1 apr 2014

la posta di Paolo Speciale

SENATUS POPULUSQUE RENTIANUS
di paolo Speciale

Concreto e sostanziale abbattimento dell'eccessiva e farraginosa tempistica delle procedure burocratiche proprie di uno stato sociale che però va mantenuto, perchè al momento irrinunciabile: questa la filosofia renziana che oggi, stante il rigido cronoprogramma autoimposto, si vuole trasformare in atto compiuto.
Cosicchè la prima delle riforme, sinora prudenzialmente solo dibattute in sede extraparlamentare in forza della loro potenziale natura destabilizzante, riguarda proprio il nuovo ruolo da attribuire ad una istituzione – il Senato - nata storicamente come sede della saggezza legiferante per eccellenza, l'assemblea che deve operare quel bilanciante “raffreddamento” delle intemperanze – non solo riformiste - mai meditate abbastanza.
Non si tratta di sconvolgere il bicameralismo perfetto, ma di razionalizzarne – in termini di efficacia - la veste operativa, non depauperando la funzione di Palazzo Madama, che anzi nella nuova dimensione diventerebbe complemento essenziale di Montecitorio.
E di questo Matteo Renzi deve fare i conti anche con il suo stesso “popolo”.
Si è parlato semplicisticamente di abolizione della caratteristica “elettiva” del nuovo Senato: eppure sarebbe costituito in grandissima parte da eletti presso le autonomie locali ed è innegabile quanto ciò possa incidere sulla nascita di una nuova e più alta qualità del rapporto tra rappresentante e rappresentato. Gli eletti nei vecchi collegi, sinora dimostratisi insufficienti strumenti di manifestazione delle esigenze locali e territoriali a livello centrale, sarebbero sostituiti direttamente dagli amministratori periferici stessi i quali, senza alcuna indennità diversa da quella erogata dall'ente locale rappresentato, sarebbero forse anche meno esposti al fenomeno del voto di scambio e ad una certa diffusa ed impropria dipendenza gerarchico-partitica che il sistema dei privilegi romani nel tempo ha consolidato.
La funzione legislativa ordinaria rimarrebbe prerogativa esclusiva della Camera dei Deputati, mentre al Senato la stessa sarebbe sostituita da una funzione - sinora propria delle commissioni – di elaborazione propositiva con cogenza, presso Montecitorio, di esame e di espressione di parere verso i testi redatti entro tempi ristretti.
Ancora: Palazzo Madama manterrebbe la funzione legislativa costituzionale, e quindi rimarrebbe attore determinante in ogni ulteriore processo di revisione della magna charta, oltre a rimanere titolare della stabile attribuzione di altre non meno importanti funzioni presenti nel processo legislativo.
Le riforme del sistema, si sa, riguardano tutti perchè modificano spesso anche le regole del gioco.
Tutti, tranne le più alte cariche dello Stato, che dello stesso sistema, anche se modificato dal Parlamento sovrano nella sua collegialità, devono essere, nella qualità, solo garanti e non critici commentatori. Pena il rischio di perdere autorevolezza e prestigio, oggi quanto mai importanti, se non confusi con i privilegi.






31 mar 2014

un commento alle nuove considerazioni di Domenico Cacopardo

Stenterello alla corte del Gran Khan
di domenico Cacopardo


Come il concittadino Stenterello, Matteo Renzi è chiacchierone e impulsivo, ma anche ingegnoso e pronto a schierarsi dalla parte del più debole. Ma, diversamente da Stenterello, sa essere spietato e teso al proprio successo sostanziale e, soprattutto, mediatico.
È fortunato, almeno sino a ora, il premier: la fulminea ascesa alla segreteria del Pd e, subito dopo, a palazzo Chigi sono state agevolate dal crollo di tutta una classe dirigente, educata nel vecchio Pci, emersa sulle ceneri della prima Repubblica, affermatasi nella seconda. Se rivolgiamo serenamente lo sguardo al passato ci sembra impossibile che persone della modestia di Bersani, Fassino, Nicolais, Melandri e compagnia bella abbiano potuto assumere responsabilità di primo piano. E se guardiamo ai tempi più recenti, scopriamo che i rivali di Renzi per la segreteria sono stati Cuperlo e Civati, di cui s’è ormai persa memoria nei corridoi degli uffici di via Sant’Andrea delle Fratte, dov’è la sede del Pd.
Ora che è al governo, Matteo Renzi non ha perso l’abitudine di far politica mediante l’épater le bourgeois, il vecchio e abusato metodo delle dichiarazioni reboanti, capaci di stupire e carezzare la pancia della gente, spesso infarcite di smaccata demagogia.
Un mix pericoloso, di cui presto potrebbe essergli presentato il conto. Il nostro giovanissimo presidente, tuttavia, non è solo questo. È anche l’interprete più efficace del malessere che percorre la penisola, della stanchezza per una politica che non ha più nulla da dire (vedi sopra), dell’indignazione per un sistema corrotto e incapace di portare a compimento qualsiasi disegno di riforma o di intervento sul territorio. Fallito per la politica sociale e industriale che ha espresso.
Ed è portatore, infine, di un progetto europeo alternativo a quello degli attuali responsabili della politica comunitaria.
Per Renzi (e molti altri), la politica di austerità ha recato più danni che benefici (salvo la Germania e alcuni paesi del Nord);le restrizioni alla crescita hanno messo in discussione l’Europa nel sentiment e nella ragione dei cittadini del continente; e, per l’Italia, ha significato un complesso di costi senza ritorni, a cominciare dal contributo al fondo salvastati per finire con le restrizioni del credito. L’unico assenso all’Unione riguarda la politica delle riforme: ma non quelle repressive che sono di voga a Bruxelles, ma quelle istituzionali, premessa obbligata di tutte le altre.
A occhio, anche sotto questo profilo, il premier sembra fortunato: le elezioni francesi hanno visto il successo del Front National, FN diretto da Jean-Marie Le Pen seminando panico tra gli eurocrati e leader come la Merkel; le prossime elezioni europee vedranno in sostanza uno scontro tra unionisti e separatisti, e i primi, che vinceranno, non potranno più dimenticare il disagio generale; la prossima Commissione sarà meno liberista e germanofila di quella uscente, anche perché per i socialisti si prevede un buon risultato.
Tutte ragioni queste che potrebbero aiutare Renzi a imporre a Bruxelles le ragioni dell’Italia, che sarà presidente dell’Unione dal prossimo 1° luglio.
Insomma, ancora una volta occorre aspettare: le prospettive, però, possono diventare migliori di quanto non siano oggi.


