27 mar 2014

Una nota all'articolo del Consigliere Cacopardo 27/03/2014

Demagogia e sostanza
di domenico Cacopardo
Sembra la demagogia la cifra più significativa di questo governo e del suo premier Matteo Renzi. La demagogia degli annunci, del fare, della velocità, della rottamazione e del cambiamento.
Nessuna valutazione pratica dei tempi reali, delle conseguenze di promesse e di minacce, in una specie di happening, dal quale si salvano i ministri Padoan e Poletti e gli altri, non del Pd, più avvezzi alle stanze di governo e alle loro trappole.
Prendiamo la vexata quaestio delle retribuzioni dei dirigenti dello Stato e dei manager delle imprese a partecipazione pubblica.
Non c’è dubbio che l’opera di disinformazione in corso da anni e che coinvolge gran parte della carta stampata e dei conduttori di talk show ha fatto effetto. Poiché s’è sempre parlato di cifre tonde e lorde, ma mai di risultati, s’è diffusa nella pubblica opinione l’idea che gli stipendi siano parte cospicua della dissipazione dei quattrini dello Stato e che costituiscano un vero e proprio scandalo.
Pensiamo alla pubblica Amministrazione: il sindacato sostiene che il numero dei dipendenti è in linea con le altre nazioni dell’Unione. Il che è vero, ma quello che viene celato è che in Italia l’Amministrazione è fattore di freno per ogni attività produttiva o, semplicemente, civile, mentre dai nostri vicini è elemento di certezza, rapidità ed efficacia.
Da questo punto di vista anche il governo e la ministra Madia ‘lasciano stare’, forse perché l’efficientamento degli apparati dello Stato è molto più difficile di quanto sia parlare, solo parlare, di stipendi troppo elevati.
Di questa natura è anche il caso dei manager delle aziende a partecipazione pubblica. Emblematico, il caso Moretti.
Certo, il Ceo delle Ferrovie ci ha messo del suo, dichiarando che, se gli tagliano lo stipendio, se ne va.
Cerchiamo di capire meglio, facendogli i conti in tasca, con numeri arrotondati e approssimati, alla luce di un fisco predatorio: 800.000 retribuzione annua; 43% Irpef 344.000 (rimangono 456.000); 5% addizionali regionale e comunale 40.000 (rimangono 416.000 euro); contributo del 3% per coloro che superano i 300.000, 15.000 (rimangono 401.000); ritenute previdenziali 12%, euro 96.000 (rimangono 305.000 euro). Insomma gli 800.000 sono una cifra virtuale.
Nessuno si è occupato dei risultati di bilancio e di miglioramento del servizio, ottenuti da Moretti, il primo dopo una serie di Ceo sui quali c’è molto da dire e criticare sia per le retribuzioni sia per i risultati.
Nessuno che abbia approfondito il cambiamento del Paese per l’attivazione dell’Alta velocità, nessuno degli economisti da talk showche abbia avuto voglia di calcolare il contributo al Pil.
È comprensibile che il neofita Renzi rimanga impressionato dai numeri bruti e se ne esca con sciocchezze sulle retribuzioni. Ma non è accettabile che su un problema di questo genere non si voglia ragionare seriamente, lasciandosi portare dalla corrente del populismo dilagante.
Il discorso giusto è questo: giudichiamoli dai risultati. Se non ci sono cacciamoli. Se ci sono paghiamoli bene come si fa in un mercato aperto.
Non è vero che gli italiani sono come i ‘figli’ del reverendo Moon: a parte Grillo e i suoi seguaci, distinguono tra propaganda e informazione.
Se si dice la verità, anche drammatica, sanno reagire nel modo giusto, com’è accaduto tante volte in passato.


Sebbene assai d’accordo col cugino Domenico circa il compenso che deve attribuirsi per merito, mi pongo alcuni dubbi su un tema della correttezza morale che ci si ostina a non mettere in evidenza.
Pur riscontrando una chiara retorica sulle comunicazione di Renzi e sui suoi continui annunci sul fare e sul rottamare, penso che la  delicata “questio” debba essere vista su piano prettamente etico e cioè.. quello di poter individuare un tetto di queste cifre in linea con la realtà di una crisi che colpisce in modo devastante tutte le classi sociali tranne che straricchi e potenti.
D’altronde se per legge tra i lavoratori esiste una soglia di reddito minimo…per quale ragione non deve esistere una soglia di tetto massima?
Sembra opportuno che la prebenda di ogni manager (per quanto possa essere il migliore), non può.. sul piano etico.. superare una certa soglia. Diverso è il diritto ad un premio extra in rapporto ai risultati di bilancio..(anche sulla base della qualità e l’efficienza dell’azienda).
Una remunerazione libera (ma con un tetto) ed un premio in base ai risultati forniti…darebbero una visione meno refrattaria all’occhio del comune cittadino, motivando.. di logica.. la capacità di un manager.  

L'emblematico caso Moretti non è per niente eclatante visto e considerato i numeri posti con precisione da Domenico, ma non possiamo considerarli senza metterli in rapporto con quelli di un operaio che in sé potrebbe anche avere diritto a premi per i propri meriti. Se consideriamo.. ad esempio.. i 96.000 euro di contributi previdenziali, non possiamo sottacere che tale somma contributiva andrà al fondo pensione dello stesso Manager…una cifra che gli renderà una pensione cospicua e per la quale un qualunque operaio dovrà lavorare tra i dieci ed i dodici anni per poter versare tale somma.
In conclusione possiamo affermare che il merito va sempre tenuto in alta considerazione… sia per il manager che per lo stesso operaio, attraverso un premio per la produzione e l'efficienza, ma la remunerazione andrebbe controllata attraverso soglie da definire al fine di non mettere in evidenza queste macroscopiche anacronistiche differenze.. se pur valutando le cifre a lordo.

Al di là di ogni demagogia e sostanza…la teoria del libero mercato non può più funzionare in rapporto al carico notevole che essa impone ad una società che si vorrebbe più equa! Il mercato oggi..per quanto lo si voglia aperto, come scrive Domenico…deve imporsi delle regole.  

