I recenti
episodi di violenza perpetrati dai black-block a Milano durante la
manifestazione contro l'Expo offrono altra opportunità al premier
per diffondere la sua cantilena contro i nemici del fare, ma.. come
giustamente scrive in questo articolo Domenico.. costoro restano “gli
stupidi nihilisti che producono ferite a se stessi e consensi ai loro
nemici.” e quindi anche una ulteriore circostanza per Renzi per confondere altre verità sulla sua politica semplicistica.
E'
difficile persino poter comprendere per quale ragione oggi si possa
operare una simile manifestazione contro un evento di tale portata a
nostro favore..se non..forse.. per l'unica ragione che vede il nostro
Paese proiettato verso una esorbitante povertà (soprattutto nel
meridione) che finisce col non offrire alcun motivo a sostegno.
Le violenze
non possono che essere condannabili, ma una certa opportuna ricerca
di azioni preventive non cessa mai di mancare in questo Paese,
persino in momenti di alta tensione che dovrebbero vedere attività
di intelligence in primo piano. Dice bene Domenico Cacopardo quando
afferma che ogni responsabilità cade sul governo, ed anche se in
primo piano pare esservi un mediocre Ministro degli interni, queste
azioni eversive possono essere previste ed i pericoli studiati
opportunamente e combattuti attraverso azioni governative più
utili.
Sappiamo
che esistono queste frange violente che sembrano non aver nulla da
perdere e che si appocciano a queste manifestazioni unicamente per
poter dare sfogo ad una innata voglia di distruggere la qualunque. Le
attività segrete potrebbero e dovrebbero muoversi preventivamente.
Oggi vi è una tale povertà ed una mancanza di lavoro tendente a
trasformare ogni persona normale e perbene verso istinti anarchici e
violenti assai pericolosi proprio perchè non si ha più nulla da
perdere.
Al di là
di ogni facile ed indiscussa condanna verso la violenza ..sta proprio
alla capacità di una organizzazione statale saper comprendere la
differenza tra chi agisce per motivi di immotivata ed idiota
prepotenza..da coloro che, al contrario, si muovono spinti da una
istintiva reazione per motivi legati ad una società che li ha
abbandonati in un incomprensibile silenzio.
vincenzo
cacopardo
C’è una
sola ottica con la quale si deve osservare quanto accaduto nel
pomeriggio del 1° maggio a Milano, la cosiddetta capitale morale: è
l’ottica di Mario Rossi, cittadino comune ed esemplare,
contribuente fedele, studente, impiegato, professionista,
commerciante, pensionato.
Mario Rossi
ha visto attenuarsi (eufemismo che significa crollare) le tutele di
cui disponeva: nella pratica poliziesca e giudiziaria una serie di
reati di quotidiana constatazione sono stati abbandonati; poi, una
sconsiderata legge ha depenalizzato oltre 100 reati, come dire,
normali, nel senso che ne accadono a migliaia ogni giorno; infine a
Milano (dopo Napoli, Genova, Roma) la diserzione dello Stato di
fronte al compito di tutelare i suoi cittadini, secondo Costituzione
e codice penale.
Cosa
possono rispondere Alfano e il suo capo della Polizia (che giusto il
1° mattina dichiarava che la situazione era sotto controllo) al
signor Rossi (la signora di via Carducci che ha visto il suo piccolo
negozio di pasticceria devastato e incendiato il suo furgoncino)
colpito nella sua persona, anche indirettamente, poiché lo
spettacolo offerto dai disadattati convenuti a Milano da tutta Europa
lo ha direttamente e indirettamente leso?
Che era
tutto previsto e sotto controllo e magari ch’era il caso di
vantarsi «Ammu evitato ‘u muorto», come affermò l’esimio e
napoletanissimo (come il capo della Polizia) questore di Roma dopo
l’invasione dei tifosi del Fyenoord?
