9 ott 2014

Arroganza governativa... e ricorrenti anomalie


di vincenzo cacopardo
Anche questa volta le regole della Costituzione...che dovrebbero sapersi leggere ed osservare ai fini di un servizio democratico, vengono calpestate nel silenzio assoluto del presidente del Senato che appare del tutto asservito ad un sistema in cui l'unica intimazione è quella governativa.
Salta fuori dal cilindro del governo una legge delega in bianco alla quale viene persino posta la fiducia!..Non essendo un costituzionalista non posso permettermi di entrare nel merito oltre il dovuto... Tuttavia l'evidenza di tale anomalia suona logica rispetto agli articoli del testo costituzionale.

Sappiamo che la costituzione all'art 76 recita: L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.” Al di là dei tempi che non possono per nulla definirsi limitati.. in considerazione del lungo iter che, per la sua definizione, farebbe intendere almeno dodici mesi (tempo che potrebbe far cambiare ogni assetto governativo), quello presentato dal primo ministro... non sembra nemmeno essere un “oggetto definito” . Non vi sono infatti..principi o criteri ed il tutto risulta offuscato da una grande approssimazione.

La Costituzione, per poter dare al governo la possibilità di studiare proposte, all'articolo 72, prevedendo i relativi “disegni di legge”.. recita:Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza.” Un articolo, questo, promosso per poter dare spazio ad una attività governativa, permettendo di favorirne le iniziative: La nostra Carta prevede i disegni di legge, ma lascia sempre ogni compito legislativo a chi ne ha il potere, non potrebbe mai permettere ad un governo alcuna delega in bianco su un'attività legislativa che compete solo al Parlamento.

La razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, mediante abrogazione di norme, connesse con la Costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro... come appare scritto nel nel max emendamento su cui il governo chiede la fiducia al Senato, risulta quindi un ulteriore singolare pasticcio voluto da Renzi: Figura altera ed arrogante.. a cui oggi tutto pare essere permesso.

Si pone la fiducia su un testo che in realtà non c'è! Siamo nello spazio di una legge delega, quella del “Jobs Act”, che deve autorizzare il governo a procedere su norme precise assunte tramite decreti, ossia "decreti delegati". Questa oltre ad essere una stravaganza, è una procedura contraddittoria e lesiva!

Se proseguiamo col testo della Costituzione ci accorgiamo che l'articolo 77, quello che regola la questione dei decreti-legge, ovvero che stabilisce che possono essere emanati "In casi straordinari di necessità e d'urgenza" - "Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria".
Hanno sorpreso sicuramente in positivo.. durante la seduta al Senato... gli interventi della Lega Nord, che ha esordito nel merito..ponendo l'accento in modo specifico e con nitidezza.. sugli articoli della Costituzione.. al cospetto dell'Aula ed in direzione di un (distante)... Presidente Grasso.

Cosa possiamo invece ancora aspettarci da chi governa con tale determinismo ed approssimazione? Possiamo davvero credere, ad esempio, che la signorina Boschi possa davvero capire lo scopo ed i valori di una costituzione, quando ad ogni domanda. .. pare ripetutamente rispondere che il governo è riuscito a dare 80 euro ed a prendere il 41% dei consensi?... Sorprende di più..per non dire stupisce, il silenzio assordante del nostro Presidente della Repubblica, il quale, anche nella qualità di garante della Costituzione.. sembra dimenticare e sottomettersi al volere dei poteri di un'Europa ormai priva di altri argomenti al di fuori di quelli in favore di un premier e della sua risoluta marcia di un fare generico ed assoluto ...

Il ricatto su questo voto di fiducia del governo, è lampante!.. Una frattura evidente della democrazia parlamentare!. Solo la costante assenza e l'ignoranza dei cittadini può essere giustificata, ma non certo quella dei componenti del governo più assoluto di tutta la storia delle istituzioni.
Si deve correre in fretta da fraulein Merkel con la solita vendita di aria fritta!...l'Importante è quel “fare faceto” ..privo di ogni logica e sfacciato nei confronti di una Costituzione ormai umiliata.



7 ott 2014

Francesco e Matteo: uniti nella comunicazione... divisi nell'approccio..


di vincenzo cacopardo
Papa Francesco ribadisce che il lavoro è un diritto fondamentale e l'accesso al welfare deve essere per tutti. Quelle del Pontefice sono le parole chiare che arrivano dopo l'attacco di monsignor Nunzio Galantino, al giovane premier Matteo Renzi. Con queste sue parole il Papa apre un dibattito politico.. nel momento in cui interviene parlando di diritto fondamentale al lavoro..come di una risorsa essenziale per la stessa dignità di ogni uomo... per la formazione della famiglia e l'affermazione del bene comune.

Bergoglio parla di diritto sociale che non può più dipendere dalla forza dei mercati finanziari....ci parla di giusta distribuzione dei beni per il raggiungimento di una giustizia che ci appartiene come diritto ...ci parla di vita politica, intesa come gestione della “res publica”...ci parla di un'economia a servizio dell'uomo e dei beni comuni.. ci parla di tutela dei diritti del lavoro...ci parla di una democrazia partecipativa...etc...come dargli torto quando la sua opera evangelica si basa costantemente su questi comuni valori?

Il problema sta nel fatto che il buon Papa, da cristiano pastore della Chiesa cattolica.. afferma principi sani e valori da ritrovare, dando sempre più forza al suo verbo....mentre le società.. nel mondo intero,... non riescono mai a risolvere tali problematiche. Il sistema sembra ormai avvolto su se stesso e tende ad implodere senza riscontri positivi verso le soluzioni comuni più utili per via delle veriegate problematiche contingenti. Il Papa esercita il suo diritto attraverso il verbo cristiano e si esprime con cognizione di causa da vero pontefice...poichè rimane pastore della Chiesa. La sua è una visione chiara, ma la politica globale pare viaggiare con la forza di altri parametri.

