Qualcosa di Massimo e
qualcosa di Silvio dietro il velo: Matteo Renzi all’attacco del cielo.
di alberto cacopardo
Adesso che Renzi è finalmente
riuscito nell’impresa, così tenacemente perseguita, di conquistare la guida del
più grande partito italiano, tutti sembrano aspettarsi da quest’uomo una svolta
finalmente decisiva, qualcosa di radicalmente nuovo.
Ora, non c’è dubbio
che per quanto riguarda il Pd e le sue dinamiche interne, Renzi rappresenti
davvero qualcosa di nuovo: è riuscito nella durissima impresa di accantonare un
nucleo dirigente che certamente meritava di essere messo da parte. Si direbbe
che abbia realizzato il sogno di Nanni Moretti a Piazza Navona, quando disse
che l’unica speranza era liberarsi una volta per tutte da quei signori. Ma
porterà davvero qualcosa di migliore?
Nel gran frastuono che ha
accompagnato il cambiamento, sembra quasi che ci si sia dimenticati delle vere
ragioni per cui quel nucleo dirigente aveva suscitato un così profondo
malcontento nell’elettorato del Pd e del centro-sinistra. L’essenza di quel
malcontento dipendeva tutta da questioni di orientamento politico, non certo
dall’età anagrafica
L’idea che in politica o sulla
scena pubblica l’età avanzata sia di per sé un difetto è semplicemente
ridicola. Basti pensare alla ventata di aria fresca che portò al Quirinale il
vecchio Sandro Pertini, o a quella che ha portato in Vaticano il
settantasettenne Jorge Mario Bergoglio, o al successo in California del
settantacinquenne Jerry Brown, o all’ondata di indignato entusiasmo che suscitò
fra i giovani tre anni fa il pamphlet dell’ultranovantenne Stéphan Hessel. E se
c’è qualcosa di veramente nuovo (nel bene e nel male) nella politica italiana,
questo è Grillo, che non è esattamente un fanciullino.
L’età non c’entra: se quei
signori ci disturbavano tanto, era per tutt’altre ragioni. Soprattutto tre.
Innanzitutto l’ottenebrata debolezza della loro reazione all’attacco di Silvio
Berlusconi, la loro incapacità di comprendere il carattere radicalmente
eversivo della sua costruzione politica, quello che uomini di ben altra stoffa,
per esempio Norberto Bobbio, avevano così lucidamente interpretato fin dai
primi anni Novanta. La pervicace insistenza con cui quei signori hanno dipinto
Berlusconi come l’esponente di un normalissimo centro-destra “moderato”,
anziché come l’estremista autoritario e facinoroso che era ed è tuttora, è
stata forse la più grave delle loro responsabilità. Ma non certo l’unica.
La seconda ragione per cui chi ha
occhi per vedere ha sempre diffidato di quella dirigenza è stata la sua supina
accettazione di tutti i dogmi del pensiero unico neoliberista in economia.
Sotto la loro guida, quello che era il centro-sinistra è diventato, quello sì,
un centro-destra moderato, pronto ad accettare tutti i diktat provenienti da
Bruxelles o da Washington, tutto quel colossale insieme di provvedimenti che
hanno stravolto l’assetto dei sistemi economico-politici d’Europa e di buona
parte del mondo, aprendo la strada alla grande recessione di cui soffriamo e
soffriremo a lungo i dolorosi effetti. E lo hanno fatto senza avere la capacità
di approfittare di questi cambiamenti per liberare il paese dal gravame dei
vecchi vizi che lo distinguono dal resto d’Europa, evasione, furbismo,
clientelismo e corruzione.
La terza ragione per cui quei
signori non ci piacevano era la loro politica estera. Anziché fare dell’Italia
quel che vorrebbe la sua vocazione naturale e costituzionale, una grande forza
di pace che, ripudiando radicalmente il ricorso alla forza, eserciti la sua
influenza per mediare i conflitti, comporre i dissidi e promuovere
riconciliazione, ne hanno fatto, soprattutto dal Kossovo in poi, la parodia di
una micropotenza militare, sempre pronta a mostrare muscoli inesistenti e ad
aggregarsi al carro del presunto vincitore.
