24 apr 2015

il solito pasticcio....una risposta all'articolo di Domenico Cacopardo

Nessun coraggio frutta senza le utili idee...
Non capisco quale sarebbe questo bell'esempio di democrazia..forse quello operato dall'eroe sindaco d'Italia Matteo Renzi (tanto osannato dal cugino Domenico)??.. Se una mancanza di principio democratico esiste ..è proprio quella di cui abusa lui ed il suo governo !!
Per chi usualmente vede la politica come una competizione calcistica (minoranze contro maggioranze) ..la visione resta bloccata dall'aberrante principio di competizione sportiva..e non condotto attraverso una sana percezione politico culturale …..
Qui non si tratta di subire minacce da una minoranza..ma è in ballo un principio democratico che non potrà mai essere valutato in modo semplicistico come una lotta tra una squadra ed un'altra (minoranza e maggioranza). Qui si tratta di voler imporre una regola primaria dalla quale si definisce un percorso che non potrà avere altre strade se non quella di bloccare un corretto uso dei principi democratici.
E' inutile continuare a far finta di non capire.. poiché il sogno di chi vuol governare sembra essere solo quello di inventare un metodo per ingabbiare in qualsiasi modo un sistema di equa rappresentanza democratica. E' inutile anche buttarla sulla solidarietà tra politica, sindacato e cooperatori e la loro connivenza...come non ha senso idolatrare le capacità del sindaco d'Italia che, pur avendo alcune doti comunicative innate, usa ogni mezzo pur di imperare....tranne quello di ricercare un utile fine attraverso i giusti presupposti di una democrazia.
E' stupefacente la nota di Domenico Cacopardo quando, in riferimento alla nuova legge elettorale, sottolinea i tanti personaggi del passato che, nolenti o non nolenti, dovranno piegarsi... Tra questi vi sono alcuni che hanno sicuramente a cuore la difesa dei principi costituzionali. E poi..piegarsi a che?.. Ad una nuova legge elettorale decisa da un governo che determina la sua maggioranza grazie ad un esoso premio avuto per effetto di una legge elettorale passata fortemente contestata dalla Corte costituzionale? ..Una maggioranza guidata da un segretario del partito e Premier nemmeno eletto?..E' vero... la Costituzione ammette che se vi è una maggioranza in Parlamento il presidente della Repubblica può dare l'incarico..Ma siamo certi che questi principi siano chiari e davvero corretti per quanto riguarda le delicate e fondamentali riforme costituzionali?
Anzichè di coraggio... io parlerei di mancanza totale di idee innovative sul tema!..Ci si accoda alle proposte di un Premier.. non accorgendosi minimamente di quanto non vi è nulla di nuovo sul combinato proposto in ambito di riforme costituzionali ed istituzionali. 
Si vive in proposito in un vuoto totale ... senza porsi mai la domanda più logica di come arrivare ad un fine costruttivo cambiando in senso innovativo un percorso politico che necessita seriamente di un corretto funzionamento. L'alternativa rimane solo ancorata ai modelli esterofili delle contraddittorie democrazie degli altri Stati. Quindi non mettendovi mai alcun contenuto personale attraverso una seria ed utile ricerca...
Dovremmo poter dare esempi al mondo dei veri principi di una democrazia (sia per la nostra storia..che per la conseguente cultura) ed invece restiamo appesi a paradigmi vecchi sui quali pensiamo di far crescere nuove formule. In realtà tutto rimane vecchio proprio per una vecchia forma mentis politica bloccata.
Si continua a non dare seguito ad una vera riforma per il rinnovamento dei Partiti e non si pone il serio problema del conflitto tra i ruoli..crescono perciò le anomalie..e dobbiamo persino ringraziare un Premier chiamandolo coraggioso? E' il solito pasticcio.. di chi con furbizia agisce con determinazione, ma senza vere idee!..Con questa operazione si sta aggirando ogni ostacolo e si sta imponendo una politica assoluta ed assolutista..Altro che deriva autoritaria! Definito il nuovo sistema non vi sarà nemmeno bisogno di un Parlamento poiché il suo scopo non avrà più alcun senso..
vincenzo cacopardo




Il coraggio di Matteo Renzi 
di domenico cacopardo
«Non avrà il coraggio», si sono detti gli esponenti delle minoranze Pd in occasione dell’approvazione del «job act». «Non avrà il coraggio», si sono ripetuti prima della riunione della direzione o dei gruppi parlamentari in vista del voto sull’«Italicum», nuova legge elettorale, e prima che rimuovesse tutti i loro rappresentanti (10) dalla commissione Affari costituzionali che nei prossimi giorni l’esaminerà. Invece Matteo Renzi l’ha fatto. È andato avanti e in virtù di voti nel partito e nelle aule ha continuato il suo percorso riformista, senza lasciarsi fuorviare dalle minacciose dichiarazioni dei Cuperlo e dei Fassina e dello statista di Bettola (Piacenza), Pierluigi Bersani, lo scopritore della Boldrini (insieme a Vendola) e di Grasso.
Per ritorsione (una ritorsione schizofrenica), Forza Italia ha deciso di abbandonare i lavori della commissione stessa, quando, al Senato aveva approvato in commissione e in aula il testo ora all’esame della Camera dei deputati.
Non parteciperanno ai lavori nemmeno Lega Nord, Sel (ma esiste ancora?) e Movimento 5 Stelle. Tutti soggetti che danno al Paese un bell’esempio di democrazia: il senso delle loro contestazioni è che la democrazia c’è solo se la maggioranza si piega a loro, minoranza, o se la minoranza è tale da ricattare con successo la maggioranza.
Che i partiti «aventiniani» abbiano scelto la strada della diserzione è un errore comprensibile, visto che con la nuova legge elettorale non piglieranno palla: introdurrà un bipartitismo tendenziale che, nell’attuale situazione, produrrà una Camera composta dai rappresentati di un partito (che dovrebbe essere il Pd) e tanti sparsi gruppetti elettorali. A dire il vero l’ottica bipartitista era gradita a Silvio Berlusconi che si vedeva unico interprete dell’opposizione «di sua maestà», quella opposizione blanda che gli avrebbe permesso di sistemare le proprie cose imprenditoriali, politiche e giudiziarie. Una prospettiva svanita per la sua denuncia del Patto del Nazareno a causa della scelta di Mattarella per la presidenza della Repubblica e per la scomposizione del suo partito diviso in frazioni più o meno vicine o lontane rispetto a Matteo Renzi, tutte decise, nel concreto, a rifiutare la «leadership» dell’«uomo di Arcore».
Nella realtà dei corridoi parlamentari, l’elemento più eclatante è lo sconcerto dei non pochi componenti delle minoranze Pd, più stupiti che indignati. E lo stupore deriva dalla constatazione che quel «fair play» che teneva unita la «ditta» (la definizione che freudianamente Bersani dette del partito, mutuandola dal soggetto tipico dell’attività commerciale, appunto la «ditta») con Renzi non è più valso, perché lui è un «parvenu» estraneo alla storia del Pds e dei Ds, uniti da un collante postideologico e dall’insediamento sociale di cui era espressione. Pensiamo al sindacato, prima di tutto la Cgil, ma non solo, e pensiamo alla cooperazione al suo mondo di affari e alla sua presenza nel territorio. I grandi ipermercati, l’edilizia popolare e convenzionata, gli appalti pubblici. Una macchina che, nel migliore dei casi, creava solidarietà tra politica, sindacato e cooperatori, nel peggiore complicità e connivenza.
In una organizzazione costruita su questi presupposti, c’è una generale convenienza a misurarsi e a confrontarsi all’interno di quel «fair play» che determina i limiti di ogni azione, pena l’emarginazione e la collocazione nella nota categoria degli insani di mente, coloro che non accettano le regole della convenienza.
Renzi ha dimostrato a tutti che sul piano della solidarietà politica o della complicità di cui abbiamo detto, è un alieno che non teme le minacce della minoranza, che sa gestirla conoscendone le debolezze e batterla ogni volta che ciò gli risulta utile.
Ha dalla parte sua il fatto che il mondo –e con esso l’Italia- è cambiato e che quindi gli stilemi, le parole d’ordine di qualche anno fa non funzionano più.
La grande crisi ha messo la gente di fronte a problemi che le parole della minoranza Pd non esorcizzavano, anzi aggravavano con ricette visibilmente fuori dal tempo.
E la grande crisi ha invecchiato d’improvviso e di qualche decennio coloro che sembravano gli interpreti di un’anima di sinistra che non esiste più com’esisteva, se non in esigui gruppi sociali.
La legge elettorale passerà, non ci sono dubbi. E, da qual momento, ogni giorno sarà buono per sciogliere le camere se Renzi lo riterrà e lo vorrà. In tutti i regimi parlamentari, le elezioni vengono stabilite dai governi. In Italia, in modo anomalo, da qualche presidente della Repubblica ai «bordi» della Costituzione.
E, in effetti, Mattarella non potrà rifiutare il suo assenso, se e quando il primo ministro gli sottoporrà il decreto di scioglimento.
Da quel giorno e dalla nuova consultazione elettorale, inizierà la terza Repubblica, volenti o nolenti tanti personaggi del passato. In essa e con essa ci si dovrà misurare.


