I virtuosismi che non servono
di Michele Ainis
s
La nave delle riforme veleggia in
mare aperto. Ma il Capo delle Tempeste è al largo del Senato, dove soffiano
venti da destra e da sinistra. Da un lato, l’altolà di Forza Italia: meglio
abolirlo che farne un ente inutile. Dall’altro, lo stop dei professori: attenti
alla deriva autoritaria. Può darsi che queste riserve siano figlie dei calcoli
politici, degli egoismi di parte o di partito. Non sarebbe il primo caso.
Tuttavia chi tratta gli argomenti altrui partendo dalla malafede del proprio
interlocutore, dimostra d’essere a sua volta in malafede. E anche questo è
ormai un vizio nazionale.
Domanda: c’è modo di rispettare le
obiezioni senza sfregiare le intenzioni? Quelle del governo, ma altresì degli
italiani, che non ne possono più di veti incrociati. E c’è modo di tradurre le
riserve in una riserva di consensi, senza abbattere i quattro paletti issati da
Renzi? Nell’ordine: no alla fiducia, no al voto sul bilancio, no all’elezione
diretta, no all’indennità dei senatori. Risposta: gli strumenti esistono, se i
musicisti avranno voglia di suonarli. Se per una volta eseguiranno il medesimo
spartito, smentendo l’apologo filmato nel 1979 da Fellini (Prova d’orchestra ).
E se ciascuno saprà ascoltare le note degli altri orchestrali, senza eccedere
in virtuosismi da solista.
Ecco, l’ascolto. Non è vero che il nuovo Senato sia
poco più d’un soprammobile, come sostiene Forza Italia. È vero tuttavia che fin
qui rimane povero di competenze e di funzioni. Partecipa al processo normativo
dell’Unione Europea, valuta l’impatto delle politiche pubbliche sul territorio.
E vota le leggi costituzionali, soltanto quelle. Sulle altre conserva
unicamente i poteri della suocera: consiglia, rimbrotta, sermoneggia. Al
contempo perde la titolarità del rapporto fiduciario, e perde quindi il
sindacato ispettivo sul governo. Curioso: questa riforma abolisce il Cnel,
organo consultivo mai consultato da nessuno; però rischia di sostituirlo con un
Senato di superconsulenti.
E la minaccia autoritaria, evocata sulla sponda sinistra del
fiume? Esagerata anch’essa. Dopotutto, non c’è alcun intervento sui
poteri del premier, che resta un primus inter pares rispetto ai ministri. E se
con una mano l’esecutivo incassa il voto a data fissa sui propri disegni di
legge, con l’altra rinunzia al dominio illimitato sui decreti legge. È vero,
però, che il bicameralismo paritario offre una garanzia, nel bene e nel male.
Anche se l’eccesso di garanzie uccide il garantito. Ma quante leggi scellerate
avremmo avuto in circolo senza il disco rosso del Senato? A una garanzia in
meno, pertanto, ne va affiancata una di più. Da Pericle in poi, la democrazia
funziona in questo modo.
La via d’uscita? Rafforzare il ruolo del
Senato come
organo di garanzia. Innanzitutto attribuendogli il voto sulle leggi elettorali,
che d’altronde sono leggi materialmente costituzionali, nel senso che innervano
la Costituzione materiale di un Paese: se decidi sulle seconde, puoi ben
decidere pure sulle prime. E inoltre conferendo al Senato un monopolio su tutte
le materie che trovano i deputati in conflitto d’interesse, al pari della legge
elettorale. Nemo iudex in causa propria , nessuno può giudicare se stesso;
meglio perciò rimettere al Senato ogni decisione sulle immunità, sulle cause
d’ineleggibilità e d’incompatibilità, sulla verifica dei poteri, sulla misura
dell’indennità dovuta ai membri della Camera, o più in generale sul
finanziamento alla politica.
Dopo di che non è vietato immaginare ulteriori contrappesi.
Per esempio allargando l’accesso alla Consulta anche da parte delle minoranze
parlamentari, come succede in Francia. O potenziando il controllo del capo
dello Stato sulle leggi: con un secondo rinvio, superabile a maggioranza
assoluta. Ma in ultimo i guardiani della legalità costituzionale sono gli
stessi cittadini. Siamo noi italiani, che negli anni Venti applaudimmo
Mussolini, che negli anni Quaranta andammo sulle montagne per combatterlo.
Nessuna norma scritta, nessun marchingegno costituzionale, può sostituirsi al
sentimento civile. Ma certo può aiutarlo, può allevarlo. Su questo punto,
viceversa, la riforma ospita silenzi imbarazzanti. Niente recall , né
referendum propositivo, né corsia preferenziale per le leggi popolari. Dunque
una buona riforma per quanto c’è scritto, un po’ meno per quanto non c’è
scritto. Si tratta d’aggiungervi ancora qualche parolina.
“Nessuna norma scritta, nessun marchingegno costituzionale, può sostituirsi
al sentimento civile”
E' proprio muovendo da questa frase del professore Ainis che vorrei
trarre spunto per una osservazione a questo editoriale. Non credo
neanche possano essere poche le paroline da aggiungere per una proposta di
riforma che sembra vedere le figure del nuovo Senato non elette dal popolo.
Il professore Ainis, attraverso le note capacità di costituzionalista, per
una sua innata competenza, sembra spingersi verso nuove proposte, proponendo di
definire meglio l’opera incompleta di una riforma che potrebbe offrire maggior
sostanza alle istituzioni politiche.
Ainis propone l’accesso alla Consulta
anche da parte delle minoranze parlamentari… propone di rafforzare il ruolo del Senato come organo di garanzia attribuendogli il voto sulle leggi
elettorali, indica un potenziamento del controllo del Capo dello Stato sulle
leggi etc....Così dimostrando ulteriormente quanto incompleta appare la nuova riforma voluta
da Renzi che, per un principio essenziale di democrazia e di funzionamento, dovrebbe vedere i
componenti di questa Camera come figure elette dal popolo.
Ma le teorie in questo campo potrebbero essere anche altre, come ad esempio... in riferimento al conflitto d’interessi a cui lo stesso Ainis fa riferimento.. e
cioè a quel richiamo "nemo iudex" ... che potrebbe valere proprio in riferimento ai
compiti spettanti a chi opera per le leggi in perenne conflitto con chi deve
poter governare in favore di un utile equilibrio democratico. Perché dunque non dare al Senato un preciso ruolo in campo
amministrativo senza che questo venga esercitato dall’altra Camera politica?..E perché non legarlo ad una elezione separata che non veda l’impegno dei Partiti,
ma solo quello di figure valutate per precisi meriti e curricula? Separare i
due ruoli (Camera politica e Camera amministrativa) con due differenti
elezioni, potrebbe essere un passo importante per il funzionamento di un nuovo
sistema istituzionale per un cammino più costruttivo in favore di una nuova
politica... rendendo più democratico e sicuro lo stesso percorso.
Tagliare non è tanto necessario.. quanto il saper far funzionare!
vincenzo cacopardo