Ora, c’è forse da credere che
Matteo Renzi, col suo attacco al cielo, possa portare un vero cambiamento su
questi tre piani?
Di politica estera si è sempre
occupato ben poco, tutto preso com’è sempre stato dai sinuosi giochi interni
della scena politica italiana, a livello locale o nazionale. Quello che di
sicuro ha capito bene è l’eterna, granitica norma di chiunque voglia accedere
al potere in Italia: non bisogna inimicarsi gli americani. E in questo, di
sicuro, c’è ben poco di nuovo.
Ma veniamo alla politica
economica. C’è da uscire dalla crisi. Cos’ha da dire Renzi in proposito? Ecco
cosa ha da dire, cito dal suo sito ufficiale: “Usciremo dalla crisi solo se
metteremo finalmente mano alle riforme strutturali di cui tutti parlano da
decenni e che invece stiamo ancora aspettando.” Una frase così dice tutto. Le
riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni. Quali? Quelle alla Tony
Blair e alla Margaret Thatcher, evidentemente. Perché non so di quali altre
riforme strutturali si sia parlato tutto questo tempo. E di quelle, veramente,
ne abbiamo avute fin troppe, in Italia e in mezzo mondo. Non solo: sono proprio
quelle che hanno causato i formidabili squilibri nella distribuzione della
ricchezza che sono all’origine della crisi che stiamo vivendo e di cui il bravo
Renzi sembra preoccuparsi ben poco, esattamente come i suoi predecessori. Il
suo Jobs Act avrà forse qualche merito, se ce ne vedono persino quei biechi
sovversivi di Maurizio Landini e Susanna Camusso, ma certamente, per esempio,
non ha il merito di ammettere un fatto molto semplice, riconosciuto ormai da
tutti i più avveduti economisti, a partire da Joseph Stiglitz: ciò che sta
strangolando le imprese e l’economia del paese è il vuoto di domanda. Il vero
problema non è il credito o il costo del lavoro, è che non si riesce a vendere
quello che si è capaci di produrre. E questo è dovuto sì alle politiche di
austerità, ma è dovuto soprattutto, a questo punto, ai bassi salari e alla
concentrazione della ricchezza. Non è soltanto una questione di “cuneo
fiscale”. E’ una questione di distribuzione del reddito. Finché non si
riconosce questa elementare verità, non si esce dal solco del pensiero unico,
come, in buona sostanza, non ne esce l’intero Jobs Act. Su questo piano, Renzi
non si allontana per nulla, almeno per ora, dalle logiche dei suoi
predecessori. Ci mette solo, forse, un pizzichino in più di fantasia. Ma di quella
era già maestro Silvio Berlusconi, e con quali risultati lo si è visto.
Ma c’è un altro colpo d’ala nel
pensiero economico renziano. Basta con l’austerity. Pochi se ne ricordano, ma
questo è proprio quello che aveva proclamato a gran voce Mario Monti, subito
dopo la sua famosa manovra. E lo aveva detto battendo il pugno sul tavolo in
Europa. Adesso Renzi ci aggiunge una preziosa precisazione: si tratta di
“superare il tre per cento”, cioè il famoso vincolo di Maastricht al disavanzo
in percentuale sul Pil. Proprio quello che il temibile Olli Rehn ci aveva
sonoramente intimato di non fare, appena qualche settimana fa.
E’ una mossa ardita, senza
dubbio. Non si sa bene come si concili con il concetto che “sacrosanto è lo
sforzo alla riduzione del debito”, che si ricava sempre dal suo sito ufficiale.
Ma non è questo il punto. Il punto è che una mossa del genere non è solo una
sfida aperta alla Germania, ai falchi della Bundesbank e di tutto il nord
Europa, al trattato di Maastricht e alla nostra Costituzione appena
malauguratamente modificata per impedire simili audacie: è soprattutto una
sfida ai potentati dei mercati finanziari. Per poter lanciare una sfida simile
bisognerebbe innanzitutto invocare quella profonda riforma del loro assetto che
impedisca a quei potentati di dettare legge ai governi nazionali. Ma di questo,
nei discorsi di Renzi, neppure l’ombra più vaga. In assenza di questo coraggio,
l’audacia di Matteo Renzi in questa materia ricorda soltanto l’avventatezza di
Silvio Berlusconi esattamente nello stesso senso. E con quali risultati lo si è
visto.
