22 apr 2014

una nota all'articolo del prof Belardelli sul Corsera

Le due anime inconciliabili 
del centrodestra

di Giovanni Belardelli
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«In Europa prima l’Italia»: lo slogan che campeggia sui manifesti del Nuovo centrodestra cattura involontariamente la fisionomia evanescente, la leggerezza verrebbe da dire, che attualmente caratterizzano non solo l’Ncd ma un po’ tutti gli eredi dello schieramento che, sotto la guida di Berlusconi, ha segnato per quasi un ventennio la politica italiana. Uno schieramento che oggi, nelle sue varie componenti interne ed esterne al governo, affronta le elezioni europee con slogan che, diciamo la verità, appaiono un po’ tutti uguali: da quello, appena citato, del partito di Alfano, al «più Italia in Europa» di FI, fino all’«Italia chiamò» di Fratelli d’Italia e alla stessa associazione creata da uno dei suoi leader, Alemanno, che si chiama - neanche a dirlo - Prima l’Italia. I messaggi politici debbono essere per forza semplici e immediati. Tuttavia colpisce come (esclusa ovviamente la Lega) i vari spezzoni del vecchio centrodestra si siano limitati a girare attorno alla parola Italia, forse nell’illusione di arginare in questo modo la concorrenza degli assai più aggressivi e (temo) efficaci messaggi antieuro del M5S.

Ma dietro lo scarso spessore politico di certi slogan c’è qualcosa che va oltre le prossime elezioni europee ed evidenzia piuttosto una contraddizione e un limite che hanno attraversato l’intera esperienza del centrodestra italiano dal momento in cui nacque, grazie a Berlusconi, nel 1994. Fin dall’inizio esso si trovava ad avere un’identità ancipite. Da una parte si presentava come una forza moderata, che era in grado di contrapporsi con successo alla sinistra postcomunista e si candidava a rappresentare e sostenere le posizioni della Chiesa su tutta una serie di temi etici. Dall’altra, soprattutto Forza Italia si proponeva come artefice di una «rivoluzione liberale» imperniata sulla riduzione delle tasse e più in generale della presenza eccessiva dello Stato nella vita dei cittadini. Ciascuna delle due identità presentava delle contraddizioni interne: ad esempio, la difesa dei valori cattolici era poco conciliabile con il modello individualistico-acquisitivo veicolato dalle tv berlusconiane; e d’altro canto la promessa riduzione della presenza oppressiva dello Stato trovava un ostacolo nella richiesta di protezione e benefici di tipo assistenzialistico ben presente anche fra gli elettori del centrodestra. In ogni caso (e soprattutto) presentarsi come l’alleanza dei moderati e insieme di chi propugnava la rivoluzione liberale dava origine a una contraddizione seria, con cui il centrodestra ha dovuto convivere per un ventennio. Lo ha potuto fare senza esserne troppo penalizzato (tanto da governare per vari anni) grazie al fatto che la leadership personale di Berlusconi copriva, e annullava nei suoi effetti potenzialmente negativi, la contraddizione anzidetta.

Considerati in un’ottica storica, il carisma di Berlusconi e la sua straordinaria capacità di comunicare direttamente con gli elettori senza bisogno della mediazione partitica, ci appaiono come una grande risorsa politica, ma anche come un non meno grande limite. Una risorsa perché hanno fatto sì che il fondatore di FI fosse per anni l’unico politico italiano in grado di muoversi agevolmente sul terreno della nuova «democrazia del pubblico» (secondo la definizione del politologo Bernard Manin). Ma anche un limite perché la crisi della leadership carismatica di Berlusconi - accelerata dalle sue vicende giudiziarie, certo, ma resa definitiva da un ovvio dato anagrafico - riconsegna agli ex alleati del centrodestra, pressoché intatta, quella contraddizione iniziale tra due anime poco o punto conciliabili. Senza che si veda all’orizzonte qualcuno che, dotato di un analogo carisma, possa svolgere la funzione di collante svolta per vent’anni da Berlusconi.


Con questo articolo.. Belardelli rende chiara la posizione ambigua e scomposta delle restanti posizioni di destra nel nostro Paese, in cui l’unica vera identificazione rimane fissata sulla figura carismatica di Silvio Berlusconi.. reso ormai handicappato nella comunicazione a causa delle proprie vicende giudiziarie. Ma le posizioni dei Partiti di destra rimangono anche ostacolate dalla preponderante azione comunicativa di un personaggio come Renzi che, attraverso i consueti slogans, pare anche muoversi con la cadenza di un democristiano vecchio stampo.
Lo schieramento di destra nelle sue diverse componenti, sia interne che esterne al governo, si propone con la solita retorica e privo di un vero programma, ma mentre Alfano sembra costretto a seguire pari passo i propositi dello stesso Capo del Governo, il Partito di Forza Italia pare essersi impantanato in una azione di ricerca di un nuovo messaggio politico che difficilmente riuscirà a trovare. Quella leadership carismatica del Cavaliere, come sottolinea il professor Belardelli, riconsegna intatta agli alleati, quella contraddizione iniziale tra due anime poco conciliabili.


