al futuro politico del nostro Paese e non sembrano capaci di costruire il necessario dialogo equilibrato di cui si avrebbe oggi bisogno.
vincenzo Cacopardo

                         Partiti nell'attesa di un nuovo profeta

Un commento di Alberto Cacopardo


BIVI FATALI E FUOCO TRA LE CENERI di Alberto Cacopardo
 Se nel mio blog non parlo di politica ormai da tanti mesi, non è certo per mancanza di cose da dire. Al contrario, semmai, è per l’eccesso di pensieri e di emozioni suscitati dall’evolversi di una situazione politica che, a livello nazionale e internazionale, dovrebbe indurre qualsiasi mente che non sia distratta o ottenebrata ad oscillare fra abissi di devastata desolazione e culmini di vertiginosa indignazione.
Sul piano internazionale, alimenta la desolazione constatare come, con tutti questi anni di crisi artificiale, non si sia minimamente provveduto ad intaccare quei diabolici meccanismi dei mercati finanziari che ne sono stati la causa prima e lo strumento, mentre ci si affanna a litigare sulle loro conseguenze come se alle cause non ci fosse rimedio possibile. Alimenta la più ardente indignazione, dall’altra parte, vedere un Medio Oriente devastato dal conflitto e dall’odio, dall’arroganza cieca di vecchi e di nuovi poteri, dalla sete di sangue di chi ad essi si è opposto e si oppone, sotto lo sguardo segretamente compiaciuto delle solite potenze occidentali che apertamente (poco) o di nascosto (molto) tirano le file di un dramma da cui ciecamente si credono tanto più sicuramente destinate ad uscire vincitrici, quanto più selvaggiamente infuriano i conflitti e l’odio. La Siria in fiamme e il suo futuro un incubo, l’Egitto in bilico fra speranze quasi prive di speranza e disperazioni senza quasi via d’uscita, la Libia in mano a bande d’assassini. 
Sul piano nazionale, il dramma è più soffuso e vellutato: dal vicolo cieco delle ultime elezioni, siamo usciti su un vasto stradone che non si sa dove possa portarci se non ci porterà alla catastrofe. Riguardando con un certo distacco agli eventi degli ultimi due anni, sembra di scorgere una successione di bivi fatali in cui sempre si è imboccata la strada sbagliata.
Nel novembre 2011, Berlusconi è alle corde dopo lo scandalo Ruby e tutti gli altri misfatti. Sembra che il paese stia per liberarsi per sempre da quella pesantissima ipoteca che grava da vent’anni sul suo destino: e cosa fa Napolitano? Invece di sciogliere le camere e andare dritto dritto alle elezioni, mette su il governo Monti. All’epoca, quando Rosy Bindi annunciò in televisione quell’intento, definii la prospettiva un vero incubo. Ora che, con bel costume italo-americano, tutti danno addosso al perdente, sarebbe facile vantarsene. Non lo farò. Dovetti ricredermi. Forse, fatte le elezioni a dicembre e levato di mezzo Berlusconi, le cose sarebbero andate in effetti un po’ meglio. Ma il fatto è che Monti se la cavò egregiamente in quella “impresa difficilissima”, riuscì a ridurre quasi al minimo i danni imposti dai potentati politico-finanziari internazionali che tanto se l’erano coccolato e poi, al momento di decidere che fare davanti alle elezioni, cosa fece? Invece di starsene tranquillo al di fuori della mischia guadagnandoci in prestigio e prospettive d’impiego, si presentò al giudizio popolare con la faccia di chi ha fatto tutti i danni.
Uno dei più grossi problemi della democrazia risiede nel fatto che le qualità necessarie per governare non hanno proprio nulla a che fare con le qualità necessarie per vincere le elezioni. (E qui, dato che appunto sto leggendo Proust, posso permettermi di aprire una parentesi: Renzi, per esempio, ha ben poche qualità per governare e ancor meno per innovare, essendosi fermato a Tony Blair, ma ne ha diverse di quelle che servono per farsi eleggere, anche se non all’altezza di Berlusconi, mancandogli, per esempio, tre televisioni, le quali solo secondo D’Alema, un altro che ha sempre capito ben poco, non sono poi qualità così importanti). Monti, comunque, ha qualcosina delle prime, nulla del tutto delle seconde. Credevo che avesse l’intelligenza per capirlo da solo, invece dimostrò di no. Montagne di voti che sarebbero potute andare almeno al centro andarono a finire a Berlusconi. E questo fu il secondo bivio.