Una nota di Giulio Ambrosetti sulle autostrade della Sicilia

da La voce di new york
Autostrada Messina-Palermo, ovvero gli sprechi senza fine




"Si parla della frana che ha ‘inghiottito’ il viadotto “Imera” sulla Palermo-Catania. Ma l’autostrada Messina-Palermo non è messa meglio. Quattro anni fa era un delirio con incredibili sperperi di denaro pubblico. E la situazione non sembra cambiata. Anzi..."

Nella travagliata storia delle autostrade e delle strade siciliane un capitolo a parte merita il Cas, sigla che sta per Consorzio autostrade siciliane. Il Cas vede la luce nel 1997. E’ il frutto del ‘matrimonio’, chiamiamolo così, tra il vecchio Consorzio autostradale Messina-Palermo e il vecchio Consorzio, sempre autostradale, Messina-Catania. Alla costituzione del Cas si arriva per chiudere - o quanto meno per provare a chiudere - una stagione di scandali senza fine con incredibili ruberie. Insomma, il Cas viene costituito per ‘moralizzare’ la gestione di queste due autostrade e per completare l’autostrada Siracusa-Gela. Ma, come vedremo, lo sfascio delle autostrade siciliane aumenterà, alla faccia della ‘moralizzazione’.
Il Cas è concessionario dell’Anas, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture. Il maggiore azionista del Cas è la Regione siciliana autonoma, con il 96 per cento. Il Consorzio autostradale viene istituito, come già ricordato, nel 1997, per gestire l’autostrada Messina-Catania (una delle più frequentate d’Italia, quella, come abbiamo ricordato nella prima puntata del nostro ‘viaggio’ tra strade a autostrade siciliane, dove sparivano i soldi dei pedaggi), per completare e gestire l’autostrada Palermo-Messina e per completare e gestire l’autostrada Siracusa-Gela. Per la cronaca, il programma della progettazione autostradale della Sicilia, che risale agli anni ’50 del secolo passato, prevede la chiusura del periplo autostradale dell’Isola del quale la Siracusa-Gela è il penultimo tratto; l’ultimo tratto - la Gela-Mazara del Vallo - è ancora di là da venire; a queste autostrade si dovrebbero aggiungere alcuni attraversamenti ‘a pettine’: la strada a scorrimento veloce Palermo-Agrigento che è un delirio; la strada a scorrimento veloce Palermo-Sciacca che è un mezzo delirio; e la Nord-Sud, ovvero la Mistretta-Gela, che è una sorta di ‘mammella eterna’, ovvero una strada a scorrimento veloce modello tela di Penelope: finanziamenti senza fine con lavori che vanno avanti da quasi 50 anni.
I dati che ora riporteremo fanno riferimento a un’inchiesta che chi scrive ha firmato nel febbraio del 2011 per I Quaderni de L’Ora. Rispetto a quattro anni fa è cambiato poco o nulla. In ogni caso, si tratta di fatti che indicano lo ‘stile’ con il quale in Sicilia si gestiscono le autostrade. Giusto per raccontare ai lettori - soprattutto ai lettori americani - che la collina che, franando, ha travolto il viadotto “Imera” lungo l’autostrada Palermo-Catania non è una fatalità, ma un fatto che, per le autostrade siciliane, è assolutamente normale.
Cominciamo col dire che il Cas, per le proprie attività, dovrebbe utilizzare risorse finanziarie proprie: gli introiti dei pedaggi e le royalties che derivano dalla concessione di aree di servizio. Soldi che dovrebbero essere impiegati per pagare il proprio personale e per la manutenzione della rete autostradale. Secondo quanto previsto dalla convenzione con l’Anas, la spesa annua per la manutenzione delle autostrade non deve essere inferiore al 35 per cento di quanto ricavato dai pedaggi.
Stando a quello che abbiamo appurato circa quattro anni fa, del periodo che va dal 1997 al 2008, del Cas si sa poco o nulla. Una delle poche cose che abbiamo appurato è l’esistenza, nel febbraio del 2008, di un atto di diffida dell’Anas al Consorzio autostrade siciliane. L’Anas contesta al Cas una serie impressionante di inadempienze: a cominciare da una quasi totale assenza di manutenzione in circa dieci anni! Oggi i giornali scrivono che le strade provinciali della Sicilia sono prive di manutenzione: cosa verissima. Ma il ‘vizio’ di non fare manutenzioni non riguarda solo le strade provinciali, ma anche le super-frequentate autostrade Messina-Catania e Palermo Messina! 
Da quello che ci risulta, l'Anas è tornata alla carica con un'ulteriore diffida al Cas. La storia è sempre la stessa: le manutenzioni che il Consorzio autostrade siciliane effettuerebbe in dosi 'omeopatiche' e, in ogni caso, impiegando molto meno del 35 per cento di quanto ricavato dal pagamento dei pedaggi da parte degli automobilisti.  
Chi si trova, nel 2008, ad affrontare problemi incredibili è Patrizia Valenti. Appena nominata dal governo siciliano ai vertici del Cas, deve subito fronteggiare i rilievi dell’Anas. Oltre alle mancate manutenzioni, il Consorzio non ha effettuato accantonamenti, la contabilità non rispetta la legge e via continuando con irregolarità di tutti i generi e di tutte le specie. Dal 1997 al 2000 c’è il buio. Ma, carte alla mano, l’Anas ha appurato che dal 2000 al 2008 non sono state effettuate le manutenzioni. All’appello mancano circa 84 milioni di euro che avrebbero dovuto essere utilizzati per migliorare la sicurezza delle due autostrade. Soldi finiti chissà dove.
Di fatto, le autostrade Palermo-Messina (quest’ultima, come vedremo, è stata completata, o quasi, nel 2004) e la Messina-Catania risultano abbandonate. Manto stradale e impianti vari lasciano molto a desiderare. Autostrade diventate pericolose per gli ignari automobilisti. Quattro anni fa ci chiedevamo come mai l’Anas avesse impiegato quasi otto anni per contestare al Cas tutte queste inadempienze. Magari ci sono documenti che non conosciamo. Però, quattro anni dopo, osservando l’abbandono dell’autostrada Palermo-Catania gestita dall’Anas, tante cose le inquadriamo in un’altra luce. Della serie, lo sfascio di strade e autostrade, in Sicilia, è pressoché totale.
Citiamo un esempio relativo proprio all'autostrada Palermo-Messina. A parte la mancanza di manutenzione e le tecnologie a fibre ottiche abbandonate, il tratto di tale autostrada che va da Cefalù allo svingolo per Castelbuono pare sia stato realizzato sopra pozzi artesiani. Così ci hanno raccontato gli abitanti della zona che, ovviamente, conoscono l'ambiente in cui vivono. Se la cosa risponde al vero, non sono da escludere, in un futuro non lontano, problemi, anche seri, per questo tratto di autostrada.  
Del 2008 ricordiamo un piano di manutenzione straordinario messo a punto da Patrizia Valenti. Con richiesta di fondi allo Stato e alla Regione. Una richiesta alla quale non risponderanno mai, né lo Stato, né la Regione siciliana. Nonostante i problemi finanziari, gli amministratori del Cas di quegli anni affrontano alcune delle emergenze: vengono avviati i lavori in alcune delle gallerie che erano state abbandonate e dove i mezzi viaggiavano in una sola carreggiata; viene aperto al traffico il tratto di autostrada Noto-Rosolini lungo la Siracusa-Gela (delle vicissitudini di questa terza autostrada parleremo in un'altra puntata del nostro 'viaggio'); viene eliminata la barriera di esazione del Furiano, lungo l’autostrada Palermo-Messina; e vengono messi in sicurezza alcuni tratti autostradali che, come abbiamo già ricordato, erano, di fatto, stati abbandonati per quasi otto anni.