Per il Pontefice si tratta di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà, poiché si rimane consapevoli che le povertà, finiscono col mettere a rischio ogni sistema di democrazia partecipativa. Pur non sottovalutando i pericoli di una globalizzazione Francesco stigmatizza l'importanza di doverla orientare in senso positivo e per il bene dei popoli....ma tra il dire ed il fare la distanza rimane difficile da colmare.

Detto questo...quando si ascolta il nostro Pontefice..a volte.. si ha la sensazione di una somiglianza nel modo di comunicare vicina a quella di Renzi.. Ma cosa può differenziare la comunicazione di Papa Francesco con quella di Matteo Renzi?

Francesco sembra aver cambiato le regole della comunicazione alla stessa maniera di come lo ha fatto Il sindaco d'Italia,...Renzi telefona direttamente alle persone, invia twitt. manda mail alle madri e telefona loro, si fa fotografare insieme, mangia gelati in pubblico..etc.. come spesso usa fare il Pontefice.. ma vi è una sostanziale differenza.... Una diversità che sta nell'umiltà di affrontare il dialogo ed i relativi problemi connessi: - Mentre Papa Francesco, se pur evangelicamente, si esprime con rispetto ed umanità nei confronti di una società che dovrebbe cambiare, e da Pontefice non potrà mai entrare nel merito delle soluzioni.... Renzi, da presidente di un governo.. comunica solo e limitatamente interpretando i desideri di un paese, continuando a non risolverli…Francesco va diritto nel cuore delle persone con umiltà e senza alcuna ipocrisia..il giovane premier ostenta un linguaggio assoluto esprimendo una supponenza oltre limite..

Franceso ci parla di “parresia” come termine essenziale che assume un significato che va oltre e che vuol dire... riconoscere a tutti i cittadini la libertà di prendere la parola nelle assemblee pubbliche.. come si usava fare nella antica democrazia greca... Al contrario Renzi, nelle sue riforme istituzionali, sembra assai poco affetto da qualunque parresia al punto di voler chiudere ed ingabbiare la nostra democrazia in direzione di un bipartitismo che taglia netto ogni dialogo col popolo.
Malgrado la loro simile comunicazione..una diversità che potremmo definire...sostanziale.
L'umiltà..in un certo senso.. è insita in un concetto di democrazia e vince sempre sulla superbia





"UN CAMBIAMENTO TROPPO SISTEMICO CHE NON GENERA CRESCITA" di vincenzo cacopardo



Scrive il cugino Domenico su Italia Oggi...
« La sensazione che si ricava da qualche breve colloquio col personale di governo è quella di un caos incontrollato. I provvedimenti da approvare sono in sostanza due, il jobs act al Senato e la legge di stabilità in consiglio dei ministri. 
Manca un regista. Un punto di riferimento che monitorizzi la scrittura delle norme, la discussione preliminare, l’individuazione dei nodi politici e delle soluzioni. La presidenza del consiglio ipertrofica, messa insieme da Matteo Renzi con gente di varia, e non tutta brillante, estrazione opera in modo scoordinato e avventurista. 
L’istituto intorno al quale si sono costruite le fortune e le sfortune dei vari gabinetti, il preconsiglio, composto dai rappresentanti tecnici di tutti i ministri è stato abolito. Era il luogo dove si discutevano le proposte di legge prima che andassero nel consiglio, quello vero e legittimato a decidere. Era presieduto dal sottosegretario alla presidenza-segretario del consiglio dei ministri. Leggendarie alcune figure, da Giuliano Amato a Gianni Letta, capaci di arare il terreno sino in fondo, in modo che quando le questioni erano sul tavolo del «premier» e dei suoi ministri c’era solo da dire «Sì, il testo corrisponde alle intezioni del governo».
Non è solo questione di persone, naturalmente, ma è anche questione di persone, visto che al consiglio dei ministri arrivano provvedimenti che nessuno ha esaminato, spesso in semplice cartellina o scaletta. 
L’Italia ha una quantità e una qualità di problemi tali da esigere riflessione e capacità tecnica e politica.

Certo Matteo Renzi corre da tutte le parti: da Assisi a Termini Imerese, da Detroit a Brescia. E rappresenta in questo modo la propria volontà di essere vicino al corpo elettorale, per tranquillizzarlo e spingerlo alla fiducia. E parla in continuazione, spesso smarrendo il filo della coerenza. I risultati significativi che ha raggiunto sono politici e sembrano, purtroppo, effimeri. La minoranza del Pd, maggioranza nei gruppi parlamentari, diventa condizionante e mostra come sia mancato un secondo tempo, dopo l’elezione del segretario l’8 dicembre 2013: il tempo del consolidamento del nuovo «leader» nella propria «leadership» con la scelta accurata di collaboratori e di responsabili dei vari uffici.

La medesima rottamazione del personale excomunista ed exdemocristiano s’è arrestata, tanto che, per risolvere il problema del commissariamento dell’Inps, si è dovuti ricorrere a una degna persona, Tiziano Treu, grande esperto di area Cisl, che, però non corrisponde all’«identikit» anagrafico disegnato da Renzi e dai suoi stretti collaboratori, il «giglio fiorentino» che lo circonda, lo protegge e ne interpreta le intenzioni.
Oggi, assisteremo all’incontro governo-sindacati: un’esibizione mediatica nella quale Renzi farà la parte del riformatore che si batte contro il conservatorismo del sindacato stesso.
Ma mercoledì, al vertice europeo di Milano, potremo valutare le dimensioni dello scoglio che l’Italia incontrerà nella sua decisione di superare il deficit del 2014, concordato nel 2,2%. Un pessimo segnale è la notizia che la Merxel e Renzi terranno, al termine conferenze stampa separate. Vuol dire che, a oggi, l’area del dissenso è così vasta da non poter immaginare un possibile compromesso, un punto di incontro che non smentisca nessuno e lasci qualche margine di movimento agli italiani.