Il suo "épater le bourgeois" fa tanto pensare ad un personaggio che ha dominato in politica negli ultimi vent’anni. Anche lui usava queste roboanti dichiarazioni e ha riempito il suo periodo con promesse non mantenute.
Al di là di ciò… per quanto attiene il risultato della Francia.. non mi sembra che le elezioni diano tanta ragione ai socialisti. Che la battaglia a livello europeo finirà col dare ragione agli unionisti, sembra comunque scontato, se pur.. come afferma giustamente Domenico.. la posizione della Germania dovrà attenuarsi.
Per quanto riguarda la figura del Premier Renzi, mi trovo perfettamente d’accordo col cugino quando afferma che la corruzione ed un’evidente mancanza di riforme, hanno ridotto la politica del nostro Paese in un pesantissimo stato di disagio e di indignazione. Dunque..la via per Renzi.. dovrebbe essere solo in salita, poiché.. qualunque piccola cosa in positivo facesse, sarebbe vista come un’eccezione…qualcosa di singolare che nessuno prima è stato capace di fare.
Non si possono mettere in dubbio le qualità ingegnose di Renzi, né il suo opportunismo... mai la sua determinazione e la sua innata volontà, ma ciò non basta quando.. una simile metamorfosi del sistema.. dovrebbe coinvolgere un’intera classe politica in quella utile dialettica che oggi sembra mancare. Restano assai dubbiose certe considerazioni di merito circa le trasformazioni istituzionali da lui decise per opportunità.. (in considerazione del fatto che nessuno in seno al suo Partito osa opporsi). Trasformazioni storiche di una  importanza assoluta che decideranno il futuro di tutta la struttura politica istituzionale e che, a parer mio, non possono essere decise così in fretta, in modo assai tagliente e senza il contributo di tutti. Restano anche implicite altre considerazioni di metodo che, unite a quelle di merito, danno un quadro di una strada assai lontana da ciò che dovrebbe rappresentare un vero percorso democratico. Alcune cose gli riusciranno…altre molto meno..altre per niente.
Vincerà l’autoritarismo...una certa incantevole comunicazione..ed una evidente determinazione, ma andremo sempre più allontanandoci da ogni sistema di vera appartenenza democratica. 
V. Cacopardo

29 mar 2014

Boschi…la neoministra che fa comodo a Renzi


di vincenzo cacopardo
Quando sento parlare la neoministra Maria Elena Boschi ho come l’impressione di ascoltare una scolaretta che ripete a memoria i suoi compiti. 

Sicuramente bella e spesso sorridente... capace di attrarre col suo particolare sguardo incantato fin troppo sdolcinato (così bene interpretato da chi recentemente l'ha imitata). Nei suoi dialoghi tutto scorre mieloso… finendo col diventare scontato e tedioso: La ministra sembra ripetere mnemonicamente una lezione impartita da qualche altro al punto di non lasciare mai intravvedere un sua personale critica, una sua valutazione.. un esame corrispondente alla sua individuale logica…insomma..nulla che possa personalizzarla.
Malgrado la sua consapevolezza dichiarata sulle responsabilità che l’aspettano, non sembra incantare per i concetti che esprime… concetti nei quali non è presente un personale pensiero se non dettato o suggerito da fuori. Conclude ogni sua intervista col solito sorriso dopo aver ripetuto il compito come fosse davanti ad una commissione di esami di maturità o una tesi di laurea. Nel suo caso l’esame ripetuto alla lettera.. è quello dettato dal suo presidente in persona ossia Matteo Renzi…ed a ciò che lui le ha impartito.. la ministra pare non aggiungere mai nulla di più.
Se non dobbiamo considerarla per il suo dolce aspetto, ma sul piano politico…restiamo impressionati da una chiara mancanza di personalità di pensiero in un dialogo che pare esprimersi in modo simile ad un allieva che reitera pedissequamente un insegnamento.


E’ chiaro quindi che tutto ciò fa comodo ad un astuto Matteo Renzi che, in tal modo, può gestire con indubbia libertà ogni suo progetto di riforme.   

28 mar 2014

Valutazioni pregiudizievoli....


IL NUOVO TESTO DELRIO  
di vincenzo cacopardo

L'approvazione del testo Delrio collegato alle riforme per le Province è sicuramente una battaglia difficile. Dopo essere passato al Senato… si resta adesso…in attesa di un lasciapassare per la Camera 
Se.. come sembra.. nel corso della sua approvazione è stato ammesso un emendamento che affida nelle mani delle Province la competenza diretta sull'edilizia scolastica, diverse saranno le ulteriori verifiche che i deputati della Camera dovranno accuratamente esaminare.
Matteo Renzi, intanto continua ad inviare tweet, esprimendo il bisogno da parte della politica di colmare quel vuoto che la tiene lontana dai cittadini. Non sembra nemmeno strano il suo poco interesse verso alcuni articoli del suddetto testo..quando in lui prevale una certa rituale comunicazione carica di demagogia popolare. La sua corsa contro il tempo è primaria e  tremila posti in meno per i politici sono troppo importanti e potrebbero dare speranza e fiducia ai cittadini: come lui afferma “piaccia o non piaccia, andiamo fino in fondo”. Il suo Partito appare ammutolito…succube della sua forte determinazione e senza alcuna critica che possa contrapporsi per mettere in evidenza i possibili risvolti di una modo assai “tranchant” di determinare le nuove regole.
Scorrendo la lettura degli articoli sulle nuove disposizioni delle città metropolitane, province, unioni e fusioni, relativamente alla elezione del consiglio metropolitano, sulla proclamazione del candidato eletto, fa tanto pensare l’articolo 38 che così recita : A parità di cifra individuale ponderata, è proclamato eletto il candidato al sesso meno rappresentato tra gli eletti della lista; in caso di ulteriore parità, è proclamato eletto il candidato più giovane.
Oltre che ridicola in sé appare una regola assai fantasiosa!...Se orrenda è una comparazione con un candidato individuato per sesso, ancora più assurda può apparire la proclamazione in favore di un candidato più giovane.


E’ forse questo il nuovo modo di procedere verso la rottamazione?  