26 mar 2014

Una critica del Consigliere Domenico Cacopardo

LO STUPIDO AL POTERE 
di domenico Cacopardo

L’ineluttabile successo del luogo comune, della retorica italiota e della peggiore routine burocratica lo si constata da tempo.
Facciamo qualche esempio.
Nei giorni scorsi la graziosa pregnant Marianna Madia ha partorito l’idea di vietare ai pensionati attività retribuite. A parte ogni considerazione di tipo umanitario e sociale (l’impegno degli anziani ritarda il loro decadimento fisico e mentale), la giovane marmotta incaricata della riforma della pubblica amministrazione rivela la mentalità illiberale e proibizionista che tanti irreparabili danni ha già prodotto.
Altro esempio interessante, testimonianza di approssimazione nella spesa dei fondi dello Stato, si può trovare nella piazza Tienanmen di Pechino.
Nel luogo più frequentato della Cina, c’è il Museo nazionale, e l’Italia, dopo 12 anni di trattativa, ha ottenuto uno spazio interessante (500 mq). In cambio, abbiamo concesso al governo cinese una analoga disponibilità nel palazzo Venezia di Roma.
A Tienanmen, inaugurata dal ministro dei beni culturali Ornaghi, è andata in scena,il 6 luglio 2012, la mostra dedicata al Rinascimento a Firenze: purtroppo era la terza mostra sul Rinascimento realizzata in quel Paese e l’affluenza ne ha risentito. Secondo l’ormai larga colonia italiana, si sarebbe trattato di un mezzo flop, visto che la stampa locale non le ha dato l’importanza che meritava e che il botteghino non è stato pari alle attese né ai normali flussi cinesi.
Sarebbe un’importante innovazione (il ministro Franceschini potrebbe deciderlo) che i Beni culturali, alla fine di questo genere di esibizioni, comunicassero costi, contributi degli sponsor e risultati di botteghino, in modo che si possa valutare lefficacia e lutilità della spesa.
L’ultima idea, per Pechino, è di presentare il Barocco romano: un evento a impatto zero, che può far felice qualche mercante, non di certo la curiosità che da quelle parti ci viene riservata.
Domanda: ma perché il ministero dei beni culturali non approfondisce il tema per capire quali siano le iniziative che possano mobilitare, in Cina, il più vasto pubblico, facendo da traino al prodotto italiano?
Per renderci conto di questo perché, abbiamo preso in esame il sito del ministero, scoprendo che c’è una specifica direzione per la valorizzazione del patrimonio culturale. Alla sua testa la dottoressa Anna Maria Buzzi. Spulciato il suo curriculum (ministeriale), abbiamo scoperto che la signora dichiara di parlare in modo fluente il francese. Per l’inglese ha una conoscenza scolastica (che, data la qualità dell’insegnamento italiano, significa zero o quasi). Già questa constatazione, unitamente al fatto che la signora non si sia sentita in obbligo di imparare bene la lingua globale, ci ha fatto venire i brividi. Poi, è venuto fuori che la dottoressa Buzzi è laureata in pedagogia e che, tra i corsi di specializzazione vantati, non ce n’è uno che riguardi la valorizzazione del patrimonio culturale né il management di settore. A questo punto ci siamo fermati, per non accentuare i motivi di depressione.
Insomma, al di là dei propositi roboanti, nella pubblica amministrazione, come sappiamo, ci sarebbe molto da fare (eh? Marianna Madia!).







25 mar 2014

Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo 25/3/2014


La difficile alleanza tra Squinzi e la Camusso 
di domenico Cacopardo
Fra le molte cose su cui riflettere una delle più delicate è l’evidente convergenza di Squinzi verso le posizioni della Camusso e della Cgil.
Va ricordato che c’è un drammatico filo rosso che lega la Cgil al rifiuto delle più recenti stagioni riformiste.
E c’è un unico destino che mette insieme tutti molti lavoristi additati alla pubblica esecrazione come servi di un solo padrone, lo Stato.
Il rifiuto di assumersi la responsabilità di collaborare alle urgenti riforme del mercato del lavoro e dello Statuto dei lavoratori ha, infatti, potuto rappresentare l’innesco del terrorismo brigatista che, con D’Antona e Biagi, colpì a morte chi si occupava della modernizzazione del sistema.
Di questo deve tenere conto Matteo Renzi e, di questo, debbono tenere conto il ministro dell’interno, la boccheggiante Aisi e i capi della pubblica sicurezza.
Quello che stupisce, in questa situazione, non è la posizione della Cgil, ancorata alla stolida politica di Cofferati & successori, ma le esternazioni del presidente di Confindustria, Squinzi, eletto al suo incarico con il determinante appoggio delle aziende pubbliche (il che non deve essere dimenticato né a palazzo Chigi né in via XX Settembre).
Sfrustrato dalla gelida accoglienza dei colleghi tedeschi (l’organizzazione datoriale di Berlino rappresenta un ventaglio di colossi economico-finanziari, rispetto ai quali le aziende italiane, compresa la Mapei ed esclusi i colossi di Stato, fanno la figura dei nanetti di Biancaneve), non grato a chi lo aveva invitato all’incontro bilaterale, assente dal tavolo Merkel-Renzi, Squinzi tenta di delegittimare il premier e il suo lavoro con insinuazioni da bar di periferia.
Poiché è da escludere un mandato delle maggiori imprese aderenti a Confindustria, non si può che ritenere che l’alleanza antiriformista Squinzi-Camusso abbia come causa principale la difesa non dei lavoratori, ma dei rispettivi apparati.
Se il meccanismo delle riforme si avvia e porta all’inevitabile attenuazione del peso del contratto nazionale a favore del contratto aziendale, cessano le ragioni per le quali a viale dell’Astronomia sopravviva un’immensa burocrazia con le sue ragguardevoli retribuzioni, il suo piccolo-grande potere, la sua capacità di fare, di tanto in tanto, lobby per provvedimenti che, in fin dei conti, appesantiscono ulteriormente il carico burocratico e fiscale delle medesime aziende organizzate. Un esempio per tutti, la barocca, costosa e inefficace incastellatura della legge 231 e seguito successivo.
Dal canto suo, la Camusso non può che temere quest’evoluzione che sposterebbe il focus delle contrattazioni da corso d’Italia (sede di quel sindacato) verso le categorie e le singole realtà produttive.
Nessuno che si renda conto che l’impegno per procedere sulla via del cambiamento che, con fatica, si sta tentando di aprire, è, per chi ha responsabilità come quelle di Squinzi e della Camusso, una sorta di obbligo patriottico per il concreto perseguimento degli interessi di imprese e lavoratori.
Il tempo delle irresponsabili manovre sulla pelle degli italiani è finito e per sempre. Se i nostri due alleati non se ne renderanno conto presto, anche per loro suonerà la ritirata che ha coinvolto gran parte della classe dirigente del Paese.