A questo va aggiunto –e ben più importante- lo stop ricevuto da Mario Draghi che, nell’incontro del 3-4 scorso a Napoli ha dovuto operare una riconoscibile marcia indietro nel suo progetto di ampliare i cordoni della borsa della Bce, finanziando direttamente il debito degli stati.
Questa scappatoia non è per il momento disponibile.
Le speranze riposte nel ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sono impallidite, oscurate dall’attivismo un po’ sconclusionato di Renzi che ha riportato a sé e al suo «staff» di esperti, dalle qualità tutte da scoprire, la regia della politica economica.
Una cosa nient’affatto rassicurante, visto il modo di procedere.
Non ci resta che aspettare la fine del mese, l’addio della vecchia Commissione europea, che fra il 29 e il 30 dovrebbe indicarci in modo cogente la stretta via da seguire, e l’insediamento della nuova che promette di porre al primo punto la ripresa e al secondo un massiccio investimento in infrastrutture (in Italia dovremo chiedere il permesso alle regioni, ai Black-block, agli anarchici e quell’esempio di nuova politica che è il sindaco di Messina, Accorinti, vincitore delle elezioni con la lista Noponte).

Insomma, abbiamo ancora qualche giorno per alimentare un’immotivata speranza.»
domenico cacopardo


Mi domando cosa ancora dobbiamo aspettare?. Sembriamo insensatamente seduti sulla riva del fiume aspettando in cadavere del nostro Paese.. sempre più attaccati all'effimera speranza di non vederlo mai arrivare...

Il cambiamento che avremmo voluto e desiderato affinchè si potesse in qualche modo contenere nei limiti il defoult della Nazione non poteva mai affrontarsi come pretende di fare.. in modo assoluto.. Renzi. 

Il cambiamento deve per forza essere rivoluzionario e di idee...non sistemico.. ma anti-sistemico in senso innovativo! 
Il sindaco d'Italia persevera con riforme che aiutano chi è dentro il sistema aumentando le buste paga di chi un lavoro lo ha già (vedasi gli 80 euro ed il TFR)... dimenticando quasi intenzionalmente chi un lavoro non può averlo o chi sopravvive con misere pensioni..si scorda di spingere verso la crescita favorendo nuove iniziative e rimane inerte verso il lavoro delle libere professioni. Il suo ipocrita modo di procedere sembra studiato per amicarsi ed assicurarsi il consenso di tutta quella parte di lavoratori dipendenti che possono oggi usufruire di un posto di lavoro. Il suo è un percorso studiato per tenersi stretto un consenso nella eventualità di nuove elezioni.

La lettura non sarebbe difficile... se appena si volesse guardare con attenzione la strada determinata di un premier, simulata da un conformismo, costantemente diretta a beneficio di quella classe lavoratrice che può assicurargli la sicurezza di un consenso.

Ma la sostanza è quella che lascia intravedere ovunque una totale mancanza di lavoro... per cui ogni regola nel merito (se pur ostentata attraverso le regole un «job act») non potrebbe mai portare alcuna crescita... e comunque mai quella di cui avrebbe bisogno il nostro Paese. L'edilizia è al palo già da anni ed il sud precipità nel più profondo buio...le aziende ancora in piedi...molto spesso non hanno commesse ed il costo del lavoro rimane altissimo... quale crescita potrà mai esservi senza le nuove idee in tal senso?
vincenzo cacopardo

6 ott 2014

Quale verità sull'Ucraina?

"Non abbiamo ancora una verità certa sui fatti dell'Ucraina..ma una serie di dubbi ci inducono a pensare"

di vincenzo cacopardo

Sappiamo che... poco tempo fa... attraverso un referendum, si è votato a favore dell'indipendenza della Crimea dall'Ucraina, sancendo il passaggio della regione alla Federazione russa. Se i mercati non si sono curati del dramma ucraino non allarmandosi più di tanto per la Crimea, è perché sanno che la vera potenza vittoriosa è rimasta quella Americana. Una faccenda ambigua che ha portato conseguenze nello stesso paese ucraino. Sono in tanti ormai a pensare che tutti i guai dell’Ucraina sono nati per mantenere in vita la Nato e tutto il loro apparato militare... a premere sui confini per generare l’ingresso in Europa dei paesi dell’Est come un atto in contrasto alla Russia. Sembra che nella stessa Crimea vi siano stati inni di gioia e qualche disapprovazione, ma il passaggio della Crimea alla Russia rimane comunque un dato di fatto. Mosca ha sempre dichiarato legittima la dichiarazione di indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea ed ha evocato in proposito lo statuto dell'ONU.

Vi sono ancora province orientali in ballo nella zona vicina all'Ucraina e non è facile capire se Mosca si contenterà solo della Crimea o se non aiuterà queste in una lotta che vede oggi gli Stati Uniti fare il necessario per assicurarle all'Ucraina. Comunque voglia leggersi questa storia, se analizziamo gli eventi accadut a Kiev il giorno della fuga di Janukovich ( piazze in allarme occupate dai manifestanti europeisti per un appoggio occidentale, la prodiga reazione dell'Europa della Merkel ed in particolar modo.. il sostegno americano), ci accorgiamo come di contro, da parte di Mosca... vi sia stata una evidente scelta democratica degli abitanti attraverso il ricorso ad un referendum che non può lasciare alcuno spazio a pensieri diversi o subdole pretese.

