10 ott 2014

Piccola nota critica all'articolo di Domenico Cacopardo


domenico Cacopardo scrive:
L’8 ottobre è stata una giornata di successi per Matteo Renzi. Impegnato su due fronti, quello europeo e quello domestico (il Senato), ha riportato un ampio riconoscimento e la conferma della fiducia al suo governo sul provvedimento più contestato, il «jobs act».

Ci sarà tempo per fare le pulci agli orientamenti espressi a Milano, soprattutto da «frau» Merkel e sul testo della legge che delega al governo il compito di adottare i decreti di riforma. Fra l’altro, c’è da attendere il passaggio dalla Camera dei deputati, dove la maggioranza Pd è ampia, ma è più ampio il numero del malpancisti.

In politica, attività nella quale eccelle il nostro «premier», la vittoria è stata completa.

Convocati all’ultimo momento (per difetti organizzativi e decisionali), i capi di governo dell’Unione con Barroso e Van Rompuy si sono presentati in massa e hanno discusso a porte chiuse sul tema della disoccupazione. Cosa si siano detti non è dato puntualmente sapere, ma si sarà trattato dei soliti generici discorsi, sulla base dei «papers» presentati dagli «sherpa» e delle note italiane. È risultata più importante la successiva conferenza stampa, alla quale la cancelliera tedesca non aveva promesso di partecipare. Invece, c’era. Tutti attendevano le sue parole: ha elogiato Renzi e il «jobs act», ma stuzzicata sulla decisione della Francia di non rispettare il limite di deficit del 3% sino a tutto il 2017, e sulle esigenze di flessibilità per consentire investimenti per la ripresa dell’occupazione, ha detto solo ciò ch’era lecito aspettarsi. Il «Fiscal compact» non si tocca e la flessibilità possibile è quella prevista all’interno dello stesso trattato. In soldoni poco o niente.

Rimane quindi da compiere un difficile pezzo di strada: la legge italiana di stabilità e il suo complicato esame da parte dell’Unione che si concluderà a fine mese con le decisioni della Commissione uscente. Nulla è scontato … tuttavia, ora l’Italia ha maggiori carte da giocare visto che si pone in condizione mediana rispetto all’estremismo di Hollande e la rigidità Nord-europea. 

La forbice dell’Unione si muoverà all’interno di due possibilità: l’approvazione di questa legge, ipotesi remotissima, e la decisione di regalarci tre commissari. Quest’ultima idea è stata contestata, ma, in realtà, quello che con più probabilità si annuncia è una «non» approvazione parziale accompagnata da un’agenda di riforme con relativo cronogramma e da una squadra di «vigilantes» sull’azione del Paese. Non c’è da essere pessimisti: se l’Unione ci aiuterà ad approvare le leggi di cui abbiamo bisogno, ben venga.

In queste ore si mena scandalo per i 93.000 giovani emigrati, soprattutto nel Regno Unito: ma questo è il segno che il risanamento compiuto dalla Thatcher e proseguito da Blair, ha avuto successo, dando una memorabile spinta all’economia britannica. Quindi è lecito un po’ di ottimismo. Dopo sangue e lacrime arriverà il sereno.

Lo spettacolo offerto dal Senato è stato penoso: l’autolesionismo dei 5 Stelle virulento. Politicamente un appoggio a Renzi. Anche Berlusconi, votando no, gli ha dato una mano.

La partita non è finita: ma la «leadership» di Renzi, riaffermata, gli consente di procedere nel tentativo di riformare l’Italia.



In questo scritto, il cugino Domenico Cacopardo, non pone alcuna critica al metodo con il quale si è proceduto al Senato e cioè... alla delega in bianco del Parlamento nei confronti di chi non potrebbe occuparsi di legiferare per suo conto, attraverso un voto di fiducia alquanto discutibile. 

Nessun riferimento... tranne che alla motivata manifestazione dei 5S e Lega nord (seppur discutibile in termini di modi e rispetto)...ma sicuramente reattiva ad uno strano modo di procedere. Mi domando se sia lecito, in un sistema democratico parlamentare come il nostro, imporre simili deleghe in bianco, e non permettere alcuna reazione in proposito. 

Appare davvero strano sottolineare vittorie simili da parte di chi continua ad imporre di continuo e con estrema sicumera fiducie a pie' sospinto...troppo facile e molto dispotico (soprattutto se le deleghe sono in bianco)... il metodo al quale nessun presidente di Aula si oppone in modo critico...Per il cugino, che pare volutamente omettere dal dialogo alcuni articoli della Costituzione, sembra molto più importante il pragmatico risultato del merito...dimenticando qualsiasi accenno sulla prassi che al Senato si è portata avanti. 

Se l'ottimismo deve costruirsi mettendo sotto le scarpe la Costituzione..sarebbe più opportuno dirlo ad alta voce o specificare meglio se esistono i presupposti di metodo per i quali il governo abbia potuto agire secondo questa strada che invero...appare calpestare ogni compito legislativo che, di norma, compete alla Camera parlamentare. 
vincenzo cacopardo

Un commento alla concisa analisi di Marcello Veneziani

La resa dell'intelligenza

di marcello Veneziani

"Se Alfano dice no alle coppie gay non lo fa per opporsi a Renzi ma perché vuole politicamente sfruttare a suo vantaggio le aperture omofile nel centrodestra"