Se è vero che molte opposizioni al procedere del governo appaiono fin troppo violente, lo sembra anche la risposta snobistica ed un po’ sfacciata dello stesso Renzi.. quando afferma in modo perentorio che questo è l’ottimo segnale della certezza di essere sulla strada giusta. Anch’io sono per il cambiamento ma ciò non significa che nel merito non possa restare perplesso su determinati provvedimenti che…pur coprendo nell’immediato dei buchi, non definiscono una vera crescita.
Non entro nel tema delle due figure D'Antona e Biagi che sicuramente hanno reso un ottimo lavoro alla nostra Repubblica, pagato a caro prezzo, ma mi soffermo sul lavoro che sta intraprendendo Renzi, oggi costretto ad un dialogo con le parti sociali che rappresentano i lavoratori.  
Credo, come lui, sia giusto dover mettere un tetto alle retribuzioni degli amministratori pubblici ed in realtà vorrei persino che le stesse regole vi fossero nel privato: Il risultato di questa società malata si è determinato per via delle logiche di un libero mercato che ha proseguito il suo cammino senza alcuna misura.

Per ciò che riguarda le nuove manovre, avrei sperato che tutte le risorse disponibili fossero state messe per creare nuovo lavoro, ma la trovata dell’aumento di ottanta euro sugli stipendi ai diecimilioni di lavoratori non mi convince proprio perché, non creandone...non spinge verso una crescita innovativa. Questo è già di per sé una ragione valida di merito per la quale si può non essere d’accordo con il progetto del nuovo premier..sia che lui appaia innovatore o no!
Le perplessità sull’incedere determinato del nuovo sindaco d’Italia, con tutto il rispetto possibile, pongono dubbi proprio sul merito del cambiamento… e non potrebbe che essere così proprio per l’entità del suo compito e la manifesta ambizione che lo ha visto con celerità sedersi nella poltrona di governo. Con ciò non è detto che mi trovi d’accordo con le posizioni della strana coppia Camusso-Squinzi. Se quello di Renzi ( come da lui stesso affermato) può apparire come lo scontro tra la palude ed un torrente impetuoso, è anche chiaro che di fronte non poteva che trovarsi un establishment assai preoccupato…giacchè non è scritto da nessuna parte che il suo progetto riformatore potrà.. in assoluto… dare risultati solo positivi.
Il dialogo con le forze del lavoro ancorate alla stolida politica a cui fa riferimento Domenico, le corporazioni lobbystiche ed il pesante apparato burocratico, erano previste poiché facenti parte di un sistema vecchio col quale lo stesso Renzi ben sapeva di dover fare i conti. Le parti sociali non sono un’invenzione di oggi ed appartengono al passato di un sistema democratico maturato sicuramente male, ma che può essere corretto solo attraverso il dialogo..e se Renzi ritiene di poter andare avanti da solo poichè pensa che certi cambiamenti non concordati possano portare preoccupazione a chi non è abituato a viverli positivamente, dovrà almeno dimostrare che nel merito, essi, possano essere costruttivi ed apportare sviluppo.
vincenzo cacopardo

24 mar 2014

La Francia si svela antisistemica e leghista




Un altro fallimento del bipolarismo
di vincenzo cacopardo

Il Fronte Nazionale di Marine Le Pen dilaga e conquista un vasto consenso in Francia.
La Francia euroscettica nel sud, conquista il primo posto nelle amministrative. La disfatta in parte annunciata di Francois Hollande è uno scossone per il Paese che.. pur con una soglia consistente di assenteismo, si trova oggi assai prossimo in una evidente lacerazione nei confronti della comunità Europea.
Sembra che persino a Parigi si profili la vittoria dei candidati del Fronte Nazionale, sferrando un colpo contro quei socialisti fortemente legati al processo di costruzione della nuova Europa. L’astensionismo evidenziatosi anche nella “gauche” dimostra chiaramente un atteggiamento di distacco nei confronti di una politica voluta da Hollande, ma il sentore è quello di un Paese che non appare favorevole all’opera di costruzione di un Europa che sembra sottovalutare alcuni principi fondamentali, basando la sua crescita attraverso quel modello di economia di rigore fin troppo forzato. 
Naturalmente, la bionda Le Pen, ne esce sorridente affermando che si tratta di una vittoria straordinaria e, con lo stesso tono con il quale si esprimerebbe Grillo, sostiene di non allearsi con nessuno definendo tutti i partiti uguali nel loro modo di far politica.
E’ evidente che anche in Italia questo risultato viene visto in modo entusiastico soprattutto dalla Lega Nord, Partito alleato del Fronte Nazionale in Europa e viene visto in buona luce anche dallo stesso Movimento di Grillo che, seppur non alleato, potrebbe farsi forte di tale risultato sul fronte del dissenso verso la politica Comunitaria. Questi Partiti e Movimenti insieme, irrompendo in massa nel nuovo Parlamento europeo, potrebbe opporsi con forza ai programmi sui temi fondamentali dell’immigrazione e sull’Euro.
Intanto la Le Pen, continua dichiarando che… se pur contattata diverse volte da persone vicino a Grillo… non è riuscita a trovare aderenze utili per via di una particolare ostilità riscontrata proprio ai vertici di tale Movimento ed in tal modo sostenendo l’impossibilità di una governabilità da parte di costoro. Al contrario Marine ha ritenuto positivi i contatti con la Lega Nord e Fratelli d’Italia.
La Le Pen dimostra anche una particolare attenzione per Matteo Renzi, avendone lodato il decisionismo ed asserendo che prima di lui non esisteva una vera sinistra, parla, poi, di Berlusconi come un vero combattente.. plaudendo alla sua furbizia… infine estremizza il feeling con la Lega antieuropeista di Salvini che si batte contro l’immigrazione. Come una donna di destra pare osannare queste caratteristiche che appartengono indubbiamente alla mentalità un po’ conservatrice e un po’ risoluta delle figure estreme.
Malgrado l’atteggiamento di Grillo, il destino politico della Le Pen… nel contesto Europeo… non sembra tanto lontano dal Movimento 5 Stelle che li vedrà sicuramente uniti in una difficile ed ardua battaglia contro l’Euro.
Un freno per il processo di crescita di questa Europa che in qualche modo vorrebbe costruire la sua politica con la forza semplificativa dei due sole componenti politiche per dare sfogo ad un futuro bipolarismo europeo. Ma queste elezioni hanno sicuramente messo in evidenza che.. anche in un Paese come la Francia… l’azione sintetica bipolare trova dubbi e perplessità.  


La domanda da porsi è sicuramente quella di come oggi non si possa tener conto di questi Partiti e Movimenti che in qualche modo esprimono un disagio e che… addizionati al notevole assenteismo di coloro che non vogliono più esprimersi nel voto, dimostrano una chiara perplessità sul metodo politico con il quale si insiste nel procedere.  