Breve commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo su Papa Francesco

di domenico Cacopardo
Un altro papa mediatico, sussurrano nei corridoi dell’ex Sant’Ufficio, ora Congregazione per la dottrina della fede, i monsignori di mezz’età che si muovono con passo felpato tra una stanza e l’altra, magari raggiungendo l’ufficio di monsignor Gerhard Ludwig Müller, il loro capo.
Un papa politico, osservano, invece, nella Segreteria di Stato del cardinale Parolin, l’uomo chiamato a sbaraccare l’eredità del predecessore cardinale Bertone.
Insomma, le novità sono tante e non riguardano in particolare la fede e la dottrina quanto la comunicazione, il governo della Chiesa e il rapporto con quella che a Roma si chiama la ggente.
Ieri è stata una delle giornate di sublimazione di papa Francesco: ha iniziato al mattino presto, celebrando una messa per i politici, in cui non s’è risparmiato le reprimende di maniera, quelle parole che suscitano il consenso delle strade e una finta contrizione di coloro che sono di fronte a lui; poi ha continuato e concluso con Barak Obama, esponente di una nazione che ha teorizzato e attuato la politica di potenza, ma che in lui ha trovato un presidente incerto e insicuro, capace di mandare i droni ad assassinare un terrorista, di sobillare una sanguinosa rivolta in Siria, tutta in danno dei cristiani legati al regime di Assad, di minacciare tuoni e fulmini a Putin, e contemporaneamente impegnato nella riduzione dell’apparato militare.
Anche con Barak Obama è andato in scena un rito liberatorio: i cattivi sono cattivi, ma se si pentono diventano buoni. I poveri vanno aiutati e assistiti, i malati curati, gli affamati saziati.
Un’operazione di successo per Obama che, tornando in patria, potrà vantare il consenso papale e per il medesimo pontefice che potrà dire (e far dire ai suoi fan) “Gliele ho cantate”.
Non una parola è stata spesa sul caso di Asia Bibi la donna cattolica condannata a morte in Pakistan con l'accusa di aver offeso Maometto.
La vicenda risale al giugno 2009 quando ad Asia Bibi, una lavoratrice agricola, viene chiesto di andare a prendere dell'acqua. A quel punto un gruppo di donne musulmane l'avrebbe respinta sostenendo che lei, in quanto cristiana, non avrebbe dovuto toccare il recipiente perché l’avrebbe reso immondo. Si sono quindi rivolte alle autorità sostenendo che lei nella discussione avrebbe offeso il profeta. Asia Bibi, picchiata, chiusa in uno stanzino, stuprata, infine arrestata pochi giorni dopo nel villaggio di Ittanwalai, ha negato le accuse e ha replicato di essere perseguitata e discriminata a causa del suo credo religioso.
Il giudice, dopo un anno, l’ha considerata colpevole e condannata a morte. La sentenza deve ancora essere eseguita. Il ministro per le minoranze religiose, ch’era intervenuto a sua difesa, è stato assassinato.
Come in tanti altri casi, dei martiri religiosi nessuno intende occuparsi, dato che è difficile farlo con qualche possibilità di successo e che di essi non c’è eco sulla stampa occidentale così attenta ai vizi e agli eccessi dei propri esponenti, quanto cieca e connivente con le altrui violenze.
Questo non è un discorso razzista. Razzisti sono coloro che subiscono una sorta di complesso razziale al contrario rinunciando a protestare e a sostenere le proprie ragioni per discutibile rispetto delle altrui usanze e credi religiosi.
Una piccola elementare spiegazione del nostro giudizio critico: Francesco poteva impegnare Obama, alleato del Pakistan, a intervenire perché quello Stato islamico si mostrasse clemente.
Forse l’ha fatto. Forse no.
A noi, rimane il dubbio.




A proposito di Francesco...
Non so se l’abbia fatto..ma la mia attenzione si pone con interesse sulla identificazione delle due figure (politica e religiosa) richiamate da Domenico e sulla loro  diversificazione nei compiti.  
Riesce difficile mettere in relazione la politica di Obama con l'opera religiosa di Papa Francesco. C’è una grande differenza tra chi esercita la politica mondiale come Obama e chi intende comunicare il messaggio di Cristo all’intero mondo come intende farlo Francesco. Se pure il Pontefice nel suo dialogo offre degli insegnamenti alla politica, non potrà mai riuscire ad entrare nelle operazioni organizzative, strutturali ed economiche relative alla dinamica della politica internazionale.
La forza di Francesco non può che basarsi su una attività comunicativa..questo è certo! ....Diffonde la parola di Cristo ed il suo attinente messaggio dell’amore. In questo suo incedere si ritrova in un mondo che.. quella politica…non riesce a far funzionare in favore di un benessere sociale. Questo gli dà il l’occasione ed il compito di esternare alcune critiche quando i fatti si contrappongono al messaggio cristiano.  Quella di Obama, come quella di ogni capo di un governo, oltre che nella comunicazione si deve esprimere nei fatti e da questi ( soprattutto per la figura di Obama) dipende tutto l’assetto mondiale.
Non voglio entrare nel merito del loro compito, ma sono certo che la missione del nuovo Papa, se pur a volte criticato per la sua ostentazione mediatica, è un messaggio sano e funzionale. Non appare come il retorico messaggio della Chiesa di una volta costruito sulla divinità superiore e sulle entità miracolose, ma si esprime con una particolare umanità cristiana… e non potrebbe essere altrimenti.. proprio perché è relativo a tutta la sofferenza odierna che spinge  inesorabilmente verso una reale crisi di valori.  