Naturalmente il coro dei media occidentali ha imputato alla Russia un atto di aggressione militare invocando sanzioni dichiarando che era insostenibile appoggiare un presidente ucraino che rifiutava di portare il paese in Europa, il tutto in un sostegno più che apprezzabile da parte degli Stati Uniti che a loro volta dichiarano di aver investito miliardi di dollari negli ultimi vent’anni per dare all’Ucraina un futuro memorabile...

Ma cosa è accaduto davvero?...Sembrano volersi volutamente nascondersi alcuni fatti essenziali avvenuti a febbraio quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.

Di sicuro in quella data, a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le forze di opposizione, ma la notizia pare essere smentita e poi... come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno. Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di Janukovich.

Appare certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est: - Si parla di una fuga di Janukovich prima della sua destituzione per paura di fare una brutta fine.

Chi ha vinto e chi ha perso?
L'america che ancora una volta ha voluto subdolamente imporre la sua supremazia anche al di là di ogni interesse monetario?...o la Russia.. che in qualche modo ha voluto dichiarare il suo sdegno di fronte alle posizioni territoriali che meno competono agli Stati Uniti e persino alla giovane Europa?.

Un dato di fatto pare certo: il nostro governo con la costante ipocrisia che lo accompagna..si è accodato in tutto e pertutto ad una politica estera di un paese come l'America..il quale ritiene ancora indispensabile l'uso della forza per imporre la sua supremazia in ogni angolo del mondo e che ci ha portato in una lotta che peserà ulteriormente sulle casse dello Stato per via delle sanzioni (vedasi aumento gas e energia elettrica) imposte come risposta dal paese Russo. Ma che ci coinvolge anche in azzardosi conflitti che potrebbero immettere nel nostro paese un pericoloso terrorismo .







5 ott 2014

un appunto sul nuovo articolo di domenico Cacopardo


LE PICCOLE MANOVRE di domenico cacopardo

I tempi delle grandi manovre politiche e militari è terminato con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico. Restano quelle economiche che, per esaurimento di margini, stanno diventando «manovrine».

La medesima ascesa al governo del Paese di Matteo Renzi è il piccolo frutto di una piccola operazione interna al Pd, le primarie. A esse hanno partecipato 2.814.881 persone, compresi gli extracomunitari (cioè privi di cittadinanza), su un elettorato complessivo di 50.449.979 (Camera dei deputati). Renzi ha ottenuto il 67,5% dei voti.

Insomma, tanto per chiarire, i partecipanti alle primarie rappresentano meno del 5,57% degli elettori (vista la partecipazione di extracomunitarti) e i voti di Renzi ammontano a circa 2.390.000 unità, pari al 4,7% degli elettori complessivi.

Su questi numeri è fondata la pretesa del capo del Pd, accolta da Napolitano, di assumere la direzione del governo senza passare attraverso una consultazione generale. 

Questo la dice lunga sull’emergenza nazionale, sugli errori del presidente della Repubblica, che dal luglio 2011, ha perso la bussola democratica che dovrebbe orientarne le decisioni, sul precoce ruolo affidato all’exsindaco di Firenze e sul gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

Non si tratta di poca cosa, visto che l’approccio sbagliato con l’Unione europea, nella fase di ricambio della Commissione, ci costerà, comunque, caro. Tanto per chiarire le responsabilità che ricadono sul «premier» e sul partito che lo ha espresso, si trattava di una occasione storica, unica per tempistica e contenuti.

L’Italia aveva un giovane primo ministro, in qualche modo vergine di un passato di flebili distinguo e di sostanziali accondiscendenze, che aveva ottenuto un insperato successo nelle elezioni europee. Nell’equilibrio continentale, se i socialisti avevano perso, i socialisti italiani avevano conquistato con i numeri la maggioranza relativa del loro gruppo parlamentare e una forza ineguagliata. Era il momento in cui dovevano essere posti sul tappeto i problemi che risultavano irrisolti e dannosi per gli interessi dell’Italia.

Già, è inutile illudersi: a Bruxelles ognuno fa i propri interessi nazionali. Ho visto la Commissione bloccata per due mesi da Margareth Tathcher per una questione di una valore complessivo, in lire, di 200.000 milioni. Ognuno negozia sino alla morte, sapendo che la regola dell’unanimità costringe tutti ad ascoltare le ragioni di tutti. Anche la Merkel, affrontata con la giusta decisione, i giusti numeri nei dossier, deve ascoltare e, se necessario compiere marce indietro.

Ma il nostro primo ministro non ama i numeri. Non ama i documenti. Non ama gli esperti. Non ama coloro che, essendo più vecchi di lui, conoscono il gioco e possono dargli utili suggerimenti. Potrebbero essere testimoni diretti dei suoi errori.

C’erano da ridefinire i confini della politica monetaria della Bce. Si tratta di confini che impediscono alla banca di operare come la Federal Reserve, come la Banca d’Inghilterra o del Giappone. 

Come disputare un incontro di boxe con un braccio legato dietro la schiena.

C’era da discutere il coordinamento delle politiche fiscali, per impedire il dumping, in cui sono specializzati l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo.

C’erano da stabilire le linee del grande piano infrastrutturale che avrebbe rimesso in moto l’industria del «Bâtiment», delle costruzioni cioè, quella a più alta intensità di mano d’opera che si conosca, e nella piena disponibilità degli stati, visto che altri strumenti, in un’economia di mercato, non ci sono.

Gli sciocchi che protestano chiedendo lavoro, gli ultimi «in maschera» a Napoli, chiedono, in realtà «posti» dello Stato, pagati dai cittadini senza alcun impegno di «lavoro». Insomma, pretendono il riconoscimento del diritto di essere parassiti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo anche a sua santità Francesco I che non ci può essere lavoro senza produzione, distribuzione di denaro senza creazione di ricchezza.

