11 gen 2015

nuovo articolo di Domenico Cacopardo



La Germania studia da tempo l’ipotesi Grekit, l’uscita cioè della Grecia dall’euro. Un’ipotesi che le imminenti elezioni, con la probabile vittoria di Syriza, il partito di Alexis Tsipras, rendono più attuale. 

C’è da riflettere sul fatto che sia Berlino, in modo ben più autorevole di Bruxelles, ad affrontare i prossimi scenari comunitari. Naturalmente, Bruxelles ribadisce che l’ingresso nel sistema monetario euro non prevede una procedura di recesso e sostiene, a torto, che per questa ragione l’evento non potrà verificarsi. Una sciocchezza per mascherare una posizione difensiva: infatti, la mancata determinazione di una procedura non può impedire a uno Stato sovrano di recedere da un accordo internazionale, tanto più che, per ciò che si capisce, se la Grecia si decidesse, l’uscita riguarderebbe solo la moneta unica e non l’Unione europea. Insomma, una sorta di «reduction» a uno «status» simile a quello della floridissima Polonia.

Non è detto, però che lo scenario peggiore debba verificarsi. È vero che Tsipras, una specie di Vendola ellenico dalla comunicativa meno involuta e incomprensibile del collega italiano, dichiara di voler rinegoziare i termini del debito ellenico, chiedendone un taglio di almeno il 50%. E che la Germania respinge l’ipotesi contestando la ragione «storica» (il taglio del 50% del debito tedesco dopo la Seconda guerra mondiale). Non contesta, però, la Germania che l’operazione è tecnicamente possibile e che è l’unica praticabile visti i devastanti risultati ottenuti dalla «Troika» in Grecia e dal rigore del «Fiscal compact» nel resto del Sud-Europa. La storia ci dice che il debito sovrano non è mai stato restituito in senso tecnico ed è stato risanato con le operazioni più varie, mai con il rimborso del capitale nemmeno con un «timing» più mite di quello demenziale previsto dal medesimo «Fiscal compact», firmato per l’Italia dal tecnico Mario Monti.

Le posizioni di Germania e di Grecia sono evidentemente prenegoziali: si capirà la sostanza e il «punto di caduta» solo tra alcune settimane.

La Bce, però, lancia segnali di pace e fa filtrare l’intenzione di procedere con il «quantitative easing», l’acquisto cioè di titoli degli Stati dell’Unione, in modo da finanziare nuove politiche di sviluppo, integrative dell’ormai fantomatico piano Junker, le cui risorse oggi accertate sono ridicole, tra i 25 e i 30 miliardi di euro, quando la cifra necessaria sarebbe di almeno 300 miliardi di euro. 

A questo punto, la questione per noi italiani è solo una: qual è la visione del governo Renzi rispetto a questa possibile emergenza? Qualcuno, a Palazzo Chigi (che il cerchio magico chiama semplicemente «Chigi», nel senso di «Ci vediamo a Chigi») s’è posto il problema? Qualche economista dello «staff» presidenziale? Di sicuro, al ministero degli esteri, Gentiloni avrà allertato il ministro Andrea Tiriticco, un diplomatico di carriera, di quelli che conoscono il mestiere e che sono odiati da Renzi. Tiriticco è il capo del contenzioso diplomatico, l’ufficio che studia e affronta le questioni di diritto internazionale nelle quali il Paese si imbatte. 

Sarebbe importante conoscere il pensiero del «premier» in materia, non una delle frasi senza contenuto di cui è specialista, ma un articolato ragionamento sul prossimo tornante dell’Unione. Il problema si manifesterà a dimissioni di Napolitano consumate e a collegio elettorale appena insediato. E l’evolversi greco non sarà senza conseguenze nell’elezione, vista l’assoluta necessità di avere al Quirinale una personalità di sicuro rilievo internazionale. 

Sarebbe il caso di rafforzare Chigi, magari chiedendo la consulenza di un vero esperto, Lorenzo Bini Smaghi, l’uomo che «in pectore» dovrebbe essere il prossimo ministro dell’economia.

L’imperativo categorico, si sarebbe detto una volta, è attrezzarsi per giocare un ruolo significativo. 














7 gen 2015

Grasso..il candidato di cui si parla



«La politica deve sradicare le infiltrazioni clientelari prima dei magistrati. E la riforma della giustizia civile è indispensabile per eliminare gli interessi mafiosi». Queste parole del presidente del Senato Grasso suonano come quelle di chi ormai appare come il candidato favorito per la presidenza della Repubblica... in un contesto in cui i nomi si bruciano ogni giorno e la figura della seconda carica dello Stato assume sempre più rilevanza. Una frase persino pleonastica che potrebbe persino apparire retorica... poiché sembra chiaro che la politica, attraverso riforme corrette della giustizia, deve guardare in direzione di un'azione che elimini ogni interesse personale e di convenienza. Parole che suonano dunque alquanto enfatiche e non prive di un contenuto che esprime un evidente interesse verso la prima carica dello Stato.

Nella marea oscura di una politica ormai priva di contenuti e di idee..vengono sempre fuori queste figure come fossero l'unica rappresentazione della perfetta moralità al di sopra di ogni capacità.

Senza nulla da eccepire sulla figura dell'attuale presidente del Senato..appare davvero incredibile la sua veloce ascesa nelle istituzioni della politica...Voluto da Bersani ed eletto dopo un ballottaggio alquanto risicato... non possiamo dimenticare la sua disponibilità alla modificazione del regolamento del Senato sulle votazioni a scrutinio segreto, (obbligate nei casi in cui si tratti di persone fisiche), che non hanno rappresentato una notarile espressione super partes, ma abdicazione da ogni difesa dei valori di libertà dello Stato di diritto di cui avrebbe dovuto essere geloso custode (la valutazione è chiaramente politica). Non è stata un' espressione accettabile... anche per la leggerezza con la quale si è proceduto sulla estromissione del senatore Silvio Berlusconi. Ciò... al di fuori di ogni considerazione che possa attribuirsi alla figura stessa del cavaliere. Ma l’idea che lo Stato, e il Senato che ne è organo rilevante tanto da stabilire per il suo presidente il ruolo di supplente del presidente della Repubblica, possa aver sovvertito i principi su cui si è fondato, non ha dato tanta ragione ad un presidente super partes e potrebbe essersi dimostrata come un'azione di opportunismo politico, in un momento in cui gli opportunismi dovrebbero essere banditi da una personalità come la sua.
vincenzo cacopardo



3 gen 2015

Efficientamento.. o utile funzionamento?