22 mar 2014

Renzi..un riformatore po' yankee

VALUTAZIONI PRIVE DI PREGIUDIZI

Alcuni ritengono che Matteo Renzi dimostri oggi una determinazione utile per il Paese... altri, valutandolo nel metodo, pensano che troverà mille difficoltà nel riscontro delle risorse per le coperture opportune. Il mio giudizio è tutt’altro.. e si fonda su un concetto di merito di ciò che lui intende compiere. Un giudizio che non deve apparire come il capriccio di chi ostinatamente vorrebbe vedere una sua debacle, ma che entra nello specifico di ciò che lui vorrebbe conseguire allo scopo di togliere una vera forza alla politica di base.
In primis.. il suo decantare il modello bipolare adducendolo come l’unico possibile per poter ottenere una governabilità..poi il suo esternare con troppa facilità alla semplificazione della politica..il suo plauso verso due contendenti che si battono a modi partita di calcio…il suo incisivo “chi vince comanda”, sono tutti motivi che non possono essere condivisibili per chi, amando la politica, vede in essa la definizione di procedure più utili e significative proprio per l’esplicazione della sua funzionalità.
La semplificazione, con la quale Renzi si appresta a voler riformare.. non è detto possa essere convincente solo per il fatto che si potrebbero abbattere costi e diminuire le spese, poiché un disegno più solido.. ricercato e proposto con maggiore approfondimento, potrebbe egualmente diminuirne i costi..non omettendo di renderla più sicura e funzionale.  Se oggi in tanti guardano al nuovo Premier come colui che si compenetra nella ricerca delle soluzioni, restando solo incerti sul metodo col quale si muove, in meno si pronunciano sul merito delle sue scelte. Ciò mette ancora più in evidenza la particolare ascesa al governo sostenuta dal NCD, ma condizionata nelle riforme dal Partito del Cavaliere: Anche Berlusconi è un bipolarista accanito ed ancor più semplificativo dello stesso Renzi... e questo legame sui principi li terrà uniti  nella costruzione delle riforme più importanti che si dovranno operare.
Al di là delle riforme sul lavoro e delle sue promesse da venditore “venghino venghino”, la mia valutazione sulla politica di Matteo Renzi, pur riconoscendone le capacità comunicative ed una certa conoscenza amministrativa, rimangono di merito e relative proprio alle prossime trasformazioni che si dovranno affrontare sulle riforme più importanti che condizioneranno il futuro di tutta la politica.  Sono valutazioni, prive di altri pregiudizi, che trovano spunto dal suo modo di operare assai yankee..attraverso l’uso di una riduttiva visione della politica che sembra dover operare al solo scopo di ottenere una qualunque governabilità e senza la ricerca di una base costruttiva più solida.


Nel suo modo di muoversi anch’egli commette l’usuale errore di guardare in modo fin troppo esterofilo al metodo usato dagli altri Paesi.. non immedesimandosi attraverso la ricerca verso un modello personalizzato connesso alla cultura storica del nostro Paese che è nata anche dal pensiero di valide figure politiche del passato che guardavano in profondità i valori costruttivi legati alla nostra Nazione.
vincenzo cacopardo  

interessante analisi di Alberto Cacopardo

Matteo Renzi rottama Norberto Bobbio, ma senza darlo a vedere.
di alberto Cacopardo

E’ apparsa di recente in libreria, nel ventennale della prima uscita, una riedizione del famoso pamphlet di Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, accompagnata da un commento di Matteo Renzi a quel memorabile testo. “Repubblica” ha pubblicato giorni fa in anteprima questo commento renziano sotto un titolo incoraggiante (“Innovazione e uguaglianza, la mia idea di destra e sinistra nell’Europa della crisi”) accompagnato da un catenaccio confortante: “Il manifesto di Renzi: ‘La lezione di Bobbio è viva’”. 