Quindi, il programma infrastrutturale europeo, la cui dimensione iniziale non doveva essere inferiore ai 500 miliardi di euro, invece dei 300 di cui si parla, avrebbe mobilitato mano d’opera diretta e indiretta, fertilizzando le economie europee, a corto di idee e di risorse. C’era infine il capitolo «avanzamento dell’integrazione», col superamento della bocciatura della Costituzione del 2003, e la definizione di una serie di passi in avanti sulla via dell’Europa politica. Quell’Europa politica che potrebbe essere la risposta più efficace ad alcuni dei problemi esistenziali che ci affliggono.

Tutto questo è mancato da parte italiana. Altri, come Hollande, sono afflitti da nanismo politico. Altri ancora, sono semplici satelliti dell’egemone Germania, portata sempre, almeno negli ultimi tre secoli a strafare, conquistando una primazia ch’è sempre finita per essere un boomerang.

Ci sono i tempi e gli spazi per rimediare ?

In politica non è mai troppo tardi : ci vogliono uomini che sappiano usare numeri e argomenti.


 IMPRUDENTE  "DEUS EX MACHINA"  ..PIU' AVVENTATO CHE TEMERARIO

Ci vogliono anche idee..idee sane e costruttive al fine di far funzionare...non basta un determinismo!

I temi sociali sono delicati e non possono certo affrontarsi con questa prosopopea...nè attraverso una riduttiva semplificazione...Sarebbe utile maggior umiltà e meno chiacchiere!

In tutto questo..quello che più sorprende (come giustamente sottolinea Domenico) è l'atteggiamento del nostro Presidente della Repubblica, il cui affidamento totale alla figura del giovane sindaco d'Italia... difficilmente può più essere giustificato. Il nostro Presidente Napolitano, con tutto il rispetto che gli si deve, ormai è corresponsabile del gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

L'affidamento “tout court” al giovane premier fiorentino che giorno per giorno si espone in una comunicazione fuori dalla realtà, rimane oggi per Napolitano un'arma a doppio taglio, rischiando ormai di fargli perdere ogni consenso ricevuto nel passato. 

Il sindaco d'Italia, grazie all'appoggio del Capo dello Stato, si presenta oggi come il “deus ex machina”

Sappiamo che nel teatro antico ogni situazione la più ingarbugliata, ogni intreccio che aveva tenuto col fiato sosteso lo spettatore, veniva alla fine sciolto dall'improvviso apparire di un nume(deus), calato in scena mediante un congegno meccanico(ex machina) per risolvere ogni cosa in nome del lieto fine. Se il ricorso a questo sbrigativo espediente, dal punto di vista artistico, è una dimostrazione di debolezza creativa, dal punto di vista politico.. in una democrazia, è l'errore peggiore. 

La locuzione deus ex machina è comunque rimasta per indicare una persona che riesce là dove altre hanno fallito o un'azione che sblocca una situazione difficile. Nel caso di Renzi è chiaro che la situazione difficile da risolvere resta quella governabilità, ma è tanto misero ...quanto insensato poter pensare che un qualunque “deus ex” machina” possa oggi risolvere un problema di governabilità, senza prima risolvere altri principi che possano accompagnarla funzionalmente. Né.. si può mai pensare che da solo si possano dirimere la montagna di problematiche esistenti attraverso un risoluto determinismo ed una ostentata semplificazione...

I risultati sono più che evidenti e non mancheranno ulteriori problematiche che per effetto del conseguente abbrivio, arriveranno.
vincenzo cacopardo

i dolori del giovane Renzi

di paolo Speciale

La vicenda politica del nostro premier vede il suo protagonista inquieto e spesso solitario leader di un partito che continuerà ad autodistruggersi sino a quando si ostinerà a considerarlo non già figlio del tempo, quanto anche e soprattutto un male necessario per accumulare voti o, peggio, tessere.
Sarebbe un grossolano errore dimenticare che non è Renzi il primo Presidente del Consiglio incline ad attuare strategie di indirizzo politico di tipo terapeutico ispirate dalla contingente situazione socio-economica e non proprio in linea con datate ideologie di base, parimenti sostenibili – con identica se non maggiore efficacia –comprendendone appieno la naturale storica evoluzione, insieme ai nuovi diritti e valori che ne derivano e che non vanno certo revocati o negati, ma riconosciuti e trattati in maniera diversa, poichè essi stessi sono cambiati.
Giova qui ricordare che già trenta anni fa, solo contro tutti, Bettino Craxi vinse una consultazione referendaria abrogativa del decreto del febbraio del 1984 – detto di San Valentino per il giorno in cui fu emanato – che bloccava la scala mobile e che puntava all'ambizioso obiettivo – poi raggiunto- di ridurre una inflazione che uccideva ogni giorno di più una economia già sul letto di morte.
Le pregiudiziali lotte di classe – da fare ad ogni costo - in tempi di crisi globale nascono dalla irresponsabile consapevolezza di non saper considerare ogni grave recessione alla stregua della “livella” del principe De Curtis, dove a creare la disoccupazione è sia l'imprenditore che non può assumere sia l'operaio che non può lavorare.
Ciò premesso, non credo che la semplice abolizione del famigerato art. 18 possa contribuire ad una presunta “liberalizzazione” del mercato del lavoro con conseguente ripresa della produzione e dell'economia; anzi, poiché non vi attiene proprio, più utile sarebbe intervenire nel testo con emendamenti strutturali che non solo ne estendano l'efficacia a tutti i  lavoratori senza l'incostituzionale differenziazione – generante una inaccettabile diseguaglianza – del numero dell'organico, ma lo rendano finalmente ed inequivocabilmente avulso dalla querelle sul welfare.
E tuttavia questa convinzione non mi impedisce di considerare prioritario il recupero e la giusta valorizzazione dei presupposti fondamentali presenti in ogni rapporto di lavoro, che passa per il superamento una volta per tutte della restrittiva semplicità del principio secondo il quale uno o più licenziamenti possano costituire la chiave di volta per un'azienda che, se già soffre, non attenuerà di certo il proprio malessere mandando a casa le maestranze.
Soltanto pochi, oggi, si rendono conto delle vere priorità: e sono gli stessi che cercano di sfondare i muri di gomma fatti di tesi preconfezionate, spesso collegate ai cosiddetti “poteri forti” di cui colpevolmente i sindacati si sono fatti parte integrante, distruggendo un'immagine dialettica di confronto - che almeno nel 1984 c'era - di cui per prima la storica controparte , cioè il governo, oggi sente più di altri la mancanza.
E sono anche questi i dolori del giovane Renzi.