"Per Renzi e per coloro che gli corrono appresso.. la parola chiave è quella dell'efficientamento: definizione oggi molto in voga che significa “miglioramento dell'efficienza” nella realtà una esplicitazione assai incerta ed aleatoria... quando il termine che per logica dovrebbe avere più importanza è quello del funzionamento ossia “modo in cui le cose funzionano” ..una distinzione non di poco conto sulla quale i suoi -non gufi- dovrebbero riflettere.."

di vincenzo cacopardo

Se dobbiamo vivere di speranze..va bene il seducente Renzi.... come del resto siamo rimasti per anni appesi alla figura dell'incantatore Berlusconi...Ma se i fatti dimostrano il continuo gran polverone dai contenuti inefficaci... allora meglio ricorrere alle elezioni..od a qualsiasi azione che possa favorire un diverso cambiamento.

Bisognerebbe comprendere che il cambiamento non è quello portato da una figura...ma quello fondato su un progetto e... nel caso del sindaco d'Italia... tale progetto è sicuramente criticabile. 

A che vale l'energia e la capacità di rimettere in modo la stagnante politica italiana, quando si sbanda visibilmente, perdendo credibilità e la capacità di gestire il consenso che aveva insperabilmente ottenuto. E' proprio sul merito delle cose e non sull'atteggiamento che bisognerebbe soffermarsi. 

Le proposte del suo governo...non potranno mai portare una vera crescita al Paese e la sua evidente sottomissione a quella Europa (alla quale non è più facile credere) la cui visione è tanto pragmatica... quanto ostile nelle disparità economiche, nelle risorse, nelle culture e nella mentalità dei Paesi annessi.

Se la crisi economica della Grecia è parte della crisi del debito sovrano europeo ed ha portato ad una perdita di fiducia, indicata da un allargamento dello spread di rendimento delle obbligazioni....per quanto concerne il nostro Paese...benchè la nostra moneta sia più forte..la situazione non sembra tanto lontana e dissimile. 

E' difficile non poter immaginare che in un contesto simile europeo, quando un paese si arricchisce ve n'è sia un altro, più debole.. che ne paga le conseguenze. Ma chi stabilisce queste regole oggi fondate esclusivamente sul pragmatico procedere di una economia che non considera alcun valore? Valori.. che in sé.. restano.. poi... i veri portatori di crescita! 

Il nostro semestre di presidenza europea s’è rivelato un fallimento, non portando risultati utili. Renzi rivendica l’inserimento dei concetti di flessibilità e di rilancio economico, ma in realtà nulla sembra cambiato in positivo. Avrebbe dovuto favorire l'economia del nostro Paese invece di dedicarsi a nomine di politica estera. Avrebbe dovuto accompagnare un piano di sviluppo concreto.. invece di dedicarsi alla elementare semplificazione delle regole sul lavoro che, per quanto utili non riescono a portare lavoro in più.

Il metodo renziano è quello basato prevalentemente sulla semplificazione e sul tempo: semplificare al massimo col minimo del tempo. Tutto ciò attira l'opinione pubblica poiché mette in evidenza una accelerazione verso un mutamento...uno sprint..una volata verso un traguardo..meno importa quale sarà poi questo traguardo...l'importante è cambiare! Chi..poi.. non condivide è gufo...Una visione ristretta..come ristretta rimane la sua logica.

La spinta verso la crescita dovrebbe prendere spunto dalla teoria Kejnesiana di uno sviluppo costruito attraverso gli investimenti. Percorso che la stessa Europa spesso ci impedisce. Ma c'è un Sud che rappresenta oggi una miniera per lo sviluppo..un mezzogiorno quasi dimenticato dalla politica di questo governo che corre imperterrito verso la via più facile dei tagli senza un' attenzione verso un vero funzionale sviluppo.

Per Renzi e tutti coloro che gli corrono appresso... la parola chiave è quella dell'efficientamento: definizione oggi molto in voga che significa “miglioramento dell'efficienza” nella realtà una esplicitazione assai incerta ed aleatoria... quando il termine che per logica dovrebbe avere più importanza è quello del funzionamento ossia “modo in cui le cose funzionano” ..una distinzione non di poco conto sulla quale i -non gufi- dovrebbero riflettere..

Saremo gufi o aquile che volano più alte?..il domani lo dirà








nuovo articolo del consigliere Cacopardo



di domenico Cacopardo
L’Italia esce da una fase drammatica della sua storia, segnata dalla crisi dell’estate del 2011, si lascia dietro la presidenza Napolitano, con le sue ombre e con le sue luci significative, ed entra nell’ignoto. Gli ancoraggi del passato sono venuti meno. 

È venuto meno il solido conglomerato della sinistra, fondata sull’apparato exPci e su un generone exdemocristiano, la «sinistra sociale», dominato dal radicalismo politico e dal dialogo con il sistema delle imprese pubbliche. Oggi, al suo posto, c’è un partito estremamente diviso, incapace di stabilire se è l’«unicum» italiano vagheggiato da Romano Prodi, o l’espressione locale della grande socialdemocrazia europea. In tutte le questioni sul tappeto non c’è una reale posizione unitaria, che non sia formale, e della cui tenuta nelle aule parlamentari c’è da dubitare.

Dall’altro lato, il centrodestra, come l’abbiamo conosciuto, un quasimonolito diretto da Silvio Berlusconi, non esiste più. Molti dei suoi componenti, in libera uscita, hanno costituito formazioni diverse o sono confluiti nel contenitore di Casini/Alfano, una specie di zattera costruita per traghettare da qualche parte i naufraghi che la occupano. La Lega Nord, rianimata dall’estremismo antieuropeo di Salvini ha imboccato la via della concorrenza al Movimento 5 Stelle e del rilievo nazionale su posizione lepeniste. 

Nemmeno la residua pattuglia che costituisce Forza Italia è concorde dietro il leader storico. Fitto contesta la politica e la direzione di Berlusconi e gioca una propria partita a tutto campo, dialogando con i «nemici» della minoranza del Pd.

Il «premier» Renzi, al quale va riconosciuta energia e capacità di rimettere in modo la stagnante politica italiana, da qualche settimane sbanda visibilmente, perdendo credibilità e «drive», la capacità, cioè, di gestire e ampliare il consenso che aveva insperabilmente ottenuto.

