5 giu 2014

Una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul progetto Mose



Esplode il Mose
L’abbiamo ripetutamente scritto che la concessione pubblica per il Mose, affidata al Consorzio Venezia Nuova, ​aveva vari aspetti di opacità, sottolineando che era il caso che il ministro delle infrastrutture Lupi affrontasse il problema, disponendo una ​Ora, il coperchio sulla questione lunga trent’anni ​viene sollevato dalla magistratura.

Ricapitoliamo: trent’anni fa, lo Stato affida a un consorzio capeggiato dall’azienda pubblica Italstat tutto il procedimento per la realizzazione del sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Si tratta di porre in opera alcune paratoie mobili nelle tre bocche lagunari, in modo da impedire o, comunque, rallentare l’afflusso delle maree, mettendo in sicurezza la città. L’operazione è molto complessa, giacché, diminuendo il ricambio laguna-mare si accentuano i carichi inquinanti e si mette in pericolo la salute degli abitanti del capoluogo e della cosiddetta 

Consorzio, questo, cui compete la progettazione, la sperimentazione dei manufatti (oggetto di modelli matematici e fisici), la realizzazione delle opere preliminari e di quelle effettive, la cui dimensioni possono essere definite imponenti. Già nelle progettazioni le cose non cominciano a funzionare come si deve. All’origine, si stabilisce che la progettazione e gli studi siano effettuati a Venezia, allo scopo, innanzi tutto, di formare un gruppo di tecnici e una cultura utilizzabili in tutte le realtà sono assimilabili per problematiche e difficoltà alla laguna. Tuttavia, la società Technital, affidataria della progettazione pensa bene di realizzarla –formalmente- nella casa madre di Verona, ma, effettivamente, di subappaltarla a varie realtà anche milanesi, in alcuni casi create 

Strada facendo, il consorzio cambia pelle. Liquidata l’Italstat, la sua quota maggioritaria è suddivisa tra altri soci, talché, per un certo periodo, è l’Impregilo ad assumersi la direzione di tutta la struttura.

Insomma, quel presidio dell’interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato, che legittimava –soprattutto politicamente- l’operazione, viene meno. Periodicamente, lo Stato elargisce i finanziamenti necessari, tanto che, ormai, i lavori sono prossimi al termine e alcune paratoie sono istallate. Il punto critico, a parte le questioni di cui si sta occupando la magistratura veneziana e di cui presto sapremo di più, è costituito dal sistema di controllo pubblico, di cui abbiamo detto all’inizio, dei costi e dei prezzi pagati.

L’ufficio statale incaricato della vigilanza sull’opera e della liquidazione degli stati di avanzamento è il Magistrato alle acque. Svuotato di competenza e di personale non è, ormai da un ventennio, nelle condizioni di onorare efficacemente l’incarico, per carenza di uomini e di professionalità. Quindi, in modo palese, sotto gli occhi di tutti, il Consorzio presta al proprio sorvegliante –inviandoli a lavorare negli uffici di Rialto- i tecnici e i contabili che debbono esaminare i documenti di spesa e liquidare i pagamenti. Il controllore si giova del controllato per esercitare il controllo: un pasticcio impensabile in qualsiasi altra realtà.

Il danno prodotto è incalcolabile, allo stato delle cose. Sia le progettazioni che i lavori sono stati pagati in modo che molti giudicano esagerato (e, in tale esagerazione, potrebbero essere state trovate le risorse per pagare tangenti, se tangenti sono state pagate): per questa ragione abbiamo proposto al ministro delle infrastrutture Lupi di dare il via alla già indicata 

Il momento è venuto perché un’operazione del genere, di natura squisitamente amministrativa, di supporto alle indagini dell’autorità giudiziaria, sia avviata. E, se il ministro non intende entrare nel merito, sia la procura della Repubblica ad affidarla a un soggetto idoneo di caratura, possibilmente, internazionale. Certo, gran parte dei soldi erogati, non sono recuperabili, per prescrizione, a meno che non siano frutto di reati di tale gravità da protrarre il diritto alla cosiddetta 

Detto questo, c’è da sottolineare che, al punto in cui siamo, le opere debbono essere terminate e Venezia deve essere messa in sicurezza. Lo strumento non può che essere quello esistente che, comunque, dispone di metri cubi di studi e di contratti. Per la tutela della finanza dello Stato e la regolarità futura, occorre un commissario che faccia piazza pulita, riveda i conti e prosegua l’opera: ci pensino i magistrati se non ci pensa il ministro.




Ci risiamo!..senza un commissariamento non si riesce ad andare avanti. Ogni opera di questo Paese sembra destinata a passare sotto gli occhi ed il controllo di un commissario.

Il progetto Mose è sicuramente un'opera da dover terminare. La sua peculiarità progettuale nella difesa della bella Venezia si esprime attraverso un geniale congegno che tende ad alzare le grandi paratie metalliche con un sistema acqua -aria.. creando una utile barriera a difesa delle maree più alte. Un progetto che nasce trenta anni fa e che ha visto una lentissima esecuzione dei lavori trasferendo nel suo iter, come afferma con competenza Domenico, quel presidio di interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato.

Non c'è da meravigliarsi nel costatare l'incalcolabile danno economico dovuto dal lunghissimo tempo e dai cambiamenti improvvisi. Come può mai durare oltre trent'anni la costruzione di un'opera che tra l'altro sembra aver passato il suo iter burocratico delle procedure (comune-regione-commissione lavori pubblici-ambiente etc.) proprio in considerazione di una messa in sicurezza di una delle più belle città del nostro Paese?

Risulta ormai presumibile (in considerazione di una cattiva mentalità ormai radicalizzata) che chi vi opera per la progettazione e l'esecuzione possa approfittare dei lunghissimi tempi per occupare spazi di potere remunerati attraverso tangenti. Come in ogni grande opera che dura in eterno e che vede il ricambio di competenze..si aprono spazi per beneficiarne illegalmente .

Anche questa volta la magistratura (spesso vituperata ) dovrà indagare ed un nuovo commissario potrà rivedere i conti, ma quello che riesce difficile da capire è l'atteggiamento di una certa politica che rimane sempre assente in questi evidenti casi di propria competenza. Ogni qual volta che un nuovo ministro siede nella poltrona di riferimento non riesce mai ad approfondire, mettere chiarezza e risolvere le problematiche inerenti opere di simile portata ed importanza.