Il terzo bivio l’ha trovato Grillo. Poteva astutamente raccogliere i frutti della sua fortunatissima campagna sostenendo un governo Bersani da condizionare con peso determinante in direzioni magari altamente positive: e invece si è messo a fare soltanto capricci e bisticci penosi. Buon pro gli faccia, dicono i suoi fan.
Al quarto bivio ritroviamo Napolitano, quel grande maestro delle strade sbagliate. Dopo aver en passant gettato nel fango la dignità dell’Italia ricevendo con tutti gli onori al Quirinale gli autori di un omicidio quanto meno colposo, che avevano comunque commesso l’idiozia più grossa della loro vita (i due cosiddetti marò, per chi non l’avesse capito); dopo aver perso l’occasione di tacere quando Schultz commentò signorilmente le elezioni italiane indicando con lieve imprecisione il mestiere di Grillo e con troppa benevolenza le colpe di Berlusconi (la storia dei due clown, ricorderete), avrebbe potuto avere uno scatto di quella fantasia che gli è sempre mancata dando l’incarico a Grillo. Lo avrebbe cacciato in un bel guaio, ma forse valeva la pena di provare. Grillo può forse fare tanti danni, ma mai di certo quanto Berlusconi.  
Ma questo Napolitano non lo capisce. A lui Berlusconi sembra una cosa normale, un brav’uomo di centro-destra che non si deve disturbare più di tanto, mica quell’aspirante despota di destra estrema che è ed è sempre stato. Grillo, invece. per lui è solo un clown. Così l’amato presidente ha fatto esattamente quello che gli chiedeva il despota mancato: ma non prima di aver sbagliato strada al quinto bivio. Quello dove avrebbe potuto tranquillamente lasciare che il parlamento andasse alla sedicesima votazione, come per Scalfaro e Pertini, o alla ventunesima, come fu per Saragat, o alla ventitreesima, come per Leone. Poteva uscirne un presidente eletto dal Pd, da Vendola e da Grillo, finalmente un uomo contro Berlusconi. Invece no. Bisognava proclamare l’emergenza nazionale alla sesta votazione, additare lo sfacelo del Pd, come se la Dc fosse in sfacelo quando si accoltellavano i suoi capi per far fuori Andreotti o Forlani. Non c’è salvezza senza Berlusconi! Solo Napolitano l’ha capito! Un coro di ottenebrati e di furfanti si levò nel profondo della notte. L’amato presidente poteva veramente fare a meno di prestarsi a quel gioco desolante.
E invece no, si è sacrificato, poverino. E il bello è che si è sacrificato davvero, perché non aveva proprio nessun desiderio di rischiare di morire al Quirinale. La cosa più triste è che non c’è stata ombra di arroganza o di ambizione o di attaccamento al potere in questa scelta di Napolitano: c’è stata solo l’incapacità di comprendere. Di comprendere, in particolare, che cosa rappresenti Berlusconi.
E così ci ritroviamo col governo Letta, dopo aver sbagliato strada al sesto bivio, sempre grazie al vigile Napolitano, conclamato salvatore della patria. Perché al sesto bivio si doveva scegliere: o fare un governo d’emergenza, con l’unico proposito di fronteggiare la crisi finanziaria e andare alle nuove elezioni dopo la riforma elettorale, oppure fare un pateracchio spaventoso, infilando fra gli improbabili propositi una bella riforma costituzionale, di cui nessuno sentiva il bisogno se non Berlusconi e i suoi ciechi aiutanti del Pd. Diretta a rafforzare i poteri del governo, incatenare l’odiato parlamento, e mettere il potere nelle mani di chi ha tutte le qualità per farsi eleggere, fra cui le sue belle televisioni, e nessuna di quelle che servono per governare secondo i principi di uguaglianza, fratellanza e libertà proclamati due secoli or sono dalle menti migliori dell’Occidente e consacrati nella nostra Costituzione. E tutto ciò col beneplacito di Renzi, che forse sogna di fare lui il despotino, senza accorgersi che gli manca qualcosa, e non solo le tre televisioni.
Ce n’è abbastanza per parecchia desolazione. E magari per un  po’ d’indignazione, se non siamo del tutto ottenebrati. Ma attenti: c’è fuoco sotto le ceneri, non disperiamo, questa riforma non andrà lontano, questi signori non l’avranno vinta.