Diciamolo
subito. A Milano c’è stata una palese reiterazione della tecnica
messa in atto a Genova: tutelare una zona «off-limits» (o rossa)
mediante un cordone impenetrabile di forze dell’ordine e
abbandonare il resto della città nelle mani degli schizzati, gli
stupidi nihilisti che producono ferite a se stessi e consensi ai loro
nemici.
Ma la
Polizia e i Carabinieri non debbono tutelare l’ordine pubblico? Non
hanno il dovere di impedire danni morali, patrimoniali e fisici nei
confronti dei cittadini inermi, cui è vietato di armarsi e di
difendersi? Non hanno il dovere di intervenire in via preventiva nei
centri sociali con perquisizioni per cercare armi proprie e
improprie? Non avevano il dovere, la notte prima dell’inaugurazione
dell’Expo di irrompere nei ben noti centri degli antagonisti di
Milano per disturbare il sonno, le fumate, le sniffate, le bevute di
tutta questa gente (che s’è già bevuta il cervello), per privarli
delle mazze di cui disponevano e di tutto l’armamentario del
piccolo terrorista?
Non avevano
il dovere di arrivare nella notte o al mattino presto nelle sedi dei
sedicenti centri sociali d’Italia e fare le stessa cosa? Certo che
l’avevano.
Non l’hanno
fatto.
C’è una
sola spiegazione di fronte a questa diserzione nei confronti dei
propri doveri e la si trova nella riforma del codice di procedura
penale introdotta con il decreto legislativo 22 settembre 1988, n.
447. Ricordiamo alcuni articoli significativi: il 330 (il pubblico
ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di
propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o
trasmesse …) e il 347 (acquisita la notizia di reato, la polizia
giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero …
comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio
e quanto altro valga alla identificazione della persona … quando
sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di
reato è data immediatamente anche in forma orale... ).
Questo
significa un rapporto di dipendenza permanente e funzionale, anche
prima della «notitia criminis», della polizia (giudiziaria) nei
confronti dell’ufficio del pubblico ministero, sempre più
proiettato verso l’investigazione come stratega delle indagini.
Come
abbiamo visto ovunque nel Paese (e da ultimo a Milano dove 3 tedeschi
espulsi dall’Italia in quanto identificati in un centro
abusivamente occupato –reato di per sé, l’occupazione- hanno
beneficiato di una revoca dell’espulsione decisa dal giudice civile
su loro ricorso), la tendenza degli uffici giudiziari è quella di
non autorizzare una puntuale e specifica prevenzione delle attività
degli antagonisti mediante perquisizioni, intercettazioni, controllo
di sms e email, in modo da conoscere per tempo le intenzioni
(illegali) di questa gente e di intervenire per evitare il
manifestarsi di attacchi alla popolazione inerme.
È questo
che impedirebbe, secondo fonti del ministero dell’interno, una
efficacia azione della Polizia e dei Carabinieri, circoscrivendo il
loro campo di azione in una difesa passiva che, nella pratica, è una
vera e propria autorizzazione al danneggiamento di cose e persone.
Se questa è
la dura realtà, essa merita una riflessione del governo, nel suo
complesso, non dell’esangue ministro della giustizia.
Torna alla
mente l’impressionante osservazione di Giuseppe de Rita, fondatore
e presidente del Censis (il centro di ricerche sociali e sociologiche
più prestigioso d’Italia). Egli sostiene che in Italia c’è una
tripolarità del potere: i professionisti del contrasto alla
corruzione; i professionisti della comunicazione di massa, luogo di
rimbombo delle campagne di moralizzazione (e, di intossicazione
dell’opinione pubblica, ndr); i professionisti del potere locale.
Il resto non conta, viaggia sulla deriva delle correnti mosse dai tre
poteri.
Riflettere
sui danni prodotti anche dal 1° maggio milanese è necessario e dà
una chiave d’interpretazione della crisi nazionale e della
difficoltà di uscirne.
Modificare
il sistema, imponendo di operare per Mario Rossi, è dovere del
governo, se vuole che l’Italia ricominci a respirare l’ossigeno
della libertà e di una relativa serenità.
Domenico
Cacopardo