Il semestre di presidenza europea s’è rivelato un fallimento, visto che, a parte l’inutile nomina dell’inutile Mogherini nel ruolo di alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza, non ha portato a casa nulla di concreto. Renzi rivendica l’inserimento nelle linee guida comunitarie dei concetti di flessibilità e di rilancio economico, dimenticando che il contesto generale non è mutato in modo sostanziale. L’imminente consultazione elettorale greca riproporrà in modo drammatico e politico i termini della crisi e costituirà un palese atto di accusa alla gestione burocratica delle difficoltà elleniche, alla miope direzione della «troika» e all’ottusità germanica che pretende di imporre a tutte le nazioni dell’Unione il proprio modello economico-finanziario-sociale.

Ci sono poi le «gaffe» e gli errori concettuali di Renzi, tutti figli dell’impreparazione al ruolo che ricopre, che il suo senso tattico non riesce a celare. Pensiamo all’avocazione a Palazzo Chigi del dossier Marò (con la rinuncia alla via maestra dell’arbitrato), all’intestarsi il merito dell’operazione soccorsi ai naufraghi della Norman Atlantic, nella quale la mancanza di un comando unitario, sino all’intervento risolutivo della Marina Militare con la nave San Giorgio e i suoi elicotteri, ha confermato l’inconsistenza di un apparato pubblico (nostrano) frammentato e inefficiente.

Da ultimo, l’annuncio di un sostegno all’ingresso in Europa dell’Albania (invece dello status di Stato associato) a conferma della politica sciocca e suicida portata avanti da Romano Prodi (quella dell’allargamento) che ha reso l’Unione ingovernabile. 

Queste sono le premesse non felici per l’Italia politica che si appresta al cimento dell’elezione di un nuovo presidente della Repubblica.

Possiamo ancora contare sulla capacità tattica di Renzi e di Berlusconi. Basterà?

31 dic 2014

Analisi e commento su un articolo di Domenico Cacopardo 31 dic. 2014



Certo, governare significa imbattersi quotidianamente in interessi contrapposti, tra i quali è necessario mediare.

La novità annunciata da Renzi consisteva nell’imboccare senza incertezze il cambiamento («L’Italia cambia verso» il suo slogan) abbandonando la via del compromesso in favore di coerenti pacchetti di norme, rivolte a riformare il tanto di decrepito e inaccettabile che impedisce alla Nazione di riprendere la sua strada.

Purtroppo, alle parole non sono seguiti fatti del medesimo segno. Anzi. 

Senza tornare sul «Jobs act», le cui sgangheratezze emergono ogni giorno di più (ma l’abbiamo scritto sin da quando Renzi s’è insediato a Palazzo Chigi che la sua squadra era inadeguata), soffermiamoci sul decreto Milleproroghe appena approvato dal governo. 

In esso il ministro Lupi, l’assente della vicenda Mose, è riuscito a fare inserire due nuovi regali alle società di gestione autostradale.

Il primo consiste in ulteriori sei mesi di tempo (nuova scadenza il 30.6.2015) per presentare le proposte definitive per l’integrazione tra tratte diverse tra loro (per dirne una il raccordo Autobrennero-Autocisa), in modo da raccogliere il beneficio introdotto dallo Sblocca-Italia: il rinnovo automatico delle concessioni correlato agli investimenti per l’integrazione medesima.

La norma dello Sblocca-Italia è sicuramente contraria alle norme comunitarie in materia di concorrenza.

Il secondo riguarda nuovi aumenti delle tariffe, cresciute negli ultimi anni ben al di là dell’inflazione programmata e di quella reale.

Da tempo tutto il sistema delle concessioni autostradali con il dominio dell’Aiscat (l’associazione delle imprese di gestione) puzza e puzza molto. Non solo per il sistematico aumento delle tariffe, ingiustificabile in periodo di recessione, di assenza di inflazione e di costi sostanzialmente stabili, ma anche per la modestia degli investimenti correlati, visto i tempi biblici per la realizzazione delle nuove opere. Basti pensare alla Variante di valico sulla Bologna-Firenze, la cui inaugurazione è prevista per la fine del 2015, oltre dieci anni dopo l’avvio dei lavori (il protrarsi dei lavori provocato da un ben controllato –cioè contenuto- flusso finanziario). 

L’aspetto più critico del sistema è la sua totale opacità.

Partiamo dall’inizio: la rete di autostrade italiane è stata realizzata per il contributo finanziario dello Stato (in conto capitale e/o in conto interessi) e degli italiani (tariffe). I gestori non hanno corso alcun rischio imprenditoriale, salvo quello relativo alle proprie inefficienze e incapacità organizzative.

Nei primi quarant’anni, l’operazione risultava accettabile in quanto gran parte dei concessionari era di proprietà dello Stato o degli enti locali e, quindi, un certo perseguimento di fini non meramente speculativi poteva essere immaginato e riscontrato. 

La privatizzazione degli anni ’90 avvenne con modalità molto criticate e che considero inaccettabili, visto che il compratore di Autostrade acquistò indebitandosi con il sistema finanziario nazionale, talché negli anni successivi gli utili di gestione servirono in gran parte a restituire alle banche il capitale ricevuto in prestito e per pagarne gli interessi.

C’era una sola cosa da fare, sin dall’inizio, cioè sin dal primo aumento di tariffe e proroga delle concessioni (ministro Di Pietro): verificare, non tramite gli uffici dell’Anas ma per mezzo di un «audit» approfondito affidato a un soggetto esterno specializzato (ce ne sono tanti di prestigio e indipendenti), i dati economico-finanziari e quelli tecnico-progettuali prospettati dalle società autostradali e rendere tutto pubblico. Compreso il delicato aspetto della cosiddetta «riserva», la quota cioè di lavori che i concessionari dichiarano di realizzare «in-house», mediante, cioè, imprese di costruzioni partecipate. 

Se Renzi intende dare sostanza alle proprie affermazioni di rinnovamento, questa è l’occasione per fare chiarezza. Lasci perdere le pressioni di Lupi, consulti Raffaele Cantone, commissario anticorruzione, disponga la «due diligence» che occorre e, solo dopo avere esaminato i risultati di questo lavoro, decida sul futuro di concessioni e tariffe. Meno corda ai soliti marpioni del sistema, più trasparenza e interesse pubblico.
domenico cacopardo


Se governare rimane uno scopo... gli interessi saranno sempre contrapposti..se diventa un fine ..gli interessi potranno essere comuni

Il tema della privatizzazione toccato da Domenico corrisponde ad un teorema secondo il quale se lo Stato concede il diritto ad espletare determinate attività economiche, in certe condizioni..il sistema privato può conseguire gli stessi obiettivi di equità che sono alla base delle necessità di nazionalizzazione. Ciò significa che se ne vengono soddisfatte alcune condizioni, il privato può sostituirsi al pubblico senza alcun danno per il welfare. Una di queste condizioni è la concorrenza perfetta, ma le probabilità che le condizioni vengano soddisfatte non è sempre il fine auspicato.