v.cacopardo   

27 mar 2014

Una nota all'articolo del Consigliere Cacopardo 27/03/2014

Demagogia e sostanza
di domenico Cacopardo
Sembra la demagogia la cifra più significativa di questo governo e del suo premier Matteo Renzi. La demagogia degli annunci, del fare, della velocità, della rottamazione e del cambiamento.
Nessuna valutazione pratica dei tempi reali, delle conseguenze di promesse e di minacce, in una specie di happening, dal quale si salvano i ministri Padoan e Poletti e gli altri, non del Pd, più avvezzi alle stanze di governo e alle loro trappole.
Prendiamo la vexata quaestio delle retribuzioni dei dirigenti dello Stato e dei manager delle imprese a partecipazione pubblica.
Non c’è dubbio che l’opera di disinformazione in corso da anni e che coinvolge gran parte della carta stampata e dei conduttori di talk show ha fatto effetto. Poiché s’è sempre parlato di cifre tonde e lorde, ma mai di risultati, s’è diffusa nella pubblica opinione l’idea che gli stipendi siano parte cospicua della dissipazione dei quattrini dello Stato e che costituiscano un vero e proprio scandalo.
Pensiamo alla pubblica Amministrazione: il sindacato sostiene che il numero dei dipendenti è in linea con le altre nazioni dell’Unione. Il che è vero, ma quello che viene celato è che in Italia l’Amministrazione è fattore di freno per ogni attività produttiva o, semplicemente, civile, mentre dai nostri vicini è elemento di certezza, rapidità ed efficacia.
Da questo punto di vista anche il governo e la ministra Madia ‘lasciano stare’, forse perché l’efficientamento degli apparati dello Stato è molto più difficile di quanto sia parlare, solo parlare, di stipendi troppo elevati.
Di questa natura è anche il caso dei manager delle aziende a partecipazione pubblica. Emblematico, il caso Moretti.
Certo, il Ceo delle Ferrovie ci ha messo del suo, dichiarando che, se gli tagliano lo stipendio, se ne va.
Cerchiamo di capire meglio, facendogli i conti in tasca, con numeri arrotondati e approssimati, alla luce di un fisco predatorio: 800.000 retribuzione annua; 43% Irpef 344.000 (rimangono 456.000); 5% addizionali regionale e comunale 40.000 (rimangono 416.000 euro); contributo del 3% per coloro che superano i 300.000, 15.000 (rimangono 401.000); ritenute previdenziali 12%, euro 96.000 (rimangono 305.000 euro). Insomma gli 800.000 sono una cifra virtuale.
Nessuno si è occupato dei risultati di bilancio e di miglioramento del servizio, ottenuti da Moretti, il primo dopo una serie di Ceo sui quali c’è molto da dire e criticare sia per le retribuzioni sia per i risultati.
Nessuno che abbia approfondito il cambiamento del Paese per l’attivazione dell’Alta velocità, nessuno degli economisti da talk showche abbia avuto voglia di calcolare il contributo al Pil.
È comprensibile che il neofita Renzi rimanga impressionato dai numeri bruti e se ne esca con sciocchezze sulle retribuzioni. Ma non è accettabile che su un problema di questo genere non si voglia ragionare seriamente, lasciandosi portare dalla corrente del populismo dilagante.
Il discorso giusto è questo: giudichiamoli dai risultati. Se non ci sono cacciamoli. Se ci sono paghiamoli bene come si fa in un mercato aperto.
Non è vero che gli italiani sono come i ‘figli’ del reverendo Moon: a parte Grillo e i suoi seguaci, distinguono tra propaganda e informazione.
Se si dice la verità, anche drammatica, sanno reagire nel modo giusto, com’è accaduto tante volte in passato.


Sebbene assai d’accordo col cugino Domenico circa il compenso che deve attribuirsi per merito, mi pongo alcuni dubbi su un tema della correttezza morale che ci si ostina a non mettere in evidenza.
Pur riscontrando una chiara retorica sulle comunicazione di Renzi e sui suoi continui annunci sul fare e sul rottamare, penso che la  delicata “questio” debba essere vista su piano prettamente etico e cioè.. quello di poter individuare un tetto di queste cifre in linea con la realtà di una crisi che colpisce in modo devastante tutte le classi sociali tranne che straricchi e potenti.
D’altronde se per legge tra i lavoratori esiste una soglia di reddito minimo…per quale ragione non deve esistere una soglia di tetto massima?
Sembra opportuno che la prebenda di ogni manager (per quanto possa essere il migliore), non può.. sul piano etico.. superare una certa soglia. Diverso è il diritto ad un premio extra in rapporto ai risultati di bilancio..(anche sulla base della qualità e l’efficienza dell’azienda).
Una remunerazione libera (ma con un tetto) ed un premio in base ai risultati forniti…darebbero una visione meno refrattaria all’occhio del comune cittadino, motivando.. di logica.. la capacità di un manager.  

L'emblematico caso Moretti non è per niente eclatante visto e considerato i numeri posti con precisione da Domenico, ma non possiamo considerarli senza metterli in rapporto con quelli di un operaio che in sé potrebbe anche avere diritto a premi per i propri meriti. Se consideriamo.. ad esempio.. i 96.000 euro di contributi previdenziali, non possiamo sottacere che tale somma contributiva andrà al fondo pensione dello stesso Manager…una cifra che gli renderà una pensione cospicua e per la quale un qualunque operaio dovrà lavorare tra i dieci ed i dodici anni per poter versare tale somma.
In conclusione possiamo affermare che il merito va sempre tenuto in alta considerazione… sia per il manager che per lo stesso operaio, attraverso un premio per la produzione e l'efficienza, ma la remunerazione andrebbe controllata attraverso soglie da definire al fine di non mettere in evidenza queste macroscopiche anacronistiche differenze.. se pur valutando le cifre a lordo.

Al di là di ogni demagogia e sostanza…la teoria del libero mercato non può più funzionare in rapporto al carico notevole che essa impone ad una società che si vorrebbe più equa! Il mercato oggi..per quanto lo si voglia aperto, come scrive Domenico…deve imporsi delle regole.  