Nel breve testo, Renzi dice alcune cose sensate. Innanzitutto ci rallegra che faccia a meno di aggregarsi al vecchio coro, ormai rauco e spiegazzato, dei confusi infelici che da trent’anni cercano di convincerci, contro ogni evidenza, che destra e sinistra non significano più niente. Renzi li ignora, e rende omaggio a Bobbio per averli sonoramente confutati. Subito dopo, peraltro, eccolo sollevare il dubbio che “la coppia eguaglianza/diseguaglianza non riesca a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra”, mettendo così in discussione proprio la tesi centrale di quel volumetto Bobbio.
Il dubbio, espresso in questi termini, è sensato. Renzi fa l’esempio dei movimenti xenofobi europei, “un magma impossibile da ridurre alla vecchia contraddizione uguali/disuguali”. E’ un esempio più che appropriato. Il tema dell’inclusione/esclusione è infatti uno degli elementi fondamentali che, a mio parere, bisognerebbe aggiungere per completare, non per sostituire o superare, l’analisi di Bobbio. La destra alza confini, identifica il “noi” in una comunità, etnica, linguistica, religiosa o nazionale che sia, dotata di precise frontiere, oltre la quale c’è il mondo degli “altri”, possibili amici, perennemente potenziali nemici. E’ soprattutto per questo che l’America è diventato oggi, a differenza che in passato, un paese di destra, perché il segno e la forza di quel confine sono stati impressi in maniera profondissima nell’animo del popolo americano.
Ma Renzi su questo non elabora. Dopo aver addotto il suo esempio, evidentemente al solo scopo di alleggerire il peso del tema dell’eguaglianza, se ne disinteressa. E passa a spiegarci che per lui la distinzione destra/sinistra resta comunque essenziale. Perché? Perché, naturalmente, è un convinto sostenitore del bipolarismo: e se ci vogliono due poli, anzi “un modello bipartitico, all’americana”, ci vorrà pur qualcosa che distingua i due partiti.
Ed è qui che Renzi si domanda: “Tiene ancora lo schema basato sull’eguaglianza come stella polare a sinistra?” La domanda è retorica, la risposta implicita è no. Ma non è che ci spieghi tanto bene perché. Parla di una “società sempre più individualizzata”, si chiede come recuperare idee come “merito” o “ambizione” e soprattutto come evitare che “la sinistra perda contatto con gli ultimi”, facendosi scavalcare da un papa Francesco. Perché, sì, ci spiega a questo punto con una piroetta lievemente cerchiobottista, “l’uguaglianza – non l’egualitarismo – resta la frontiera per i democratici”. Ma oggi è più utile interpretare l’opposizione destra/sinistra “nei termini temporali di conservazione/innovazione”. La sinistra, secondo lui, deve “innovare”, la destra invece “conserva”. Cioè proprio una delle tesi che Bobbio, a suo tempo, aveva discusso e scartato.
E ben a ragione: perché se c’è qualcuno che negli ultimi vent’anni ha fatto di tutto per “innovare”, questa è stata proprio la destra. Fino a quando l’ordine costituito fu segnato da marcatissime disuguaglianze economiche, sociali e culturali, innovare e cambiare significò scardinare quelle disuguaglianze. Ma quando, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in Europa e in America, l’affermarsi del principio di uguaglianza cominciò a minacciare i privilegi dei potenti, innovare e cambiare prese a significare scardinare il Welfare State e le politiche sociali che quei privilegi mettevano in questione. Sono circa trent’anni che la destra innova, ma in direzione esattamente opposta a quella in cui innovava la sinistra.
Renzi non sembra accorgersene. Per lui l’alternativa che conta è “movimento/stagnazione”. Dove “stagnazione” significa non rendersi conto che oggi non esistono più “quei blocchi sociali definiti e compatti” che la “sinistra socialdemocratica, cara a Bobbio” si era impegnata a scardinare per dare a tutti cittadinanza. E qui Renzi ha ragione. Quei “blocchi sociali”, s’intende, non sono altro che le classi in conflitto di marxiana memoria. Quelle classi, in quei termini, non esistono più e la sinistra migliore non ha certo aspettato Renzi per accorgersene.
E, per di più, Renzi avrebbe quasi ragione a sostenere che proprio questo è il segno che la sinistra socialdemocratica ha vinto la sua battaglia. Chi si ricorda bene e con dolore, come lo ricordava Bobbio proprio alla fine di quel libretto, che cosa era la disuguaglianza appena pochi decenni fa, non può che apprezzare di tutto cuore l’immenso cambiamento che c’è stato: la dignità sociale e la speranza di riscatto di chi è nato povero oggi sono tutt’altra cosa da quello che erano allora.
Avrebbe quasi ragione. Perché la verità è che noi avevamo vinto quella battaglia. L’avevamo vinta fino a quando, proprio contro quella vittoria, non si è scatenata la poderosa reazione del neoliberismo, che, con la preziosa collaborazione dei Clinton e dei Blair che Renzi tanto ammira, si è dedicato a piene mani alla sua grandiosa attività di “innovazione”, tutta diretta a smantellare i presupposti di quell’uguaglianza a cui Renzi presta il suo formale omaggio.
Quella partita è vinta, dice lui. “Oggi ne stiamo giocando un’altra”. Quale?
Poiché “quei blocchi sociali sono stati sostituiti da dinamiche sociali irrequiete” e “i confini nazionali non delimitano più gli spazi entro i quali le nuove dinamiche giocano la loro partita”, la sinistra deve cambiare se stessa, sposare l’”innovazione”, pena la “condanna all’incapacità di distinguere i nuovi ultimi e i nuovi esclusi e all’ignavia di non mettersi subito al loro servizio”. Saper distinguere, insiste Renzi, “le dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi” per dare loro rappresentanza e costruire per tutti un paese migliore, è il compito del Partito democratico. E questa, conclude, è la missione storica della sinistra.
L’operazione ideologica di Renzi, poiché di questo si tratta, è sottile e piuttosto pericolosa. Per lui, l’uguaglianza non è più tema centrale perché la battaglia in suo favore è stata vinta, le classi ottocentesche sono state scardinate e siamo entrati in un nuovo mondo, in cui la preoccupazione della sinistra dev’essere tutta per quella minoranza di ultimi e di esclusi di cui tanto si preoccupa papa Francesco.
Il problema è che quella battaglia non è stata vinta affatto. Oggi, nell’Occidente e nei paesi ricchi, ma particolarmente in Italia, la frontiera della disuguaglianza non è quella che esclude quella minoranza di ultimi, ma quella che investe la vasta maggioranza di persone che negli ultimi due decenni hanno visto il loro reddito reale ristagnare e poi contrarsi, il loro accesso ai servizi e ai beni che un tempo si dicevano “pubblici” farsi sempre più oneroso e incerto, il loro benessere complessivo sempre più minacciato, mentre la ristretta minoranza dei più ricchi concentrava nelle proprie mani una porzione continuamente crescente sia del reddito che del patrimonio. Pochi ricchi si sono enormemente arricchiti, tutti gli altri si sono impoveriti. E questo non è successo né per caso, né per un qualche oscuro meccanismo connaturato alle mostruosità del capitalismo che solo chissà quale catarsi rivoluzionaria potrebbe in un futuro scardinare, come continua a credere certa sinistra. E’ successo per effetto di un vasto, intelligentissimo disegno messo in opera dai potenti della terra che si è materializzato in tutto il mondo nelle vesti della controriforma neoliberista.
La battaglia per l’uguaglianza, proprio nei termini in cui la vedeva Bobbio, è oggi più che mai all’ordine del giorno. Essa non riguarda semplicemente quella minoranza di “ultimi ed esclusi”, ma la vasta maggioranza che si è vista ricacciare nell’insicurezza e nel rischio di ricadere nel bisogno. La posizione di Renzi in questo scritto somiglia tanto a quella descritta da Carlo Galli in un recente libro che tratta proprio lo stesso tema del pamphlet di Bobbio (Perché ancora destra e sinistra, Laterza, 2013): “Ciò che conta è che la linea guida della politica non sia più l’uguaglianza garantita dallo Stato […]. Al più, si accede all’idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col balsamo della compassione la dura legge delle disuguaglianze.” Solo che Galli non descriveva qui la missione della sinistra, ma, tutt’al contrario, le posizioni della destra.
Nel discorso di Renzi, in sintesi, la lezione di Bobbio non è affatto viva, è morta e sepolta.
La situazione, oggi ancor più che vent’anni fa, è proprio il contrario di ciò che dipinge Renzi. Come pensava Bobbio, la bandiera dell’innovazione non è né di destra né di sinistra, può esser messa al servizio di entrambe.Mentre davanti ad una destra planetaria che costruisce un potere sempre più potente e penetrante, sempre più capace di condizionare e controllare i corpi e le menti dei nuovi sudditi dell’era globale, sempre più abile a regolare i flussi del denaro, del sapere e dell’informazione nell’interesse di chi comanda, le parole della sinistra non hanno bisogno di “innovazione”. Devono sì lasciarsi alle spalle gli errori del passato, quelli che aprirono la strada al culto dell’odio, del conflitto, della violenza e della sopraffazione. Ma devono restare, o tornare ad essere, quelle semplici, limpide e potenti di oltre duecento anni fa, quelle che ispirarono il sogno più grande che l’umanità abbia mai coltivato, un sogno che non è ancora realizzato: uguaglianza, fratellanza e libertà.