Di sicurezza, nelle autostrade Palermo-Messina e Messina-Catania, dal 2000 ad oggi, non ce n’è stata e non ce n’è ancora molta. In queste due autostrade, dal 2000 al 2008 (ma anche negli anni successivi, anche se con una netta diminuzione), sono avvenuti tanti incidenti. Non sappiamo se gli automobilisti-utenti abbiano adottato contromisure. Ma non è detto che non debbano arrivare, anche se con un po’ di ritardo, pesanti richieste di risarcimento da parte degli stessi cittadini. Vediamo il perché.
Secondo quanto prevede la legge, i pedaggi, nelle autostrade, vanno incrementati solo dopo che le stesse autostrade sono state messe in sicurezza. Non è il caso della Palermo-Messina e della Messina-Catania nelle quali, come già ricordato, dal 2000 al 2008 non sono state effettuate manutenzioni. E infatti - unico caso in Italia! - i pedaggi di queste due autostrade sono rimasti bloccati per quasi un decennio. Qui torniamo agli incidenti. In queste due autostrade, a causa dell’alto numero di sinistri, è avvenuta una cosa per certi versi unica nel suo genere. Se, da un lato, i cittadini non hanno fatto caso all’alto numero di incidenti che avvenivano in quegli anni lungo queste due autostrade, la cosa non è invece sfuggita alle Assicurazioni generali, che nel marzo del 2008 hanno messo la parola “fine” alla polizza assicurativa con il Cas proprio a causa dell’elevato numero di sinistri. Anche in questo caso, si è trattato di un caso piuttosto insolito, forse unico, in tutto il Belpaese. Per capire di quello che stiamo parlando, il contratto assicurativo disdettato dalla Generali era pari a circa 1,3 milioni di euro, mentre il bando di gara per sostituire la compagna assicurativa che si era chiamata fuori era pari a circa 4 milioni di euro!
Nella puntata precedente abbiamo ricordato che, negli anni ’80, ogni finanziamento dello Stato all’autostrada Palermo-Messina scatenava un pandemonio tra Camera e Senato. Questo perché i costi di quest’autostrada, realizzata in massima parte su viadotti e in gallerie, costava una barca di soldi. L’autostrada è stata completata dal governo Berlusconi nel 2004. All’appello mancava il tratto che va da Buonfornello-Cefalù (provincia di Palermo) a Sant’Agata di Militello (provincia di Messina). Quando è stato inaugurato in pompa magna, alla presenza di tante autorità (il centrodestra lo portava come esempio di buona amministrazione: e sulla carta era così, se è vero che i lavori sulla Palermo-Messina duravano da circa 40 anni e non si riuscivano a chiudere), era in funzione anche un sistema di telecontrollo in fibra ottica. La tecnologia in fibra ottica introdotta (unico caso in Sicilia) e, in generale, tutta la Palermo-Messina imponeva un’attenta manutenzione. Che invece non c’è stata.
Oggi che l’autostrada Palermo-Catania è in grande sofferenza (bene che vada le automobili impiegano cinque ore), l’unica arteria autostradale che collega la Sicilia occidentale con la parte orientale dell’Isola è la Palermo-Messina. Ma anche questa è un’autostrada in buona parte mal messa, proprio a causa di una carente manutenzione. E dire che il personale non manca. Conti alla mano, viene fuori che in quest’autostrada il rapporto spese del personale-introiti è il più alto d’Italia (45% rispetto a una media nazionale del 35%). Questo perché nelle autostrade del Cas opera un terzo di esattori in più rispetto ad altre società autostradali italiane.
Un'altra stranezza, chiamiamola così, che va da sempre in scena nella gestione dell’autostrada Palermo-Messina è rappresentata dalla Technital, una società nazionale che in Sicilia è presente dagli anni '70 del secolo passato. Quattro anni fa è venuta fuori un particolare che ha lasciato di stucco. Di solito, le spese per la progettazione e per la direzione dei lavori vengono imputate sulle risorse finanziarie che lo Stato mette in campo per la costruzione delle autostrade. Al Cas, invece, sia la progettazione, sia la direzione dei lavori affidate alla Technital gravano sul bilancio del Consorzio autostradale. 
Questo avviene grazie a una convenzione che risale agli anni ’70 del secolo passato. Convenzione rinnovata nel 1999, prima della costituzione del Cas. Come mai nessuno ha messo in discussione questa convenzione che provoca ingenti esborsi allo stesso Consorzio autostradale? Come mai nessuna autorità ha mai contestato il fatto che lavori pubblici importanti vengono affidati a una società - la già citata Technital - senza il ricorso all’evidenza pubblica? A chiederselo è Patrizia Valenti che in una relazione inviata alla magistratura e alla Corte dei Conti così scriveva: “L’aver scelto di continuare ad affidare la progettazione e la direzione dei lavori a una società non selezionata da procedure di evidenza pubblica ha comportato l’impossibilità di far gravare tali spese sul finanziamento pubblico”.   
Su questa materia - era così quattro anni fa e ci dicono che le cose non sarebbero mutate - si applica, in pratica, la normativa nazionale. Il punto va illustrato meglio, anche a beneficio dei lettori americani. La Sicilia è una Regione autonoma. E ha potestà legislativa anche sui lavori pubblici. Stranamente, per i lavori lungo l’autostrada Palermo-Messina, si applicano le norme nazionali. Contemporaneamente, nelle stesse zone, per altre tipologie di lavori pubblici, si applicano le leggi regionali. E siccome la fantasia giuridica, in Sicilia, non ha limiti né confini, sempre nei lavori di tale autostrada, si bypassano le normative dell’Unione europea!
Altro giro, altra corsa: le aree di servizio. Quattro anni fa abbiamo scoperto che le aree di servizio in quest’autostrada con contratti vigenti erano solo due. In tutti gli altri casi i contratti risultavano scaduti tra il 2001, il 2002 e il 2003. Cosa, questa, che lasciava immaginare un danno erariale, visto che il danno è a carico dell’azionista di maggioranza che è pubblico (la Regione con il 96% circa, come già accennato).
Facciamo un esempio concreto, per illustrare cosa succedeva quattro anni fa. A livello nazionale, con le royalties sui carburanti aggiornate, gli introiti ammontavano a circa 0,70-0,80 centesimi di euro per litro. In Sicilia erano fermi a 0,10 euro per litro. Lo stesso discorso vale per le royalties su ristoro e market. A fronte di un’aliquota nazionale del 19%, quella applicata dal Cas, quattro anni fa, era ferma al 4,5%. Le cose stanno ancora in questi termini? Tutto lascerebbe supporre di sì, se è vero che l’Anas, già da qualche tempo, è tornata a contestare al Cas varie inadempienze.
Veramente incredibile la storia di 12 milioni di euro che sarebbero stati ripianati due volte: la prima vota nel 2005 e, in parte, nel 2006; la seconda volta nel 2007. Ma in quale conto corrente, o in quali conti correnti, siano finiti i 12 milioni di euro ‘ripagati’ nessuno l’ha mai capito. In realtà, Patrizia Valenti ha provato a fare luce sui questi soldi pubblici scomparsi dal Banco di Sicilia. Ha messo per iscritto tutto al governo regionale dell’epoca, alti burocrati della pubblica amministrazione compresi. Ma politici e alti burocrati hanno insabbiato tutto. Nell’estate del 2010 Patrizia Valenti ha provato pure a rivolgersi alla Banca d’Italia. E ha messo a punto una delibera che prevedeva di affidare la gestione di questa vicenda a una società specializzata nella certificazione di bilanci. Ma, di fatto, la sua azione verrà ‘stoppata’ dal governo regionale dell’epoca. Patrizia Valenti verrà ‘silurata’ dal vertice del Cas. E dei 12 milioni ‘spariti’ non si saprà più nulla.
Giulio Ambrosetti