E' strano.. come ancora non si riesca a comprendere quanto sia impossibile modificare un processo di regole ormai intrise in un sistema...quando questo non intende essere cambiato alla base! 

Sappiamo ormai bene che tra le parole di Renzi ed i fatti ci passa un fiume che non potrà mai permettere un vero cambiamento in positivo. Malgrado ciò sembriamo costretti come pecore a seguire un falso cambiamento poiché non siamo in grado di immaginare attraverso una nuova forma mentis ed una ricerca più adatta a modificare il sistema politico istituzionale.  E' vero..non esistono verità assolute sulla materia..ma non è detto che non vadano ricercate strade più funzionali...

Tornando al governo ed a quello che Domenico definisce la ineguatezza della squadra che attornia il sindaco d'Italia, non possiamo più meravigliarci di ciò che quotidianamente appare. Domenico, con la sua analisi, pone la problematica avidente sul tema autostradale....ma vi sarebbero altri temi ancora più delicati sui quali soffermarsi ben più importanti, non ultimo proprio quello sulla crescita che non potrà mai essere supportato dalle semplici regole del suo “jobs act”.: sappiamo bene che per una vera crescita è necessario proporre idee di sviluppo su temi precisi (startup – mezzogiorno - sistema creditizio - innovazione del mercato - nuova fiscalità..etc).

Per non parlare poi del tema giustizia ancora impantanato su proposte inadeguate e non favorevoli alla stessa sicurezza del Paese.

Il testo del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto ''Sblocca Italia'', coordinato con la Legge di conversione numero 164 reca le misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, ma anche temi di innovazione e sicurezza come.. la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica e l'emergenza del dissesto idrogeologico. Materie assai più importanti nel contesto odierno che sembrano quasi sottovalutate da una mediocrità di un governo quasi alla deriva ed imposto come ultima spiaggia.

Come si fa quindi a non comprendere l'importanza di un diverso cambiamento che non può più marciare ancora attraverso vecchi meccanismi ed ingranaggi istituzionali inadeguati..facendo solo forza su una falsa comunicazione e su un simulato gioco di rottamazione.
vincenzo cacopardo

30 dic 2014

Nuove ricerche per un funzionale cambiamento della politica



Perchè sarebbe utile ricercare una strada innovativa e non di continuo compromesso tra i ruoli.....
di vincenzo cacopardo

Bisogna capire che se oggi il sistema politico rimane marcio e poco funzionale è perchè pur partendo dal basso verso l’alto, ritorna in basso filtrando tra due Camere per pura ratificazione e senza un vero funzionamento democratico escludendo ogni diritto di vera partecipazione del cittadino. Lo stesso, anzi peggio, varrebbe nella eventuale soluzione di una sola Camera.(Sappiamo tutti come i capogruppi sull'ordine dei Partiti impongono il voto non dando mai opportunità ai parlamentari di esprimersi liberamente).
Il compito più sano della politica nei confronti di un sistema che si vorrebbe democratico dovrebbe poter vedere partire dal basso le proposte dei cittadini per arrivare in alto in due diverse fasi elettorali (legislativa di ricerca ed amministrativa di governo).

Un esecutivo potrà amministrare in modo pratico, fattivo e funzionale mentre un’altra azione costruttiva potrà salire verso l’alto in modo dinamico con un indirizzo politico di merito spinto dalle continue proposte dei legislatori in contatto con le “officine di ricerca dei Partiti” e con i cittadini. In tal modo sarà una vera politica a guidare il Governo attraverso una decisa spinta costruttiva che i Partiti (rinnovati e disciplinati all'uopo) potranno guidare. Rimane.. dunque... fondamentale il fatto che nessuna personalità debba poter rivestire simultaneamente i diversi ruoli politici (parlamentari e/o amministrativi.)

Occorrerebbe un disegno più rivoluzionario che di semplice cambiamento e adattamento al sistema attuale.. sul quale impostare una innovativa ricerca di percorso. Un percorso che vorrebbe costruirsi attraverso l’uso di appositi “piani programma” per la definizione di una strada che possa rendere più stabilità al Governo senza intaccare la guida Parlamentare sulla quale si fonda il principio della nostra Repubblica:

Uno studio per la ricerca di una politica funzionale per ruoli.

1- Una politica di ricerca e di idee diretta verso un consenso dei piani programma portati dai Partiti che indicheranno anche proprie liste (candidati legati al preciso patto programmatico) supportata da un sistema elettorale proporzionale. ( i Partiti, opportunamente ristrutturati, avranno quindi una precisa direttiva e cioè quella di studiare con i cittadini un programma per la nuova legislatura) Scelti i relativi Partiti..si determinerà una sfida elettorale incentrata esclusivamente sulle linee programmatiche. I Partiti dovranno perciò rendersi convincenti nei confronti dei cittadini attraverso la condivisione del proprio programma per ottenere un reale consenso..anche in relazione al fatto che i propri eletti in Parlamento, non potranno usufruire di alcun potere amministrativo sulla governabilità…ma solo sulle idee e le relative normative.

2-Una politica di amministrazione per l’attuazione del programma, con una lista di candidati amministratori per l'altra Camera, eletti attraverso un sistema più ristretto, poiché valutati per i propri meriti, le capacità ed i loro curricula. Diverso.. infatti.. dovrebbe essere il sistema delle elezioni degli amministratori che se eletti non avrebbero alcun potere sulla fase normativa del programma ..se non in termini di metodo nei punti più salienti..Potranno definire un governo votato al loro interno.