21 mar 2014

Una nota al nuovo articolo di Cacopardo su Chiesa e politica

Difficile stagione di cambiamenti
di domenico Cacopardo

Spesso chi vive tumultuose stagioni politiche, disgregazione sociale, crollo di valori, non si rende conto d'essere spettatore di un fase di passaggio, conclusiva di un'esperienza storica e preparatoria di un'altra stagione. Così Craxi e Andreotti non percepirono che il loro mondo stava esalando gli ultimi respiri se non quando il primo fu colpito dal lancio delle monetine di un gruppo di militanti comunisti reduci da una manifestazione svoltasi nelle vicinanze e il secondo venne investito da un procedimento giudiziario dai contorni discutibili.
Qualcosa di simile è accaduto nei nostri giorni. Né Napolitano né Monti né Letta (né prima Berlusconi) hanno capito d'essere nel mezzo di uno sconvolgimento politico e sociale dalle conseguenze imprevedibili di cui erano al tempo stesso causa e vittime. Non credo che con l'avvento di Renzi il processo sia terminato. Tutt'altro.
Con l'avvento di Renzi siamo entrati nel centro della crisi e stiamo per incontrare il nucleo del ciclone. Sarà difficile che l'Italia che verrà abbia molto da spartire con quella che c'è. Se Renzi avrà successo i rapporti sociali, sindacali e politici diventeranno diversi e nuovi.
Solo la Chiesa ha compreso il cambiamento ed è stata la prima a mutare passo, potendolo fare in virtù di una organizzazione monocratica. Per il vero, ci fu uno sprazzo con Albino Luciani che, in grande anticipo coi tempi, affermò, suscitando lo sgomento delle gerarchie, che Dio è mamma.
Una prospettiva rivoluzionaria che il destino mise a tacere passando la mano al papa mediatico e guerriero Karol Wojtyla.
Oggi, occorrerà vedere se alla facondia di papa Francesco seguiranno novità concrete. Anzi i due cambiamenti storici che ci si aspetta: l'ammissione della donna al sacerdozio e alle superiori gerarchie; il matrimonio dei preti.
Sono questi i temi che circolano tra i bene informati OltreTevere, quel genere prelatizio che frequenta con piacere i salotti romani ricevendo e regalando confidenze.
L'unico elemento in dubbio è la modalità: un Concilio è l'opzione più forte, ma non è detto che non bastino una serie di «motuproprio» papali, un lavoro in progress dagli effetti imprevedibili.
Da ogni punto di vista, la Chiesa sa accelerare quando è necessario mostrando una reattività spesso ben lontana dai riti interminabili di una democrazia all’italiana, capace di mettere in campo spinte e controspinte che la paralizzano.
In questo terreno si misurerà l’efficacia di Renzi.
Incassata la benevola attesa di Angela Merkel, incontrato l’inaffidabile (per sue insufficienze) Hollande, la partita si trasferisce a Bruxelles, dove il nostro primo ministro incontra una squadra di commissari (influenzati da un’eurocrazia tetragona a tutto ciò che è diverso da un credo vetero-liberista) pronti ad arricciare il naso di fronte a ogni idea di movimento.
L’importante è non deflettere dal proposito che, prima di tutto, viene l’Italia e i suoi interessi. Anche a costo di avviare una politica corsara sui cento dossier che sono in attesa.
Lo fanno gli altri paesi senza cedere a dannosi compromessi.  L’Italia non può più peccare di superficialità. Né di colpevoli timidezze: il «Fiscal compact», con le sue tragiche prospettive, incombe.


Difficile non essere d’accordo con Domenico in questa analisi che sottolinea l’esigenza di un vero cambiamento. Nello scorrere della lettura…la mia attenzione si sofferma al punto in cui Domenico esprime il suo pensiero sul mutamento di passo operato dalla Chiesa.. sostenendo che ha potuto farlo in virtù di una organizzazione monocratica. Mi sembra giusto il riferimento alla figura di Albino Luciani..come anche quello del Papa mediatico e guerriero Karol Wojtyla.

In questo suo scritto Domenico Cacopardo pone in parallelo i due personaggi oggi alla ribalta Papa Francesco e Matteo Renzi..che.. ugualmente capaci di una forza comunicativa.. devono trovare un risultato in una effettiva concretizzazione delle loro belle parole. In proposito credo di poter sottolineare che un vero cambiamento nella Chiesa, forse proprio in virtù della forza monocratica a cui fa riferimento Domenico, sembra già essere stato portato. Una trasformazione sicuramente più difficile per quanto riguarda il compito di Renzi e ciò non solo in forza del fatto che deve scontrarsi con un limitativo e fondamentale principio di democrazia, ma anche perché la sua accelerazione appare troppo forzata e rischiosa. 
Voglio dire che… se per la Chiesa, al di là di ogni visione contraddistinta uomo donna, la motivazione di un cambiamento in Papa Francesco, trova radici su un concetto spirituale facendo forza su una visione cristiana tradotta nell’amore verso il prossimo, per un Premier come Renzi, oggi il problema non può prescindere da una visione più empirica che vede contrastare interessi economici e di potere tenendo conto dei principi fondamentali di una democrazia popolare.

La Chiesa di Francesco.. attraverso il verbo di Cristo fondato sull’amore, riesce a conquistare maggior consenso di quanto non possa, pur operando per un equità sociale, qualunque politica.  
v.cacopardo   