26 mar 2014

Una critica del Consigliere Domenico Cacopardo

LO STUPIDO AL POTERE 
di domenico Cacopardo

L’ineluttabile successo del luogo comune, della retorica italiota e della peggiore routine burocratica lo si constata da tempo.
Facciamo qualche esempio.
Nei giorni scorsi la graziosa pregnant Marianna Madia ha partorito l’idea di vietare ai pensionati attività retribuite. A parte ogni considerazione di tipo umanitario e sociale (l’impegno degli anziani ritarda il loro decadimento fisico e mentale), la giovane marmotta incaricata della riforma della pubblica amministrazione rivela la mentalità illiberale e proibizionista che tanti irreparabili danni ha già prodotto.
Altro esempio interessante, testimonianza di approssimazione nella spesa dei fondi dello Stato, si può trovare nella piazza Tienanmen di Pechino.
Nel luogo più frequentato della Cina, c’è il Museo nazionale, e l’Italia, dopo 12 anni di trattativa, ha ottenuto uno spazio interessante (500 mq). In cambio, abbiamo concesso al governo cinese una analoga disponibilità nel palazzo Venezia di Roma.
A Tienanmen, inaugurata dal ministro dei beni culturali Ornaghi, è andata in scena,il 6 luglio 2012, la mostra dedicata al Rinascimento a Firenze: purtroppo era la terza mostra sul Rinascimento realizzata in quel Paese e l’affluenza ne ha risentito. Secondo l’ormai larga colonia italiana, si sarebbe trattato di un mezzo flop, visto che la stampa locale non le ha dato l’importanza che meritava e che il botteghino non è stato pari alle attese né ai normali flussi cinesi.
Sarebbe un’importante innovazione (il ministro Franceschini potrebbe deciderlo) che i Beni culturali, alla fine di questo genere di esibizioni, comunicassero costi, contributi degli sponsor e risultati di botteghino, in modo che si possa valutare lefficacia e lutilità della spesa.
L’ultima idea, per Pechino, è di presentare il Barocco romano: un evento a impatto zero, che può far felice qualche mercante, non di certo la curiosità che da quelle parti ci viene riservata.
Domanda: ma perché il ministero dei beni culturali non approfondisce il tema per capire quali siano le iniziative che possano mobilitare, in Cina, il più vasto pubblico, facendo da traino al prodotto italiano?
Per renderci conto di questo perché, abbiamo preso in esame il sito del ministero, scoprendo che c’è una specifica direzione per la valorizzazione del patrimonio culturale. Alla sua testa la dottoressa Anna Maria Buzzi. Spulciato il suo curriculum (ministeriale), abbiamo scoperto che la signora dichiara di parlare in modo fluente il francese. Per l’inglese ha una conoscenza scolastica (che, data la qualità dell’insegnamento italiano, significa zero o quasi). Già questa constatazione, unitamente al fatto che la signora non si sia sentita in obbligo di imparare bene la lingua globale, ci ha fatto venire i brividi. Poi, è venuto fuori che la dottoressa Buzzi è laureata in pedagogia e che, tra i corsi di specializzazione vantati, non ce n’è uno che riguardi la valorizzazione del patrimonio culturale né il management di settore. A questo punto ci siamo fermati, per non accentuare i motivi di depressione.
Insomma, al di là dei propositi roboanti, nella pubblica amministrazione, come sappiamo, ci sarebbe molto da fare (eh? Marianna Madia!).







25 mar 2014

Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo 25/3/2014


La difficile alleanza tra Squinzi e la Camusso 
di domenico Cacopardo
Fra le molte cose su cui riflettere una delle più delicate è l’evidente convergenza di Squinzi verso le posizioni della Camusso e della Cgil.
Va ricordato che c’è un drammatico filo rosso che lega la Cgil al rifiuto delle più recenti stagioni riformiste.
E c’è un unico destino che mette insieme tutti molti lavoristi additati alla pubblica esecrazione come servi di un solo padrone, lo Stato.
Il rifiuto di assumersi la responsabilità di collaborare alle urgenti riforme del mercato del lavoro e dello Statuto dei lavoratori ha, infatti, potuto rappresentare l’innesco del terrorismo brigatista che, con D’Antona e Biagi, colpì a morte chi si occupava della modernizzazione del sistema.
Di questo deve tenere conto Matteo Renzi e, di questo, debbono tenere conto il ministro dell’interno, la boccheggiante Aisi e i capi della pubblica sicurezza.
Quello che stupisce, in questa situazione, non è la posizione della Cgil, ancorata alla stolida politica di Cofferati & successori, ma le esternazioni del presidente di Confindustria, Squinzi, eletto al suo incarico con il determinante appoggio delle aziende pubbliche (il che non deve essere dimenticato né a palazzo Chigi né in via XX Settembre).
Sfrustrato dalla gelida accoglienza dei colleghi tedeschi (l’organizzazione datoriale di Berlino rappresenta un ventaglio di colossi economico-finanziari, rispetto ai quali le aziende italiane, compresa la Mapei ed esclusi i colossi di Stato, fanno la figura dei nanetti di Biancaneve), non grato a chi lo aveva invitato all’incontro bilaterale, assente dal tavolo Merkel-Renzi, Squinzi tenta di delegittimare il premier e il suo lavoro con insinuazioni da bar di periferia.
Poiché è da escludere un mandato delle maggiori imprese aderenti a Confindustria, non si può che ritenere che l’alleanza antiriformista Squinzi-Camusso abbia come causa principale la difesa non dei lavoratori, ma dei rispettivi apparati.
Se il meccanismo delle riforme si avvia e porta all’inevitabile attenuazione del peso del contratto nazionale a favore del contratto aziendale, cessano le ragioni per le quali a viale dell’Astronomia sopravviva un’immensa burocrazia con le sue ragguardevoli retribuzioni, il suo piccolo-grande potere, la sua capacità di fare, di tanto in tanto, lobby per provvedimenti che, in fin dei conti, appesantiscono ulteriormente il carico burocratico e fiscale delle medesime aziende organizzate. Un esempio per tutti, la barocca, costosa e inefficace incastellatura della legge 231 e seguito successivo.
Dal canto suo, la Camusso non può che temere quest’evoluzione che sposterebbe il focus delle contrattazioni da corso d’Italia (sede di quel sindacato) verso le categorie e le singole realtà produttive.
Nessuno che si renda conto che l’impegno per procedere sulla via del cambiamento che, con fatica, si sta tentando di aprire, è, per chi ha responsabilità come quelle di Squinzi e della Camusso, una sorta di obbligo patriottico per il concreto perseguimento degli interessi di imprese e lavoratori.
Il tempo delle irresponsabili manovre sulla pelle degli italiani è finito e per sempre. Se i nostri due alleati non se ne renderanno conto presto, anche per loro suonerà la ritirata che ha coinvolto gran parte della classe dirigente del Paese.



Se è vero che molte opposizioni al procedere del governo appaiono fin troppo violente, lo sembra anche la risposta snobistica ed un po’ sfacciata dello stesso Renzi.. quando afferma in modo perentorio che questo è l’ottimo segnale della certezza di essere sulla strada giusta. Anch’io sono per il cambiamento ma ciò non significa che nel merito non possa restare perplesso su determinati provvedimenti che…pur coprendo nell’immediato dei buchi, non definiscono una vera crescita.
Non entro nel tema delle due figure D'Antona e Biagi che sicuramente hanno reso un ottimo lavoro alla nostra Repubblica, pagato a caro prezzo, ma mi soffermo sul lavoro che sta intraprendendo Renzi, oggi costretto ad un dialogo con le parti sociali che rappresentano i lavoratori.  
Credo, come lui, sia giusto dover mettere un tetto alle retribuzioni degli amministratori pubblici ed in realtà vorrei persino che le stesse regole vi fossero nel privato: Il risultato di questa società malata si è determinato per via delle logiche di un libero mercato che ha proseguito il suo cammino senza alcuna misura.