23 apr 2015

Italicum: metodo e merito di una legge istituzionale..


La votazione sulla nuova legge elettorale Italicum, insistentemente voluta dal presidente del Consiglio, impone un'attenta riflessione ...Abbiamo già analizzato in profondità questa proposta di legge traendone delle analisi critiche inerenti alcuni macroscopiche anomalie come il premio di maggioranza ed il combinato della riforma del Senato...nonchè l'avanzamento di un sistema proiettato verso un bipolarismo instabile e, di certo, assai poco democratico. Ma ciò che mi piace sottolineare sono proprio gli aspetti di metodo che difficilmente, nel caso di una legge elettorale, possono ritenersi staccati da una valutazione nel merito.

La Costitutuzione definisce il compito del Parlamento separato nel merito da quello della presidenza della Repubblica: Sappiamo che il presidente della Repubblica promulga le leggi non potendo entrare mai nel merito delle stesse.. se non per casi straordinari che possano mettere in serio rischio la sicurezza della Nazione. .Il compito del capo dello Stato del nostro Paese rimane quindi quello di garantire nel metodo il processo di andamento istituzionale al fine di non contrastare con i principi findamentali della nostra Carta. In poche parole..la Costituzione lascia il parlamento libero di promuovere normative e votare leggi.. affidando al Presidente della Repubblica il compito e la responsabilità di promulgarle dopo un attento sguardo (  nel metodo) evitando in tal modo.. di poter incidere nell'andamento politico parlamentare.

Questo..in modo sintetico.. la differenza dei ruoli posta per ordine costituzionale. .Oggi.. un sopracitato caso “straordinario” di mettere a rischio la sicurezza della Nazione ..sembrerebbe non esistere..ma in realtà una certa deriva autoritaria imposta dal governo pare scorgersi con prepotenza.
Queste, quindi, in modo conciso, le conseguenti domande da porre al Capo dello Stato: La definizione di una nuova legge elettorale.. potrebbe mai restare fuori da una profonda analisi nella valutazione del suo metodo? E..poi..la sicurezza di una Nazione.. che basa il suo assetto istituzionale su un sistema democratico di contrappesi, potrebbe mai non essere messa in crisi da una legge elettorale edificata su un principio tanto assolutista ?

vincenzo cacopardo 

21 apr 2015

La sorprendente incoerenza di Bersani.


di vincenzo cacopardo

Bisogna saper essere coerenti con se stessi prima che col prossimo... soprattuto quando si è un esponente politico.. Quello che più conta è la fedeltà col proprio pensiero!

Quando sento parlare Bersani (figura che ho sempre stimato per la propria integrità morale) non riesco mai a comprendere il senso di ciò che in realtà vorrebbe ..o meglio..non percepisco alcuna coerenza nel suo dialogo: La sua fedeltà al Partito finisce col prevalere sull'armonia dei suoi stessi principi..il chè equivale a descrivere il suo pensiero contraddittorio e persino.. pleonastico, poichè condizionato sotto il peso di una imposizione.

A che vale esprimere il proprio modo di pensare per poi seguire gli ordini di una maggioranza di un partito che impone di pensarla in tutt'altro modo? Quindi o si tace... o meglio, ci si allontana definitivamente da quei principi che non si condividono. Questa regole è fondamentale e legata ad un altro principio che regola i rapporti col proprio elettorato: E' sbagliato dire che non vi è un vincolo di mandato per poi restare soggiogati al volere di un Partito, ma è ancora più sbagliato non pensare che quel che maggiormente conta è mantenere fede ai proprio modo di pensare che rimane il vero vincolo per un politico che ama le proprie idee ed i propri principi per i quali è stato promosso da un elettorato.

L'articolo 67 della Costituzione venne appositamente scritto per fornire ai membri deputati eletti nel Parlamento una propria libertà di espressione....fu concepito per garantire la più assoluta libertà ai membri eletti alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica. In altre parole, I costituenti, per garantire maggiore democrazia, ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il Partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere. Il vincolo, semmai, avrebbe legato l'eletto agli elettori per una natura di responsabilità politica.

Il principio si fonda sul fatto che i rappresentanti eletti non possono essere i rappresentanti di un distretto particolare, ma della nazione intera e, quindi, non potrebbe essere conferito loro alcun mandato.

Oggi Bersani ed il suo gruppo di dissidenti combattono per un contrasto di principi contro una governabilità parecchio autoritaria, per cui... mai come in questo caso.. il vincolo di mandato dovrebbe intendersi verso la difesa dei valori fondamentali della democrazia e non verso l'assolutismo di un Partito condotto con arroganza da un premier .



Strage nel mare nostrum....

Mancata lungimiranza..ed ipocrisia politica

Ha ragione Salvini, (se pur non ne condivida in pieno il pensiero), quando da sempre.. ha messo premura alla ricerca di una soluzione più efficace bloccando sul nascere l'arrivo degli extracomunitari. Sappiamo tutti che il problema rimane immenso, ma è pur vero che il tempo trascorso nell'inerzia o nella soluzione di un Frontex.. risultato poco utile, continua a dare forza al politico della Lega.

La nuova strategia “Triton” in alternativa a “Mare nostrum”, continua a generare incidenti mortali senza sosta e la politica, sia quella nazionale che quella europea, appare inerte di fronte alle catastrofi annunciate ed alla sequela della morie al largo delle coste del nostro Paese. Salvini si sfoga: "Cos'è cambiato a 18 mesi da Lampedusa? - - Servono altri 700 morti per bloccare le partenze? Se le istituzioni Ue hanno un senso ci vuole tanto a organizzare dei blocchi navali e identificare chi è immigrato clandestino e chi è rifugiato? Non so più come dirlo. L'ipocrisia di Renzi e Alfano crea morti".

E' proprio l'ipocrisia il maggior peccato di chi insiste col mostrare retoricamente dolore per queste stragi che non potevano non essere annunciate da un andazzo indolente ed inoperoso di una politica internazionale rimasta lontana da quello che oggi rappresenta uno dei temi più scottanti nel quadro dei paesi del mediterraneo.

Sappiamo bene i limiti di Salvini, ma non v'è dubbio che in questa storia vi abbia letto in lungimiranza trovandomi abbastanza vicino, poichè le vedute in prospettiva dovrebbero sicuramente appartenere ad ogni politica attiva ed efficiente. Certo..le soluzioni non risultano semplici, ma non vi possono essere equivoci sul fatto che il tempo trascorso e la poca importanza messavi, ha contribuito a far degenerare il problema in un dramma.