In tal modo nessun Partito potrà esprimere candidati per il ruolo amministrativo e nessun ruolo governativo potrà influire sui Partiti e sulle idee del programma. Ecco la ragione per la quale l'uso delle due Camere, se poste in modo ideativo e funzionale per ruoli sarebbe assai più utile che il semplificativo taglio di una di esse. (Il risparmio potrebbe venire dalla diminuzione dei componenti e soprattutto dal dimezzamento della indennità e di evidenti inutili benefici.)..Ma l'importanza della funzione rimane superiore a qualunque risparmio

Ovviamente la ricerca di una maggioranza andrebbe ricercata e studiata con attenzione in base al programma più votato.
In questo quadro la figura di un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo sarebbe utile. Un Presidente che, pur con gli stessi poteri limitati, possa esercitare un fondamentale potere di controllo e garanzia ad un tale sistema elettorale.

Conosciamo i dubbi e le difficoltà poste da un simile cambiamento e sappiamo bene che il primo passo rimane sicuramente una modifica del testo della “Costituzione” in riferimento alla politica elettorale, per un rinnovamento utile ad un cambiamento delle stesse procedure: Un cambiamento che possa contraddistinguere con equilibrio i ruoli ed i compiti della politica. Sappiamo anche che nulla potrà’ essere definito se non in dialogo e con la partecipazione di chi aspira associarsi ad un principio di vera innovazione del sistema istituzionale. Sembra quindi ovvio ed opportuno chiarire che un simile cambiamento non potrebbe sortire alcun successo se non studiato nel dettaglio ed operato con un percorso che possa individuare precise fasi di necessità ma anche chiari e possibili piani di fattibilità.

La ricerca dovrebbe sempre e comunque rimanere aperta alle idee verso l'innovazione..




27 dic 2014

L'attesa nomina presidenziale



di vincenzo cacopardo

Il mondo della politica italiana ed internazionale in fermento per la imminente nomina del nuovo Capo dello Stato. Come è ormai certo il vecchio presidente Napolitano abbandona il campo..lasciando dietro grandi problematiche ancora irrisolte in direzione del cambiamento. Ma sarà davvero un cambiamento utile? Sarà in favore di un vero funzionale uso della politica democratica?..O forse le figure proposte saranno condizionate dalla politica disinvolta che il sindaco d'Italia continua a promuovere?

Se dovessi esprimere un pensiero in merito, nel pieno rispetto delle stesse figure ...tre nomi mi verrebbero in mente..non suggeriti dal personale pensiero politico, ma come probabili candidati in favore di una linea di percorso della odierna e semplificativa politica di Matteo Renzi.

Il primo è il neo sottosegretario alla presidenza Del Rio: scelta sicuramente privilegiata da Renzi poiché uomo di fiducia che potrebbe tornargli utile per il suo programma negli anni a seguire. Del Rio non porrebbe alcun ostacolo all'incedere semplificativo del progetto istituzionale e costituzionale promosso in favore di un cambiamento verso quel bipartitismo tanto desiderato dal sindaco d'Italia.


Il secondo candidato... (anch'esso.. in un certo senso... di gradimento a Renzi).. che troverebbe un buon appoggio di un'ala moderata e di una buona parte della attuale destra Berlusconiana (anche in considerazione del nome che porta) potrebbe essere quello di Enrico Letta. In questo modo il Premier potrebbe far dimenticare il suo gesto autoritario nei confronti di chi lo ha molto criticato per la sua obbligata rimozione e riconquistarsi parte degli animi bollenti in seno al proprio Partito. Non dimentichiamo inoltre che Letta è molto legato ai poteri forti di chi in Europa detta la politica..Membro dell'Aspen Institute Italia che si occupa dell'internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese. L'Istituto... in cui spiccano i nomi di Amato e lo zio Gianni Letta (senza togliere alcun merito alla figura a modo di Enrico Letta) concentra la propria attenzione verso i problemi e le sfide più attuali della politica, dell'economia, della cultura e della società, con un'attenzione particolare alla business community italiana e internazionale.

Il terzo candidato è quello che forse più desidererebbe la Merkel e cioè Mario Draghi e che non arrecherebbe ostacoli al percorso di Renzi, ma che lo accompagnerebbe in un progetto economico europeo ancora più rigido ed intransigente. La scelta dell' economista, banchiere e manager italiano, libererebbe il posto della presidenza della BCE, posto che tanto fa gola alla stessa Merkel che imporrebbe di sicuro un suo fedele economista..In tal modo ottenendo due risultato utili: Una scelta di sicuro meno desiderabile poiché tecnica.. imposta in favore di una politica economica internazionale e non in un concetto di equilibri politici che appartengono al nostro Paese... come di norma si dovrebbe.

Resta il fatto che chiunque dei tre farebbe comodo al Premier Italiano il quale.. si riserverebbe altro tempo utile al suo processo di riforme (tanto semplificativo..quanto poco funzionale ad un processo costituzionale e di vera democrazia), senza dover ricorrere ad un voto i cui risultati oggi non sembrano più scontati come quelli di qualche mese addietro.

Francesco..Pastore dal profondo sentimento umano


La tenerezza di Dio e quella degli uomini....di vincenzo cacopardo

Una vera rivoluzione senza limiti... suggerita con la guida evangelica del sentimento dell'amore. Papa Francesco ha fornito un'ulteriore messaggio alla società ed alla politica. Parlando di “bisogno di tenerezza” ha posto questa esigenza nel mondo come fondamentale per l'intera crescita sociale.

Nella Basilica Vaticana, davanti al Bambinello che il Papa porta di persona nel presepe in fondo a San Pietro, il Pontefice ha dato un ulteriore segno della sua vitale ed umana presenza con un'omelia nella quale ha posto la tenerezza come un segno rivoluzionario facente parte del Vangelo. In riferimento al miracolo di quel bambino-sole che rischiara l'orizzonte dall'alto: «Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza».

Questo richiamo alla tenerezza di Dio è un messaggio forte.. ricco di semplicità e deferenza..che il Pontefice stigmatizza nella presenza di Dio, ma che, in realtà dovrebbe far meditare l'uomo: Secondo Francesco Dio ci guarda con immenso affetto, ci guarda con occhi colmi di affetto..accetta la nostra miseria e la nostra piccolezza...

La visione straordinaria di Francesco è quella di vedere Dio come un gigante che si inchina verso noi attraverso la tenerezza e non la percezione assoluta di chi ci comanda e pretende la devozione.... Questa è sicuramente una concezione più che rivoluzionaria che dovrebbe far rifletterci. Il Papa si domanda: -Come accogliamo invece noi questa tenerezza? ..ci lasciamo raggiungere?..ci lasciamo avvicinare? Ci lasciamo abbracciare?