7 lug 2013

Renzi..il PD.. ed i ruoli della politica

Matteo Renzi sembra manifestare impazienza…non vuole farsi impallinare dai grandi vecchi capicorrente del Pd. Asserisce che tutti gli promettono la candidatura a premier…. consigliandogli, con una certa ipocrisia, di stare calmo. 
Persino da Massimo D'Alema, pare essere arrivato un nuovo e durissimo affondo: -“Matteo passi il turno e scenda in campo solo quando si scegliera' il candidato per Palazzo Chigi”. D’Alema continua:- "Aspetti le primarie per il leader del centrosinistra e ci consenta adesso di eleggere il segretario del partito, altrimenti rischiamo di logorare un buon candidato e di prendere un cattivo segretario".
Un consiglio che Renzi difficilmente potrà accogliere.. ricordando che già da parecchio tempo ha chiesto ai vertici del Partito di indicare una precisa data per il congresso. Nel Pd insistono che lui dovrebbe immedesimarsi di più sui problemi del Paese senza giocare con le alchimie delle regole.
 Anche sul fronte bersaniano non sono tanto piaciute le provocazioni del giovane Renzi e qualcuno ha affermato che appare assai strano sentir parlare di una necessità di superare le correnti da parte di chi una sua corrente l’ha di sicuro creata solida ed estesa: “Se questo Partito non lo convince…che si sfili e non pensi mai di poter usare il Pd per arrivare a palazzo Chigi.”
Sono parole dure che suonano come un monito.. che vedono da una parte i vecchi leoni in difesa di una inviolabile roccaforte e dall’altro una giovane forza che ravvisa questi vecchi capicorrente come degli incapaci per l’innovazione di un Partito.
Ma una cosa è certa: le parole di D’Alema suonano..non casualmente.. come un segnale che sembra mettere un deciso punto nel processo degli stessi ruoli della politica e che evidenzia, in qualche misura, l’importanza di non condizionare l’iter della politica di un Partito con l’esigenza di un ruolo governativo…Sono un richiamo alle diverse esigenze che portano ad un più deciso percorso di separazione anche in termini di “carriere”.
Sono in molti a pensare che Renzi non può mai sperare di usare il Pd come trampolino di lancio per una sua incoronazione governativa..e che se vorrà farlo, dovrà comunque essere più convincente in senso dialettico all’interno del suo stesso Partito.


Questo ulteriore episodio rafforza la mia percezione sulla divisione netta dei ruoli che sembra prendere ogni giorno più consistenza. 
vincenzo cacopardo
post correlati:   il coraggio di cambiare