Gli utili consigli di Domenico Cacopardo

Utili consigli per le prossime nomine
di domenico Cacopardo

Il primo ministro dovrebbe saperlo e forse lo sa, ma è bene porgergli qualche utile elemento di riflessione, in vista dell’imponente tornata di nomine che l’aspetta.
La circostanza che i ministri che ha scelto non abbiano ancora sviluppato le loro potenziali criticità non può essere considerata una sorta di implicita conferma della bontà dei criteri adottati. Quindi, è bene che la questione sia approfondita per tempo.
Parliamo prima di tutto di Confindustria.Impropriamente, però. L’attuale Confindustria è una specie di riedizione riveduta e non corretta della vecchia Intersind, il sindacato padronale delle imprese pubbliche. Infatti, Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Finmeccanica sono i più ‘grossi’ contributori. Dopo l’uscita della Fiat non ci sono imprese private confrontabili.
Questo significa che la politica datoriale è fortemente influenzata dall’industria di Stato: Matteo Renzi non deve dimenticarlo, anche in relazione al ruolo di mosca cocchiera dell’immobilismo che sta svolgendo Squinzi.
Veniamo ora ai manager cui saranno affidati i colossi pubblici e le altre aziende dello Stato.
L’idea di porre un limite ai mandati è politica e, politicamente, demenziale. Nei comuni (che piacciono tanto al premier) il divieto di ricandidatura dopo due mandati ha, forse, una qualche giustificazione.
L’impresa è un’altra cosa.
Se i risultati ottenuti risultano positivi, se negli ultimi tempi non sono emerse controindicazioni e conflitti di interesse, non c’è ragione per non garantire la continuità dei vertici.
Se, nel governo (gli unici a poter dire qualcosa sono il presidente, il ministro dell’economia Padoan e la ministra Guidi) emergono orientamenti diversi da quelli dei manager in carica sulle politiche aziendali, in relazione agli interessi nazionali, si dovrà avviare un confronto per capire se essi ritengono di poter attuare le eventuali nuove direttive. Poiché sin qui, in nome di un’errata concezione dell’autonomia, nessuno si è fatto carico delle coerenze tra gli interessi del Paese e l’attività delle imprese di Stato, questo problema va affrontato con chiarezza prima di procedere alla nomina dell’ultimo dei consiglieri di amministrazione.
Il secondo suggerimento è quello di lasciare a casa tutti i trombati che circolano per i corridoi di via Sant’Andrea delle Fratte (sede del Pd), per i corridoi delle particelle schizzate via da Scelta Civica e per quelli del Nuovo Centro Destra.
È preferibile rischiare qualcosa innovando con raziocinio, piuttosto che appesantire il sistema con gli sconfitti dalla politica, legati a interessi e a clientele più o meno fameliche.
Tutto questo, Renzi dovrebbe saperlo e dovrebbe sapere quindi qual è la linea giusta da tenere nei rinnovi e nelle nomine, vitali per la Nazione e per la sopravvivenza, tutt’altro che assicurata, del suo governo.
Non può permettersi, come Berlusconi, di sbagliarne gran parte. Se lo ricordi, il giovane scout di palazzo Chigi: in questa materia la sua fortuna o la sua sfortuna sono nelle sue mani. Il destino cinico e baro non c’entra.





20 mar 2014

Quali compiti per il nuovo Senato?


SEMBREREBBE SCONTATA UN’ATTIVITA’ PIU’ AMMINISTRATIVA…SI...MA CON QUALE FINE?
di vincenzo cacopardo

Secondo Matteo Renzi la nuova riforma del Senato dovrebbe vedere un’assemblea di 150 persone composta da sindaci e presidenti di Regione, oltre a un gruppo di esponenti della società civile scelti direttamente dal capo dello Stato. Questa nuova composizione, in rappresentanza delle autonomie locali, dovrebbe affiancare la Camera dei Deputati senza creare sovrapposizione di compiti e funzioni legislative. Chi ne farà parte.. inoltre… non percepirà alcuna indennità.
Pur volendo andare incontro al progetto di Renzi, tale radicale trasformazione, legata indirettamente alle politiche regionali, richiederà tempo, ma anche dettagli più precisi per la sua modifica.
Il diverso funzionamento di una Camera occorre certamente, ma è importante ricercarlo attraverso logiche legate al meccanismo stesso della politica e cioè individuando quelle carenze senza le quali l’attività parlamentare potrebbe svolgersi con maggiore efficienza in termini strutturali oltre che temporali.
Secondo il sindaco d’Italia ed il plauso di buona parte della classe politica odierna, il Senato dovrebbe diventare la Camera delle autonomie immaginando 108 sindaci dei capoluoghi e 21 presidenti di regione più 21 esponenti della società civile che… oltre a non percepire alcuna prebenda, non potranno votare il bilancio dello Stato, nè dare la fiducia al governo, ma concorrere alla nomina del Presidente della Repubblica. Il problema che adesso si pone è, dunque, quello di fornirgli un compito adatto per capire esattamente quali funzioni devono svolgere i componenti di tale Camera e per far sì che possa rendersi utile.
La logica del taglio secco.. diminuendo numeri e indennità.. potrebbe rivelarsi frutto della consueta logica comunicativa, se si finisce col non dare un senso alla funzione che tale Camera ed al ruolo che deve assumere in rapporto a tutto il quadro istituzionale: Come operano i sindaci che la compongono?…Come i presidenti delle regioni?..Quale il raccordo con gli enti locali?…Insomma quale deve essere la loro vera funzione nell’ambito di una Camera delle autonomie?
Ora..se diamo per scontato che il Senato debba obiettivamente operare per  rendersi funzionale ad un compito istituzionale senza raddoppiare il lavoro politico che spetterà unicamente alla prima Camera e se questo compito sembrerebbe portarlo vicino ad un ambito territoriale (comuni e regioni)…appare dedursi un’attività più marcatamente amministrativa. ..Si..ma in che ragione ed a quale fine?
Sono tutte domande alle quali Renzi e la sua diversa maggioranza dovranno fornire una risposta, poiché una cosa è cancellare di colpo una Camera ed un’altra è riuscire a fornirgli un compito sinergico utile e funzionale….ed ancora più importante da conoscere nell’ambito della programmata futura abolizione delle provincie.




19 mar 2014

L’esemplare divisa dell’uomo di carattere


“Spezzato ma non piegato”
di vincenzo cacopardo

Molti si domandano se Matteo Renzi riuscirà nel suo difficile compito delle riforme e se potrà spingere il Paese verso un cambiamento. Le risposte sono sempre decise: c’è chi lo ritiene impossibile e c’è chi vede i suoi progetti fattibili. Io credo che qualcosa il giovane sindaco d’Italia riuscirà a farla …soprattutto per ciò che riguarda il lavoro, ma più difficilmente quella trasformazione dell’assetto istituzionale che deve far fronte alla relativa normativa costituzionale.
Andrà avanti con manovre più o meno azzardate …alcune da riproporre poiché non possibili..altre realizzate a metà ed altre ancora.. più o meno soddisfacenti. Renzi potrà apparire come la persona giusta al momento giusto, ma malgrado ogni buona volontà..non esiste un nume in terra capace di sostenere un cambiamento con tanta ambizione e disinvoltura…Per di più… simili metamorfosi  dovrebbero essere affrontate con estrema umiltà e con il contributo sinergico dei tanti (cosa alla quale  lo stesso Renzi..nella qualità di accentratore.. non aspira)
Un cambiamento sconvolgente come quello che tanta gente si aspetta non potrà mai arrivare… ma riuscendo a costruire piccole trasformazioni..con probabilità.. e lentamente, il giovane primo ministro dimostrerà qualcosa e potrà dare piccole prove che gli consentiranno continuità nel percorso. Naturalmente nulla resisterà al cammino imposto dalla globalizzazione ed all’evidenza di una economia internazionale le cui regole non sembrano mai volersi determinare: I piccoli cambiamenti serviranno solo a dare l’apparenza e qualche stimolo in più ad un Paese come il nostro fortemente squassato dal pesante debito. 
Le piccole trasformazioni, però.. accrediteranno il giovane Premier nel paese..un paese che, come tutti ormai sappiamo, tende ad esaltare o a buttare giù. La capacità di venditore di Renzi sarà pari  alla sua permanenza nel teatro di quella politica del "fare"..(anche far poco)..ma se anche quel poco sarà fatto, per molti cittadini, dopo i lunghi anni di una politica in declino, sarà sempre un ottimo risultato. 
Nel suo muoversi con decisione Renzi troverà una miriade di ostacoli, molti delatori ed altrettanti invidiosi che gli metteranno il bastone tra le ruote…pagherà..quindi… una certa disinvolta determinazione e si accorgerà anche delle tante difficoltà poste da una particolare incrostazione burocratica che impedirà certe sue avventate ambizioni di cambiamento.