4 ott 2014

Un dissesto privato..maggiore di quello pubblico

Qualcuno ci descrive il disastro finanziario in questi termini“

di vincenzo cacopardo

QUALCOSA NON FUNZIONA
Cinque fra le maggiori banche americane hanno tutte un’esposizione ai derivati superiore ai 40 trilioni di dollari. Deutsche Bank vanta la maggiore esposizione in derivati di qualunque istituto americano, vale a dire oltre 75 trilioni di dollari (5 volte il Pil europeo e più o meno il Pil del mondo!!) Nel contempo si afferma che questi istituti sono troppo grandi per fallire ma, a differenza di azioni e obbligazioni, i derivati non rappresentano “investimenti” in nulla: sono solo scommesse di carta su ciò che accadrà in futuro. Come un gioco d’azzardo legalizzato e le banche “troppo grandi per fallire” hanno trasformato Wall Street nel maggiore casinò nella storia del pianeta”.

Secondo il New York Times, tali istituti“contano quasi 280.000 miliardi dollari di derivati sui loro libri contabili”, anche se la crisi finanziaria del 2008 ha dimostrato quanto sia pericoloso. Le grandi banche hanno sofisticati modelli che dovrebbero mantenere il sistema stabile e aiutarli a gestire questi rischi. Ma tutti questi modelli sono basati solo su ipotesi ideate da gente come tutti noi.

Nel 2008 l'economia americana era in piena espansione, tutti sembravano essere ricchi, anche se i segnali di pericolo erano dappertutto, vi erano troppi prestiti, investimenti folli, e banche avide, ma poi, quando Lehman Bros cade, il sistema finanziario e l’economia mondiale quasi crollano. Le cause ormai le conosciamo: prestiti sconsiderati e assunzione di rischi eccessivi con una evidente mancanza di trasparenza.

Dopo questa crisi, ed in forza di una evidente esperienza si sarebbe dovuto provvedere, ma secondo alcuni economisti, il problema è diventato molto più grande: il rapporto trimestrale sulle cinque maggiori banche “troppo grandi per fallire” dispongono tutte di oltre 40 trilioni di dollari in esposizione ai derivati.

Queste sembrano essere le cifre di un dissesto..
JPMorgan Chase - Asset complessivi: circa 2,5 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 67 trilioni di dollari
Citibank- Asset totali: quasi 1,9 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: circa 60 trilioni di dollari
Goldman Sachs- Asset totali: poco meno di un trilione di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Bank Of America- Asset totali: 2,1 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Morgan Stanley- Asset totali: 831 milioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 44 trilioni di dollari
..E non è certo solo un problema americano!. Secondo l'economista Michael Snyder, ci stiamo pericolosamente avvicinando verso il maggior disastro finanziario nella storia del mondo e nessuno sta facendo nulla per impedirlo.



Non possiamo augurarci che questa nuova bolla scoppi.. poiché colpirebbe chiunque ... l'economia soccomberebbe in modo indescrivibile su un piano globale, ma se pensiamo ai debiti pubblici degli Stati sovrani.. rispetto a tali azzardi continuamente esposti dalle banche private nel mondo, restiamo perplessi ed attoniti, anche in considerazione che il nostro debito appare quasi risibile. 

3 ott 2014

Quel paragone con la Francia...




di vincenzo cacopardo

Nel quadro europeo la Francia di Holland vive oggi pressata da una condizione politica che vede il partito della Marine Le Pen......aumentare nei consensi obbligando lo stesso governo in una posizione meno europeista e più marcatamente indipendentista. L’attuale leader del FN ha caricato l’orientamento antieuropeo del suo linguaggio e della sua strategia politica in nome di un nazionalismo che risponde alle paure prodotte dalla crisi economica e della globalizzazione.

La Francia sembra decisa a violare i patti di Maastricht e nel contempo...ed al contrario.. l'Italia non può che rispettarli: il rinvio del pareggio di bilancio per la Francia è una diretta conseguenza della recessione, mentre per l'Italia il rapporto deficit-Pil è quasi un dovere. Per Bruxelles, una manovra è lecita, l'altra no...perchè le agenzie di rating prevedono che l'economia francese cresca dello 0,9%. mentre il nostro governo, dopo un 2014 con il Pil in recessione a meno 0,3%, prevede un aumento dello 0,6% nel 2015 . Sono comunque ambedue stime approssimative.. ma non prive di supporto. ...

E' vero che anche i francesi stanno iniziando ad entrare in un tunnel accumulando deficit, e quindi debito.. e di conseguenza interessi da pagare. Renzi si fa forte di questo...il rosso francese ha superato i 2 mila miliardi di euro, attestandosi al 97% del Pil e nel 2016 è destinato a toccare quota 98%. Dal 2016, però, secondo i loro piani..col tempo, il debito dovrebbe iniziare a calare.