E veniamo al terzo punto.
Berlusconi, appunto. L’atteggiamento complessivo di Renzi nei suoi confronti
ricalca esattamente quello dei suoi predecessori. Ma forse in peggio, perché
non so quale dei signori della vecchia nomenclatura avesse, per esempio, la
faccia tosta di intrattenere rapporti così cordiali con un maestro d’inganni e
di frodi come Denis Nardini. Matteo Renzi ha di Berlusconi esattamente lo
stesso concetto di D’Alema. Non quell’estremista autoritario e obliquamente
facinoroso che è ed è sempre stato, ma un degno avversario da “battere
politicamente”, con cui va benissimo contrattare e concordare le regole del
gioco, oggi la legge elettorale, ieri la riforma della Costituzione. Andare a concordare
la legge elettorale con un simile figuro, appena condannato in via definitiva
per delitti contro lo stato, cioè contro tutti noi, è veramente un’idea
inconcepibile. Ma c’è poco da stupirsene: siamo esattamente nella logica dei
suoi predecessori. Infatti, a quanto pare, la cosa non ha destato nessuno
scandalo, solo sottili analisi politiche sulle segrete intenzioni
dell’ex-rottamatore.
Ma veniamo a concludere. Per
quanto detto fin qui, in Renzi non abbiamo trovato proprio nulla di nuovo.
L’essenza della sua linea politica non è altro che un travestimento del vecchio
pensiero del vecchio centro-sinistra.
Ma qualcosa di nuovo, ovviamente,
c’è. Innanzitutto quel carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La
capacità di affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’
una qualità tutt’altro che secondaria e superflua. Il problema è a quali fini
la si mette a frutto. In più, Renzi ha dimostrato finora un notevole intuito
politico. La capacità di cogliere i temi che di volta in volta gli possono
portare consenso, di capire da quali parti questo consenso può arrivare. Di
cogliere i punti deboli dell’avversario di turno. E così via. Tutte qualità
preziose in politica. Il problema è a quali fini si mettono a frutto.
Renzi ha qualcosa di D’Alema e
qualcosa di Berlusconi. E qualcosa non ha di tutt’e due. Di D’Alema non ha
l’antipatia e il profondo grigiore, di Berlusconi non ha lo sprezzo della
legalità e le televisioni. In comune con D’Alema ha la mancanza di una visione
del mondo, di un’idea nobile e alta della società che vogliamo costruire. Come
D’Alema, non ha una fede e non ha un ideale, ha soprattutto il proposito di
esercitare il potere. In comune con Berlusconi, oltre al carisma, ha il
proposito di un sistema politico a modello paterno, l’uomo solo al comando.
Renzi è tutto per l’elezione diretta di questo e quello (perfino del presidente
della commissione europea, un’idea degna di un Grillo). Il capo investito del
consenso popolare che esercita il potere nel modo più pieno possibile. Anche
questo concetto, peraltro, è tutt’altro che nuovo, risale a Cromwell e a
Bonaparte, con tutto quello che c’è stato in mezzo.
A differenza di Berlusconi,
tuttavia, Renzi si gioca tutto alle prossime elezioni, quando verranno. Se le
perde è finito, è naufragato il suo attacco al cielo.
Ebbene, staremo a vedere. Ci
auguriamo che non le perda, perché tutto il resto sarebbe peggio. Ma
soprattutto che, se le vince, si dimostri migliore di quel che ci è apparso
finora.
Post scriptum. Non si può tacere
della gloriosa battaglia sui “costi della politica”, l’emblema del “nuovo”
portato da Renzi. Ha già ottenuto, pressappoco, l’abolizione del finanziamento
pubblico ai partiti. E’ una cosa che, insieme alla famosa riduzione degli
stipendi dei parlamentari, sta tanto a cuore a tantissimi italiani. I quali
però non sembrano rendersi conto che le due cose messe insieme pesano per una
frazione irrisoria della nostra spesa pubblica, molto meno di un centesimo.