A che serve dunque amministrare..se non si ha l'accortezza di occuparsi con competenza delle attività inerenti il proprio dicastero? Di saper mettere in atto le soluzioni? Di poter contrastare preventivamente simili malefatte evitando di far intervenire la magistratura?

vincenzo cacopardo





4 giu 2014

La governabilità vince sulla democrazia per la mancanza di idee innovative


IL CONTINUO RESTAURO DI UNA POLITICA FALLIMENTARE 
di vincenzo cacopardo
La politica continua a muoversi in modo eccentrico..dando solo l'impressione di migliorare un percorso istituzionale, ma riuscendo invano a svecchiare il sistema. Chi ama veramente la politica non scorge ancora la costruzione di un sistema che.. per logica democratica.. dovrebbe essere spinto dal basso. I problemi sembrano sempre gli stessi e cioè.. quelli di aggiustare i vecchi ingranaggi corrosi... dimenticando di ricercare un innovativo valido funzionamento.

L’epicentro dell'interesse pare concentrato pedissequamente sul rafforzamento di un governo e della maniera per poterlo rendere forte, ma mai.. quello di fornirgli un sostegno necessario alla base. Non si vuole ancora vedere la governabilità come una funzione separata, se pur contestualmente inerente, da ogni processo di ricerca di un programma, e si continua a concepirla ed imporla come ideatrice stessa di un progetto: un esecutivo dovrebbe distinguersi per eseguire.. poiché chi amministra non è detto possa avere quella forma mentale libera ed utile per la ricerca delle indispensabili idee per i programmi. Così facendo...si è definitivamente arrestata la ricerca di un percorso democratico che riesca ad offrire al cittadino un vero diritto al programma.

Non si può trascurare la evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare....un sistema che conduce spesso al sorgere di contrasti e contraddizioni le quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica affidata ai poteri si è persa... poiché si è ormai succubi della mancanza di valori fondamentali del tutto svaniti:- Non è tanto importante il bicameralismo o il monocameralismo… quanto la funzione che queste Camere devono esprimere, non la determinazione del numero dei parlamentari..quanto il loro ruolo. Proporre di dividere i compiti delle Camere è più che giusto, ma si dovrebbe poter vedere in una logica più definita delle stesse competenze che i Parlamentari devono esprimere...ossia: Una divisione dei ruoli che definisca con chiarezza un risultato più utile, senza quei continui compromessi che scaturiscono dalla evidente sovrapposizione delle funzioni.

I soloni della politica di oggi che non mancano in un’opera risibile di restauro del vecchio sistema, non riescono sicuramente ad intuire e cogliere l’importanza di un cambiamento che deve potersi ricercare attraverso una visione al di fuori degli schemi del sistema attuale: Quello che oggi dovrebbe identificarsi come un percorso innovativo costruito su nuove idee non condizionate dalle strade del vecchio sistema.

La politica non muove più passi in avanti proprio per la mancanza di una ricerca di vera innovazione... Un nuovo percorso che possa veramente essere utile al funzionamento delle stesse istituzioni. 
Nei talk televisivi non si fa che sentire la solita cantilena sui tagli e sui costi, ma in concreto nessun politico riesce ad esprimere una nuova visione della politica con una forma mentis rivoluzionaria ed attraverso la ricerca di nuove formule, lasciando, invece, le istituzioni in continue controproducenti anomalie.

Non si percepisce (o..forse non si vuole) l'importanza prioritaria di riformare i Partiti... come nemmeno quella di abbattere definitivamente quel conflitto degenerato tra il potere parlamentare e quello governativo. Si procede come treni con un paraocchi che non permette di vedere oltre... ed in questa strada.. ci si aggrega ai sistemi tradizionali dell'apparente paradigma democratico che in realtà appare  ipocrita...e guidato costantemente dalle potenti elitè.

...E così..si arriva diretti verso una legge elettorale che taglierà definitivamente ogni dialogo con la base dando vantaggi ai monolitici modelli biparte che tolgono qualunque qualità alla logica funzionale di un utile modello di democrazia.





31 mag 2014

Una nota al pensiero del professore Marcello Foa

Così Marcello Foa a proposito delle recenti elezioni europee


1) Renzi? Agli italiani piace l’affabulatore (o se, preferite, lo spin funziona). Continuo a non cambiare giudizio su Renzi: né il politico, né l’uomo mi convincono. La sua grande, innata dote è quella dell’affabulatore. Grande parlantina, faccia tosta, ambizione sfrenata. “Il bomba” lo chiamavano da bambino, nel senso di quello che le spara grosse pur di impressionare, e “bomba” è rimasto. L’uomo è intelligente e conosce la potenza dello spin. Ne ha fatto ampio uso, imitando soprattutto Tony Blair e in parte anche Silvio Berlusconi. E ha funzionato: il leader che non ha ancora dimostrato nulla e che non riesce a mantenere le promesse, è riuscito a vincere puntando tutto sull’immagine e sulla gestione delle emozioni e delle percezioni. Il suo è un successo, per quanto talentuoso, soprattutto scientifico, frutto di un’attenta programmazione. Lo spin funziona anche con gli italiani, che nella vita quotidiana sanno essere scaltri, diffidenti, brillanti, furbi; gente a cui è difficile darla a bere, ma che, in politica, mostrano un debole per i parlatori immaginifici con stridente eppur emblematica ingenuità. Si fanno incantare, poi, di solito, se ne pentono. E ci ricascano. Sarà così anche per Renzi?
2) Leader forte = uguale opposizione vincente Negli altri Paesi i veri vincitori di queste elezioni sono Nigel Farage e Marine Le Pen. Che cosa li accomuna? Senza dubbio un lungo percorso politico, che ha forgiato il carattere e la resistenza, ma soprattutto la capacità di presentarsi come leader credibili, maturi, dalle opinioni forti, taglienti ma accettabili per un pubblico moderato. Quando Farage va in televisione in giacca e cravatta, lo spettatore della classe media non lo identifica come un estremista antisistema ma pensa “E’ un uomo perbene, coraggioso, é uno di noi”. Marine Le Pen è riuscita a distanziarsi dall’oltranzismo xenofobo con scivolate razziste del padre Jean-Marie Le Pen, e oggi parla come una vera gollista ovvero facendo appello non tanto alla cacciata del diverso, quanto alla difesa di valori profondamente radicati nella cultura francese e gli elettori non si sentono in colpa se votano per lei.
Tutto il contrario di Beppe Grillo, che ha fallito proprio perché è e continua ad essere il leader degli arrabbiati, degli esclusi, degli antisistema. Il suo errore più grave è stato quello di illudersi che sarebbe bastato andare in televisione per conquistare anche il pubblico moderato, ma le sue sparate (vedi le minacce di processi pubblici) e performance poco brillanti come quella da Vespa hanno generato l’effetto boomerang, accentuando la distanza anziché raccorciarla. Sia chiaro: il 20% dei voti resta un risultato enorme, ma è evidente che, in assenza di un salto di qualità politico e di immagine, il Movimento 5 stelle continuerà ad essere un movimento di rottura, anziché di governo. Grillo non è Farage. E si vede.
3) Nasce una coscienza anti euro . Significativo è il successo della Lega Nord in Italia e di Alternative für Deutschland nonché di tante liste contrarie alla moneta unica in molti Paesi piccoli e medi. Il loro successo è solo in parte carismatico e per questo molto solido: cresce in tutta Europa la convinzione che la moneta unica rappresenti il problema numero uno dell’Europa, per i danni evidenti che ha provocato all’economia e alla società e per l’ipoteca su un futuro che appare sempre più gramo, senza speranza.