                 Studio e ricerca dei ruoli

5 lug 2013

un commento di Domenico Cacopardo

IN PRINCIPIO ERA LA FORZA
di domenico Cacopardo

 Confermando l’assenza di ogni strategia (manca molto all’Amministrazione americana un personaggio come Hillary Clinton sostituita dallo scialbo gaffeur Kerry), Barak Obama in Egitto ha cambiato di nuovo politica: prima con Mubarak, poi contro Mubarak, poi con Morsi (al quale ha telefonato ancora tre giorni fa invitandolo a resistere e ad aprire un dialogo con Tamarud, il movimento popolare antiMorsi, infine non si sa bene con chi). Per gli Stati Uniti si tratta di una perdita totale di credibilità.
Approfondiamo la questione generale di cui ci occupiamo.
Alle origini dominava la forza. Uomini più deboli si unirono per far fronte, con il numero, a uomini più potenti.
I campioni della real-politik, da Pericle a De Gaulle, hanno sempre saputo che è la forza a dominare i rapporti tra le nazioni, a dispetto di tanti buoni spiriti che pensano ad altre ragioni, dalla religione all’ideologia. Certo, la forza di cui parliamo è un concetto complesso che ingloba l’economia, la società e la sua coesione, l’efficacia dello strumento militare, le alleanze. Stringi, stringi, però è lo strumento militare che regola, ancora oggi, come duemila anni fa, le relazioni tra gli stati.
Questo ragionamento era necessario, dato che ci occupiamo di Barak Obama e del brutto momento internazionale degli Stati Uniti. Di questi tempi il mondo è dominato da tre paesi principali. Mi riferisco, naturalmente, agli Stati Uniti, alla Russia e alla Cina.
Qui sorge il primo problema: possono i governanti di queste nazioni, designati ed eletti in vari modi, determinare il destino del resto del mondo?
Lo possono, visto il criterio che ancora regola i rapporti internazionali. Le Nazioni Unite non riescono a essere il soggetto regolatore immaginato nel 1945 e possono occuparsi efficacemente soltanto di questioni marginali.
L’Europa, il nostro sogno irrealizzato, era nata, fra l’altro, proprio per porre tra le due potenze dominanti, Usa e Urss, un terzo soggetto di pari peso.
Per la parte occidentale, quindi, speciali responsabilità incombono sul presidente degli Stati Uniti d’America. Eletto in virtù di una grande capacità comunicativa (una sommatoria di J. F. Kennedy, papa Wojtyla e Berlusconi) , Obama ha dimostrato che non basta la capacità di galvanizzare la gente per essere capaci di governare.
Le difficoltà americane sono particolarmente evidenti nella politica internazionale e nello scenario mediterraneo.
Quattro anni fa vigeva un sistema di equilibri che impediva ai fondamentalisti islamici di prevalere. Il prezzo era la mancanza di democrazia e la diffusa corruzione dei governi. Era inevitabile che i regimi egiziano, libico e tunisino crollassero. Ma non era inevitabile che gli Stati Uniti (e l’Europa al seguito) si infilassero in una trasformazione che ha portato la Libia e parte della Tunisia a essere territorio privilegiato di Al Qaeda, e l’Egitto a finire, ormai non più (sino a quando?), nelle mani dei Fratelli musulmani. Le vicende di questi mesi in Egitto dimostrerebbero che una grande nazione laica non può essere ristretta nel recinto di un progetto politico-religioso integralista e confermerebbero i dubbi sulla compatibilità tra democrazia e Islam.
Nello sconcerto attuale, l’impressione è che gli Stati Uniti non sappiano che pesci prendere. Non hanno, però, scelta: il regime militare deve essere appoggiato e spinto verso una rapida ricostruzione democratica.
Sullo sfondo, il pasticcio siriano, colpo finale a una politica incerta e incapace di tutelare gli interessi della lotta al terrorismo, visto che là viene sostenuto uno schieramento comprendente Al Qaeda e centinaia di suoi militanti, specialmente ceceni.
Tutto questo accade a poche miglia dall’Italia.

Anni fa, Muhammar Gheddafi ci lanciò contro alcuni missili. Caddero in mare in prossimità di Lampedusa. Ricordiamocelo.

4 lug 2013

L’annuncio della prima enciclica di Papa Francesco


Il buon padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, ci informa che la prima enciclica di papa Francesco si intitolerà "Lumen Fidei" e verrà pubblicata il prossimo 5 luglio.
Verrà presentata in sala stampa dal cardinale Marc Oullet, prefetto della Congregazione dei vescovi, da mons. Gerhard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
Una enciclica sulla fede alla quale stava lavorando anche Papa Ratzinger, prima della rinuncia al pontificato. Venerdì si saprà come e in che misura papa Francesco recepirà il lavoro del predecessore sull’ argomento della fede.
"La luce della fede" verrà pubblicata a tempo di record. Si tratta di un testo che il Pontefice ha elaborato sulla base degli appunti estesi consegnatigli personalmente dal suo predecessore emerito e che andrà a completare la trilogia di Encicliche, dopo la Deus caritas est del 25 gennaio 2006, e la Spe salvi del 30 novembre 2007, dedicata alle tre virtù teologali. 
Restiamo dunque in attesa di questo interessante documento che porrà l’attenzione sulla più complessa esegesi dell’umanità, e che rimane un fondamentale pilastro per la religione cristiana.
vincenzo cacopardo

2 lug 2013

La strenua difesa della On. Santanchè.


