Come
tutti sappiamo l'argomento giustizia è un tema tra i più scottanti
che pone attriti soprattutto in politica inducendo spesso in contrasto gli stessi Partiti. Per l'occasione leggo con interesse (ma anche con attenta riflessione) le note riguardanti un editoriale di Piero Sansonetti
portatimi da mio fratello con il quale spesso mi scambio
sull'argomento magistratura e politica.
Il
giornalista del Dubbio Sansonetti ..con un passato in diverse testate
giornalistiche..nel suo editoriale dal titolo provocatorio ”lealisti
contro Davighiani” introduce l'articolo con un riferimento preciso alle
parole del Presidente della Repubblica Mattarella: la
giustizia non è la scena di un teatro. I magistrati non sono attori
e tantomeno attori protagonisti. Il magistrato deve essere imparziale
e mostrarsi tale. Altrimenti crolla la credibilità della
magistratura."
Prosegue
poi rimarcando il contrasto in essere tra una scuola di "populismo giudiziario" inconciliabile con lo "stato di diritto"..
sottolineando l'assalto da parte di alcuni PM rappresentanti il
suddetto populismo giudiziario (riferimento preciso a Davigo) che,
attraverso un certo moralismo, intendono contrastare una magistratura
definita “lealista” e cioè rispettosa della Costituzione..delle
leggi e della democrazia.
Al
di là delle parole di Mattarella che, pur rispecchiando il contenuto
di una logica, sembrano appartenere alla comune retorica
istituzionale, quello che più tocca è l'aspetto provocatorio
dell'articolo tendente in tutti i modi a voler mettere in
contrapposizione una certa magistratura(quella malsana) contro
l'altra (quella sana).. la magistratura che rispetta una Costituzione... da quella che non la rispetta, quella che esegue le leggi e la
democrazia... da quella che al contrario vi si oppone. Una analisi fin
troppo incompleta, disarmonica, e persino un pò ingiuriosa. Domandiamoci
invece quali leggi..quali anomalie costituzionali e soprattutto quale
democrazia malata ci impone la politica odierna. Possiamo davvero
definire democratica la società in cui viviamo? Possiamo sopportare
l'inettitudine di una politica malsana senza dare peso alle logiche
critiche che vengono da una parte di un corpo requirente delle
istituzioni.. costretto di continuo ad aprire inchieste anche per reati
discutibili?
"Non poteva di certo mancare il riferimento di un certo giornalismo verso il populismo". Credo che Sansonetti
dovrebbe prima domandarsi se certi magistrati siano o no legati ad
ordinamenti assurdi.. condizionati da leggi e normative obsolete e
discutibili... come lo stesso reato di abuso d'ufficio rimarcato dal
giornalista nell'articolo. Ma chi fa le leggi? Chi definisce le
normative?.. Se non la politica? Assurdo prendersela poi con il corpo
della magistratura o peggio.. con un preciso magistrato che si "permette" di metter in discussione l'inefficacia di una politica sulle
regole stesse di una giustizia!
Se
una certa politica, colpevole di non porre i giusti paletti
all'ordine giudiziario cominciando dallo stesso riassetto del CSM, si
sente poi in grado di criticare un certo modo di esercitare la
giustizia..non vedo per quale motivo il magistrato Davigo non possa
rappresentare una voce critica verso la politica..senza alcuna
predisposizione(come da lui stesso sottolineato) di voler assurgere a
qualunque carica esecutiva o parlamentare! Al contrario... usare la
figura del magistrato definendo la sua critica “populista” in
contrasto contro una magistratura descritta “lealista” ..può
finire col costruire ulteriori antagonismi all'interno stesso della
corpo della magistratura, non rendendo per nulla un favore alla
giustizia.
Sappiamo
tutti che nell'ordine giudiziario possano esservi figure che
commettono errori e che.. a volte.. potrebbero causare danni all'incriminato... ostacolando il fluido percorso di una inchiesta, come sappiamo anche che alcuni potrebbero essere
presi nell'agone politico e dal fervore di esporsi in TV . Sappiamo anche i guasti che si
producono dalla lentezza delle azioni civili nei tribunali, ma
perchè allora la politica non si muove attraverso formule normative
all'uopo e dirimenti?
Il
magistrato è anche un uomo..come lo è l'ingegnere.. l'avvocato.. il
medico etc ...perchè costoro pagano per i loro errori e non possono
pagare certi magistrati? Perchè non si creano i presupposti per
evitare tutto ciò?..E chi dovrebbe se non il ruolo politico
parlamentare? Perchè la politica si preoccupa di allungare una
prescrizione e non di fornire mezzi e risorse più adeguate per il difficile compito dell'ordinamento?
Sono
tutte domande logiche che lo stesso giornalista nel suo editoriale
trascura... ma che rappresentano il fondamento di una analisi più
equilibrata. Come del resto si evita in tutti i modi di mettere in
evidenza il perenne conflitto politico tra l'esecutivo ed il
parlamentare dovuto da una camera comune dei Partiti... volutamente non riformati e disciplinati .
Il
problema da sempre discusso della separazione delle carriere in seno
alla giustizia tra il giudicante ed il requirente, è sempre stato
posto come una soluzione indispensabile per sciogliere il nodo di un
possibile compromesso fra i due ruoli della giustizia. Lo stesso
problema, rapportato alle differenti funzioni della politica, non ha
mai acceso una utile e costruttiva discussione in proposito... E così nella
politica i conflitti paiono perseverare portando la stessa
magistratura ad aprire inchieste su reati come abuso d'ufficio,
falso.. o altro..ed occupando il loro tempo prezioso oggi mancante. Così si
genera quell'”impazzimento” cui fa riferimento lo stesso
Sansonetti che si stupisce di una magistratura che in seguito
definisce comodamente “populista”.