Non c'è più dialettica, denuncia giustamente Giuseppe De Rita. La politica, aggiungiamo noi, oscilla tra allineamento e insubordinazione: non c'è conflitto sui temi politici tra forze avversarie, ma c'è ammutinamento all'interno degli stessi partiti oppure subordinazione al leader. A sinistra non si fronteggiano due visioni politiche ma due fedeltà a priori: alla vecchia sinistra o al nuovo capo vincente. Se Alfano dice no alle coppie gay non lo fa per opporsi a Renzi ma perché vuole politicamente sfruttare a suo vantaggio le aperture omofile nel centrodestra. Ma l'assenza più deprimente di dialettica riguarda il dibattito civile e la cultura. Non trovate più una discussione su temi di fondo o letture critiche del presente, non affiora una divergenza sul piano delle idee tra chi difende quest'Europa e chi propone di ripartire dalle identità nazionali o anche locali, tra chi difende il nuovo capitalismo finanziario e chi lo subordina agli interessi comunitari, tra chi difende la priorità delle famiglie e chi s'inchina alle coppie gay e ai trans; non c'è più una polemica culturale tra scrittori e intellettuali, nessun dialogo sui valori. I libri o si osannano o si ignorano, chi prova a discuterli grida nel deserto. Come chiamare tutto questo? Disfatta dell'intelligenza. Non si discute, non si critica, non si tenta di capire. L'intelligenza si atrofizza o finisce ai margini, nel pensiero laterale, confinata agli estremi della semi-clandestinità. Si vive tra Capo e coda, senza capire quel che sta nel mezzo.


L'analisi di Veneziani è giusta e più opportuna che mai ...Credo che tutto ciò sia stato determinato negli ultimi anni dalla forte spinta delle contrapposizioni ideologiche che, esasperate fino all'eccesso hanno generato solo reazioni, determinando la costruzione di un pensiero troppo rigido. Un pensiero condizionato dal sistema bipolare che non può lasciare spazi ad alcuna mediazione. 
Se si ha la capacità di percepire ciò...la politica potrà fare passi in avanti, altrimenti resterà sempre più condizionata dai parametri monolitici di un assurdo paradigma che genera solo effetti opposti e relativi ulteriori conflitti.
La politica odierna sembra ancora vittima di questo pensiero e dopo la lunga fase del Berlusconismo.. ci accingiamo.. oggi.. in direzione di una fase del Renzismo simile nel suo assolutismo. Il determinismo leaderista del sindaco d'Italia spinge senza indugio verso un bipartitismo ancora più estremo che condiziona il pensiero e non lascia affiorare, come sottolinea Veneziani, alcuna divergenza sul piano delle idee”, lasciando solo spazi alle figure (...o con Renzi... o contro Renzi). Il dialogo tende a spegnersi e si generano le solite contrapposizioni... più figurative ed iconiche.. che relative alle idee.
vincenzo cacopardo


9 ott 2014

Nuove regole... nella mancanza di iniziative



Cosa dice in breve nel merito il jobs act del governo?
di vincenzo cacopardo

Si prevedono modifiche sull'articolo 18 per i neo assunti e sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato. Saranno infatti previsti contratti a tutele crescenti, fino ad abbattere in modo definitivo ogni forma di precariato. Il Jobs Act prevederà per i nuovi assunti a tempo indeterminato..solo un indennizzo per i licenziamenti economici. I nuovi assunti non avranno il reintegro, ma un indennizzo sicuro e crescente con l'anzianità.

Come ribadito in questi giorni, il reintegro previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori... resta per i licenziamenti discriminatori.

Riguardo i nuovi assunti... per i licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare... sarà dunque previsto il reintegro (sebbene molte di queste modalità dovranno meglio essere specificate nel decreto delegato). L'obiettivo del governo sembra essere quello che i nuovi contratti a tutele crescenti possano costare meno, risultando attrattivi.. contenendo meno incertezze e, quindi, incoraggino l'imprenditore ad assumere. Si da, quindi, uno stop deciso
ai contratti co.co.co. volendo evitare l'abuso di questa tipologia di contratti precari come quelli “a progetto”.


Sarà possibile cambiare mansioni senza toccare il salario ed in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale su "parametri oggettivi", per tutelare il posto di lavoro, la professionalità e le condizioni di vita anche economiche, limitando la modifica dell'inquadramento. Il cosidetto “demansionamento”. Si pensa anche ad una contrattazione aziendale e territoriale che possa individuare ulteriori ipotesi (anche questo sarà meglio specificato nel testo del decreto delegato).

Il ricorso ai voucher ..(cioè lo strumento pensato per tutelare una serie di attività e di occupazioni lavorative che, proprio per le loro caratteristiche di accessorialità e occasionalità, difficilmente si prestano a essere tutelati dalle normali tipologie contrattuali) viene esteso... ma torna il tetto dei 5mila euro l'anno, elevato nel testo di partenza della delega sul lavoro. Il governo, inoltre, assume l'impegno a finanziare con 1,5 miliardi aggiuntivi i nuovi ammortizzatori sociali. L'obiettivo del governo è quello di estenderli.. Si punta anche ad una maggiore tutela della maternità. In totale di parla di 11-12 miliardi per tutelare un milione di persone in più (cifra non da poco in un momento simile)

Rimane poi l'obiettivo di introdurre "eventualmente anche in via sperimentale" il compenso orario minimo anche per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti nazionali ed a semplificare...estendendolo il campo di applicazione dei contratti di solidarietà... per aumentare l'organico riducendo l'orario di lavoro e la retribuzione del personale.

Insomma ...una riforma per il lavoro piena di novità sulla quale non ci permettiamo di intervenire nel merito..in quanto, pur nella sua intenzione, non pare definita esattamente nei punti. Se per quanto riguarda l'articolo 18 si può anche rimanere d'accordo nell'offrire maggiore libertà alle aziende..cosa succederà veramente nei fatti e sul piano reale? Basteranno le tutele crescenti ancora non definite esattamente?.Basterà l'impegno finanziario del governo?..Cosa succederà con la definitiva soppressione dei contratti a tempo determinato?