Ma la realtà è anche quella che oggi non permette di vedere in questi politici di destra un pensiero politico che possa identificarli, anche per via del fatto che le stesse contrapposizioni ideologiche vanno via via scomparendo in favore di posizioni pragmatiche più aderenti ai bisogni di una società che, dopo l’inconsistente ventennio, sembra non voler digerire qualsiasi posizione politica. Se Renzi avanza non è perché sia di sinistra, ma perché rappresenta una freschezza giovanile di un modo di far politica deciso e pragmatico che entusiasma la stragrande maggioranza dei cittadini a prescindere dai futuri risultati che si dovranno vedere.

21 apr 2014

La nuova posta di Paolo Speciale

Dei diritti e delle pene di paolo Speciale
Quando una sentenza è definitiva e quindi, come si suole dire, “passa in giudicato”, dovrebbe solo constatarsi la sua esecutività e riservare ad essa ed a chi l'ha pronunciata ogni dovuta deferenza, che si concretizza, formalmente ma anche sostanzialmente, con la non sottrazione da parte dell'imputato alla “inflictio”.
Definisco illegittima qualsiasi pretesa - specie se supportata dall'uso improprio di pubbliche facoltà istituzionali - di totale astensione da libera manifestazione di pensiero, tranne quando ciò non comporti vilipendio.
Quando l'esercizio di un potere - come quello giudiziario - comincia a perdere i pezzi della propria componente genetica fondante, cioè quella del mero servizio alla collettività senza di essa cercare impropri consensi che invece appartengono alla politica, giunge il momento in cui chi ne abbia la responsabilità – il Parlamento - è tenuto ad attivare ogni procedura prevista per la tutela del “diritto”: cosa è esso infatti se non il reciproco rispetto delle funzioni e del ruolo di ciascuno?
La nostra è una democrazia matura, che non può permettersi di confondere il rispetto delle istituzioni con il sopraggiunto vero e proprio culto fondamentalista delle stesse, creando così – come giustamente Piero Ostellino scrive oggi sul Corriere della Sera - altre caste che nascono dalle ceneri di altre.
Ecco perché ora dobbiamo liberarci al più presto dalla comune ed ormai pressoché unica accezione di una magistratura che riscatta i governati in quanto persecutrice dei governanti corrotti: per farlo dobbiamo essere supportati proprio da coloro che amministrano la giustizia. Come? Ogni uomo di buona volontà potrebbe cominciare a non considerare più, aprioristicamente, un attacco all'indipendenza delle toghe qualsiasi proposta di riforma del sistema giudiziario: il Consiglio Superiore della Magistratura, in quanto organo di autogoverno, formuli esso stesso proposte di cambiamento avviando un democratico confronto interno che restituisca, dopo il ventennio berlusconiano e di “mani pulite”, sia alle Procure che ai Tribunali il “potere del servizio”, sia che inquisiscano e/o giudichino Berlusconi sia che si pronuncino sull'autore di uno scippo.
Concludo: non posso che esprimere tutta la mia allarmata perplessità dinanzi ad un inaccettabile baratto consistente nella imposizione del silenzio assoluto ad un condannato in cambio del mantenimento a valere su di esso del beneficio di espiare la pena con modalità diverse dalla detenzione.


20 apr 2014

Un governo tra gufi e scommesse...


di vincenzo cacopardo
Per 15 milioni di persone le tasse diminuiscono, gli oneri contributi scendono e la promessa diventa realtà. Così..ha precisato il premier Matteo Renzi, dopo la conferenza stampa in cui ha illustrato varie misure adottate dal governo in ambito soprattutto fiscale. Il punto centrale del suo decreto riguarda gli ormai famosi 80 euro nelle buste paga di maggio per i lavoratori con i redditi più bassi, in relazione a cui Renzi ha confessato di essere felice e di avere smentito i «gufi», precisando che si tratta di «una misura che non è una tantum, ma strutturale com’è strutturale il processo di taglio alla spesa». Ha trovato la copertura finanziaria per il 2014 in 6,9 miliardi che diventeranno 14 nel 2015». Ha annunciato anche la riduzione dell’IRAP del 10%, anche in questo caso attraverso «misure strutturali».

