La grancassa mediatica suonata da Renzi e amici appunta la propria attenzione sul Consiglio di Stato, una specie di Moloc contrario a ogni riforma dell’assetto istituzionale del Paese: è un pregiudizio, figlio dell’ignoranza di personaggi con studi approssimati e nessuna pratica di alta amministrazione, catapultati ai vertici dello Stato dal crollo del centrodestra prima, dei gruppi dirigenti postcomunisti poi.
Il Consiglio di Stato è un’istituzione ripresa dall’ordinamento napoleonico e adottata dal regno di Sardegna prima, dal regno d’Italia poi. Aveva, in origine, funzioni di consulenza reale e interveniva in questioni di diritto amministrativo quando il cittadino si rivolgeva al re per avere giustizia. Una manifestazione di potere regio, gestita da eminenti giuristi e specchiati cittadini.
Come lo conosciamo ora, ha una duplicità di funzioni. Prima fra tutte quella giurisdizionale, esercitata come tribunale d’appello (e finale, salvo qualche caso speciale nel quale si può adire la Corte di cassazione) sulle decisioni dei Tribunali amministrativi regionali (Tar) e come istanza di unico grado nel caso in cui il cittadino si rivolga, con un ricorso, al presidente della Repubblica per avere giustizia in una questione amministrativa.
L’altra funzione, attribuitagli dalla Costituzione, è quella di consulente del governo per questioni giuridico-amministrative e legislative (mediante un’apposita sezione di recente costituzione). In questa seconda attività, il Consiglio diventa presidio della legalità amministrativa dell’azione di governo, e curatore dei testi normativi, quel drafting così trascurato e così importante per l’adozione di leggi leggibili e applicabili.
Il fastidio che l’exsindaco di Firenze e il suo endocrinologo di fiducia (che, sulla base delle proprie competenze professionali e di exsindaco di Reggio Emilia, svolge le funzioni delicate di sottosegretario alla presidenza e di segretario del consiglio dei ministri) mostrano nei confronti del Consiglio di Stato può trovare una ragionevole giustificazione solo nella psicoanalisi: Freud e sodali spiegherebbero che diffidenza e rifiuto sono figlie dell’ignoranza e, quindi, della paura di ciò che non si conosce. Come bandire il bisturi perché non si sa usarlo.
Dal 1945 a oggi, il Consiglio di Stato -e lo testimoniano migliaia di pareri espressi ai vari governi e ad altri organi costituzionali- ha sempre lealmente collaborato nella stesura e definizione di norme coerenti con i presupposti costituzionali e di sistema e con le esigenze che il governo legittimo manifestava. Tante riforme adottate con successo hanno trovato nell’apporto del Consiglio ragioni significative per la loro efficacia.
E ha affrontato con senso di giustizia questioni delicate. Una per tutte: il caso P2 venne delibato dal Consiglio con un parere-decisione con definì illegale l’organismo e seriamente censurabili (anche con l’estromissione dall’impiego) i dipendenti pubblici che ne facevano parte.
Certo, se il governo intende percorrere strade sbagliate sotto il profilo del diritto, il Consiglio di Stato non si piegherà. Anche da questo deriva la repulsione che Renzi e compagnia cantante manifestano così di frequente.
C’è poi la questione dei consiglieri di Stato: essi sono capi da gabinetto e componenti di authorities. Su queste presenze nel sistema di governo si sono sollevate tante osservazioni condivisibili. In particolare sulle authorities la critica risulta convincente per due ragioni. La prima è la funzionalità del Consiglio stesso privato della presenza di magistrati. Dall’altro, dalla natura delle funzioni: per esempio un magistrato del Consiglio presiede l’evanescente Authority sugli appalti pubblici. È opportuno? Certo che no, come non è opportuno che tanti consiglieri di Stato militino in organismi del genere, ricevendo cospicue retribuzioni che si sommano al rispettabilissimo stipendio di base. A questi fuori scena si aggiungono i molteplici incarichi di insegnamento, la direzione (in qualche caso la proprietà) di scuole professionali dedicate alla formazione di operatori del diritto, compresi coloro che (evidente conflitto di interessi) intendono partecipare al difficile concorso per l’accesso a Consiglio medesimo.
Su tutta quest’area di esondazioni dai compiti d’istituto, che incide direttamente anche sulla funzionalità di questo alto tribunale, sarebbe giusto fare chiarezza per arrivare a una inibizione generale. Il tempo pieno che si pretende da tanti pubblici dipendenti, vale a maggior ragione per i magistrati amministrativi.
Diverso il caso della collaborazione diretta agli uffici di governo: com’è sempre successo in passato, queste presenze arricchiscono l’azione dei ministeri e della presidenza. Debbono essere limitate nel numero, naturalmente, ma privarsene ha il medesimo senso di chi si priva dei propri attributi per fare un dispetto alla moglie.
Ma di questo si tratta: una compagnia di giovanotti e di giovanotte allo sbaraglio non si pone il problema di rendere efficaci le proprie azioni. Basta solo enunciarle, affidandosi poi all’excomandante dei vigili urbani di Firenze per trasformarle in norme.
Ci sarebbe da ridere, se non si trattasse di un disastro annunciato.