L'agenzia europea Frontex (per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea) è un'istituzione che ha lo scopo di coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE. Un'agenzia che non può mai operare preventivamente per risolvere il vero problema...quando questo alla radice è proprio quello di bloccare sul nascere queste partenze. In ciò non ci si è voluto impegnare con efficacia sul piano internazionale attraverso un coordinamento strategico che potesse mirare ad un'azione politica in complicità con tutti i paesi limitrofi comprese le super potenze degli Stati uniti e della Russia. Nel frangente la nostra Nazione si è mossa, spinta da un particolare senso umano, a protezione delle vite dei tanti emigranti (clandestini o no)...spinta da uno spirito di umanità cristiana che da sempre l'accompagna. Ma la politica, al contrario, ha ricercato come al solito la abituale via più facile dell'accompagnamento nei centri d'accoglienza con rischi e pericoli.. oggi.. sempre più evidenti.
Ma se un politico non è lungimirante ..a cosa serve?..Se non sa leggere in prospettiva.. per ricercare le soluzioni...che utilità rende al paese? In questa circostanza..la politica governativa del Premier è apparsa sempre ipocrita e sprovveduta ..mentre (seppur con parecchie remore sulle idee politiche) il più lungimirante è sembrato prorio Matteo Salvini.

Chiudo con ciò che scrissi in un mio post già nel settembre del 2012:
Gli argomenti politici internazionali di grande attualità nel prossimo futuro saranno quelli legati all’ambiente ed al sovrabbondante numero di immigrati extracomunitari che tenderanno ad invadere con maggior forza i territori dei Paesi economicamente avanzati. Ovviamente i due problemi sono fortemente collegati tra di loro ed al tema di una sicurezza. Tutti sappiamo ormai che il nostro pianeta, oltre a subire un mutamento atmosferico condizionato dal progresso delle civiltà più evolute, deve affrontare questo forzato processo di coabitazione. Sono problemi ormai conosciuti dei quali si discute abbondantemente e che coinvolgono da vicino il nostro Paese, ma anche in questo caso, ogni soluzione rimarrà ancorata a scelte di natura politica. Non valutati con attenzione nel passato ed adesso moltiplicati e sempre più difficili da risolvere, questi problemi, oggi quasi insormontabili, vedranno un mondo politico doversi esprimere in termini sempre più severi.”

post correlato: LO stato e gli effetti sociali della modernizzazione

17 apr 2015

A proposito di equità e pensioni...

Scrive Domenico Cacopardo su “Italia Oggi”

"Diamo pochi numeri riassuntivi. Riguardano il 2012, dato che il successivamente s’è verificato un balletto dei numeri nel quale è difficile orientarsi: il risultato è quello voluto per impedire che i cittadini, pensionati e non, si facciano due conti.

Insomma, nel 2012, la spesa per pensioni ‘pure’ è ammontata a 211 miliardi. Per pensioni assistenziali s’è speso 100 miliardi. I contributi incassati dall’Inps arrivano a 190 miliardi. Quindi, il buco relativo alla gestione delle pensioni ‘pure’ è di euro 21 miliardi. Va considerato, però, che i pensionati ‘puri’ pagano 42,9+ 3 miliardi di imposte (Irpef). Perciò, in realtà, la gestione delle pensioni ‘pure’ presenta un avanzo di 25,19 miliardi di euro.

Inoltre, tutti i documenti, nazionali e comunitari, che disegnano gli scenari –a legislazione vigente-, indicano che nel 2015 la spesa per pensioni ha raggiunto il picco e già dal 2016 comincerà a calare.

La situazione generale mette in rilievo che ci sono circa 100 miliardi di pensioni assistenziali pagati con la fiscalità ordinaria. Cioè, c’è il trasferimento di 100 miliardi dalle tasche dei contribuenti nelle tasche dei titolari di pensione sociale. A questa operazione, si deve aggiungere la somma che lo Stato trasferisce all’Inps per integrare le gestioni in deficit, quelle cioè che con i contributi versati non riescono a pagare le pensioni. 

Ecco, allora, che l’Inps fa filtrare l’idea di intervenire sulle pensioni di coloro la cui pensione è calcolata col sistema contributivo e che risultano già penalizzati, in quanto non viene loro erogato ciò cui avrebbero diritto in base ai contributi versati. 

Tra questi, magistrati e «gran comis» andati in pensione, rispettivamente, a 75 e a 70 anni. Con grande ipocrisia, il Corriere della sera, a firma Domenico Comegna, scrive, a proposito di coloro che sono andati in pensione a 70 e dopo «cui è stato permesso restare in servizio … anche superati i 40 anni massimi di anzianità».

In realtà, nulla è stato «permesso». Con un’altra operazione terroristica sulla gestione delle pensioni, lo Stato italiano ha prolungato l’età di servizio sino ai limiti qui indicati, promettendo proprio un ricorso al sistema di calcolo «misto», retributivo-contributivo, e ha ottenuto che tanti manager e tanti magistrati rimanessero in servizio a «lavorare», dando un significativo contributo di capacità ed esperienza al funzionamento della macchina pubblica. Tra i «tardopensionati» si contano presidenti di Cassazione e di altre corti, procuratori generali, insomma, l’ossatura di una organizzazione che, al di là di ogni polemica, ha «retto» la cosa pubblica. Va anche ricordato che tutta la gestione delle pensioni pubbliche è documentata dagli anni ’80, non prima visto che non c’era evidenza di specifiche necessità contabili.

Perciò, immaginare un’altra operazione di taglio pensionistico che incida su coloro la cui situazione contributiva determinerebbe pensioni superiori a quelle che ricevono, è pura follia demagogica. Anche perché si tratta di un numero ristretto di persone, ultrasettantenni che, alla luce degli indici di mortalità, non incideranno a lungo sulla contabilità Inps."


Al di là di ogni ipocrisia..quello che Domenico Cacopardo, pare non volere riconoscere.. è il momento storico in cui si vive..con tanta popolazione ormai ridotta sul lastrico da un'esigenza economica imposta da una unione europea alquanto fredda e distaccata che, per tramite dell'attuale governo, continua ad imporre sacrifici. 
Vi è tanta gente che non potrà ma pensare di soppravvivere con una pensione di 450 euro mensili ..quando al contrario vi sono quelle categorie privilegiate che hanno pensioni superiori ai 10.000 euro e che non vengono mai sensibilizzate in proposito, ponendosi con l'unico pricipio personale dei propri contributi versati con un sistema diverso ed in un periodo in cui la nostra Nazione viaggiava ad un ritmo diverso.. 

Mi piacerebbe mettere a confronto lo stato di un operaio o di un lavoratore autonomo con l'esempio fatto da Domenico a proprosito dei tanti manager ed i tanti magistrati rimasti in servizio a «lavorare» rendendo un servizio alla macchina pubblica: Ma quale lavoratore oggi potrebbe restare in servizio oltre una certa età (seppure con un calcolo pensionistico a sistema misto).. se non appartenesse ad una categoria privilegiata?...Gli operai o i tanti lavoratori autonomi..non hanno forse contribuito a reggere l'ossatura di una organizzazione della cosa pubblica?..O lo hanno fatto solo i magistrati, i manager, i presidenti di Cassazione.. o i tanti politici?.. 

Sappiamo tutti che le casse dell'Inps fanno acqua..soprattutto per colpa di tanta politica che non ha saputo guidare il controllo dell'istituto, come sappiamo che per quanto riguarda gli esodati si sono creati grossi problemi ad una categoria di cittadini..con una vile ed ignobile manovra..non degna di uno Stato democratico.