Se avesse perso questa scommessa avrebbe perso anche la faccia!
In corso d’opera sembra, però, non aver dato corso all’impegno verso i crediti delle aziende in favore delle pubbliche amministrazioni..gli oltre 60 miliardi diventano adesso solo 14..ma ciò è stato davvero frutto di una comunicazione fin troppo azzardata…Un peccato che adesso viene classificato come veniale rispetto ad un impegno globale che guarda in più fronti.

Renzi prosegue spedito per la sua strada e se ..come era prevedibile, il passo della copertura finanziaria per le proposte di aumento in busta paga è quasi del tutto superato, adesso con lo stesso piglio il sindaco d’italia affronterà le altre posizioni di sofferenza delle società partecipate, degli incapienti e delle partite IVA.
Ma Renzi dovrebbe mettere mano anche al disegno di legge più importante per la crescita.. e cioè quello del suo “job act” (ossia.. per restare italiani.. delle riforme del lavoro). Qui il Premier si gioca la sua grande partita poiché non si tratta di accontentare una fetta di lavoratori con un aumento in busta, ma di offrire nuove opportunità per chi il lavoro non c’è lo ha.

Come ho sempre messo in evidenza il nodo delle riforme costituzionali rimane un punto sul quale è assai difficile poter essere d’accordo col giovane premier. Questo perché non si tratta di ricercare coperture finanziarie, ma di lavorare in favore di una tesi che non argini i principi fondamentali di una democrazia. Il problema da risolvere sta proprio nel saper operare in favore di riforme che non abbassino i principi di una democrazia rappresentativa in favore spropositato di una governabilità imposta. Bisogna avere una certa sensibilità politica per non comprendere quanto importante sia dare voce alle minoranze pur tenendo separato un contesto governativo efficiente.

Al di là di chi possa pensarla come lui, questo fa sì che persino l’efficienza governativa del giovane premier possa essere messa in dubbio da una buona parte di quella politica che guarda in direzione dei principi di una politica dei valori a difesa di una sovranità popolare. 

Un nuovo articolo del Consigliere Cacopardo

di domenico Cacopardo
Silvio Berlusconi, ottenuta l’agibilità politica è tornato in campo. Non è dato sapere quali siano le ragioni che hanno indotto il Tribunale di sorveglianza di Milano di infliggergli un servizio sociale di 4 ore la settimana, in tutto, con gli sconti di pena, meno di 200 ore. Un sospetto si fa strada, però, e riguarda le conseguenze di una compagna elettorale senza l’ex-cavaliere: i contendenti sarebbero stati solo due, Renzi e Grillo.
Se facciamo un passo indietro e guardiamo alle elezioni del sindaco di Parma (2012), possiamo osservare che il ballottaggio ha avuto luogo tra un vecchio e incolore quadro excomunista come il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, al primo turno vicino al 40%, e il giovane outsider grillino Federico Pizzarotti, con il 20% circa. Nel testa a testa, tutto l’elettorato di centro-destra privo di candidato e ostile a ciò che rappresentava l’uomo del Pd, riversò i suoi voti proprio su Pizzarotti conducendolo all’insperata vittoria.
Un’elezione europea celebrata senza Berlusconi avrebbe fatalmente visto una quota importante del suo elettorato riversarsi sulle liste del Movimento a 5 Stelle, consegnandogli non solo il monopolio dell’opposizione, ma percentuali inimmaginabili.
Quindi, una pena mite, mitissima ha restituito l’uomo di Arcore alla campagna elettorale, mettendo in discussione il previsto secondo posto di Grillo. È vero che il comico ci sta mettendo del suo per scendere nei gradimenti degli italiani: in una competizione con il voto di preferenza, le sue liste di sconosciuti collegate alle parole d’ordine eccessivamente radicali, spesso sbagliate o controproducenti hanno serie possibilità di anticipare il flop che, a medio termine, è lecito pronosticare per un movimento antisistema, xenofobo e razzista come il suo.
Renzi, per ora, veleggia col vento del consenso popolare in poppa. I suoi avversari interni ed esterni acquisiscono la patente di conservatori antiriformisti, di difensori del vecchio sistema e dei vecchi leader, insomma perdono qualsiasi appeal.
Rimangono, grandi come macigni, i problemi che ci portiamo dietro da vent’anni. Per risolverli occorre definire con certezza il ruolo che il ceto medio deve rivestire nell’Italia della ripresa e della ricostruzione. È il ceto medio, che s’è diviso tra destra centro e sinistra, che esprime il maggior tasso di simpatia (non corrisposta) verso l’exsindaco di Firenze.
Subito dopo il 25 maggio 2014, giorno delle elezioni europee, la luna di miele tra Renzi e gli italiani cesserà e anche i suoi rinvii e i suoi errori verranno al pettine.
Primo fra tutti, l’ulteriore aggravio del carico fiscale che colpisce proprio il ceto medio. E, subito dopo, l’attacco (renziano) alla burocrazia: i numeri di quella italiana sono minori della Gran Bretagna e della Francia, ma in linea con la Germania. Quello che non è in linea è il prodotto, cioè il contributo al Pil: mentre nei paesi citati la macchina pubblica è un serio supporto all’economia nazionale, in Italia è il maggiore freno, il costo senza ritorni che tutti siamo costretti a pagare. Mettere questa macchina in moto è in compito improbo, ma non rinviabile: certo non sarà la Madia ad affrontarlo.
La ricreazione e le indulgenze termineranno d’improvviso e l’exboy-scout fiorentino sarà costretto a ricorrere a tutte le sue qualità politiche per continuare. Sì, per continuare.