4) Già, perché l’exploit dei diversi movimenti euroscettici erode ma di fatto non sradica lo strapotere del Popolari e dei Socialisti, che pur arrivando sovente secondi o terzi, riescono a mantenere, assieme, una solida maggioranza. Dunque, a fini pratici, per quel poco che conta l’Europarlamento, cambia poco. L’establishment comandava prima e comanda anche adesso. Solo dovrà spendersi di più per avere la meglio di un’opposizione euroscettica, che avrà la forza e la voce per farsi sentire a Bruxelles. E questo in un’ Unione europea in costante “deficit democratico” (ovvero che non è stata costruita sul consenso popolare ed è gestita con criteri bizantini) non è certo negativo. Non risolve, ma aiuta.

Questi quattro punti espressi dal professore e giornalista.. mettono in evidenza le figure politiche predominanti che hanno indotto poco più del 50% della popolazione italiana al voto. Non posso che condividere i molti punti di vista circa la personalità ed il loro modo di esprimersi in politica sostenuti dal professore sui due principali avversari Renzi e Grillo.
Per quanto riguarda il Premier ci si è basati sulla gestione delle emozioni e delle percezioni.. una forza innata attraverso la quale Renzi riesce... anche in considerazione di non avere più avversari seri che possano contrastarlo all'interno del sistema.
..Riguardo a Grillo, descritto come un arrabbiato, manca sicuramente quel salto di qualità politica messo in evidenza da Foa: conquistare un consenso moderato sarebbe stato utile..sebbene io sia convinto che una gran parte di coloro che vi avrebbero voluto votare ...hanno poi deciso di disertare le urne. D'altronde  il Movimento 5S ha portato a casa oltre il 21% e ..nel bene o nel male.. questi milioni di voti si debbono sempre a Grillo!
Ma ciò che si sta mettendo in luce in questi giorni successivi alle elezioni che hanno visto attacchi in seno al Movimento..ed i contrasti susseguenti su Grillo..non possono che essere il risultato di una scelta fin troppo approssimativa operata dallo stesso comico sui parlamentari. Un risultato logico che prima o poi si sarebbe messo in luce: E' stupido credere di poter portare avanti un modello nuovo di democrazia senza conoscere bene il pensiero e la cultura di chi deve opere per il detto cambiamento...In questa considerazione di metodo vi sta racchiuso il principale ostacolo al percorso donchisciottesco grillino.e del suo Sancio Pansa Casaleggio
Quanto allo strapotere dei Popolari e dei Socialisti, come giustamente afferma Foa, riusciranno a mantenere, assieme, una solida maggioranza, ma dovranno sicuramente ridimensionare il loro tono in considerazione delle molteplici presenze euroscettiche in parlamento. La sostanza rimane però sempre la solita e guidata dai poteri forti dell'economia... simile a quella che promuove la politica del nostro stesso Paese: si accredita sempre di più una governabilità guidata dall'alto.. e si continua a penalizzare un già esistente “deficit democratico”
vincenzo cacopardo

29 mag 2014

Breve riflessione sul nuovo commento del consigliere Cacopardo

È difficile immaginare una congiuntura più favorevole per il rilancio del processo di integrazione europea: il successo dei partiti populisti e antieuropei, particolarmente significativo in Francia e nel Regno Unito, potrebbe spingere i leader dei paesi associati a pigiare l’acceleratore in cerca di un nuovo assetto politico del pachiderma di Bruxelles. Un’Unione consapevole dei problemi provocati da una burocrazia ottusa, capace di approvare il regolamento sul calibro delle zucchine e di dimenticare nel cassetto qualsiasi iniziativa per il rilancio dell’economia.
Molti, e io fra questi, rimpiangono Delors e il suo piano di investimenti in infrastrutture del valore di 300 miliardi di dollari (anni ’80), caduto per le concorrenti opposizioni tedesca e inglese.
Oggi, nonostante Angela Merkel, ci vuole qualcosa del genere: uno choc di investimenti capace di mobilitare migliaia di aziende e milioni di lavoratori in un’opera di ammodernamento delle strutture fisiche e informatiche e di produrre stabili effetti di ripresa sostanziale per un futuro non remoto. Si è autorevolmente indicata in 1000 miliardi di euro la somma necessaria.
Non sarà facile, finché il cosiddetto rigore la farà da padrone.
Paradossalmente l’orologio della Storia (quello malamente invocato da Mussolini il 10 giugno 1940) suona un’altra volta per noi: emarginati dal concerto dei grandi, considerati la pecora nera dell’Unione, oggi, dopo l’irruzione di Matteo Renzi, torniamo a essere cruciali, così come non eravamo mai stati, nemmeno nei tempi più mitici.
Il futuro europeo non è nelle mani di Hollande, un leader senza leadership, colpito a morte dai propri errori, dalla propria insufficienza e da un’acritica adesione al mortifero presupposto di una grandeur da tempo dissoltasi. Non in quelle di Cameron, vittima –con tutto il suo Paese- di questo essere e non essere, un po’ europei un po’ antieuropei, dimenticando che nella vita e nella politica i principi fondamentali debbono essere onorati: e l’integrazione confligge solo con i residui di una mentalità imperiale che il West End ha da tempo abbandonato.
La Spagna seguirà l’Italia, non può fare altrimenti.
La Germania, alla fine, dovrà ragionare, dato che il suo destino è più legato all'Europa di quanto non si creda.
L’aspetto più convincente dell’evoluzione italiana è rappresentato dall’agenda imposta al Parlamento da Renzi: diversamente dal piccolo Monti e dal timido Letta, il premier ha guardato alle necessità nazionali, prima fra tutte quella di rimettere in moto la macchina abbandonando il bicameralismo perfetto e una regionalizzazione utile solo a chi intende sbarrare il passo a ogni iniziativa di interesse generale.
In questo modo, le attese degli italiani si sono risvegliate tanto da scommettere, con il voto, sul futuro.
Così dovrà essere trattato il dossier Europa, investendo il peso conquistato sulle questioni più urgenti per mettere in moto la macchina continentale, si tratti di economia, si tratti di istituzioni, si tratti di questioni sociali.
Il tutto si terrà solo se, nelle priorità, sarà inserito un deciso passo in avanti nell’integrazione: dal fisco alla giustizia, dalla difesa alla politica estera, meno chiacchiere più decisioni (a maggioranza) vincolanti, più azioni politiche mirate.
La palla è, in buona parte, nelle mani del primo ministro più giovane della compagnia.
Se saprà spendere il tesoro di credibilità di cui dispone, tempi migliori potranno venire presto, in un domani non indefinito.