Per ciò che riguarda le nuove manovre, avrei sperato che tutte le risorse disponibili fossero state messe per creare nuovo lavoro, ma la trovata dell’aumento di ottanta euro sugli stipendi ai diecimilioni di lavoratori non mi convince proprio perché, non creandone...non spinge verso una crescita innovativa. Questo è già di per sé una ragione valida di merito per la quale si può non essere d’accordo con il progetto del nuovo premier..sia che lui appaia innovatore o no!
Le perplessità sull’incedere determinato del nuovo sindaco d’Italia, con tutto il rispetto possibile, pongono dubbi proprio sul merito del cambiamento… e non potrebbe che essere così proprio per l’entità del suo compito e la manifesta ambizione che lo ha visto con celerità sedersi nella poltrona di governo. Con ciò non è detto che mi trovi d’accordo con le posizioni della strana coppia Camusso-Squinzi. Se quello di Renzi ( come da lui stesso affermato) può apparire come lo scontro tra la palude ed un torrente impetuoso, è anche chiaro che di fronte non poteva che trovarsi un establishment assai preoccupato…giacchè non è scritto da nessuna parte che il suo progetto riformatore potrà.. in assoluto… dare risultati solo positivi.
Il dialogo con le forze del lavoro ancorate alla stolida politica a cui fa riferimento Domenico, le corporazioni lobbystiche ed il pesante apparato burocratico, erano previste poiché facenti parte di un sistema vecchio col quale lo stesso Renzi ben sapeva di dover fare i conti. Le parti sociali non sono un’invenzione di oggi ed appartengono al passato di un sistema democratico maturato sicuramente male, ma che può essere corretto solo attraverso il dialogo..e se Renzi ritiene di poter andare avanti da solo poichè pensa che certi cambiamenti non concordati possano portare preoccupazione a chi non è abituato a viverli positivamente, dovrà almeno dimostrare che nel merito, essi, possano essere costruttivi ed apportare sviluppo.
vincenzo cacopardo

24 mar 2014

La Francia si svela antisistemica e leghista




Un altro fallimento del bipolarismo
di vincenzo cacopardo

Il Fronte Nazionale di Marine Le Pen dilaga e conquista un vasto consenso in Francia.
La Francia euroscettica nel sud, conquista il primo posto nelle amministrative. La disfatta in parte annunciata di Francois Hollande è uno scossone per il Paese che.. pur con una soglia consistente di assenteismo, si trova oggi assai prossimo in una evidente lacerazione nei confronti della comunità Europea.
Sembra che persino a Parigi si profili la vittoria dei candidati del Fronte Nazionale, sferrando un colpo contro quei socialisti fortemente legati al processo di costruzione della nuova Europa. L’astensionismo evidenziatosi anche nella “gauche” dimostra chiaramente un atteggiamento di distacco nei confronti di una politica voluta da Hollande, ma il sentore è quello di un Paese che non appare favorevole all’opera di costruzione di un Europa che sembra sottovalutare alcuni principi fondamentali, basando la sua crescita attraverso quel modello di economia di rigore fin troppo forzato. 
Naturalmente, la bionda Le Pen, ne esce sorridente affermando che si tratta di una vittoria straordinaria e, con lo stesso tono con il quale si esprimerebbe Grillo, sostiene di non allearsi con nessuno definendo tutti i partiti uguali nel loro modo di far politica.
E’ evidente che anche in Italia questo risultato viene visto in modo entusiastico soprattutto dalla Lega Nord, Partito alleato del Fronte Nazionale in Europa e viene visto in buona luce anche dallo stesso Movimento di Grillo che, seppur non alleato, potrebbe farsi forte di tale risultato sul fronte del dissenso verso la politica Comunitaria. Questi Partiti e Movimenti insieme, irrompendo in massa nel nuovo Parlamento europeo, potrebbe opporsi con forza ai programmi sui temi fondamentali dell’immigrazione e sull’Euro.
Intanto la Le Pen, continua dichiarando che… se pur contattata diverse volte da persone vicino a Grillo… non è riuscita a trovare aderenze utili per via di una particolare ostilità riscontrata proprio ai vertici di tale Movimento ed in tal modo sostenendo l’impossibilità di una governabilità da parte di costoro. Al contrario Marine ha ritenuto positivi i contatti con la Lega Nord e Fratelli d’Italia.
La Le Pen dimostra anche una particolare attenzione per Matteo Renzi, avendone lodato il decisionismo ed asserendo che prima di lui non esisteva una vera sinistra, parla, poi, di Berlusconi come un vero combattente.. plaudendo alla sua furbizia… infine estremizza il feeling con la Lega antieuropeista di Salvini che si batte contro l’immigrazione. Come una donna di destra pare osannare queste caratteristiche che appartengono indubbiamente alla mentalità un po’ conservatrice e un po’ risoluta delle figure estreme.
Malgrado l’atteggiamento di Grillo, il destino politico della Le Pen… nel contesto Europeo… non sembra tanto lontano dal Movimento 5 Stelle che li vedrà sicuramente uniti in una difficile ed ardua battaglia contro l’Euro.
Un freno per il processo di crescita di questa Europa che in qualche modo vorrebbe costruire la sua politica con la forza semplificativa dei due sole componenti politiche per dare sfogo ad un futuro bipolarismo europeo. Ma queste elezioni hanno sicuramente messo in evidenza che.. anche in un Paese come la Francia… l’azione sintetica bipolare trova dubbi e perplessità.  


La domanda da porsi è sicuramente quella di come oggi non si possa tener conto di questi Partiti e Movimenti che in qualche modo esprimono un disagio e che… addizionati al notevole assenteismo di coloro che non vogliono più esprimersi nel voto, dimostrano una chiara perplessità sul metodo politico con il quale si insiste nel procedere.  