Sembra che Daniela Santanchè..donna dal forte temperamento.. inseritasi quasi casualmente in politica, voglia a tutti i costi sedere alla Camera nel ruolo di vicepresidente..
La sua società Visibilia, fondata nel 2007, è concessionaria della raccolta della pubblicità de Il Giornale di Paolo Berlusconi ed in precedenza anche concessionaria di Libero ed il Riformista. La Santanchè è stata anche in società con Flavio Briatore, Lele Mora nel locale di Porto Cervo Billionaire ed è socia delTwiga a Forte dei Marmi
Tutto ciò non definisce, né qualifica il personaggio ma, in qualche modo, potrebbe giustificare la strenua difesa ad ogni cattiva condotta di Silvio Berlusconi.
Si può…però, con assoluto rispetto criticare questo tenace sostegno alla impostazione della vita politica del Cavaliere…ricordando alla imprenditrice dedita alla politica, al di là di ogni marcato principio di libertà (al quale  fa spesso riferimento mettendolo in relazione con la democrazia del nostro Paese), che tale libertà.. non potrebbe mai essere concessa a chi assume un ruolo di alta responsabilità politica. Al contrario di come, nel pieno rispetto democratico, può essere tollerato per un normale cittadino.  
Il desiderio della Santanchè di voler vivere in un Paese dove la libertà si possa esprimere senza controlli o senza vincoli è sicuramente demagogica.. quando questa la si volesse collegare a certe figure di alta responsabilità istituzionale che non potrebbero mai rendersi ricattabili e poco garanti per la Nazione.
Strano che chi.. come la Santanchè..aspirando ad un posto istituzionale come quello della vicepresidenza dalla Camera, non si renda conto di queste evidenti contraddizioni che potrebbero generare grande insicurezza a quello stesso Paese che lei vorrebbe libero e democratico.
Si può mai rischiare la sicurezza di un Paese per dare  sfogo a qualsiasi forma di libertà?
vincenzo cacopardo

1 lug 2013

Un commento all'editoriale DI ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA sul corriere della sera

Nel suo editoriale “La bulimia del candidato” Ernesto Galli della Loggia apre l’articolo  scrivendo: “Sei mesi fa l'Italia era completamente innamorata di Matteo Renzi: con lui il Pd avrebbe di sicuro vinto le elezioni alla grande. Ma pure oggi, e anche domani, egli rappresenterebbe un candidato di certo fortissimo in qualunque nuova elezione. Le cause della popolarità del sindaco di Firenze sono notissime. All'Italia vecchia e immobile del sempre eguale, all'Italia dell'insipida chiacchiera politica per addetti ai lavori, dell'arabesco concettuale avvitato su se stesso, egli contrappone con la sua figura un Paese giovane, voglioso di muoversi e di mettere nuovamente alla prova le proprie energie, di tentare vie nuove. Che parla senza usare mezze parole. Certo: egli è anche uno portato ad andare a volte oltre il segno, a mostrare un po' troppa disinvoltura e ambizione, a strafare e magari anche un po' a straparlare. Ma al quale tutto si può perdonare grazie a quanto di positivo e di nuovo rappresenta. Perché alla fine, per la maggioranza degli italiani Renzi è questo: la promessa di un cambio di passo, di una rottura, di una reale diversità; una ventata di aria fresca. Per un Paese in crisi non è davvero poco.”