Sappiamo anche che gli interessi sul debito sono frutto delle valutazione dei mercati sulla credibilità delle diverse economie dell'Eurozona. Il paragone con la Francia, quindi, necessita di una valutazione diversa e cioè di un dato di fatto reale: la Francia pagherà nel 2014 46,65 miliardi di euro di interessi e 44,34 miliardi per il 2015....mentre l'Italia con i suoi quasi 100 miliardi sconta ancora una bassa credibilità sul suo enorme debito. Inoltre i tagli: in Francia valgono 7,7 miliardi, in Italia 4,5.
Sulla nostra spending review pesa anche il fallimento del piano privatizzazioni: per quest'anno si era contato di incassare dalla vendita di asset immobili almeno 10 miliardi e invece ne sono arrivati solo 3. Infine.. la disoccupazione in Francia tocca il 10% ed in Italia il 12, 3%...senza spingerci poi, con evidente imbarazzo, verso l'argomento ormai.. quasi pericoloso... di un Sud praticamente al collasso. ...Pensiamo davvero che questo argomento non è conosciuto e pesato dall'unione Europea? 

Non c'è quindi tanto da sorridere nel Paese..nè si può sperare in un miracolo...poichè il paragone rimane sempre a nostro sfavore..Sembriamo purtroppo attaccati alla scommessa e puntiamo tutti su un cavallo dal nome Renzi..un cavallo che in molti definiscono di razza, ma che sembra nitrire troppo e correre libero nei campi senza un indirizzo preciso...

Interessante nota sulla comunicazione di Gabriele Carbone su “Forbes”

di Gabriele Carbone Digital Strategic Planner
Leggendo ilrapporto dell’ISTAT di luglio 2014 su “Fatturato e ordinativi dell’industria”, emergono una serie di “segni meno” che portano a riflettere:
  • fatturato di maggio 2014 rispetto ad aprile sul mercato estero:-1,9%;
  • nella media degli utlimi tre mesi rispetto ai precedenti:-0,8%;
  • diminuzione degli ordinativi esteri:-4,5%.
Non si può fare a meno di notare che, nonostante tutto questo parlare di internazionalizzazione, l’internazionalizzazione, di fatto, stia calando. La situazione non può altro che essere peggiorata, dopo l’embargo deciso dalla Russia.

Comunicare nella maniera giusta

Non è certo colpa dei siti web delle aziende italiane, se il fatturato estero sia calato. I dati di ISTAT ci offrono però un ottimo spunto di riflessione, un motivo più che valido per domandarci se la nostra azienda stia seguendo i canali giusti per ottenere risultati, se la strategia di comunicazione stia effettivamente supportando i processi di internazionalizzazione, come potrebbe e dovrebbe.
Preparare gli strumenti di comunicazione valutando bene i contenuti, le immagini, l’obiettivo che si vuole raggiungere, è il primo passo imprescindibile per qualunque azienda che vuole internazionalizzarsi”. Massimo Metilli, Agenzia per la Russia
Sono in realtà pochi i punti da seguire per capire come operare nel web 2.0, attivando una strategia che possa concretamente supportare l’azienda nell’approccio di nuovi mercati. Ecco quindi una semplice guida, su come strutturare il proprio sito web, in modo che possa diventare l’hub della comunicazione aziendale, e possa aiutare concretamente le aziende a sviluppare le opportunità offerte dai mercati internazionali.

1. Anche i professionisti usano lo smartphone
Visionando le statistiche dei siti web, è facile notare come il 50% degli accessi arrivi ormai da dispositivi mobili, smartphone (iPhone) in testa. Oggi è possibile predisporre il proprio sito web in modo che, non solo sia ottimizzato per la lettura su smartphone e tablet, ma possa eventualmente fornire contenuti o funzionalità specifiche a seconda del dispositivo.
Parola chiave: responsività
Il primo passo, pare scontato, è proprio quello di rendere fruibili i propri contenti, permettendo agli utenti del sito web (potenziali clienti) di approfondire, in qualsiasi momento e tramite qualsiasi dispositivo, le informazioni relative all’azienda.
 2. Localizzare, localizzare, localizzare
Ancora troppe aziende sono convinte che il sito web italiano sia più che sufficiente per presentarsi al mondo; altre si limitano a fare il minimo indispensabile, traducendo i contenuti in inglese.
Approcciare i mercati internazionali, significa presentare il proprio prodotto/servizio a Paesi che possono essere anche molto differenti dal nostro, per lingua, per cultura, per il modo di pensare e interpretare la comunicazione.
Tradurre i contenuti non è più sufficiente
E’ fondamentale comunicare avendo cura di comprendere il Paese a cui ci si rivolge, affidarsi a copywriter madrelingua che possano rivedere, in parte o completamente, i contenuti aziendali, per adattarli alla lingua ed alla cultura del target.

 3. Il sito come vero hub di contenuti
Qualche azienda ha capito che i Social Media possono supportare i processi in internazionalizzazione, diffondere il brand nei Paesi obiettivo, portare traffico al sito web.
Il cimitero dei contenuti
Il problema che spesso ci si trova ad affrontare, è che il tipico sito web delle aziende italiane è composto solamente dalle pagine: “chi siamo”, “cosa facciamo”, “contattaci”; le eventuali pagine “news” o “blog” sono tipicamente aggiornate ogni due anni, se va bene.
L’utente, potenziale cliente, che segue un’azienda su Twitter, Facebook o Linkedin, deve poter approfondire gli argomenti trattati, non essere veicolato ad un sito web che assomiglia ad un cimitero di contenuti.
Saper selezionare i punti di forza che contraddistinguono la propria azienda e i propri prodotti/servizi, è diventato fondamentale per le imprese italiane, che forti del concetto di “Made in Italy”, spesso dimenticano come la globalizzazione abbia portato i competitor internazionali a migliorare le produzioni per rimanere sui mercati; comunicare quindi nel modo migliore ciò che riteniamo strategico e vincente, può sicuramente fare la differenza. Vale la pena rivedere la struttura, l’albero e i contenuti del proprio sito web aziendale, magari pensare ad un blog, sempre che si sia in grado di mantenerlo aggiornato.


breve nota alla nuova analisi del consigliere Cacopardo sull'attività governativa..