22 mar 2014

Renzi..un riformatore po' yankee

VALUTAZIONI PRIVE DI PREGIUDIZI

Alcuni ritengono che Matteo Renzi dimostri oggi una determinazione utile per il Paese... altri, valutandolo nel metodo, pensano che troverà mille difficoltà nel riscontro delle risorse per le coperture opportune. Il mio giudizio è tutt’altro.. e si fonda su un concetto di merito di ciò che lui intende compiere. Un giudizio che non deve apparire come il capriccio di chi ostinatamente vorrebbe vedere una sua debacle, ma che entra nello specifico di ciò che lui vorrebbe conseguire allo scopo di togliere una vera forza alla politica di base.
In primis.. il suo decantare il modello bipolare adducendolo come l’unico possibile per poter ottenere una governabilità..poi il suo esternare con troppa facilità alla semplificazione della politica..il suo plauso verso due contendenti che si battono a modi partita di calcio…il suo incisivo “chi vince comanda”, sono tutti motivi che non possono essere condivisibili per chi, amando la politica, vede in essa la definizione di procedure più utili e significative proprio per l’esplicazione della sua funzionalità.
La semplificazione, con la quale Renzi si appresta a voler riformare.. non è detto possa essere convincente solo per il fatto che si potrebbero abbattere costi e diminuire le spese, poiché un disegno più solido.. ricercato e proposto con maggiore approfondimento, potrebbe egualmente diminuirne i costi..non omettendo di renderla più sicura e funzionale.  Se oggi in tanti guardano al nuovo Premier come colui che si compenetra nella ricerca delle soluzioni, restando solo incerti sul metodo col quale si muove, in meno si pronunciano sul merito delle sue scelte. Ciò mette ancora più in evidenza la particolare ascesa al governo sostenuta dal NCD, ma condizionata nelle riforme dal Partito del Cavaliere: Anche Berlusconi è un bipolarista accanito ed ancor più semplificativo dello stesso Renzi... e questo legame sui principi li terrà uniti  nella costruzione delle riforme più importanti che si dovranno operare.
Al di là delle riforme sul lavoro e delle sue promesse da venditore “venghino venghino”, la mia valutazione sulla politica di Matteo Renzi, pur riconoscendone le capacità comunicative ed una certa conoscenza amministrativa, rimangono di merito e relative proprio alle prossime trasformazioni che si dovranno affrontare sulle riforme più importanti che condizioneranno il futuro di tutta la politica.  Sono valutazioni, prive di altri pregiudizi, che trovano spunto dal suo modo di operare assai yankee..attraverso l’uso di una riduttiva visione della politica che sembra dover operare al solo scopo di ottenere una qualunque governabilità e senza la ricerca di una base costruttiva più solida.


Nel suo modo di muoversi anch’egli commette l’usuale errore di guardare in modo fin troppo esterofilo al metodo usato dagli altri Paesi.. non immedesimandosi attraverso la ricerca verso un modello personalizzato connesso alla cultura storica del nostro Paese che è nata anche dal pensiero di valide figure politiche del passato che guardavano in profondità i valori costruttivi legati alla nostra Nazione.
vincenzo cacopardo  

interessante analisi di Alberto Cacopardo

Matteo Renzi rottama Norberto Bobbio, ma senza darlo a vedere.
di alberto Cacopardo

E’ apparsa di recente in libreria, nel ventennale della prima uscita, una riedizione del famoso pamphlet di Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, accompagnata da un commento di Matteo Renzi a quel memorabile testo. “Repubblica” ha pubblicato giorni fa in anteprima questo commento renziano sotto un titolo incoraggiante (“Innovazione e uguaglianza, la mia idea di destra e sinistra nell’Europa della crisi”) accompagnato da un catenaccio confortante: “Il manifesto di Renzi: ‘La lezione di Bobbio è viva’”. 