Come ci si può meravigliare di voler cercare di dare una... se pur sensibile.. svolta equilibriatrice a quei principi che dovrebbero regolare la sicurezza economica di tutti i cittadini..se non operando per risolvere un evidente divario? Un divario al quale.. il pensionato ricco, non potrebbe restare estraneo.. contribuendovi solo con quanche centinaio di euro: Due o trecento euro sono nulla per chi ne riceve diecimila , ma sono tanti per chi ne riceve appena cinquecento..
vincenzo cacopardo







16 apr 2015

un nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Un disastro annunciato
di domenico cacopardo
Immaginate che il Corpo dei vigili del Fuoco non riesca a spegnere tutti gli incendi che si sviluppano in Italia e che il governo e il Parlamento decidano che quelli di piccola entità siano lasciati a se stessi. Naturalmente, dai piccoli incendi si svilupperanno incendi più gravi e diffusi, tali da mettere in discussione centri abitati e attività commerciali.
«Una ipotesi paradossale», penserete.
Invece non è così: quello che è accaduto con la depenalizzazione di reati «tenui» è qualcosa di simile, pur rimanendo sul tappeto una differenza sostanziale. Per gli incendi, i cittadini hanno il diritto e, in qualche caso, il dovere di intervenire, senza attendere l’arrivo delle autobotti. Per i reati, gli interessati non possono intervenire, pena vedersi perseguiti per reati non tenui, di reazione a reati tenui. Secondo logica, se lo Stato si ritira dalle strade, abdica ai suoi doveri in materia di sicurezza pubblica per venire incontro alle esigenze di una corporazione rivelatasi incapace di offrire i servizi richiesti dalla popolazione (di «servire» come dovrebbe il popolo, nel cui nome adotta le sue decisioni), dovrebbe al contempo allargare le maglie della legittima difesa e dell’autorizzazione al porto di armi per difesa personale.
Certo, una follia, come s’è dimostrato con il caso del tribunale di Milano e con le altre decine di casi di aggressioni a impiegati comunali, a operatori delle Asl, ad addetti di Equitalia, accaduti dal 1° gennaio 2015, ma dimenticati dalla stampa nazionale. Se a essi si fosse porta un po’ di doverosa attenzione, probabilmente, qualche procuratore generale avrebbe deciso di imporre regole più stringenti in materia di controllo degli accessi ai tribunali.
Ma la questione, come avevamo promesso, non può essere abbandonata, giacché, spulciando l’elenco infinito dei reati non punibili se «tenui», ne vengono fuori di belle o, se preferite, di incredibili.
In realtà, quello che metteremo in rilievo è che, profittando del decreto delegato, il governo-legislatore s’è ampiamente occupato dei reati in cui incorrono frequentemente i politici, trasferendoli nella categoria dei «tenuibili», a condizione che in pochi giorni la parte lesa non si opponga all’archiviazione.
Cominciamo con l’abuso d’ufficio, che è una infrazione tipica del pubblico ufficiale. È certamente vero che, dopo i precedenti interventi legislativi, questo reato è residuale, nel senso che viene utilizzato dall’autorità giudiziaria quando non si riesce a invocare la corruzione o la concussione. Ma è altrettanto vero che, iscrivendolo alla categoria «attenuata», si concede ai pubblici ufficiali e soprattutto ai pubblici amministratori una sanatoria forte e generale su una materia che li ha tanto «disturbati» in passato. Se pensiamo al caso dell’exsindaco di Salerno, ora candidato alla presidenza della regione Campania, Vincenzo De Luca (che su queste colonne abbiamo difeso con convinzione), probabilmente, con le nuove norme, non ci sarebbe nemmeno stato il processo che l’ha condannato proprio per abuso. Fra l’altro la schizofrenia imperante fa coesistere il reato «depenalizzato» con l’obbligo di sospensione dai pubblici uffici, introdotto dalla nota Paola Severino, disastrosamente passata dagli uffici di via Arenula (ministero della giustizia).
C’è poi la falsità materiale del pubblico ufficiale, art. 477 del codice penale: «Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richiesta per la loro validità, è punito …»
Tralasciando l’uso demenziale delle virgole, rimane il fatto che si tratta di un contesto molto delicato che può incidere sulle situazioni soggettive. Sento l’osservazione: «Ma il cittadino se ne accorge facilmente …» Ma se pensate che una certificazione alterata può consentire a una ditta in odore di mafia, di partecipare a un appalto e di vincerlo, vi renderete conto che non si tratta di un «reatino da due soldi».
Aggiungiamo la frode nelle pubbliche forniture, l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (che magari avrebbe da denunciare tante illegalità del suo capo, assessore o sindaco o presidente di regione), la rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e di segreti inerenti ad un procedimento penale (casi questi tipici degli operatori di giustizia mai perseguiti), il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio e il traffico di influenze illecite (introdotto per consegnare ai magistrati un’arma nei confronti di coloro che concorrono a elezioni). Si delinea, quindi, un quadro di interventi rivolti al «palazzo», sui quali andrebbero disposti approfondimenti e, se possibili, valutazioni critiche.
La cosa che più impressiona, a questo punto, è il fragoroso silenzio della stampa nazionale e dei media, tutti rivolti al pettegolezzo spicciolo, al «colore» degli avvenimenti politici quotidiani, mai a un’analisi puntuale delle invenzioni di quella politica di cui è tributaria, in quanto suo costante megafono.

Certo, ognuno lavora secondo scienza e coscienza. Ma è evidente che la coscienza è un concetto elastico che, nel nostro Paese, confina con la complicità.

14 apr 2015

L'imbarazzo del Colle nel labirinto di una politica improduttiva



di vincenzo cacopardo
L’imbarazzo del Colle ossia di chi dovrà promulgare la nuova legge elettorale detta Italicum, se pur nella costante ed immutevole quiete, non può che essere evidente. Come resta altrettanto evidente il fatto che più in là la stessa Corte costituzionale potrebbe facilmente bocciarla. Ma al di là di come la pensi il bravo costituzionalista Michele Ainis che tramite il Corriere della Sera si è soffermato sulle “travi che accecano” una legge elettorale renzianissima, rimane il fatto che ci troviamo ad un vicolo cieco tra un governo irremovibile, una presidenza della Repubblica imbarazzata ed una politica assai più sterile del passato.

La logica vuole che fino a quando il Senato non venga abolito del tutto, l'Italicum non potrà sortire una giusta utilità al sistema elettorale. Ma, non è tutto, poichè anche dopo potrebbe portare ulteriori guasti all'assetto democratico istituzionale del Paese.

Certo la dicotomia che si mette in evidenza tra due sistemi elettorali (Italicum per la Camera e proporzionale puro per il Senato... non potrebbe che destare parecchi dubbi, malgrado Renzi dichiari convinto di mettere in atto l'Italicum dopo aver risolto il problema di un Senato non elettivo. Non vi è alcuna garanzia precisa che tutto possa risolversi per fornire una funzionalità al sistema, tranne che la solita premura di portare al più presto un risultato in porto. Per quanto riguarda l'Italicum, rimangono, anche se modificate in senso migliorativo, il premio di maggioranza e le soglie di sbarramento. Il premio di maggioranza per la coalizione forse aiuta, ma crea il solito guazzabuglio che potrà scatenare contraddizioni e condizionamenti poco utili, mentre sembra chiaro che ogni decisione dovrebbe nascere da un serio confronto ed il percorso della politica dovrebbe muoversi nel dibattito di un'Aula e meno nella casa di un Partito dominata da figure assolute.

Questa è la solita storia dei pesi e contrappesi di cui tanto si è discusso e che soltanto una buona riforma sulla divisione dei ruoli potrebbe migliorare.. Se la legge elettorale la si mette in relazione con la nuova riforma sul finanziamento privato ai Partiti... non potrà che destare ulteriori dubbi per chi percepisce il pericolo verso il sistema di una democrazia. Tutto ciò(malgrado l'imbarazzo) pare non incidere sull'atteggiamento di una presidenza della Repubblica che..nella qualità di garante... non sembra interessarsi al metodo con il quale si sta giungendo ad una simile conclusione.
Pare esservi sempre di più un chiaro abuso del potere ed un chiaro rischio per la democrazia!