Sono solo dubbi, che non pretendono affatto mettere in discussione l'operato del governo ancora tutto da definire nei contorni, ma quello che sicuramente non è facile da accettare è il metodo con cui si è fatta passare una delega in bianco al Senato..con la forza ricattatoria di un voto di fiducia. Voto di fiducia.. di cui il sindaco d'Italia, nella sua opera di restauro, continua a fare uso continuo.


E...a prescindere dalle regole.. sulle quali il governo continua a soffermarsi...dove sta la ricerca del nuovo lavoro attraverso riforme innovative e fiscali utili per le nuove iniziative che rappresentano il vero motore per la crescita? 
post correlato: arroganza governativa e ricorrenti anomalie

Arroganza governativa... e ricorrenti anomalie


di vincenzo cacopardo
Anche questa volta le regole della Costituzione...che dovrebbero sapersi leggere ed osservare ai fini di un servizio democratico, vengono calpestate nel silenzio assoluto del presidente del Senato che appare del tutto asservito ad un sistema in cui l'unica intimazione è quella governativa.
Salta fuori dal cilindro del governo una legge delega in bianco alla quale viene persino posta la fiducia!..Non essendo un costituzionalista non posso permettermi di entrare nel merito oltre il dovuto... Tuttavia l'evidenza di tale anomalia suona logica rispetto agli articoli del testo costituzionale.

Sappiamo che la costituzione all'art 76 recita: L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.” Al di là dei tempi che non possono per nulla definirsi limitati.. in considerazione del lungo iter che, per la sua definizione, farebbe intendere almeno dodici mesi (tempo che potrebbe far cambiare ogni assetto governativo), quello presentato dal primo ministro... non sembra nemmeno essere un “oggetto definito” . Non vi sono infatti..principi o criteri ed il tutto risulta offuscato da una grande approssimazione.

La Costituzione, per poter dare al governo la possibilità di studiare proposte, all'articolo 72, prevedendo i relativi “disegni di legge”.. recita:Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza.” Un articolo, questo, promosso per poter dare spazio ad una attività governativa, permettendo di favorirne le iniziative: La nostra Carta prevede i disegni di legge, ma lascia sempre ogni compito legislativo a chi ne ha il potere, non potrebbe mai permettere ad un governo alcuna delega in bianco su un'attività legislativa che compete solo al Parlamento.

La razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, mediante abrogazione di norme, connesse con la Costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro... come appare scritto nel nel max emendamento su cui il governo chiede la fiducia al Senato, risulta quindi un ulteriore singolare pasticcio voluto da Renzi: Figura altera ed arrogante.. a cui oggi tutto pare essere permesso.

Si pone la fiducia su un testo che in realtà non c'è! Siamo nello spazio di una legge delega, quella del “Jobs Act”, che deve autorizzare il governo a procedere su norme precise assunte tramite decreti, ossia "decreti delegati". Questa oltre ad essere una stravaganza, è una procedura contraddittoria e lesiva!

Se proseguiamo col testo della Costituzione ci accorgiamo che l'articolo 77, quello che regola la questione dei decreti-legge, ovvero che stabilisce che possono essere emanati "In casi straordinari di necessità e d'urgenza" - "Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria".
Hanno sorpreso sicuramente in positivo.. durante la seduta al Senato... gli interventi della Lega Nord, che ha esordito nel merito..ponendo l'accento in modo specifico e con nitidezza.. sugli articoli della Costituzione.. al cospetto dell'Aula ed in direzione di un (distante)... Presidente Grasso.

Cosa possiamo invece ancora aspettarci da chi governa con tale determinismo ed approssimazione? Possiamo davvero credere, ad esempio, che la signorina Boschi possa davvero capire lo scopo ed i valori di una costituzione, quando ad ogni domanda. .. pare ripetutamente rispondere che il governo è riuscito a dare 80 euro ed a prendere il 41% dei consensi?... Sorprende di più..per non dire stupisce, il silenzio assordante del nostro Presidente della Repubblica, il quale, anche nella qualità di garante della Costituzione.. sembra dimenticare e sottomettersi al volere dei poteri di un'Europa ormai priva di altri argomenti al di fuori di quelli in favore di un premier e della sua risoluta marcia di un fare generico ed assoluto ...

Il ricatto su questo voto di fiducia del governo, è lampante!.. Una frattura evidente della democrazia parlamentare!. Solo la costante assenza e l'ignoranza dei cittadini può essere giustificata, ma non certo quella dei componenti del governo più assoluto di tutta la storia delle istituzioni.
Si deve correre in fretta da fraulein Merkel con la solita vendita di aria fritta!...l'Importante è quel “fare faceto” ..privo di ogni logica e sfacciato nei confronti di una Costituzione ormai umiliata.



7 ott 2014

Francesco e Matteo: uniti nella comunicazione... divisi nell'approccio..


di vincenzo cacopardo
Papa Francesco ribadisce che il lavoro è un diritto fondamentale e l'accesso al welfare deve essere per tutti. Quelle del Pontefice sono le parole chiare che arrivano dopo l'attacco di monsignor Nunzio Galantino, al giovane premier Matteo Renzi. Con queste sue parole il Papa apre un dibattito politico.. nel momento in cui interviene parlando di diritto fondamentale al lavoro..come di una risorsa essenziale per la stessa dignità di ogni uomo... per la formazione della famiglia e l'affermazione del bene comune.