Che dire?...Una giusta e puntuale analisi..possiamo quindi solo sperare!..
Nulla da aggiungere tranne che di ricordarsi dei valori territoriali di un mezzogiorno assai trascurato da tempo da una politica che spesso ha fatto cattivo uso dei fondi provenienti da Bruxelles a causa di una politica più dedita ai propri interessi che a saper leggere in lungimiranza l'importanza di investire in queste zone attraverso valide infrastrutture.
Un territorio dimenticato dai programmi del nuovo Premier che non sembra spendere mai una parola in favore delle opportunità di poter sanare il divario esistente... ed in realtà più dedito a mostrare un decisionismo su riforme istituzionali non condivisibili sul piano funzionale in favore di un positivo processo democratico.

Vogliamo sperare che possa esservi un suo deciso intervento nella prossima Commissione in favore dei territori del Sud..e che questo non si concentri esclusivamente in favore di inutili investimenti, ma che sia supportato da riscontri funzionali ed utili per lo stesso territorio facendo intendere all'Europa stessa l'importanza di una ricrescita dei territori meridionali attraverso una agevolazione delle loro risorse naturali.  
vincenzo cacopardo 

27 mag 2014

Un commento alla critica di Domenico Cacopardo..

C’è un solo vero sconfitto nelle elezioni di domenica e si chiama Grillo. Non solo perché è passato dal 25,5% del 2013 al 21,15 di oggi, ma soprattutto perché gli italiani hanno dimostrato, nella stragrande maggioranza, di non dargli credito. La sua esagitata rappresentazione dell’Italia, le sue smargiassate («Siamo al 90%»), le sue minacce (i processi online e la marcia su Roma) si sono rivelati quello che erano: manifestazioni fascistoidi venate di schizofrenia (la sindrome di chi confonde le proprie ubbìe con la realtà). Anche le pagliacciate messe in scena alla Camera e al Senato sono state controproducenti: dietro le scene disgustose non c’erano idee, visione etica e, tantomeno, politica. Ora prepariamoci a una lunga agonia del movimento (che, a Parma, patria del primo sindaco grillino si ferma al 19,2%): poiché esso, prima di tutto, consiste in un business del duo Grillo&Casaleggio (uno titolare del blog su cui lucra per i contatti, l’altro consulente privilegiato), sarà tenuto in vita finché il conto economico darà utili in disprezzatissimi ma fruscianti euro. Per quanto riguarda la politica, i grillini avranno poco da dire. I più furbi, alla Di Maio, prima o dopo cercheranno una collocazione che garantisca un qualche futuro.
Il centro-destra migliora, nonostante tutto, i risultati del 2013: aveva avuto il 25,6% (21,6 Pdl, 4,1 Lega Nord) e oggi, sommando i componenti della diaspora, è al 27,24. Un risultato di stabilità. In esso, perde, ma non tanto, Berlusconi. Si salva Alfano che, superata la soglia, può guardare con serenità al futuro della legislatura, contando sul consolidamento dell’azione di governo e sull’ulteriore logoramento del leader vecchio e stanco.
Il vincitore Renzi conquista un risultato storico: mai la sinistra aveva raggiunto una simile percentuale che legittima il giovanissimo premier a governare il partito e il Paese. Paradossalmente, c’è un solo nemico in agguato ed è proprio lui medesimo, incapace –sino a ora- di andare oltre una squadra di fedelissimi senza spessore, e, quindi, in balia delle ventate delle congiunture internazionale e domestica.
Il 25 maggio 2014 si colloca nella storia d’Italia come il 18 aprile 1948: gli italiani oggi hanno votato contro il pericolo sfascista Grillo; allora contro il pericolo rosso, socialcomunista. Anche questa volta, la scelta è stata moderata. Un Pd con poca sinistra molto aperto ai ceti produttivi e al centro. Questo, infatti, dimostra il Pd al 41%: che gli elettori lo hanno percepito come il partito della ragionevolezza, del ridimensionamento del sindacato a partire dalla Cgil, dell’archiviazione degli eredi del Pci (e dei residui di centralismo democratico), dell’Europa sostenibile, del rilancio economico.
Tutte attese che non possono andare deluse: la verve comunicazionale di Renzi nei prossimi mesi non basterà più. E, ora che è forte di questa investitura elettorale grande come mai in passato, deve compiere il salto di qualità, coinvolgendo chi conosce il gioco (delle riforme) e lo può condurre sino in fondo.
Nell’interesse del Paese, troppo spesso piegato negli ultimi vent’anni agli interessi dei singoli.
domenico cacopardo