Non abbiamo ancora segnali in proposito ma si pensa che lo stesso Mattarella da presidente della Repubblica, potrebbe promulgare l’Italicum per evitare pericoli al governo(poichè in questo Paese il governo sembra essere molto più importante dei principi della democrazia)...ma ciò appare inverso alla sua figura di garante di un percorso costituzionale in favore degli stessi principi.
Vi è poi l'altro dilemma..e cioè: cosa farà la Corte Costituzionale? Se Il capo dello Stato è il garante politico della Costituzione, la Consulta ne rimane sempre il garante giuridico! Ripeteremo la solita strada del gioco dell'Oca, quel labirinto che ci riporta costantemente al solito punto iniziale?



un appunto sul nuovo articolo di domenico Cacopardo

Di che si stupisce Domenico Cacopardo?
E' lo stato di abbandono di una società che ha sempre più sottovalutato la cultura del rispetto per una società ed i suoi valori fondamentali che non possono mai essere costruiti sul potere di una economia e del denaro. 
Per quanto riguarda il nostro Paese..non può porsi meraviglia Domenico..che, pur esprimendo una chiara posizione contro l'incedere inopportuno del governo, non pare aver ben percepito il percorso ingannevole del lavoro del sindaco d'Italia.. alquanto sbrigaticcio.. oltre che privo di logica.
Il suo sottolineare :"la politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati". Suona come un giusto richiamo ad una politica governativa che continua a ingannare con le sue azioni di falso rinnovamento ..e poco può importare la voce di un Parlamento.. ormai totalmente soggiogato da una governabilità assoluta che non rispetta per nulla le regole ed i principi fondamentali di una democrazia.
Il richiamo al Parlamento, quindi ..risulta del tutto improprio, giusto per la mancanza di ciò che si dovrebbe ad un Aula.. dove per logica deve anteporsi un dialogo aperto e non continue fiducie... a volte persino ricattatorie.
Tutto prima o poi torna quando non si ha rispetto dei principi cardine di una società che vive in uno Stato democratico. La parola prevenzione non appartiene a questo governo..come non gli attiene ogni logica di politica democratica.
Nel caso della giustizia e della sicurezza, il rischio che l’autonomia del singolo debordi sino all’anarchia del tutto...è ormai di tutta evidenza. Si continua dilatare il problema attraverso regole di prescrizione e depenalizzazioni. Siamo oggi ad un punto critico..ed ancora non si vuole capire che il metodo renziano della semplificazione e della fretta, (che appare erroneamente il più sbrigativo ed utile) nel suo esprimersi in modo sommario, non potrà mai sortire un successo nel futuro..anzi ci tornerà indietro come un boomerang, portando al pettine gli ulteriori nodi irrisolti alla base.
Il problema è solo di natura culturale politica..ed il rischio è maggiore di quello che si crede!

vincenzo cacopardo 


Lo Stato in ritirata
così potrebbe intitolarsi il capitolo di storia patria che sarà dedicato al 2015, l’anno in cui è stata introdotta nell’ordinamento italiano la depenalizzazione di 112 reati, tra i quali ne ricordiamo solo alcuni: abbandono o violenza di persone minori o incapaci; invasione e occupazione di aziende agricole o industriali; appropriazione indebita; attentato alla sicurezza dei trasporti; evasione; furto; istigazione a delinquere; minacce; omicidio colposo; percosse; violazione di domicilio.
Le condizioni sono due: tenuità e non abitualità, elementi questi che saranno valutati discrezionalmente dal giudice.
Nella sostanza, si tratta della gran parte del carico giudiziario, che spesso rimane abbandonato per la priorità accordata ad altre fattispecie, ma che pesa come un macigno sulla società civile.
Basti pensare all’omicidio colposo, quello che più frequentemente si manifesta nelle strade (spesso aggravato dall’uso di alcol e di droghe, compresi gli spinelli che accoppiati all’alcol e ai tabacchi costituiscono un micidiale cocktail, ma in questo caso «aggravato» e non riducibile per tenuità) e che colpisce migliaia di famiglie, sempre alla ricerca di una aleatoria riparazione morale e materiale, sempre gelate dall’insensibilità degli inquirenti. Basti pensare al furto e alla violazione di domicilio, lesioni della personalità, prima che delle cose, spesso causa di irreparabili traumi psicologici.
Va ricordato che la criminologia insegna che nel curriculum di un grande criminale c’è quasi sempre un inizio di «piccoli» crimini. E che, questa depenalizzazione accentuerà la sensazione di abbandono da parte dell’autorità giudiziaria (da cui dipende quella delle forze dell’ordine, ormai quasi sempre inerti di fronte al furto d’auto o in appartamento), e l’insicurezza generale.
Insomma, la politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati. Ma questo non è garanzia di procedimenti celeri ed efficaci, visto che, contemporaneamente, vengono incrementate le pene, allungate le prescrizioni e introdotti tanti nuovi reati, peraltro già previsti in varie forme dall’ordinamento. Il medesimo reato di tortura è già perseguibile nelle forme previste dal codice penale.
Perché, dunque, si procede in questa direzione? Perché così si manda un messaggio di subalternità alla corporazione degli operatori di giustizia e di speranza alla cittadinanza, illusa, invece, da una irrealistica prospettiva di efficienza. Irrealistica: non ci sono gli strumenti organizzativi e disciplinari per mettere in moto la macchina, premiando i solerti e punendo gli incapaci o gli ignavi. Non c’è un’organizzazione economica e sociale che possa efficacemente funzionare senza un reale potere gerarchico di direzione e di controllo. Questo manca del tutto nel sistema italiano, nel quale l’autonomia del singolo deborda sino all’anarchia del tutto.
Con la riforma della custodia cautelare (sarà più difficile e dovrà essere più motivata) si completerà questo rischioso pezzo di riforma. È facile immaginarne l’insuccesso, il tragico insuccesso.
Domenico Cacopardo





13 apr 2015

Equilibrio e contemporaneità nella lettura dei testi sacri


BREVE DISAMINA SUI TESTI SACRI

di v.cacopardo

Equilibrio e contemporaneità nella lettura dei testi sacri

Francesco Alberoni a proposito dello studio dei testi sacri e la differenza tra noi e loro...scrive: Per capire la differenza che c'è fra il cristianesimo e l'islam partiamo dal celebre passo della Bibbia in cui Giosuè, dopo aver pregato il Signore, gridò alla presenza di tutti gli israeliti: «Sole, fermati su Gabaon! E tu, luna, sulla valle di Aialon! Il sole si fermò, la luna restò immobile, un popolo si vendicò dei suoi nemici». “Vedi - dissero a Galileo - se il libro sacro dice che il sole si è fermato vuol dire che si muoveva e la tua teoria eliocentrica è sbagliata». Galileo rispose che la Bibbia aveva usato solo il linguaggio dell'epoca. Ma vi sono passi della Bibbia che non sono solo in contrasto con fatti naturali ma anche con l'insegnamento del Vangelo, per esempio quando Dio comanda a Giosuè di sterminare tutta la popolazione di Gerico: «Donne, fanciulli e vecchi e buoi, e pecore e asini» (Giosuè 6, 21). I filosofi e gli storici cristiani hanno spiegato questi massacri come la sopravvivenza di costumanze antiche poi superate. La Bibbia per i cristiani va quindi analizzata, storicizzata, ricondotta all'epoca in cui è stata scritta. I sacerdoti nei seminari perciò studiano storia, linguistica, filosofia, antropologia. Invece il Corano per i musulmani proviene direttamente da Allah di cui è la parola unica e definitiva. Esso è increato come Lui e tutto ciò che noi possiamo sapere di Lui e tutto ciò che Egli vuole dai sui fedeli è scritto nelle sue pagine. Anche il Corano ha una esegesi. Ma questa può essere fatta solo da grandi dotti e i suoi passi non possono venirne storicizzati, cioè ricondotti ad una particolare circostanza o ad un particolare momento storico. L'esegesi consiste nello scavarli e riscavarli più a fondo facendone emergere l'infinita ricchezza. ”

Risulta più che evidente che i musulmani si sono sempre dovuti confrontare con la civiltà e la cultura occidentale la quale, avendo apportato un certo progresso, li ha sempre costretti a difficoltà nel comprendere e, spesso..anche a duri scontri. Il loro scritto sacro “il Corano” deve intendersi come un testo di attività consueta della parte più originale dell'esegesi musulmana contemporanea e potrebbe anche essere sottoposto ad un esame persino letterario, oltre che sociologico, un esame che ne possa fare emergere l'importanza del messaggio rivelato in sè, ma anche rappresentarne lo strumento di una trasformazione storica.Non potrà mai essere facile per una cultura occidentale poterlo apprezzare poiché esso è la partenza di un rovesciamento della stessa conoscenza scentifica religiosa al fine di porre al centro un Dio che è il fine dell'agire umano.