Bergoglio parla di diritto sociale che non può più dipendere dalla forza dei mercati finanziari....ci parla di giusta distribuzione dei beni per il raggiungimento di una giustizia che ci appartiene come diritto ...ci parla di vita politica, intesa come gestione della “res publica”...ci parla di un'economia a servizio dell'uomo e dei beni comuni.. ci parla di tutela dei diritti del lavoro...ci parla di una democrazia partecipativa...etc...come dargli torto quando la sua opera evangelica si basa costantemente su questi comuni valori?

Il problema sta nel fatto che il buon Papa, da cristiano pastore della Chiesa cattolica.. afferma principi sani e valori da ritrovare, dando sempre più forza al suo verbo....mentre le società.. nel mondo intero,... non riescono mai a risolvere tali problematiche. Il sistema sembra ormai avvolto su se stesso e tende ad implodere senza riscontri positivi verso le soluzioni comuni più utili per via delle veriegate problematiche contingenti. Il Papa esercita il suo diritto attraverso il verbo cristiano e si esprime con cognizione di causa da vero pontefice...poichè rimane pastore della Chiesa. La sua è una visione chiara, ma la politica globale pare viaggiare con la forza di altri parametri.

Per il Pontefice si tratta di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà, poiché si rimane consapevoli che le povertà, finiscono col mettere a rischio ogni sistema di democrazia partecipativa. Pur non sottovalutando i pericoli di una globalizzazione Francesco stigmatizza l'importanza di doverla orientare in senso positivo e per il bene dei popoli....ma tra il dire ed il fare la distanza rimane difficile da colmare.

Detto questo...quando si ascolta il nostro Pontefice..a volte.. si ha la sensazione di una somiglianza nel modo di comunicare vicina a quella di Renzi.. Ma cosa può differenziare la comunicazione di Papa Francesco con quella di Matteo Renzi?

Francesco sembra aver cambiato le regole della comunicazione alla stessa maniera di come lo ha fatto Il sindaco d'Italia,...Renzi telefona direttamente alle persone, invia twitt. manda mail alle madri e telefona loro, si fa fotografare insieme, mangia gelati in pubblico..etc.. come spesso usa fare il Pontefice.. ma vi è una sostanziale differenza.... Una diversità che sta nell'umiltà di affrontare il dialogo ed i relativi problemi connessi: - Mentre Papa Francesco, se pur evangelicamente, si esprime con rispetto ed umanità nei confronti di una società che dovrebbe cambiare, e da Pontefice non potrà mai entrare nel merito delle soluzioni.... Renzi, da presidente di un governo.. comunica solo e limitatamente interpretando i desideri di un paese, continuando a non risolverli…Francesco va diritto nel cuore delle persone con umiltà e senza alcuna ipocrisia..il giovane premier ostenta un linguaggio assoluto esprimendo una supponenza oltre limite..

Franceso ci parla di “parresia” come termine essenziale che assume un significato che va oltre e che vuol dire... riconoscere a tutti i cittadini la libertà di prendere la parola nelle assemblee pubbliche.. come si usava fare nella antica democrazia greca... Al contrario Renzi, nelle sue riforme istituzionali, sembra assai poco affetto da qualunque parresia al punto di voler chiudere ed ingabbiare la nostra democrazia in direzione di un bipartitismo che taglia netto ogni dialogo col popolo.
Malgrado la loro simile comunicazione..una diversità che potremmo definire...sostanziale.
L'umiltà..in un certo senso.. è insita in un concetto di democrazia e vince sempre sulla superbia





"UN CAMBIAMENTO TROPPO SISTEMICO CHE NON GENERA CRESCITA" di vincenzo cacopardo



Scrive il cugino Domenico su Italia Oggi...
« La sensazione che si ricava da qualche breve colloquio col personale di governo è quella di un caos incontrollato. I provvedimenti da approvare sono in sostanza due, il jobs act al Senato e la legge di stabilità in consiglio dei ministri. 
Manca un regista. Un punto di riferimento che monitorizzi la scrittura delle norme, la discussione preliminare, l’individuazione dei nodi politici e delle soluzioni. La presidenza del consiglio ipertrofica, messa insieme da Matteo Renzi con gente di varia, e non tutta brillante, estrazione opera in modo scoordinato e avventurista. 
L’istituto intorno al quale si sono costruite le fortune e le sfortune dei vari gabinetti, il preconsiglio, composto dai rappresentanti tecnici di tutti i ministri è stato abolito. Era il luogo dove si discutevano le proposte di legge prima che andassero nel consiglio, quello vero e legittimato a decidere. Era presieduto dal sottosegretario alla presidenza-segretario del consiglio dei ministri. Leggendarie alcune figure, da Giuliano Amato a Gianni Letta, capaci di arare il terreno sino in fondo, in modo che quando le questioni erano sul tavolo del «premier» e dei suoi ministri c’era solo da dire «Sì, il testo corrisponde alle intezioni del governo».
Non è solo questione di persone, naturalmente, ma è anche questione di persone, visto che al consiglio dei ministri arrivano provvedimenti che nessuno ha esaminato, spesso in semplice cartellina o scaletta. 
L’Italia ha una quantità e una qualità di problemi tali da esigere riflessione e capacità tecnica e politica.

Certo Matteo Renzi corre da tutte le parti: da Assisi a Termini Imerese, da Detroit a Brescia. E rappresenta in questo modo la propria volontà di essere vicino al corpo elettorale, per tranquillizzarlo e spingerlo alla fiducia. E parla in continuazione, spesso smarrendo il filo della coerenza. I risultati significativi che ha raggiunto sono politici e sembrano, purtroppo, effimeri. La minoranza del Pd, maggioranza nei gruppi parlamentari, diventa condizionante e mostra come sia mancato un secondo tempo, dopo l’elezione del segretario l’8 dicembre 2013: il tempo del consolidamento del nuovo «leader» nella propria «leadership» con la scelta accurata di collaboratori e di responsabili dei vari uffici.