La forte critica del cugino Domenico, se pur impeccabile, per certi versi... rimane fin troppo esagerata, poichè non tiene conto dell'aspetto positivo che Grillo ha avuto in favore di una politica che diretta a prendere maggior coscienza sui forti compromessi, sulle continue anomalie e le procedure che fino all'ingresso del movimento 5S non si era mai messa in risalto in politica.
Insomma..se pur consapevoli di una fin troppo calda partecipazione ed un modo di esprimere l' antisistemico pensiero attraverso manifestazioni esagerate che potrebbero spronare ad una certa violenza, si deve pur riconoscere l'importanza che la loro politica ha avuto  nel ruolo di una opposizione che ha limitato il campo alle equivoche posizioni delle due prevalenti forze in campo.
Ho scritto abbondantemente circa il loro metodo alquanto approssimativo ed assoluto di affrontare i temi della politica... come non ho mai risparmiato alcuna frecciata nei confronti di Grillo e l'inquietante figura di Casaleggio per ciò che riguarda il metodo della edificazione del loro movimento estremo ed autarchico, ma non riesco a comprendere, se non per ragioni di interesse personale e di una mentalità fin troppo aderente al vecchio sistema, come si possa non individuarvi un punto positivo su un operato che in questi ultimi anni ha contrastato una politica intrisa di inciuci e compromessi tra figure antiche mai disponibili ad un vero cambiamento.
Sarebbe mai venuta fuori una nuova classe politica?..sarebbero mai cambiate alcune fondamentali logiche?..Sarebbe mai venuta fuori la stessa figura di  Renzi?...ed infine..si sarebbe mai potuta arginare la reazione violenta di un pericoloso estremismo delle piazze? Queste sono le domande da porsi prima di criticare con troppa ostinazione ogni operato do Grillo ed il suo Movimento.
Bisogna anche comprendere che Beppe Grillo non può sempre essere preso alla lettera... avendo in sè una innata capacità espressiva di mistificazione e di ironia nei confronti del sistema: se può sbagliare nella speranza di voler costruire una fantasiosa democrazia diretta attraverso i computers e la svariate operazioni virtuali connesse...operando con sintesi attraverso figure inventate sul momento, non si sbaglia certamente per quello che rappresenta il suo attacco ad un sistema costruito sull'ipocrisia e sui scarsi metodi che barattano con estrema semplicità una vera funzione di democrazia....A vote esagera...altre si evidenziano fin troppo colorite le questioni riguardanti i principi etici...ma in questo pensiero..persino Matteo Renzi ha finito col seguirlo.
Occorre non dimenticate che senza il Movimento 5S, che ha rappresentato l'unica vera opposizione in questi ultimi tempi, non si sarebbe mai messa in moto un'azione di rinascita della politica. Un cambiamento che oggi vede alla ribalta Matteo Renzi come l'unico profeta dei tanti che ancora si illudono che la politica possa risolversi attraverso un'unica figura predominante.
Sembriamo tutti costretti a sperare nella figura di Renzi, ma non possiamo non tener conto dell'importanza di una opposizione che necessita al fine di rendere lo stesso cammino del Premier un percorso più controllato ed utile.

vincenzo cacopardo  





26 mag 2014

europee--risultati e sorprese...

di Vincenzo Cacopardo 
Vince il PD..anzi vince Renzi ed i suoi 80 euro al mese! Adesso nessuno in seno al partito del sindaco d’Italia potrà permettersi di sbarrare il passo al suo ambizioso disegno di riforme. Il popolo ha di nuovo deciso per la governabilità: -PD al 40%..M5S ridimensionato di 2 0 3 punti..trionfo della Lega al 7… e soprattutto sconfitta di un nuovo Partito le cui attese nei consensi erano altre…NCD appena poco sopra il 4.
Ma queste votazioni sono state marcate da un astensionismo notevole di oltre il 50% che in Sicilia è arrivato quasi al 60%...non favorendo il voto antisistema di Grillo. Per Forza Italia una debacle!.. e quasi certamente i suoi 5 punti previsti in più, in aggiunta a quei 4 in più attesi dal Partito di Alfano, potrebbero essere confluiti nel partito di Renzi: 8..o 9 punti in più che hanno portato Renzi ad un successo inaspettato.
Trionfando in tal modo il Premier italiano entra nel semestre europeo a capo della Commissione con una personale forza politica ineguale che nel passato, potendo dialogare con la Merkel su un piano diverso. Inoltre resta ancora poco chiaro l’assetto parlamentare europeo in un quadro che non evidenzia una governabilità certa se non attraverso patti ed intese che non possono che lasciare dubbi su ambigui compromessi: Il PPE perde..il PSE tiene bene..ma aumentano di sicuro le forze dei piccoli gruppi che in Francia, in Inghilterra..come in Spagna ed in Italia.. manifestano un richiamo popolare di evidente stampo antieuropeo.
Quello che risulta chiaro è che il voto sulle politiche tanto declamato dal M5stelle.. per adesso sarà accantonato poiché in questo momento Renzi assaporerà la sua vittoria ponendola come forza sia all’interno del suo Partito.. che per l’importante ruolo che assumerà nel semestre europeo ormai alle porte. Indubbio che Renzi potrebbe anche farsi forte del momento per desiderare di andare al voto politico per le nazionali..ma sarebbe fin troppo avventuroso spingersi oltre in questo preciso momento.. consapevoli di non dover chiedere troppo.


Adesso il Premier ha titoli diversi per potersi imporre sul cambiamento.
A parer mio.. le riforme da lui volute per il nostro Paese manifesteranno una chiusura netta verso un sistema più democratico…ma se il cittadino ama essere governato in tal modo dall’alto.. ciò significa che preferisce dimenticare ogni vera logica democratica in favore di una governabilità sicura e di allettanti offerte come gli 80 euro mensili in più.
Il nuovo sindaco d’Italia deve comunque stare all’erta non chiedendo troppo a se stesso, poiché le difficoltà di questo nostro Paese sono tante… spesso nascoste ed impervie. Il suo successo, oltre ad essere costruito nella sua figura… potrebbe nascondere le tante paure di molti cittadini rivolte alla voce del suo avversario politico Grillo di cui ancora poco ci si fida!



25 mag 2014

Aspettando l'esito delle elezioni....


TRA MERITO E METODI PREVALE LO SCONTENTO
di vincenzo cacopardo


Si va a votare per le europee pur consapevoli che non potranno avere un effetto deliberativo sul governo del nostro Paese, ma che potranno sicuramente condizionarlo nella sua operatività. 
Se per quanto riguarda il premier Renzi si potrebbe non essere d'accordo sul merito delle riforme, per quanto riguarda il suo temibile avversario Beppe Grillo.. si è certi di non esserlo su alcuni principi di metodo,... ma si rimane consapevoli che lo scontento attraverso un forte astensionismo prevarrà... sopraffatto da una incertezza mai cosi evidente.
Grillo cavalca la rabbia e la voglia di un cambiamento totale del sistema politico e Renzi vorrebbe offrire un barlume di speranza attraverso un decisionismo fin troppo ostentato ed una evidente ambizione.. rimanendo in parte.. legato ad un sistema.