Nel breve testo, Renzi dice alcune cose sensate. Innanzitutto ci rallegra che faccia a meno di aggregarsi al vecchio coro, ormai rauco e spiegazzato, dei confusi infelici che da trent’anni cercano di convincerci, contro ogni evidenza, che destra e sinistra non significano più niente. Renzi li ignora, e rende omaggio a Bobbio per averli sonoramente confutati. Subito dopo, peraltro, eccolo sollevare il dubbio che “la coppia eguaglianza/diseguaglianza non riesca a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra”, mettendo così in discussione proprio la tesi centrale di quel volumetto Bobbio.
Il dubbio, espresso in questi termini, è sensato. Renzi fa l’esempio dei movimenti xenofobi europei, “un magma impossibile da ridurre alla vecchia contraddizione uguali/disuguali”. E’ un esempio più che appropriato. Il tema dell’inclusione/esclusione è infatti uno degli elementi fondamentali che, a mio parere, bisognerebbe aggiungere per completare, non per sostituire o superare, l’analisi di Bobbio. La destra alza confini, identifica il “noi” in una comunità, etnica, linguistica, religiosa o nazionale che sia, dotata di precise frontiere, oltre la quale c’è il mondo degli “altri”, possibili amici, perennemente potenziali nemici. E’ soprattutto per questo che l’America è diventato oggi, a differenza che in passato, un paese di destra, perché il segno e la forza di quel confine sono stati impressi in maniera profondissima nell’animo del popolo americano.
Ma Renzi su questo non elabora. Dopo aver addotto il suo esempio, evidentemente al solo scopo di alleggerire il peso del tema dell’eguaglianza, se ne disinteressa. E passa a spiegarci che per lui la distinzione destra/sinistra resta comunque essenziale. Perché? Perché, naturalmente, è un convinto sostenitore del bipolarismo: e se ci vogliono due poli, anzi “un modello bipartitico, all’americana”, ci vorrà pur qualcosa che distingua i due partiti.
Ed è qui che Renzi si domanda: “Tiene ancora lo schema basato sull’eguaglianza come stella polare a sinistra?” La domanda è retorica, la risposta implicita è no. Ma non è che ci spieghi tanto bene perché. Parla di una “società sempre più individualizzata”, si chiede come recuperare idee come “merito” o “ambizione” e soprattutto come evitare che “la sinistra perda contatto con gli ultimi”, facendosi scavalcare da un papa Francesco. Perché, sì, ci spiega a questo punto con una piroetta lievemente cerchiobottista, “l’uguaglianza – non l’egualitarismo – resta la frontiera per i democratici”. Ma oggi è più utile interpretare l’opposizione destra/sinistra “nei termini temporali di conservazione/innovazione”. La sinistra, secondo lui, deve “innovare”, la destra invece “conserva”. Cioè proprio una delle tesi che Bobbio, a suo tempo, aveva discusso e scartato.
E ben a ragione: perché se c’è qualcuno che negli ultimi vent’anni ha fatto di tutto per “innovare”, questa è stata proprio la destra. Fino a quando l’ordine costituito fu segnato da marcatissime disuguaglianze economiche, sociali e culturali, innovare e cambiare significò scardinare quelle disuguaglianze. Ma quando, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in Europa e in America, l’affermarsi del principio di uguaglianza cominciò a minacciare i privilegi dei potenti, innovare e cambiare prese a significare scardinare il Welfare State e le politiche sociali che quei privilegi mettevano in questione. Sono circa trent’anni che la destra innova, ma in direzione esattamente opposta a quella in cui innovava la sinistra.
Renzi non sembra accorgersene. Per lui l’alternativa che conta è “movimento/stagnazione”. Dove “stagnazione” significa non rendersi conto che oggi non esistono più “quei blocchi sociali definiti e compatti” che la “sinistra socialdemocratica, cara a Bobbio” si era impegnata a scardinare per dare a tutti cittadinanza. E qui Renzi ha ragione. Quei “blocchi sociali”, s’intende, non sono altro che le classi in conflitto di marxiana memoria. Quelle classi, in quei termini, non esistono più e la sinistra migliore non ha certo aspettato Renzi per accorgersene.
E, per di più, Renzi avrebbe quasi ragione a sostenere che proprio questo è il segno che la sinistra socialdemocratica ha vinto la sua battaglia. Chi si ricorda bene e con dolore, come lo ricordava Bobbio proprio alla fine di quel libretto, che cosa era la disuguaglianza appena pochi decenni fa, non può che apprezzare di tutto cuore l’immenso cambiamento che c’è stato: la dignità sociale e la speranza di riscatto di chi è nato povero oggi sono tutt’altra cosa da quello che erano allora.
Avrebbe quasi ragione. Perché la verità è che noi avevamo vinto quella battaglia. L’avevamo vinta fino a quando, proprio contro quella vittoria, non si è scatenata la poderosa reazione del neoliberismo, che, con la preziosa collaborazione dei Clinton e dei Blair che Renzi tanto ammira, si è dedicato a piene mani alla sua grandiosa attività di “innovazione”, tutta diretta a smantellare i presupposti di quell’uguaglianza a cui Renzi presta il suo formale omaggio.
Quella partita è vinta, dice lui. “Oggi ne stiamo giocando un’altra”. Quale?
Poiché “quei blocchi sociali sono stati sostituiti da dinamiche sociali irrequiete” e “i confini nazionali non delimitano più gli spazi entro i quali le nuove dinamiche giocano la loro partita”, la sinistra deve cambiare se stessa, sposare l’”innovazione”, pena la “condanna all’incapacità di distinguere i nuovi ultimi e i nuovi esclusi e all’ignavia di non mettersi subito al loro servizio”. Saper distinguere, insiste Renzi, “le dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi” per dare loro rappresentanza e costruire per tutti un paese migliore, è il compito del Partito democratico. E questa, conclude, è la missione storica della sinistra.
L’operazione ideologica di Renzi, poiché di questo si tratta, è sottile e piuttosto pericolosa. Per lui, l’uguaglianza non è più tema centrale perché la battaglia in suo favore è stata vinta, le classi ottocentesche sono state scardinate e siamo entrati in un nuovo mondo, in cui la preoccupazione della sinistra dev’essere tutta per quella minoranza di ultimi e di esclusi di cui tanto si preoccupa papa Francesco.
Il problema è che quella battaglia non è stata vinta affatto. Oggi, nell’Occidente e nei paesi ricchi, ma particolarmente in Italia, la frontiera della disuguaglianza non è quella che esclude quella minoranza di ultimi, ma quella che investe la vasta maggioranza di persone che negli ultimi due decenni hanno visto il loro reddito reale ristagnare e poi contrarsi, il loro accesso ai servizi e ai beni che un tempo si dicevano “pubblici” farsi sempre più oneroso e incerto, il loro benessere complessivo sempre più minacciato, mentre la ristretta minoranza dei più ricchi concentrava nelle proprie mani una porzione continuamente crescente sia del reddito che del patrimonio. Pochi ricchi si sono enormemente arricchiti, tutti gli altri si sono impoveriti. E questo non è successo né per caso, né per un qualche oscuro meccanismo connaturato alle mostruosità del capitalismo che solo chissà quale catarsi rivoluzionaria potrebbe in un futuro scardinare, come continua a credere certa sinistra. E’ successo per effetto di un vasto, intelligentissimo disegno messo in opera dai potenti della terra che si è materializzato in tutto il mondo nelle vesti della controriforma neoliberista.
La battaglia per l’uguaglianza, proprio nei termini in cui la vedeva Bobbio, è oggi più che mai all’ordine del giorno. Essa non riguarda semplicemente quella minoranza di “ultimi ed esclusi”, ma la vasta maggioranza che si è vista ricacciare nell’insicurezza e nel rischio di ricadere nel bisogno. La posizione di Renzi in questo scritto somiglia tanto a quella descritta da Carlo Galli in un recente libro che tratta proprio lo stesso tema del pamphlet di Bobbio (Perché ancora destra e sinistra, Laterza, 2013): “Ciò che conta è che la linea guida della politica non sia più l’uguaglianza garantita dallo Stato […]. Al più, si accede all’idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col balsamo della compassione la dura legge delle disuguaglianze.” Solo che Galli non descriveva qui la missione della sinistra, ma, tutt’al contrario, le posizioni della destra.
Nel discorso di Renzi, in sintesi, la lezione di Bobbio non è affatto viva, è morta e sepolta.
La situazione, oggi ancor più che vent’anni fa, è proprio il contrario di ciò che dipinge Renzi. Come pensava Bobbio, la bandiera dell’innovazione non è né di destra né di sinistra, può esser messa al servizio di entrambe.Mentre davanti ad una destra planetaria che costruisce un potere sempre più potente e penetrante, sempre più capace di condizionare e controllare i corpi e le menti dei nuovi sudditi dell’era globale, sempre più abile a regolare i flussi del denaro, del sapere e dell’informazione nell’interesse di chi comanda, le parole della sinistra non hanno bisogno di “innovazione”. Devono sì lasciarsi alle spalle gli errori del passato, quelli che aprirono la strada al culto dell’odio, del conflitto, della violenza e della sopraffazione. Ma devono restare, o tornare ad essere, quelle semplici, limpide e potenti di oltre duecento anni fa, quelle che ispirarono il sogno più grande che l’umanità abbia mai coltivato, un sogno che non è ancora realizzato: uguaglianza, fratellanza e libertà.