La medesima rottamazione del personale excomunista ed exdemocristiano s’è arrestata, tanto che, per risolvere il problema del commissariamento dell’Inps, si è dovuti ricorrere a una degna persona, Tiziano Treu, grande esperto di area Cisl, che, però non corrisponde all’«identikit» anagrafico disegnato da Renzi e dai suoi stretti collaboratori, il «giglio fiorentino» che lo circonda, lo protegge e ne interpreta le intenzioni.
Oggi, assisteremo all’incontro governo-sindacati: un’esibizione mediatica nella quale Renzi farà la parte del riformatore che si batte contro il conservatorismo del sindacato stesso.
Ma mercoledì, al vertice europeo di Milano, potremo valutare le dimensioni dello scoglio che l’Italia incontrerà nella sua decisione di superare il deficit del 2014, concordato nel 2,2%. Un pessimo segnale è la notizia che la Merxel e Renzi terranno, al termine conferenze stampa separate. Vuol dire che, a oggi, l’area del dissenso è così vasta da non poter immaginare un possibile compromesso, un punto di incontro che non smentisca nessuno e lasci qualche margine di movimento agli italiani.

A questo va aggiunto –e ben più importante- lo stop ricevuto da Mario Draghi che, nell’incontro del 3-4 scorso a Napoli ha dovuto operare una riconoscibile marcia indietro nel suo progetto di ampliare i cordoni della borsa della Bce, finanziando direttamente il debito degli stati.
Questa scappatoia non è per il momento disponibile.
Le speranze riposte nel ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sono impallidite, oscurate dall’attivismo un po’ sconclusionato di Renzi che ha riportato a sé e al suo «staff» di esperti, dalle qualità tutte da scoprire, la regia della politica economica.
Una cosa nient’affatto rassicurante, visto il modo di procedere.
Non ci resta che aspettare la fine del mese, l’addio della vecchia Commissione europea, che fra il 29 e il 30 dovrebbe indicarci in modo cogente la stretta via da seguire, e l’insediamento della nuova che promette di porre al primo punto la ripresa e al secondo un massiccio investimento in infrastrutture (in Italia dovremo chiedere il permesso alle regioni, ai Black-block, agli anarchici e quell’esempio di nuova politica che è il sindaco di Messina, Accorinti, vincitore delle elezioni con la lista Noponte).

Insomma, abbiamo ancora qualche giorno per alimentare un’immotivata speranza.»
domenico cacopardo


Mi domando cosa ancora dobbiamo aspettare?. Sembriamo insensatamente seduti sulla riva del fiume aspettando in cadavere del nostro Paese.. sempre più attaccati all'effimera speranza di non vederlo mai arrivare...

Il cambiamento che avremmo voluto e desiderato affinchè si potesse in qualche modo contenere nei limiti il defoult della Nazione non poteva mai affrontarsi come pretende di fare.. in modo assoluto.. Renzi. 

Il cambiamento deve per forza essere rivoluzionario e di idee...non sistemico.. ma anti-sistemico in senso innovativo! 
Il sindaco d'Italia persevera con riforme che aiutano chi è dentro il sistema aumentando le buste paga di chi un lavoro lo ha già (vedasi gli 80 euro ed il TFR)... dimenticando quasi intenzionalmente chi un lavoro non può averlo o chi sopravvive con misere pensioni..si scorda di spingere verso la crescita favorendo nuove iniziative e rimane inerte verso il lavoro delle libere professioni. Il suo ipocrita modo di procedere sembra studiato per amicarsi ed assicurarsi il consenso di tutta quella parte di lavoratori dipendenti che possono oggi usufruire di un posto di lavoro. Il suo è un percorso studiato per tenersi stretto un consenso nella eventualità di nuove elezioni.

La lettura non sarebbe difficile... se appena si volesse guardare con attenzione la strada determinata di un premier, simulata da un conformismo, costantemente diretta a beneficio di quella classe lavoratrice che può assicurargli la sicurezza di un consenso.

Ma la sostanza è quella che lascia intravedere ovunque una totale mancanza di lavoro... per cui ogni regola nel merito (se pur ostentata attraverso le regole un «job act») non potrebbe mai portare alcuna crescita... e comunque mai quella di cui avrebbe bisogno il nostro Paese. L'edilizia è al palo già da anni ed il sud precipità nel più profondo buio...le aziende ancora in piedi...molto spesso non hanno commesse ed il costo del lavoro rimane altissimo... quale crescita potrà mai esservi senza le nuove idee in tal senso?
vincenzo cacopardo

6 ott 2014

Quale verità sull'Ucraina?

"Non abbiamo ancora una verità certa sui fatti dell'Ucraina..ma una serie di dubbi ci inducono a pensare"

di vincenzo cacopardo

Sappiamo che... poco tempo fa... attraverso un referendum, si è votato a favore dell'indipendenza della Crimea dall'Ucraina, sancendo il passaggio della regione alla Federazione russa. Se i mercati non si sono curati del dramma ucraino non allarmandosi più di tanto per la Crimea, è perché sanno che la vera potenza vittoriosa è rimasta quella Americana. Una faccenda ambigua che ha portato conseguenze nello stesso paese ucraino. Sono in tanti ormai a pensare che tutti i guai dell’Ucraina sono nati per mantenere in vita la Nato e tutto il loro apparato militare... a premere sui confini per generare l’ingresso in Europa dei paesi dell’Est come un atto in contrasto alla Russia. Sembra che nella stessa Crimea vi siano stati inni di gioia e qualche disapprovazione, ma il passaggio della Crimea alla Russia rimane comunque un dato di fatto. Mosca ha sempre dichiarato legittima la dichiarazione di indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea ed ha evocato in proposito lo statuto dell'ONU.