Non sembra giusto prendere alcuna posizione in proposito ma solo far notare quanto l’uno si ritrovi determinato con lo stesso assolutismo dell’altro..Se Grillo, nella sua opera di cambiamento, pare tirarsi indietro da ogni responsabilità governativa, Renzi pretende di cambiare il Paese con la forza di un decisionismo illimitato. Grillo non dimostra superbia, ma timore unito a programmi spesso demagogici, Renzi, al contrario, finisce col dimostrarsi privo di umiltà, con progetti più fattibili e sempre più populisti, ma senza un utile riscontro con una politica più funzionale.
Tutte le riforme del nuovo sindaco d’Italia sono studiate ad arte per chiudere definitivamente la strada ad una politica più libera nel pensiero e questo.. proprio per salvaguardare una governabilità sicura. Mentre Grillo, pur nella visibile volontà di voler mutare un sistema politico marcio... predicando in favore una fantasiosa democrazia diretta, non sembra dimostrare le dovute capacità governative..

Ambedue non lavorano per una ricerca appropriata verso un equilibrio che possa riscontrare ulteriori formule…e questo oggi…dovrebbe accendere il pensiero dei tanti che guardano alla politica in senso più logico e funzionale non privo di una necessaria dose di umiltà: Cambiare è più che necessario, ma cambiare in peggio od in modo illogico, potrebbe arrecare maggior danno al processo di crescita dell’intero Paese.
Una cosa sembra certa: In un modo o in un altro Renzi dovrà affrontare il semestre alla Commissione europea e se Grillo prenderà il 30% dei voti staccandosi di pochi punti dal suo partito rivale PD, porrà dei problemi nell' operato del Premier rispetto alle figure della politica europea e soprattutto per le prossime elezioni nazionali delle quali lo stesso Capo dello Stato non potrà non tener conto.
Si va dunque ad un voto che sull'immediato potrà cambiare poco, ma che condizionerà certamente il futuro assetto della nostra politica Nazionale   
       

24 mag 2014

la posta di Paolo Speciale

La Giovine Europa
di paolo Speciale

Da ben trentaquattro anni l'Europa si ritrova periodicamente a rivivere il proprio evento comunitario fondante: quello cioè del contemporaneo suffragio per la democratica costituzione di un consesso che, seppur in nome di un'unità continentale fondata solo in parte su comparabili tradizioni storiche e culturali, ha progressivamente sviluppato la propria funzione legislativa vincolante accanto a quella consultiva, a sua volta speculare ed ordinata a quella esecutiva esercitata dalla collegialità dei ministri degli stati membri.
Inutile è negare che il processo storico correlato non sia stato e non sia tuttora esente da limiti e storture strategico-politiche di matrice nazionalista, che hanno non solo rallentato il compimento del già complesso progetto di graduale unificazione, almeno nella accezione di tale termine riferita alla tutela dei più “scontati” interessi economico-territoriali.
E tuttavia anche se dal 1980 sono ormai passati parecchi anni, forse essi tali non sono se si considera la improvvisa accelerazione nel cammino della integrazione– elemento dissonante rispetto ai ritmi mediamente determinatisi – culminata nel 2002 con l'avvento della moneta unica.
Di qui e cosicché viviamo – male -il cocente paradosso che nasce dalla constatazione di una eguaglianza comunitaria fittizia in quanto non seriamente riferibile al numero degli eletti di ciascuno stato membro quanto, più obiettivamente, al valore attribuito al prodotto interno lordo di ciascuno di essi. Di qui ancora: l'unica – e solo auspicata da alcuni - “livella”  tra i costituenti rappresentata dall'euro diviene così l'esatto contrario, cioè elemento discriminante. 
Ecco allora il generarsi del dannoso e destabilizzante ruolo egemone di paesi che, già forti di una pregressa, oculata e più virtuosa gestione della loro economia interna hanno anteposto, alla inesorabile e prematura corsa alla moneta unica, la lungimirante e precauzionale necessità di operare una congrua valorizzazione della moneta da dismettere rispetto a quella da adottare. La crisi economica ha fatto il resto.
E' tristemente tutta italiana poi la commedia recitata da alcune formazioni politiche, che pur non disdegnando di conquistare seggi a Strasburgo, proclamano l'uscita dall'euro, in un contesto di tragicomica ed inquietante incoerenza intellettuale, che uccide ogni logica in favore della diffusione di pura propaganda di pessimo ordine, non prologo di dittature come molti sostengono, ma solo eloquente vessillo di vacuità concettuale, che toglie fascino alla nobilissima arte della condivisione di ideali nei quali la tutela della migliore qualità della vita dell'uomo nella collettività - ma vogliamo qui dire nella Comunità Europea - può e deve essere prioritaria.
Oggi l'Europa è ancora "giovine", ma non solo: è anche immatura.