Più avanti sottolinea che: Pur nell'ipotesi che riuscisse a fare il segretario e si andasse entro breve tempo - diciamo un anno - alle elezioni, Renzi, tra l'altro, si troverebbe davanti a un'alternativa comunque scomodissima: o fare la campagna elettorale alla testa di un partito ancora pieno di Rosy Bindi, di Finocchiaro, di Cuperlo e compagnia bella, e magari con un D'Alema passato inopinatamente dal ruolo di Grande Rottamato a quello di Lord Protettore, dunque un partito che sarebbe la smentita vivente di ciò che invece è il suo segretario.”
Queste valutazioni espresse con chiarezza, non fanno che avvalorare alcune tesi circa il carattere e le ambizioni del giovane politico a cui, in tanti.. nel nostro Paese, si affiderebbero. Un carattere che sembrerebbe mostrare la natura di un personaggio più divo e arrivista che predisposto con passione alla costruzione di una politica davvero innovativa. In tanti potrebbero nutrire seri dubbi, non certo sulla preparazione del politico, ma sull’ambizioso carattere e sul metodo con cui Matteo Renzi affronta il tema della politica odierna e cioè...non traducendo questa brama nei fatti…non staccandosi definitivamente da un vecchio Partito e rendendosi più autonomo attraverso un preciso progetto politico anteposto al disegno, sicuramente più temerario, di voler governare…
L’errore che potrebbe commettere è sempre il medesimo: quello di essere convinto di poter procedere verso una governabilità senza l’edificazione delle basi necessarie per fornire vera forza ad un esecutivo.  
Senza quelle condizioni di rottura e di novità che, come afferma Galli Della Loggia, “di fronte al deserto e al vecchiume della Destra, egli ha saputo rappresentare e in cui il Paese non vuole cessare di sperare”.
vincenzo Cacopardo


CALCIO E POLITICA





Un problema di natura culturale..
Il problema è sicuramente di natura culturale!...Un problema quasi insormontabile che vede oggi tanta gente e.. soprattutto.. tanti ragazzi, ragionare di politica con una forma mentis connaturata.. simile a quella del calcio odierno.

Il nostro calcio è ormai legato alla forza delle risorse economiche.. le quali dettano legge distogliendo l’attenzione dalle regole di una sana cultura sportiva: Una cultura che, di base, dovrebbe anteporre sani valori, come....il rispetto, l’educazione, l’insegnamento alla vita, un’inflessibile applicazione delle regole..etc .

Quando la “furbizia” si impadronisce delle regole e dei principi fondamentali in ogni disciplina sportiva, questa…non potrà più esprimere qualità ed i suoi valori cederanno pian piano il passo ad altri princìpi che esprimeranno solo una deleteria formazione intellettuale.

Oggi, a causa di ciò, si tende ad osannare tale “furbizia” fino a mitizzare le figure di alcuni audaci  sportivi.. identificandosi in essi. Sono i nuovi eroi e gli abituali frequentatori dei sogni dei ragazzi, ma in realtà, questa visione immaginaria..altro non è che una falsa ed aberrante sublimazione del personaggio.

Quando... allo stesso modo, il politico nel suo campo.. applica una simile furba mentalità e questa viene interpretata e valutata con un analogo metro, nell’immagine collettiva di tanti ragazzi, le figure artefici di tali scaltrezze.. finiscono con l’apparire ugualmente dei fuoriclasse. 

Questa appare la realtà odierna!.. e sembra davvero difficile poter fare ragionare in modo diverso le nuove generazioni... Si va sempre di più verso la ricerca della sublimazione delle figure e questa nuova mentalità ha preso campo oltre che nel gioco  del calcio…in quello che viene oggi definito “il gioco della politica”.

Gli effetti di tutto ciò non possono che ricadere sulla funzionalità dello stesso modello democratico. La democrazia del nostro Paese risente uno stato di crisi per via del declino culturale della società: un vero modello di democrazia non potrà mai essere slegato da un principio culturale, come non potrà mai sopravvivere a qualunque forma di mitizzazione e di assolutismo.

Noi definiamo scienza dell’educazione quella disciplina empirica che si occupa dei fenomeni, gli atti ed i comportamenti educativi. Questa scienza definisce alcuni principi senza i quali non potrà mai esistere un vero modello di democrazia compiuta.. poiché essa deve essere percepita come un cammino verso la ricerca oggettiva del bene comune e deve poter rappresentare una sicurezza per tutti attraverso l’impegno di tutti. 
vincenzo Cacopardo