Papa Francesco sembra aver colto ancora una volta nel segno gli animi di chi pone il sentimento umano in cima ai valori fondamentali senza i quali ogni speranza resta inutile. Al di là di qualsiasi visione cristiana o non...senza questa sua umile e profonda sensibilità umana.. non si sarebbe mai arrivati a pensare ad un Dio che quasi si inchina di fronte all'uomo in un abbraccio comune di tenerezza..indicandolo come presupposto fondamentale per la nostra stessa crescita sociale. Un ulteriore richiamo alla solidarietà ed all'amore comune, proposto nell'ambito della nascita di Cristo, ma anche un richiamo politico all'essenziale bisogno di umiltà che per il rispetto che si deve all'essere umano.




"il topolino Renzi" di Domenico Cacopardo



di domenico Cacopardo
Se non proprio un topolino, alla vigilia di Natale Matteo Renzi e i suoi ministri hanno approvato e messo in circolazione un prodotto seriamente difettato. Ci riferiamo all’ennesima versione dell’art. 18 e, in particolare, ai licenziamenti disciplinari. Per essi, con la nuova normativa, il giudice potrà (su ricorso del licenziando) verificare la fondatezza della mancanza disciplinare alla base del licenziamento. 

Poiché –ed è un fatto ampiamente dimostrato- la magistratura militante (di manifeste simpatie per il veteromarxismo massimalista) è molto presente nelle sezioni del lavoro, è facile immaginare che spesso la verifica della mancanza disciplinare sarà negativa e, quindi, il lavoratore licenziato otterrà per via giudiziale il pieno reintegro in azienda. 

Nell’operazione ‘verifica’ un ruolo determinante l’avrà il sindacato, i cui iscritti potranno con le loro testimonianze non disinteressate pilotare indirettamente le decisioni del giudice di turno (perciò rimane intatto o quasi l’anomalo potere dell’apparato sindacale in fabbrica).

Mente, quindi, la segretaria della Cgil Camusso quando attacca il governo accusandolo di avere eliminato le tutele previste dall’ordinamento. E mente –è probabile- perché non può manifestare soddisfazione per la via d’uscita trovata dal ministro Poletti e dagli «staff» di presidenza e ministero del lavoro, smentendo perciò se stessa e alcuni mesi di forsennata campagna verbale contro il «jobs act» e uno sciopero generale di parziale (molto parziale) riuscita.

L’aspetto peggiore della soluzione trovata è che non incide sull’incertezza del diritto che presiede al mondo del lavoro privato. Infatti, con l’apertura di questo genere di porta nel licenziamento disciplinare si verificheranno innumerevoli casi di sentenze contrastanti di reintegro o di conferma. Gli imprenditori non potranno fare alcun affidamento nella nuova norma, a meno di non effettuare una mappatura (illegale) delle simpatie politiche dei giudici del lavoro nei vari distretti giudiziari. 

È, purtroppo, venuto meno ancora una volta il principio di ragionevolezza che deve improntare la legge, rendendola leggibile, interpretabile, applicabile.

Il seme della gramigna che è germogliato il 24 dicembre è stato piantato nella direzione del Pd che definì una sorta di compromesso tra Renzi e le minoranze, tutte tese a svuotare il senso e i contenuti della riforma del mercato del lavoro impostata dal governo. Le fumose formule usate nel documento finale, trasfuse poi in emendamenti alla legge di delega, hanno spinto alla retromarcia di cui parliamo e di cui, di sicuro, il medesimo «premier» non ha valutato tutto l’effetto destabilizzante.

In un barlume di verità, accesosi per un attimo, nella come sempre scoppiettante e propagandistica conferenza stampa postconsiglio, Renzi ha ammesso due cose: che la rimozione dell’accertamento giudiziale delle mancanze disciplinari sarebbe stata un «eccesso di delega», rivelando in questo modo che il «vizio» è nel testo finale approvato dal Parlamento. E che questo testo è il frutto avvelenato di un compromesso tra la destra, rectius tra il «Nuovo Centro Destra» presente nella coalizione di governo e, in sostanza, la minoranza del Pd. Che, insomma, non poteva fare di più. 

Il che, per un deciso riformista, come vuol apparire Renzi è peggio che annunciare un fallimento, riconoscendo che la sua forza politica è così limitata dagli irrisolti contrasti interni al suo partito da impedirgli di portare a compimento una riforma coerente e totalmente efficace. Questo non significa sottovalutare i suoi sforzi e i suoi risultati, ma metterne in evidenza le difficoltà.

Una conferma della fase calante che sta attraversando.

Ne uscirà solo se saprà guidare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Tanti, troppi lo aspettano al varco, mentre le munizioni di cui dispone sono chiaramente inadeguate. Solo un colpo di genio (di cui è capace) e un’attenta tessitura potranno evitargli la sconfitta.































24 dic 2014

Palermo nel baratro delle incomprensibili amministrazioni



Vi sono poche risorse, ma ciò che manca soprattutto sono le idee e l'intuizione di ciò che risulta primario”


Non vi è una amministrazione che al comune di Palermo abbia offerto il lavoro più utile per l' essenziale sviluppo della città. Una città tanto bella quanto abbandonata nell'importante funzionamento dei principali servizi..primo fra tutti quello dell'imponente traffico esistente. Il percorso primario di ogni amministrazione è sempre stato quello di premiare la cultura artistica della particolare città, ma sappiamo bene quanto sia difficile mettere in mostra tali bellezze artistiche senza curarsi prima di un profilo più utile oggi rappresentato dall'imponente traffico.

Gli argomenti del traffico e della ricerca di efficace circolazione in questa città sono sempre stati poco considerati ed a volte persino ignorati. Nessuna amministrazione, tantomeno quella odierna, si è posta la domanda essenziale di come tanto cambierebbe se si studiasse con attenzione la possibilità di spingere la circolazione per flussi in modo più logico ed ordinato. La possibilità sarebbe data dalla attenta ricerca di circolari esterne ed interne a senso unico e dall'inserimento di alcune arterie di collegamento a doppio senso (anche dette strade di interconnessione) che potrebbero spingere il traffico in modo più razionale verso le tante altre vie che potrebbero adattarsi ad un unico senso di marcia. Lo studio impegnativo (sicuramente non facile) che ha bisogno di un'attenta ricerca, non è mai stato preso in considerazione nonostante ogni grande città del nord abbia previsto l'importanza della funzione delle circolari.