23 mag 2014

Nuovo articolo del Consigliere Cacopardo sulla politica internazionale

di domenico Cacopardo
Mentre a Mosca si festeggia l’accordo stipulato da Putin con il premier cinese Xi Jinping (è il settimo incontro tra i due), a New York, capitale economica degli Usa –e non solo- ci si leccano le ferite constatando il disastro totale della politica estera del presidente Obama. Ieri, Jane Perlez, corrispondente da Pechino del New York Times, dedicava la sua approfondita corrispondenza da Pechino proprio ai motivi di insoddisfazione verso l’America, presenti in Russia e in Cina.
In Asia, Obama sostiene il rafforzamento militare del Giappone, critica aspramente (e opera in conseguenza) l’attivismo militare di Pechino nel mare Cinese del Sud mentre combatte una dura battaglia cibernetica nella rete. Questa politica americana incide, prima di tutto, sugli equilibri interni del monolito comunista, nel quale Xi non può mostrarsi più debole dei suoi predecessori. E incide sui rapporti con il Giappone, il cui risveglio nazionalista è visto con preoccupazione anche a Seul -ed è tutto dire-. Ma, visti i precedenti nipponici non c’è da meravigliarsi più di tanto. Il medesimo scontro sui problemi della rete sarebbe più facilmente ricomponibile se si tornasse a ragionare in termini di utilità economico-finanziarie incrociate, come s’è fatto in passato e, sottobanco, anche oggi, visto che l’interscambio va bene e le aziende americane continuano a fare affari con le aziende cinesi.
Putin con questo vero e proprio strike (la boccia abbatte tutti i birilli) ha raggiunto una serie di risultati tattici (se diventeranno strategici lo diranno i prossimi tre/cinque anni).
Prima di tutto, ha dato uno sbocco alla crisi nella quale versa la Russia offrendo una prospettiva forte e sicura alla sua economia. Trent’anni di contratto a partire dal 2018; 38 miliardi di metricubi di gas l’anno per un prezzo complessivo di 400 miliardi di dollari; un gasdotto di 2.200 km di lunghezza (55 miliardi a carico della Russia, 22 a carico della Cina).
Intorno a questo asse principale si svilupperanno tutte le altre occasioni commerciali e industriali, che, dato l’avanzamento della Cina nelle nuove tecnologie, saranno di vitale importanza per i russi, costretti a dipendere sempre di meno dalla Germania e, nel nostro piccolo, dall’Italia.
Putin, però, ha ottenuto un risultato ancora più significativo per la propria leadership: ha dimostrato in modo inequivocabile il declino degli Stati Uniti e della Nato, la loro perdita di peso politico e militare. Dopo lo scontro delle scorse settimane intorno alla questione Ucraina, dopo le inutili e maldigerite (dall’Ue) sanzioni, la Russia cambia scacchiere e stipula una forte alleanza economica con la potenza del futuro, quella che ha ritmi –e soprattutto margini- di sviluppo inesauribili soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto.
Il prossimo passo potrebbe essere una cooperazione spinta nei programmi spaziali, cui gli Stati Uniti credono scarsamente, ma che rappresentano un’occasione di crescita ulteriore delle tecnologie leggere, quelle di cui la Russia ha più necessità.
L’Europa e soprattutto la Germania sono sconfitte. La causa primaria è l’assenza (dell’Ue) dalla scena e l’insufficiente peso della potenza leader.
Sarà il nuovo quinquennio a stabilire se l’Unione ha una chance di diventare un’entità politica (una politica estera e una difesa) o rimarrà sostanzialmente un mercato comune: l’ibrido attuale è destinato a non reggere.
Dovrebbe averlo capito anche la signora Angela Merkel.



21 mag 2014

Personali considerazioni sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

di domenico Cacopardo
Quattro giorni al voto e l’Italia è percorsa dalla paura di un salto del buio senza rete, alimentata da un irresponsabile demagogo,  Beppe Grillo, personaggio tra il comico e il drammatico come ne abbiamo visti in passato.
C’è una sola risposta da dare ai timori ed è la risposta forte della riflessione e del ragionamento.
Se passeggiamo nel centro storico di una qualsiasi delle nostre città e ci guardiamo intorno, vediamo palazzi e opere d’arte unici, contesti urbani che testimoniano l’ingegno, la capacità tecnica e la voglia di rischiare che hanno caratterizzato gli imprenditori italiani. Se approfondiamo un poco, scopriamo che, per esempio, siamo stati all’avanguardia nella tecnologia nucleare, nella costruzione di dighe, porti, ponti e gallerie, e che lo siamo ancora in molti campi industriali, dall’alimentare al sanitario, passando per la meccanica di precisione.
Se poi osserviamo la vicenda “Criminalità mafiosa” in Campania, in Puglia, in Calabria e in Sicilia, constatiamo che sono migliaia gli uomini e le donne con la schiena dritta che l’hanno combattuta e la combattono a rischio della vita, ottenendo risultati definitivi in molte aree e in molti campi. Anche l’equazione mafia-politica è un teorema indimostrato perché, certo, ci sono politici collusi, ma la politica non è collusa, anche se fa comodo a tanti che la gente lo ritenga.
In qualche misura, è la società civile che, in molte zone, è collusa o è preda di una mentalità mafiosa (fenomeni in evidente calo) e, perciò, esprime politici incapaci di sceverare tra legalità e illegalità.
Insomma, nonostante il nichilismo in circolazione, la bassa speculazione quotidiana su episodi riprovevoli, ma mai tali da mettere in discussione il Paese, l’Italia è ancora in piedi e può percorrere la strada per uscire dalla crisi.
Per questo serio motivo, non possiamo abdicare al tentativo di “buttarla in vacca” con asserzioni demenziali, ascoltate in questi giorni come “Il giorno dopo le elezioni, che vinceremo, 1 milione di italiani andrà a Roma” (già sentita nel 1922), “Cacciamo Napolitano”, “Rivotiamo con il porcellum”, “Referendum contro l’euro”, “Salario sociale” e via discorrendo.
Chi ragiona capisce che si tratta di battute tragicomiche, alle quali occorre rispondere con il voto, dato che non votare è, oggi più che mai, pavida, colpevole diserzione, complicità con chi vuole distruggere l’Italia repubblicana e democratica. E, votando, ricorrere all’unico strumento di cui disponiamo: la ragione. La ragione che ci consente di analizzare le varie proposizioni e di scegliere quelle responsabili e realistiche. La ragione che ci consente di capire dove sono le battute, le volgarità e dov’è un disegno, una proposta.
Con la ragione, comprendiamo che abbiamo iniziato, tra mille difficoltà, un cammino di modifica dell’assetto istituzionale che renderà la nostra Nazione più e meglio governabile. E che il passo successivo, caduti i veti della Cgil, sarà quello di liberalizzare l’Italia, rimettendola non in cammino, ma in corsa sulla via della ripresa.
Con la ragione comprendiamo che ci vorrà tempo, ma che, come nella vita e nella storia non esistono scorciatoie, non ce ne sono nemmeno davanti a noi.
Certo ci sarebbe voluto al governo un personaggio autorevole, capace di rassicurare i ceti produttivi, non un giovanotto arrivista senza cultura politica ed economica.
Se ci guardiamo intorno, però, ci sono solo vecchi bolsi e incattiviti che guardano al passato e alle loro personali rivincite, nonostante i danni che ci hanno inferto.
Bene, dopo il terzo millennio, dopo i travagli della prima e della seconda Repubblica, siamo entrati nell’età della ragione. Usiamola, impedendo a un nuovo medio-evo di impadronirsi di noi.
 