Vi sono ancora province orientali in ballo nella zona vicina all'Ucraina e non è facile capire se Mosca si contenterà solo della Crimea o se non aiuterà queste in una lotta che vede oggi gli Stati Uniti fare il necessario per assicurarle all'Ucraina. Comunque voglia leggersi questa storia, se analizziamo gli eventi accadut a Kiev il giorno della fuga di Janukovich ( piazze in allarme occupate dai manifestanti europeisti per un appoggio occidentale, la prodiga reazione dell'Europa della Merkel ed in particolar modo.. il sostegno americano), ci accorgiamo come di contro, da parte di Mosca... vi sia stata una evidente scelta democratica degli abitanti attraverso il ricorso ad un referendum che non può lasciare alcuno spazio a pensieri diversi o subdole pretese.

Naturalmente il coro dei media occidentali ha imputato alla Russia un atto di aggressione militare invocando sanzioni dichiarando che era insostenibile appoggiare un presidente ucraino che rifiutava di portare il paese in Europa, il tutto in un sostegno più che apprezzabile da parte degli Stati Uniti che a loro volta dichiarano di aver investito miliardi di dollari negli ultimi vent’anni per dare all’Ucraina un futuro memorabile...

Ma cosa è accaduto davvero?...Sembrano volersi volutamente nascondersi alcuni fatti essenziali avvenuti a febbraio quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.

Di sicuro in quella data, a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le forze di opposizione, ma la notizia pare essere smentita e poi... come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno. Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di Janukovich.

Appare certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est: - Si parla di una fuga di Janukovich prima della sua destituzione per paura di fare una brutta fine.

Chi ha vinto e chi ha perso?
L'america che ancora una volta ha voluto subdolamente imporre la sua supremazia anche al di là di ogni interesse monetario?...o la Russia.. che in qualche modo ha voluto dichiarare il suo sdegno di fronte alle posizioni territoriali che meno competono agli Stati Uniti e persino alla giovane Europa?.

Un dato di fatto pare certo: il nostro governo con la costante ipocrisia che lo accompagna..si è accodato in tutto e pertutto ad una politica estera di un paese come l'America..il quale ritiene ancora indispensabile l'uso della forza per imporre la sua supremazia in ogni angolo del mondo e che ci ha portato in una lotta che peserà ulteriormente sulle casse dello Stato per via delle sanzioni (vedasi aumento gas e energia elettrica) imposte come risposta dal paese Russo. Ma che ci coinvolge anche in azzardosi conflitti che potrebbero immettere nel nostro paese un pericoloso terrorismo .







5 ott 2014

un appunto sul nuovo articolo di domenico Cacopardo


LE PICCOLE MANOVRE di domenico cacopardo

I tempi delle grandi manovre politiche e militari è terminato con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico. Restano quelle economiche che, per esaurimento di margini, stanno diventando «manovrine».

La medesima ascesa al governo del Paese di Matteo Renzi è il piccolo frutto di una piccola operazione interna al Pd, le primarie. A esse hanno partecipato 2.814.881 persone, compresi gli extracomunitari (cioè privi di cittadinanza), su un elettorato complessivo di 50.449.979 (Camera dei deputati). Renzi ha ottenuto il 67,5% dei voti.

Insomma, tanto per chiarire, i partecipanti alle primarie rappresentano meno del 5,57% degli elettori (vista la partecipazione di extracomunitarti) e i voti di Renzi ammontano a circa 2.390.000 unità, pari al 4,7% degli elettori complessivi.

Su questi numeri è fondata la pretesa del capo del Pd, accolta da Napolitano, di assumere la direzione del governo senza passare attraverso una consultazione generale. 

Questo la dice lunga sull’emergenza nazionale, sugli errori del presidente della Repubblica, che dal luglio 2011, ha perso la bussola democratica che dovrebbe orientarne le decisioni, sul precoce ruolo affidato all’exsindaco di Firenze e sul gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

Non si tratta di poca cosa, visto che l’approccio sbagliato con l’Unione europea, nella fase di ricambio della Commissione, ci costerà, comunque, caro. Tanto per chiarire le responsabilità che ricadono sul «premier» e sul partito che lo ha espresso, si trattava di una occasione storica, unica per tempistica e contenuti.

L’Italia aveva un giovane primo ministro, in qualche modo vergine di un passato di flebili distinguo e di sostanziali accondiscendenze, che aveva ottenuto un insperato successo nelle elezioni europee. Nell’equilibrio continentale, se i socialisti avevano perso, i socialisti italiani avevano conquistato con i numeri la maggioranza relativa del loro gruppo parlamentare e una forza ineguagliata. Era il momento in cui dovevano essere posti sul tappeto i problemi che risultavano irrisolti e dannosi per gli interessi dell’Italia.

Già, è inutile illudersi: a Bruxelles ognuno fa i propri interessi nazionali. Ho visto la Commissione bloccata per due mesi da Margareth Tathcher per una questione di una valore complessivo, in lire, di 200.000 milioni. Ognuno negozia sino alla morte, sapendo che la regola dell’unanimità costringe tutti ad ascoltare le ragioni di tutti. Anche la Merkel, affrontata con la giusta decisione, i giusti numeri nei dossier, deve ascoltare e, se necessario compiere marce indietro.