Il problema del traffico è associato a quello delle zone di sosta. Grazie alla possibilità delle circolari ed il defluire del traffico farebbe nascere una gran quantità di zone di parcheggio. Anche qui l'amministrazione pare dormire ed adattarsi alle soluzioni precarie delle strisce blu con grande indignazione dei cittadini i quali restano sempre succubi di scelte poco logiche e penalizzanti.

Palermo si culla sui temi della cultura che ha sempre rappresentato l'abito con il quale si è sempre mostrata... ma non si può nascondere come questo vestito non sia più confacente con il trasandato contorno che appare ormai dimesso e decadente.... Abbandonato ad un destino contro il quale nessuno sembra in grado di reagire con la forza di nuove idee.

Senza una soluzione del traffico e della circolazione ..senza quella delle zone di parcheggio..senza la definizione delle vie più utili per il trasporto pubblico, non si risolve quello della pulizia e dell'ordine..ma nemmeno quello di una cultura civica. Palermo.. da questo punto di vista.. soffre più delle altre città anche in considerazione che non riesce a metter in buona mostra l'immenso patrimonio artistico che la arricchisce.
vincenzo cacopardo
post correlato http://vincenzocacopardo.blogspot.it/p/la-problematica-concernente-il-traffico.html

23 dic 2014

IL BILANCIO DI UN PRESIDENTE DISCUSSO



Sul bilancio del quasi novennio del nostro presidente della Repubblica Domenico Cacopardo scrive: 

"Nei prossimi giorni, Giorgio Napolitano lascerà la carica di presidente della Repubblica. Gli occhi si appunteranno su Montecitorio, luogo del collegio elettorale (deputati, senatori, rappresentanti delle regioni e delle provincie autonome) che procederà alla elezione del successore.

È tempo per qualche considerazione conclusiva sul suo mandato, per la prima volta duplice, dato che il 20 aprile del 2013, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, è stato ricondotto al Quirinale.

Sembrerà banale ricordarlo, ma Napolitano viene dopo un presidente interventista e manovriero bel al di là dei limiti costituzionali come Oscar Luigi Scalfaro, e dopo un mediocre uomo di banca come Carlo Azeglio Ciampi. 
2006: lo stato della Patria è critico. Le elezioni appena svoltesi non hanno dato un vincitore certo, anche se Romano Prodi ha dichiarato di esserlo. L’instabilità è, quindi, la cifra specifica con cui inizia il mandato presidenziale. Caratterizzerà tutti gli otto anni e mezzo successivi.
Il governo Prodi cade per rapida consunzione del 2008. 
Nuove elezioni danno la maggioranza a Berlusconi, ma ben presto proprie personali incapacità e interventi anomali (un vero e proprio ultimatum di Trichet, presidente della Bce, controfirmato da Draghi, governatore della Banca d’Italia, una sorta di golpe delle autorità finanziarie) spengono la vita del suo governo. L’Italia è colpita dalla speculazione internazionale («spread» Italia-Germania oltre i 500 punti) e dallo sbandamento dei partiti, incapaci di convenire su una qualsiasi piattaforma difensiva. 
Napolitano, forse indotto da autorevoli suggerimenti (Angela Merkel?), nomina presidente del consiglio Mario Monti, un professore di economia, beneficiato da un’inattesa designazione a senatore a vita, alla testa di un governo tecnico. L’Italia è commissariata, visti i precedenti da euroburocrate del «premier». Infatti, nel giro di pochi mesi, firma il Fiscal Compact (l’accordo europeo che stringe i paesi in difficoltà in una camicia di ferro di rigore, la cui più evidente espressione è l’impegno di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni) e ottiene l’introduzione in Costituzione dell’obbligo di pareggio del bilancio. I partiti, senza bussola politica, approvano tutto.
Anche le nuove elezioni del 2013 si concludono senza una maggioranza definita. Qui, il ruolo del Quirinale è ancora più evidente: dopo alcuni maldestri tentativi di Bersani, emerge l’impossibilità di una maggioranza coerente. 
Napolitano promuove un accordo sinistra-destra e nomina presidente del consiglio Enrico Letta. Nasce un gabinetto debole e incerto, in cui le accertate qualità del primo ministro non riescono ad affermarsi, mentre tutte le sue indecisioni e incertezze pesano come macigni sul Paese.
In casa Pd, emerge un giovanissimo leader, Renzi, che, preso il partito, il 22 febbraio 2014 conquista la «premiership». Questi i tormenti degli ultimi otto anni. A essi Napolitano ha risposto con un interventismo ben oltre la Costituzione, ma ben dentro le emergenze della Nazione, cercando di scongiurare un ulteriore degrado, in fondo al quale c’è un baratro oscuro. Com’è naturale, molte voci critiche si sono levate in tante occasioni. Soprattutto riguardo alle interferenze sui nomi dei ministri. 

Oggi, però, alla vigilia di un difficile confronto parlamentare per l’elezione di un nuovo presidente, è meglio accantonarle. Se siamo ancora qui, vivi e vegeti, anche se variamente ammaccati, gran parte del merito va riconosciuto proprio a lui, a Giorgio Napolitano: non un figurante della Storia, ma un protagonista."
domenico cacopardo


Ho sempre difeso l'operato del nostro anziano Presidente e gli riconosco meriti, oltre che di pazienza, di un equilibrio non comune. E' vero che si sia trovato a dover fare i conti con una politica degenerativa e spesso insensibile alle funzioni spettanti, ma è anche vero che è stato costretto a sopperirvi attraverso manovre non comuni alle logiche che legano il compito di un capo dello Stato della nostra Nazione a doveri costituzionali oggi non facili da seguire...Ciò è stato dovuto ad un cambiamento che non ha ancora trovato libero sfogo nel percorso delle regole istituzionali. 

Sicuramente il nostro Presidente è riuscito a venirne fuori se pur condizionato da una presenza vincolante di una comunità europea sempre più presente nell'economia del nostro Paese e che ormai pare lasciare pochissimo spazio a manovre personali. Non possiamo tuttavia dimenticare quando...nel passato, non avendo la politica trovato alternative alla sua figura, il Presidente abbia dato la piena disponibilità al rinnovo del suo mandato a condizioni che si desse sfogo ad un'azione di rinnovamento efficace. Ma oggi la sua esigenza di abbandono sembra persino spinta da una visione politica generale che pare non avere certezze su un possibile cambiamento. 