Sembra che sia in corso un paradossale e tragico gioco di «Mosca cieca» che coinvolge il governo e, in particolare, Matteo Renzi. Corre con gli occhi bendati, agitando le mani per acchiappare uno dei mille fantasmi che si agitano nelle sale del palazzo. I fantasmi sono i problemi accumulati negli anni e che ora pretendono una immediata soluzione. Certo, il giovanotto non ha alcuna esperienza e non sa quello che alcuni uomini di Stato che hanno governato il Paese sapevano benissimo: non sono le emergenze che debbono dettarti l’agenda, ma sei tu a stabilirla, affrontando un problema per volta secondo la priorità che tu stesso stabilisci.

La gioventù, però, ha anche il pregio di permettere a chi ne ha le capacità di imparare rapidamente e, forse, questo è il caso nostro anche se, in verità, non è proprio chiaro se Renzi abbia voglia di riflettere e imparare. Vista anche la resa (direzione Pd) sui licenziamenti disciplinari (art. 18).

La legge di stabilità 2014, al netto di nuovi tagli e nuove tasse dovrebbe prevedere un disavanzo del 3%. In soldoni una cifra tra i 23 e i 26 miliardi di euro. Rispetto al montante della spesa pubblica (830 miliardi, più o meno) quisquilie. Se, però, in questa legge saranno inseriti nuovi capitoli di spesa (estensione degli 80 euro mensili, ipotesi di sussidio generalizzato ai non occupati) sarà necessaria la manovra la cui imminenza è stata negata da Graziano Delrio. 

Matteo Renzi, nel rito tribale andato in scena nella direzione del Pd, ha ipotizzato, per il sussidio di cui sopra, uno stanziamento di euro 1,5 miliardi. Diviso i 3.750.000 non occupati, sarebbero euro 400 l’anno. Quindi una sciocchezza. Per fare qualcosa in questo campo, tipo 400 euro al mese, la somma necessaria sarebbe di 18 miliardi di euro.

Non solo, in base alle previsioni macroeconomiche, va valutata la caduta del gettito fiscale e parafiscale, con conseguenze imprevedibili per il bilancio 2015.

L’unico varco che si può conquistare a Bruxelles potrebbe essere il rinvio del pareggio di bilancio al 2017. Non è facile crederci, data la situazione nazionale.

Ci sarebbero state tante partite da giocare visto il semestre italiano (ormai verso la fine): per esempio il «dumping» fiscale all’interno dell’Unione. Sono di questi giorni, i rilievi dell’Unione alle aliquote offerte da Olanda, Lussemburgo e Irlanda. Tutto gettito sottratto agli altri stati a dispetto del «Fiscal compact» che imponeva l’armonizzazione delle politiche fiscali. 

Il nostro primo ministro avrebbe dovuto porre la questione in termini ultimativi, giovandosi proprio del provvisorio ruolo che esercita. 

C’è poi il peso accresciuto del debito pubblico. A fine anno tra il 137% e il 138% del Pil. 

C’è qualcuno, in Italia, a Francoforte o a New York che pensa che l’Italia possa adempiere all’impegno del «Fiscal compact» e abbassare il debito (lo stock) di 50 miliardi l’anno?

E, un giorno, restituire i 2.400 miliardi che deve agli investitori, prevalentemente nazionali?

A Palazzo Chigi nessuno si pone le due questioni strategiche per il futuro. Imperversa il riformismo verbale. Una disciplina in cui gli specialisti italiani della ginnastica orale eccellono nel mondo.



Pur nel rispetto..li abbiamo già appellati debuttanti allo sbaraglio ..a prescindere dalle difficoltà inerenti lo stato economico finanziario di un paese..ormai decotto.

Commuove la loro voglia di fare, ma fa rabbrividire di più la sconsiderata fiducia in se stessi.. molto simile ad un'ambizione che li divora di giorno in giorno. Chiaramente i numeri sono disastrosi pur volendoli nascondere.. velandoli con la solita ipocrita verbale loquacità del sindaco d'Italia. 

Sembra perciò chiaro che continuando così... o si sfora il parametro del 3%..( con una prevedibile ricaduta sul debito) o si abbattono drasticamente i costi della spesa pubblica.. rischiando di porre una ulteriore buona parte dei cittadini in strada senza lavoro. 

Quello che che appare certo è un prossimo aumento dell'IVA che aggiusterà sul momento qualsiasi bilancio di uno Stato ormai economicamente a pezzi. L'aumento IVA è sempre stato risolutivo per i conti pubblici, ma penalizzerà pesantemente i consumi. 

Si corre sempre su strade che non fanno intravedere alcuna crescita e lo stesso premier si rende responsabile di una mancanza della stessa.. poiché le sue strade si muovono verso regole che non promuovono sviluppo e che propongono regole non adatte. Per crescere occorrono le idee oltre che le risorse... e le idee di Renzi appaiono poco costruttive e spesso dettate da una esterofilia poco convincente. Come si fa...ad esempio.. a non sfruttare un patrimonio del sud offrendogli infrastrutture per porlo come volano di crescita dell'intero Paese? 

Ha ragione Domenico “Imperversa il riformismo verbale. Una disciplina in cui gli specialisti italiani della ginnastica orale eccellono nel mondo”......ma ormai non sembra esservi più tempo..Renzi si è perso in chiacchiere inutili e percorsi errati, non rottamando alcunchè.
vincenzo cacopardo