Ma il nostro primo ministro non ama i numeri. Non ama i documenti. Non ama gli esperti. Non ama coloro che, essendo più vecchi di lui, conoscono il gioco e possono dargli utili suggerimenti. Potrebbero essere testimoni diretti dei suoi errori.

C’erano da ridefinire i confini della politica monetaria della Bce. Si tratta di confini che impediscono alla banca di operare come la Federal Reserve, come la Banca d’Inghilterra o del Giappone. 

Come disputare un incontro di boxe con un braccio legato dietro la schiena.

C’era da discutere il coordinamento delle politiche fiscali, per impedire il dumping, in cui sono specializzati l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo.

C’erano da stabilire le linee del grande piano infrastrutturale che avrebbe rimesso in moto l’industria del «Bâtiment», delle costruzioni cioè, quella a più alta intensità di mano d’opera che si conosca, e nella piena disponibilità degli stati, visto che altri strumenti, in un’economia di mercato, non ci sono.

Gli sciocchi che protestano chiedendo lavoro, gli ultimi «in maschera» a Napoli, chiedono, in realtà «posti» dello Stato, pagati dai cittadini senza alcun impegno di «lavoro». Insomma, pretendono il riconoscimento del diritto di essere parassiti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo anche a sua santità Francesco I che non ci può essere lavoro senza produzione, distribuzione di denaro senza creazione di ricchezza.

Quindi, il programma infrastrutturale europeo, la cui dimensione iniziale non doveva essere inferiore ai 500 miliardi di euro, invece dei 300 di cui si parla, avrebbe mobilitato mano d’opera diretta e indiretta, fertilizzando le economie europee, a corto di idee e di risorse. C’era infine il capitolo «avanzamento dell’integrazione», col superamento della bocciatura della Costituzione del 2003, e la definizione di una serie di passi in avanti sulla via dell’Europa politica. Quell’Europa politica che potrebbe essere la risposta più efficace ad alcuni dei problemi esistenziali che ci affliggono.

Tutto questo è mancato da parte italiana. Altri, come Hollande, sono afflitti da nanismo politico. Altri ancora, sono semplici satelliti dell’egemone Germania, portata sempre, almeno negli ultimi tre secoli a strafare, conquistando una primazia ch’è sempre finita per essere un boomerang.

Ci sono i tempi e gli spazi per rimediare ?

In politica non è mai troppo tardi : ci vogliono uomini che sappiano usare numeri e argomenti.


 IMPRUDENTE  "DEUS EX MACHINA"  ..PIU' AVVENTATO CHE TEMERARIO

Ci vogliono anche idee..idee sane e costruttive al fine di far funzionare...non basta un determinismo!

I temi sociali sono delicati e non possono certo affrontarsi con questa prosopopea...nè attraverso una riduttiva semplificazione...Sarebbe utile maggior umiltà e meno chiacchiere!

In tutto questo..quello che più sorprende (come giustamente sottolinea Domenico) è l'atteggiamento del nostro Presidente della Repubblica, il cui affidamento totale alla figura del giovane sindaco d'Italia... difficilmente può più essere giustificato. Il nostro Presidente Napolitano, con tutto il rispetto che gli si deve, ormai è corresponsabile del gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

L'affidamento “tout court” al giovane premier fiorentino che giorno per giorno si espone in una comunicazione fuori dalla realtà, rimane oggi per Napolitano un'arma a doppio taglio, rischiando ormai di fargli perdere ogni consenso ricevuto nel passato. 

Il sindaco d'Italia, grazie all'appoggio del Capo dello Stato, si presenta oggi come il “deus ex machina”

Sappiamo che nel teatro antico ogni situazione la più ingarbugliata, ogni intreccio che aveva tenuto col fiato sosteso lo spettatore, veniva alla fine sciolto dall'improvviso apparire di un nume(deus), calato in scena mediante un congegno meccanico(ex machina) per risolvere ogni cosa in nome del lieto fine. Se il ricorso a questo sbrigativo espediente, dal punto di vista artistico, è una dimostrazione di debolezza creativa, dal punto di vista politico.. in una democrazia, è l'errore peggiore. 

La locuzione deus ex machina è comunque rimasta per indicare una persona che riesce là dove altre hanno fallito o un'azione che sblocca una situazione difficile. Nel caso di Renzi è chiaro che la situazione difficile da risolvere resta quella governabilità, ma è tanto misero ...quanto insensato poter pensare che un qualunque “deus ex” machina” possa oggi risolvere un problema di governabilità, senza prima risolvere altri principi che possano accompagnarla funzionalmente. Né.. si può mai pensare che da solo si possano dirimere la montagna di problematiche esistenti attraverso un risoluto determinismo ed una ostentata semplificazione...

I risultati sono più che evidenti e non mancheranno ulteriori problematiche che per effetto del conseguente abbrivio, arriveranno.
vincenzo cacopardo