Pesano molto di più le tangenti e gli appalti truccati, che non hanno nulla a
che fare col finanziamento pubblico, la cui abolizione, semmai, rischia di
farli crescere a dismisura. Come non sembrano rendersi conto, quegli indignati
italiani, che l’alternativa al finanziamento pubblico è semplicemente il finanziamento
privato, che garantisce un enorme leva ai potentati economici che hanno i mezzi
per condizionare i politici. Diciamo che si tratta di una misura per lo meno
discutibile. Rientrano nel medesimo filone l’abolizione del senato elettivo e
la riduzione del numero dei parlamentari, due cose non irragionevoli, ma che di
per sé non garantiscono proprio nulla di radicalmente nuovo, checché ne pensi
Napolitano. Quanto all’altra gloriosa battaglia, quella sulla legge elettorale,
Renzi ha forse il merito di aver imposto finalmente una conclusione di
quell’epopea. Ma c’è da temere che non sia delle migliori. Propone il “sindaco
d’Italia” e il suo esatto contrario, il Mattarellum aggiustato, insieme al
sistema spagnolo riveduto e peggiorato, il contrario di tutt’e due. L’unica
cosa che hanno in comune è che Renzi può vincere con tutti e tre, o almeno così
crede lui. Ma questa è un’altra storia, su cui speriamo di ritornare.
Una analisi più che dettagliata
che mi vede perfettamente d’accordo col cugino Alberto, il quale.. ancora una
volta con puntiglio.. riesce a porre in discussione le problematiche del nostro
Paese attraverso una lucida critica su
alcune figure politiche oggi alla ribalta.
Più che giusta la sua
osservazione sull’età avanzata.. oggi valutata solo negativamente. Qualora si
pensasse che un vero cambiamento dovesse seguire per l’esclusiva via di una
freschezza generazionale, si farebbe un grossolano errore e si indicherebbero
strade errate. Appropriata anche la visione sui poteri occulti e sui potentati
economici che giocano oggi una parte determinante sull’assetto dell’economia
mondiale e che hanno sicuramente favorito la strada della grande recessione di cui
soffriamo e soffriremo a lungo. Non può inoltre sfuggire il tono indignato con
cui Alberto fa riferimento al gravame dei vecchi vizi che distinguono il nostro Paese dal resto
d’Europa: evasione, furbismo, clientelismo e corruzione.
In riferimento al giovane politico
Renzi.. non riesco, però, bene a comprendere.. come si concilia e dove può
risiedere un intuito politico …quando i risultati, come afferma lo stesso
cugino, potranno difficilmente
sortire un fine positivo.. insomma ..cosa ce ne facciamo del carisma e della
capacità di un uomo politico che si dimostra capace di catturare consenso..
quando, questo, può servire solo a trascinare emotivamente gli animi..Anzi si
potrebbe anche andare verso un peggioramento della difficile situazione.. se si
gioca ad ingannare chi è ormai stanco di essere preso in giro. ..Sappiamo bene
quanta gente vi sia nel nostro Paese, priva
di una conoscenza specifica sui temi sociali e gli argomenti della politica, che
continua a votare per immagine..facendosi ammaliare dalle capacità dialettiche
e di comunicazione dei tanti che, avendola studiana nel senso più deleterio, continuano a vendere fumo!
Dice bene Alberto quando
definisce quello di Renzi come un attacco al cielo..aggiungo io: un innalzarsi
verso l’onnipotenza con la forza di una ambizione che sembra toccarsi con mano..
dimostrata dal suo modo, spesso incoerente, di muoversi nelle diverse direzioni.
Promuovendosi in un dialogo con tutte le forze politiche, ma non assumendo posizioni
precise e determinate…Rimanendo spesso nel vago!
Per quanto concerne il suo Post
scriptum.. non posso non sottacere la stupida retorica con la quale oggi la
politica vorrebbe cancellare di colpo un finanziamento pubblico ai Partiti,
senza prima proporre un piano di riforma di questi contenitori di consensi, riflettendo con
maggior equilibrio su una ricerca appropriata che possa regolamentare tali
finanziamenti... oltre a diminuirli. Diversa e più giusta sarebbe una veloce e
fattibile riforma concernente la riduzione dell’onorario reso ai parlamentari.
Ringrazio comunque Alberto per
avermi dato la possibilità di poter dialogare attraverso un suo post che
arricchisce di più la bacheca del mio Forum.
vincenzo cacopardo