Lui persevera non tenendo in considerazione alcun commento …Per lui vale sicuramente il detto “frangar non flectar” ad indicare che.. sarà spezzato ma non piegato! L’esemplare divisa dell’uomo di carattere, che..nel bene o nel male (questo si vedrà) tende a credere solo in se stesso.

Breve nota all'articolo di Domenico Cacopardo sugli avvenimenti internazionali Russi

di domenico Cacopardo

Per una di quelle coincidenze che la Storia e il destino (quel Fate protagonista di tanti drammi di Shakespeare) si divertono a costruire, Matteo Renzi si è recato a Berlino il giorno successivo alla celebrazione del referendum in Crimea: una consultazione volta a stabilire la volontà della maggioranza di lasciare l’Ucraina per aderire alla santa madre Russia. I modi per attuare la decisione sono i più diversi, ma quello che ha le maggiori probabilità di successo è quello della repubblica autonoma (la Crimea lo è già) aderente alla Confederazione di stati indipendenti, il nome odierno della federazione russa, governata da Vladimir Putin.
Prima di entrare nel merito dell’opportunità che si è offerta al nostro primo ministro, rivolgiamoci una domanda: conviene all’Italia mettere in discussione i buoni rapporti con la Russia?
Il nostro Paese, che ha rinunciato all’indipendenza energetica scegliendo (due referendum) di non costruire centrali nucleari (il prezzo relativo lo stiamo pagando da tempo e qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare ai disoccupati che la loro disperata condizione attuale è stata causata anche dall’eccessivo, non concorrenziale costo dell’energia), che si approvvigiona di gas e petrolio nel mercato russo, con contratti a lungo termine nei quali larga parte ha avuto l’Eni, può rinunciare a questo fondamentale fornitore?
La Libia, altro tradizionale venditore di petrolio, è nelle condizioni che sappiamo. Con l’Algeria ci sono più problemi che soluzioni.
Insomma, la nazione italiana deve continuare a commerciare con la Russia comprando commoditiese vendendo prodotti finiti di alta qualità.
Se questo è vero com’è vero, Matteo Renzi ha tra le mani la possibilità di alzare la testa a Bruxelles e a Berlino, dimostrando di essere ben diverso dal gauleiter euro-tedesco Mario Monti e dal tremebondo Enrico Letta.
Se l’Italia, sul dossier Odessa, si colloca in posizione autonoma e, diciamolo pure, contraria alla prevalente opinione comunitaria, si apre un fronte di negoziato nel quale trovano legittimo spazio tutti i dossiers che ci riguardano, primo fra tutti il consenso a un programma spinto di rilancio della nostra economia.
Del resto, la posizione dell’Unione, indebolita da una Germania che ha interessi analoghi ai nostri, è decisamente fragile: come si può ragionevolmente sostenere, dinnanzi a centinaia di milioni di europei, che l’esercizio della volontà popolare mediante un referendum non è accettabile? È accaduto tra Slovacchia e Cechia, nei Balcani a opera proprio della Comunità che s’è spesa per disgregare uno stato federale e sovrano come la Juvoslavia, intervenendo con le truppe nella secessione del Kosovo. Per quali ragioni, era giusto intervenire per sottrarre a uno stato sovrano un pezzo del suo territorio, senza una consultazione popolare, e non è giusto consentire ai russi di Crimea di costituirsi in stato indipendente dall’Ucraina e di aderire alla Confederazione confinante?.
Ecco, in questa contingenza internazionale, c’è l’opportunità per dimostrare che gli italiani sanno perseguire i propri interessi senza soggezioni e timidezze.


Le domande poste da Domenico sono più che ragionevoli ed aprono il pensiero di tutti su ciò che sta per accadere nelle rive del mare di Odessa. Situazione che non può trovare una soluzione precisa e ben definita da parte di ogni paese dell’Europa.
Secondo la cronologia ricordiamo che il 1° marzo il parlamento russo ha approvato una richiesta del presidente Vladimir Putin all’uso della forza militare in Ucraina. Che il 2 marzo hanno avuto luogo manifestazioni a favore della Russia persino a  in molte città ucraine compresa Kiev. Il 3 e 4 marzo  numerose truppe paramilitari hanno preso il controllo dei punti di confine tra Crimea e Ucraina e che navi russe hanno cominciato a sorvegliare le acque al largo della Crimea. Il 6 marzo il parlamento della Crimea si è pronunciato all’unanimità per l’adesione alla Federazione Russa staccandosi così dall’Ucraina. E per finire ..il 16 marzo si è previsto un referendum per ratificare la decisione del parlamento in Crimea. Non possiamo, infine, sottacere che oltre i 90% tra i votanti della Crimea risponde di essere favorevole alla riunificazione della Crimea con la Russia come entità costituente. 
Questa cronologia si conclude, quindi, con un forte dubbio sulla valutazione dell’evento.. accendendo di fatto forti contraddizioni tra pensiero pacifista e diritti umani. I governi europei non sembrano comunque aver fatto molto per contrastare Putin.
In questo scenario, il punto focale che intende esprimere Domenico è la posizione del nostro Paese e cioè se conviene all’Italia mettere in discussione i buoni rapporti con la Russia, poiché… approvvigionandosi di gas e petrolio nel suo mercato con contratti a lungo termine, potrebbe temere ripercussioni. Ripercussioni anche sulla commercializzazione dei nostri prodotti finiti di alta qualità. Una ragione…come sostiene Domenico… che.. ponendo il nostro Premier in luogo neutrale, se non addirittura distante,  gli fornisce la possibilità di alzare la testa a Bruxelles in riferimento ai propri dati economici.
Aspettando gli eventi…tra Ucraina e Crimea, un problema Russia sembra comunque  rimanere ..
v.cacopardo