Qualcun altro ci spiega come vi sia un grande interesse di metodo esegetico per interpretare il Corano: Tutta l’esegesi tradizionale procede commentando versetto per versetto, in un modo per così dire atomista, senza considerazione per il contesto. Nel migliore dei casi un versetto sarà messo in relazione con un altro passo situato altrove nel Corano (ciò che gli esegeti hanno definito «il commento del Corano attraverso il Corano»), ma molto raramente il senso di un versetto viene ricercato a partire dal suo contesto immediato. La critica storica, tuttavia, mette legittimamente in dubbio l’autenticità di molte di queste “occasioni della rivelazione”, che sembrano piuttosto fabbricate a posteriori per spiegare un versetto più o meno oscuro.”

Tornando alla analisi di Alberoni (logica oltre che chiara) sulla differenza esistente tra le sacre scritture, non si può escludere una certa limitazione del testo sacro orientale tendente a bloccare ogni variabile che una certa modernità continua ad apportare nella società. Al contrario di ciò che (anche se con timore e lentezza) sembra essere avvenuto nei testi sacri dell'occidente cristiano:- Lavoro che lo stesso Papa Francesco, con estremo coraggio, sta conducendo nella sua opera di evangelizzazione sulla religione cristiana.

Non v'è dubbio che secondo i musulmani il testo della rivelazione coranica rimane più che mai immutabile..come lo è rimasto nel corso dei secoli; conseguentemente esso viene tramandato dai musulmani parola per parola, lettera per lettera...senza alcuna possibilità interpretativa mutevole nel tempo.

Ha ragione quindi Alberoni nell'affermare che i testi sacri andrebbero sempre analizzati e storicizzati, riconducendoli all'epoca in cui sono stati scritti. Ciò varrebbe anche per il Vangelo che, pur indicando dei messaggi cristiani di alto valore etico ed umano, nella sua lettura, può dare il senso di una percezione di vita ben diversa e lontana da quella del contesto attuale. Un rapporto di vita odierno differente che non penalizza in sè il messaggio di Cristo, ma che impone una lettura del testo più profonda...al fine di riuscire a sposarlo con la realtà sociale odierna. 

La difficoltà per l'uomo sta quindi nel saper leggere tali testi e saperne riportare i valori nel contesto contemporaneo con grande equilibrio e profondo senso umano.  

A tal proposito verrebbe spontaneo domandarsi se per disarmare certi conflitti tra sunniti e sciiti sia necessario privarli della loro componente politica...e quanto in realtà possa influire la componente politica! Se, in tal modo, si possa o no rinunciare a quell’identificazione tra la sfera secolare religiosa e quella dell’Islam politico. Bisogna forse partire da qui per comprendere (senza mai giustificare) ogni operazione di uno stato islamico efferato e sanguinario che interpreta il Corano nel modo peggiore, non omettendo il confronto su alcuni riferimenti della Bibbia poco edificanti e non del tutto rispettosi della vita umana...sicuramente differenti da quelli dell'evangelizzazione promossa successivamente da Cristo.




12 apr 2015

Renzi... quale verità sul tesoretto?..

"L'ostacolo di questa nuova politica costruita sull'inganno di una comunicazione faziosa sulla quale lo stesso Renzi fa forza.. costringe la nostra politica in tutto il suo percorso ..condizionandola nella scelta di quelle giuste idee per le riforme che dovrebbero far crescere in senso innovativo la nostra Nazione. "
di vincenzo cacopardo 

Non si è ancora compreso bene quale sia il tesoretto tanto declamato da Renzi e non si capisce nemmeno come il suo governo, che pare viaggiare ai limiti estremi dalle clausole di salvaguardia, non riesca a scorgere un sostanziale pericolo nel suo particolare bilancio. Se a ciò aggiungiamo il record di pressione fiscale ormai giunta all'estremo e quello di una disoccupazione che continua ad aumentare..c'è poco da stare allegri. Ma questo tesoretto di 1,6 miliardi esiste? ..O siamo ancora una volta alle prese con la solita comunicazione?Non è nemmeno chiaro se a questo punto la stessa Europa dei commissari continuerà a prestare a Renzi ulteriore credito o se presto potrà intervenire con alternative decisamente più dure.

Ma tornando al Def, (documento programmatico finanziario che attualmente sembra mostrarsi non del tutto definito), pare non sia ancora digerito da qualunque forza politica e... con vari mal di pancia.. da tanti componenti dello stesso partito del Premier. Vi sono numeri che sembrano essere incompleti, ma quello che ovviamente molte forze politiche non riescono a comprendere.. è l'idea che possa esservi un tesoretto. Una ulteriore enunciazione del sindaco d'Italia che sembra arrivare puntuale (come per gli 80 euro) poco prima delle prossime elezioni regionali.

Si ha l'idea che il sindaco d'Italia premier... nonché segretario del partito di maggioranza...(in sostanza vero padrone assoluto di una politica ormai decadente e per niente democratica), come uno chef.. abbia messo in un pentolone fin troppa roba ..scaldando le vivande al suo interno con troppo ardore di fiamma..e che nel momento in cui la stracolma casseruola sarà tolta dal fuoco ..vi si potrà trovare un miscuglio bruciacchiato..non commestibile. La fretta di cucinare il tutto, con premura ed in un'unico recipiente,..da provetto cuoco che spiega sapientemente e con enfasi le sue ricette, potrebbe compromettere il suo miscuglio di pietanze.

Ma al di là di ogni metafora che si possa accostare al premier, il suo insistere sul fatto che non ci saranno tagli ai comuni, né aumenti di tasse..viene continuamente smentito dai commenti fatti in questi giorni dai tanti sindaci intevistati. La paura costante dei cittadini rimane sempre quella di trovarsi nel prossimo futuro con l'attuazione delle clausole di salvaguardia che prevedono aumento di Iva e accise... che scatteranno automaticamente nel 2016 se non si faranno tagli di spesa per 16 miliardi di euro...In sostanza.. ancora ulteriori sacrifici per i cittadini! ..(E' veramente difficile pensare che una “local tax” voluta dalli stesso premier, non sarà lo strumento dei sindaci che consentirà di aumentare le aliquote a volontà.)

Il pensiero sul quale dovrebbe concentrarsi il cittadino è proprio su ciò che potrebbe accadere dopo le Regionali , quando una diversa realtà potrebbe costringere lo stesso governo a correggere il tutto attraverso una manovra più pesante. In realtà il nuovo «tesoretto» elettorale, sembra essere un'ulteriore trovata del furbo presidente del Consiglio, ma potrebbe identificarsi persino come un inganno, permettendogli di spendere in anticipo soldi che potrebbero essere recuperati attraverso altre tasse con tagli già programmati.