IL SISTEMA: COME UN CAMPO DA RIARARE

Io parlerei più di equilibrio che di ragione!
Negli ultimi tempi, questa ragione.. tanto assimilata ad un cinico ed assoluto pragmatismo, ha avuto le sue notevoli responsabilità cancellando ogni ideale e trasformando la società in una realtà dove l’unica cosa che serve sembra essere il denaro e qualunque mezzo per potersene impossessare.

L’uso della ragione, declamata con giusta enfasi, dal cugino Mimmo, fa tanto pensare al personaggio storico Machiavelli che ostentando la sua mitica frase “il fine giustifica i mezzi” ha contribuito ad inculcare in modo negativo un principio che per certi versi ha condizionato l’intera società nel libero sfogo di una furbizia poco costruttiva.. se non utile ad un proprio tornaconto.
Fatta salva la storica concezione machiavellica che dovrebbe sapersi interpretare caso per caso attraverso un’attenta disamina, la politica ha comunque teso a muoversi di frequente e con prepotenza in questa comune logica, esaltando il fine e mortificandosi nell‘uso dei mezzi più disperati ed assurdi: La politica odierna sembra proprio ingabbiata in questa logica ricercando  più spesso un risultato finale e non tenendo in ben più alta considerazione i mezzi che vengono usati per lo svolgimento del suo compito.

Il fatto è che, al contrario di come possa vederla il cugino Domenico, oggi.. lo spazio alle idee, appare sempre più chiuso dall’inconscia paura di non determinare alcun riscontro positivo rispetto ad un mondo che tende a muoversi prevalentemente in direzione di severi principi razionali eliminando, in via preventiva, qualunque incognita ideativa o presupposto teorico… ed io credo che nel momento storico attuale,  forse anche a causa di una forte recessione mondiale, si sopravvive attraverso l’unica risorsa mentale della tangibilità e della concretezza, non  reagendo con la forza delle iniziative e delle idee ed è proprio questo che penalizza il giusto percorso della crescita di una società.

Le idee rimangono il disegno della mente e costituiscono un sapere interiore. Esse devono sicuramente rappresentare un modello assoluto di riferimento per la vita. Ma in un mondo come quello odierno, pare nessuno voglia muoversi attraverso queste rilevanti risorse del pensiero che sembrano le uniche capaci di spingere una positiva crescita ed, attraverso le quali, l’uomo potrà riuscire a sottrarsi alla propria sconfitta. Al contrario…assistiamo ad un diffondersi esagerato di regole che stabiliscono scelte razionali, sia sul piano economico che sul modello di vita sociale in generale, tanto spinte dal raziocinio, che finiscono sempre col soffocare qualunque impulso dettato dai pensieri e dalle idee. Dare spazio alle idee di ognuno non significa soltanto far crescere le persone, ma  far crescere un intero sistema.

Io credo che il periodo odierno somigli più a quello mazziniano….ad un passato che accendeva gli animi della politica verso la passione  …attraverso una nuova concezione storica che smentiva quella dei passati illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la forza dalla ragione. La storia ci dice che dopo le vicende della rivoluzione Francese.. quei nobili fini s'infransero dinanzi alla realtà: Il secolo degli illuminati era infatti tramontato venendosi a determinare una ribellione dei singoli popoli in nome di un sentimento di nazionalità.  La concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assunse un aspetto politico-religioso contro le insidie del razionalismo e di un eccessivo liberalismo. 

Con la figura e la stessa parola cristiana diffusa da Papa Francesco, sembriamo oggi rivivere l’onda di uno stesso periodo di ribellione. Al contrario della logica machiavellica, ancora in voga per l’eccessivo liberalismo ed il predominante pragmatismo, la visione politica  mazziniana, sebbene ideologica ed ormai passata, sembra stia prendendo il passo come una reazione che pare guidarci in direzione di una concezione progressiva ed un maggior benessere sociale.
Questa è la ragione per la quale sarà proprio l’equilibrio e non proprio la ragione a divenire indispensabile… come per ogni cambiamento storico.

Anch’io nutro fortissime perplessità sul Movimento di Grillo…perplessità e angosce che a differenza che su Renzi.. restano più concentrate nel metodo, ma non posso non manifestarne altrettante per ciò che riguarda nel merito il progamma di Renzi..ed allora..?
Se si vuole cambiare…bisogna avere la forza di affrontare i cambiamenti..di accettarli nel bene e nel male, anche contro noi stessi. Se altrimenti restiamo fermi e succubi delle regole imposte da un vecchio sistema, nulla cambierà mai.. qualunque ragione si possa imporre!

Concludo con una metafora che rende forza a questo mio pensiero:  
“Potremmo paragonare il sistema in cui viviamo e ci rapportiamo, ad un campo sul quale andrebbero coltivati i semi (nuove regole costituzionali - nuovo sistema politico). Il frutto dovrebbe essere quello della  “democrazia”. Ma se il campo è malato, arato male, senza un’attenta concimazione, il seme non crescerà mai bene ed il raccolto sarà inevitabilmente il frutto di tutto ciò: un raccolto guasto (ovvero una democrazia non definita), al quale si aggiungeranno i parassiti ( come la burocrazia) che divoreranno questo raccolto rendendo il campo una coltre ancora più desolata.
Il campo và ricomposto e preservato in modo da potervi ripiantare i nuovi semi per l’attesa e la crescita di un buon raccolto e per evitare l’arrivo di qualsiasi altro parassita.
Oggi il parassita della “burocrazia” regna sovrano in un Paese che soffre in concorrenza, crescita e funzionalità, la burocrazia sembra essere persino fomentata da chi gestisce potere politico: essa torna utile poiché, il disbrigo della stessa, rende ancora più forza a chi, il potere, lo gestisce. Se, a questa, aggiungiamo l’assoluto e dilagante pragmatismo delle rigide ed immutevoli istituzioni, allora l’uomo e la società continueranno a perdurare in una realtà simile a quella di un basso medioevo. Bisognerebbe, invece, spingersi verso un nuovo rinascimento, riarando il suddetto campo per l’attesa  del buon raccolto ed il rifiorire dei valori di una giusta democrazia. Nulla potrà mai inventarsi la politica, se non un cambiamento che possa partire dalla base e cioè dalla ricomposizione e la rifioritura del suddetto campo.”
vincenzo cacopardo