Napolitato ha sempre sperato in una responsabilità diretta dei Partiti verso un rinnovamento guidato dal giovane premier Renzi.. indicando limiti e le condizioni persino temporali...ma le incertezze ogni giorno crescono..soprattutto quelle temporali! Ci sono state ragioni di opportunità politica da parte di Napolitano nell'aver aperto una strada larga al premier Renzi, ma anche motivi di preoccupazione per una certa condotta che lo stesso sindaco d'Italia ha continuato a dimostrare su alcune procedure frettolose ed irriguardose e sulle spregiudicata comunicazione ricca di tante promesse. Sono certo che il nostro Presidente si sia spesso sentito in grande disagio. 

Un protagonista di sicuro.. malgrado non abbia mai voluto esserlo , ma anche una figura che resterà nella storia come un Capo dello Stato assai discusso.

Non v'è dubbio che l'abbandono da parte del Capo dello Stato...porterà nel prossimo futuro cambiamenti di rotte e derive non facili che si aggiungeranno alle già disperate difficoltà del paese...Quali nuovi scenari si apriranno alla politica?
vincenzo cacopardo

20 dic 2014

La “forma mentis” ..che blocca l'innovazione.

di vincenzo cacopardo

Quello che riesce difficile da comprendere è la mancanza di una via d'uscita alla politica Renziana. Una politica che oggi si rivolge verso quella centralità.. perseverando su criteri e metodi appartenenti ormai ad un passato: La via del Premier appare, per certi versi, simile a quella che venne percorsa dalla vecchia DC. 

Quello che poi non è facile condividere è
l'abbandono di un pensiero che riesca a dar forza ad una "forma mentis" diversa attraverso la quale innovare il sistema istituzionale vecchio con riforme più appropriate. Il metodo di Renzi, con tutto il rispetto per la sua ambiziosa volontà, è  sempre stato quello di continuare a cavalcare gli stessi principi sui quali è crollata una società sotto il peso di una classe politica che in realtà continua a non rinnovare alcunchè...ed anche in questo caso.. non basteranno furbizia ed ambizione.. 



Il cugino Domenico Cacopardo ha scritto: “Il circuito perverso che vedeva il sindacato, la cooperazione (proprio quella cooperazione che mostra mostruose deviazioni di natura –sin qui note solo agli esperti- spingendosi ben oltre i limiti del codice penale) e il partito come le coerenti facce di uno stesso disegno politico di occupazione della società e del potere hanno perduto la loro battaglia, sin dal momento in cui è caduto il Muro di Berlino e il sistema internazionale di coperture ideologiche è terminato. Era inevitabile che accadesse anche in Italia ciò che è accaduto in Russia, in Polonia e in tutto il mondo exsovietico. Soprattutto dopo la creazione del partito del compromessino storico, il Pd, nel quale l’apparato excomunista ha perso in poco tempo, per consunzione, il proprio ruolo egemone.”

Domenico, già consigliere di Stato nelle precedenti repubbliche, sposta..così.. le colpe di una difficoltà di rinnovamento da parte di Renzi.. sui sindacati e su tutti coloro che, a parer suo, non condividono la sua politica determinata ed anche determinista...(oggi meglio identificati come gufi). “Poiché Renzi, con felice intuizione, s’è diretto verso la centralità politica e l’ha conquistata, gli eredi del comunismo non possono più svolgere alcun significativo ruolo politico. Debbono scegliere tra la nostalgica testimonianza e la resa alla socialdemocrazia europea, respinta tra la fine degli ’80 e i primi anni ’90. Le loro idee residuali, le loro indicazioni, se riuscissero a imporsi, ci condurrebbero nel giro di pochi mesi a Weimar, la repubblica tedesca dal cui disastro nacque il nazismo.”

Ma per il sottoscritto ..il problema non può più essere ridotto sulla semplice concezione dell’apparato excomunista e la perdita del proprio ruolo egemone.. nè si può, in considerazione del fatto che le ideologie hanno lasciato spazio a necessità logistiche diverse, continuare a parlare di socialdemocrazia o liberaldemocrazia, allo stesso modo con cui non si può accettare un certo populismo...e allora?..quale strada, se non quella innovativa di saper guardare oltre i confini di una mentalità ancora così chiusa e ristretta?

Pur consapevole dell'atteggiamento e riuscendo a comprendere ciò che intende Domenico riguardo ai sindacati, la si può anche pensare diversamente sul merito del mediocre lavoro fin qui svolto dal governo per la crescita economica e democratica del nostro Paese. Le ministre e ministri dell'attuale governo.. non fanno che ripetere mnemonicamente le stesse parole del Premier..ma non innovano alcunchè..in previsione di riforme tendenti solo a semplificare e non far funzionare il meccanismo in senso democratico .

Sentire parlare di intervento da parte di una figura politica che oggi mette in riga un sistema politico (con metodi tra l'altro assoluti..ai limiti di una concezione democratica) non può lasciare tranquilli tutti coloro i quali più democraticamente pensano che le responsabilità di un programma politico non può essere affidato ad un unica personalità: Il considerare che un'unica figura politica possa essere in grado di risolvere le molteplici problematiche esistenti equivale a ritenere tale figura come un Padreterno in terra...e la politica non ha certo bisogno di questo! 

La politica necessita di regole diverse...regole che possano servire al riscontro di una vera innovazione funzionale attraverso la partecipazione di tante personalità che attraverso lo scambio ed il dialogo, possano trovare riscontri più funzionali e non solo semplificativi. 

Considerare la governabilità in senso giusto.. come un punto d'incontro di un programma voluto dai cittadini..rinnovare il lavoro ed il fine funzionale dei Partiti..eliminare i conflitti perenni esistenti nella politica e nelle istituzioni..etc. Sono questi i temi delicati delle importanti riforme che non potranno mai risolversi con la prepotenza assoluta (seppur ricca di astuzia) di un'unica figura.

Purtroppo siamo ancora legati ad una “forma mentis” così limitata rispetto ad una visione più innovativa della cosa politica, per cui... il più astuto e comunicativamente preparato, anche se non ispirato dalle utili idee, finisce col prevalere.

La fortuna oggi non aiuta proprio gli audaci..soprattutto in tema politico, dove oltre ad una mentalità più aperta occorrono idee innovative, metodo e dialogo tra le parti. Con ciò non si vuole per niente apparire gufi (termine tra l'altro molto usato negli stadi e nel calcio).. né si pensa di essere prepotentemente a favore dei sindacati, ma si vuole semplicemente mettere in evidenza l'importanza di un cambiamento che non può più prescindere da una “forma mentis” integralmente difforme.