i dolori del giovane Renzi

di paolo Speciale

La vicenda politica del nostro premier vede il suo protagonista inquieto e spesso solitario leader di un partito che continuerà ad autodistruggersi sino a quando si ostinerà a considerarlo non già figlio del tempo, quanto anche e soprattutto un male necessario per accumulare voti o, peggio, tessere.
Sarebbe un grossolano errore dimenticare che non è Renzi il primo Presidente del Consiglio incline ad attuare strategie di indirizzo politico di tipo terapeutico ispirate dalla contingente situazione socio-economica e non proprio in linea con datate ideologie di base, parimenti sostenibili – con identica se non maggiore efficacia –comprendendone appieno la naturale storica evoluzione, insieme ai nuovi diritti e valori che ne derivano e che non vanno certo revocati o negati, ma riconosciuti e trattati in maniera diversa, poichè essi stessi sono cambiati.
Giova qui ricordare che già trenta anni fa, solo contro tutti, Bettino Craxi vinse una consultazione referendaria abrogativa del decreto del febbraio del 1984 – detto di San Valentino per il giorno in cui fu emanato – che bloccava la scala mobile e che puntava all'ambizioso obiettivo – poi raggiunto- di ridurre una inflazione che uccideva ogni giorno di più una economia già sul letto di morte.
Le pregiudiziali lotte di classe – da fare ad ogni costo - in tempi di crisi globale nascono dalla irresponsabile consapevolezza di non saper considerare ogni grave recessione alla stregua della “livella” del principe De Curtis, dove a creare la disoccupazione è sia l'imprenditore che non può assumere sia l'operaio che non può lavorare.
Ciò premesso, non credo che la semplice abolizione del famigerato art. 18 possa contribuire ad una presunta “liberalizzazione” del mercato del lavoro con conseguente ripresa della produzione e dell'economia; anzi, poiché non vi attiene proprio, più utile sarebbe intervenire nel testo con emendamenti strutturali che non solo ne estendano l'efficacia a tutti i  lavoratori senza l'incostituzionale differenziazione – generante una inaccettabile diseguaglianza – del numero dell'organico, ma lo rendano finalmente ed inequivocabilmente avulso dalla querelle sul welfare.
E tuttavia questa convinzione non mi impedisce di considerare prioritario il recupero e la giusta valorizzazione dei presupposti fondamentali presenti in ogni rapporto di lavoro, che passa per il superamento una volta per tutte della restrittiva semplicità del principio secondo il quale uno o più licenziamenti possano costituire la chiave di volta per un'azienda che, se già soffre, non attenuerà di certo il proprio malessere mandando a casa le maestranze.
Soltanto pochi, oggi, si rendono conto delle vere priorità: e sono gli stessi che cercano di sfondare i muri di gomma fatti di tesi preconfezionate, spesso collegate ai cosiddetti “poteri forti” di cui colpevolmente i sindacati si sono fatti parte integrante, distruggendo un'immagine dialettica di confronto - che almeno nel 1984 c'era - di cui per prima la storica controparte , cioè il governo, oggi sente più di altri la mancanza.
E sono anche questi i dolori del giovane Renzi.






4 ott 2014

Un dissesto privato..maggiore di quello pubblico

Qualcuno ci descrive il disastro finanziario in questi termini“

di vincenzo cacopardo

QUALCOSA NON FUNZIONA
Cinque fra le maggiori banche americane hanno tutte un’esposizione ai derivati superiore ai 40 trilioni di dollari. Deutsche Bank vanta la maggiore esposizione in derivati di qualunque istituto americano, vale a dire oltre 75 trilioni di dollari (5 volte il Pil europeo e più o meno il Pil del mondo!!) Nel contempo si afferma che questi istituti sono troppo grandi per fallire ma, a differenza di azioni e obbligazioni, i derivati non rappresentano “investimenti” in nulla: sono solo scommesse di carta su ciò che accadrà in futuro. Come un gioco d’azzardo legalizzato e le banche “troppo grandi per fallire” hanno trasformato Wall Street nel maggiore casinò nella storia del pianeta”.

Secondo il New York Times, tali istituti“contano quasi 280.000 miliardi dollari di derivati sui loro libri contabili”, anche se la crisi finanziaria del 2008 ha dimostrato quanto sia pericoloso. Le grandi banche hanno sofisticati modelli che dovrebbero mantenere il sistema stabile e aiutarli a gestire questi rischi. Ma tutti questi modelli sono basati solo su ipotesi ideate da gente come tutti noi.

Nel 2008 l'economia americana era in piena espansione, tutti sembravano essere ricchi, anche se i segnali di pericolo erano dappertutto, vi erano troppi prestiti, investimenti folli, e banche avide, ma poi, quando Lehman Bros cade, il sistema finanziario e l’economia mondiale quasi crollano. Le cause ormai le conosciamo: prestiti sconsiderati e assunzione di rischi eccessivi con una evidente mancanza di trasparenza.

Dopo questa crisi, ed in forza di una evidente esperienza si sarebbe dovuto provvedere, ma secondo alcuni economisti, il problema è diventato molto più grande: il rapporto trimestrale sulle cinque maggiori banche “troppo grandi per fallire” dispongono tutte di oltre 40 trilioni di dollari in esposizione ai derivati.

Queste sembrano essere le cifre di un dissesto..
JPMorgan Chase - Asset complessivi: circa 2,5 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 67 trilioni di dollari
Citibank- Asset totali: quasi 1,9 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: circa 60 trilioni di dollari
Goldman Sachs- Asset totali: poco meno di un trilione di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Bank Of America- Asset totali: 2,1 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Morgan Stanley- Asset totali: 831 milioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 44 trilioni di dollari
..E non è certo solo un problema americano!. Secondo l'economista Michael Snyder, ci stiamo pericolosamente avvicinando verso il maggior disastro finanziario nella storia del mondo e nessuno sta facendo nulla per impedirlo.



Non possiamo augurarci che questa nuova bolla scoppi.. poiché colpirebbe chiunque ... l'economia soccomberebbe in modo indescrivibile su un piano globale, ma se pensiamo ai debiti pubblici degli Stati sovrani.. rispetto a tali azzardi continuamente esposti dalle banche private nel mondo, restiamo perplessi ed attoniti, anche in considerazione che il nostro debito appare quasi risibile.