L'argomento
in proposito potrebbe essere sostenuto da altre considerazioni, ma
finirebbe col rendere questo post fin troppo lungo e pesante...potremmo
chiudere con quel detto: “chi è causa del suo mal..” dove nel
caso specifico la causa del male è proprio una classe politica
scadente ed incapace di imporre le giuste regole e delimitare quei giusti spazi tra i poteri!
Ieri il Presidente della Repubblica, da tutti considerato giurista e intellettuale prudente e moderato, ha scagliato alcune frecce acuminate contro i protagonisti della giustizia spettacolo. Ha detto con la sua aria soave parole rabbiose: la giustizia non è la scena di un teatro. I magistrati non sono attori e tantomeno attori protagonisti. Il magistrato deve essere imparziale e mostrarsi tale. Altrimenti crolla la credibilità della magistratura. Il Presidente della Repubblica non indicava un pericolo “teorico”. Piuttosto biasimava una realtà, grave e preoccupante: quella di un pezzo di magistratura, molto aggressivo, che concepisce il proprio lavoro non come un servizio allo Stato e alla comunità, ma come una forma di militanza politica ed etica. Lealisti contro davighiani Ci sono due magistrature
Naturalmente Sergio Mattarella aveva in testa un cognome e anche un nome: Davigo Piercamillo. Il quale ancora recentemente si è distinto, in Tv, per alcuni numeri di buona scuola di populismo giudiziario, in contrasto aperto e inconciliabile con lo Stato di diritto.
La partita ora è formalmente aperta. Da una parte la squadra dei Pm d’assalto ( e con loro, purtroppo, anche alcuni giudici, tra i quali lo stesso Davigo che è Presidente di sezione della Corte di Cassazione), dall’altra la magistratura, diciamo così, “lealista”. Cioè leale alla Costituzione e rispettosa delle leggi e della democrazia.
Finora la magistratura “lealista” è sempre stata un passo indietro, anche perché restia, appunto, a far spettacolo, a diventare protagonista. E la sua consistenza è stata sempre nascosta dall’attivismo dei Pm d’assalto, spalleggiati da alcuni giornali e da alcune reti televisive ( o addirittura “padroni” in quei giornali e in quelle Tv). La frustata di Mattarella forse cambierà le cose. E finalmente sarà possibile aprire un dibattito vero, e dire – senza essere accusati di complicità con la malavita – che diritto e moralismo non sono parenti.
A questo punto, rincuorati dall’uscita coraggiosa del Presidente della Repubblica, vorremmo porre un altro problema, del quale sin qui era permesso parlare solo sottovoce. E cioè l’ingerenza della magistratura, attraverso il suo potere, nella lotta politica. Che è un problema legato, anzi legatissimo, alle questioni sollevate da Mattarella. L’obbligo di imparzialità del quale parla il Presidente, evidentemente, è anche obbligo di non considerare il potere inquirente come uno strumento per modificare i rapporti di forza nell’agone democratico. In questi anni abbiamo assistito a decine e decine di invasioni di campo. Che hanno permesso a singoli Pm, molto spesso, di rovesciare amministrazioni comunali, regionali e governi. In tanti modi. Da qualche anno – come spieghiamo bene nell’articolo di Errico Novi a pagina 7 – il reato di abuso d’ufficio è diventato una specie di grimaldello per forzare l’indipendenza del potere politico ( democraticamente eletto) e controllare in modo pressoché assoluto le scelte degli enti locali e delle regioni. E intorno all’abuso d’ufficio si riescono a configurare anche altri tipi di reato, spesso molto improbabili, come quello di truffa.
L’ultimo caso è stato quello del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, da tutti – amici ed avversari – sempre considerato uno specchio di moralità. Anche a lui è toccato l’avviso di garanzia. Così come è toccato, negli ultimi sei o sette anni, a tutti gli amministratori che comunque abbiano preso alcune iniziative politiche per governare e aiutare lo sviluppo nei territori che li hanno eletti. Un signore, o una signora, che venga eletto sindaco, o presidente di Regione, oggigiorno ha due scelte: la prima è quella di restare del tutto immobile, rifiutandosi di firmare qualunque atto e di assumere qualunque misura di sostegno all’economia. E vedere il proprio comune, o la regione, deperire. La seconda possibilità è quella di chiamare un avvocato che lo difenda dall’inchiesta per abuso di ufficio che sarà aperta contro di lui in tempi molto rapidi.
È chiaro che non si può andare avanti così. Altrimenti sarà impossibile frenare il declino del nostro paese. E anche evidente che l’uso a pioggia dell’abuso d’ufficio è una delle cause della lentezza con la quale l’Italia si sta riprendendo dalla crisi.
Come si può fermare questo impazzimento? Deve intervenire la politica, e riformare l’abuso d’ufficio. Però non è facile trovare in Parlamento chi abbia il coraggio di affrontare il tema e sfidare la magistratura davighiana, e i giornali davighiani, e le Tv davighiane. Forse dovrebbe essere proprio l’ala lealista della magistratura a porre il problema. Voi dite che è una illusione? Chissà, magari il vento sta cambiando e la ragione inizia a fare capolino tra i turbini neri del populismo.