Nulla è più caduco dell’improvviso successo non confortato da veri, misurabili, immediati risultati.

19 apr 2014

Dove mai andrà il nuovo Partito del Cavaliere?



QUELL’ABBRACCIO MORTALE 
di vincenzo cacopardo
Adesso che Sivio Berlusconi si è fatto avvolgere dal mortale abbraccio di Matteo Renzi..dove potrà andare il Partito di Forza Italia? Quali programmi potrà mai sostenere se non gli stessi di quelli di Renzi? Quali riforme …se non le stesse che sta portando avanti in complicità con il Partito Democratico?
Il messaggio del nuovo (antico) Partito di Forza Italia non esiste! Esiste solo l’immagine della sua guida e dei tanti seguaci che cercano ostinatamente di restare appesi al percorso di una politica che ormai appartiene solo a Renzi, il quale ha chiaramente tolto ogni speranza comunicativa al Cavaliere anche per il fatto che lo stesso risulta dialetticamente menomato da una sentenza che lo penalizza inequivocabilmente.
Se Silvio Berlusconi, sia pure per l’età avanzata, resta handicappato nel percorso di una comunicazione, l’attività comunicativa dell’alleato Renzi prosegue a valanga oscurando sempre più quella dell’anziano leader di un Partito che non sembra trovare una figura alternativa capace di attrarre l’attenzione e dettare un nuovo percorso…Perché.. almeno.. di un percorso nuovo si ha bisogno.. quando si viene oscurati nell’ambito di una comunicazione!
La nuova Forza Italia non è esattamente un Partito, ma si identifica solo nella figura del Cavaliere. Ma più si stringe l’abbraccio tra il Cavaliere ed il nuovo premier, più si mette in evidenza la freschezza del giovane capo del governo che con l’aggiunta dei suoi slogan riesce in una comunicazione tanto simulata..quanto empatica ed emotiva che toglie ogni spazio a Silvio Berlusconi.
Più il Cavaliere sposa il progetto delle riforme di Renzi, maggiore sarà il cammino del suo nuovo Partito verso una fatale debacle. Un percorso politico quasi da suicidio…ormai precluso dal fatale abbraccio col giovane Matteo che gli impedisce qualunque ulteriore iniziativa propagandistica. 

Un articolo di Domenico Cacopardo sull'amministrazione della capitale

di domenico Cacopardo
Quasi quotidianamente, Roma torna all’attenzione per problemi propri che finiscono per coinvolgere il Paese. La capitale è l’espressione più diretta dei guai in cui versa la Stato italiano in tutte le sue articolazioni.
Nei mesi scorsi, abbiamo raccontato il disinteresse di Polizia municipale, Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di finanza nei confronti del commercio illegale di prodotti taroccati. Non mancano in proposito i celebrativi comunicati stampa della Guardia di finanza sui sequestri effettuati nel territorio nazionale. Ma, se qualcuno dei lettori romani avrà voglia di passare da Ponte Sant’Angelo in questi giorni, vedrà lo spettacolo che abbiamogiàdenunciato. Abbiamo aggiunto anche un suggerimento pratico per i comandi delle forze dell’ordine: invece di mandare una pattuglia con due uomini da un lato solo del ponte, occorre mandare più uomini contemporaneamente ai due lati. Ovviamente, nulla è accaduto, anche se l’inutile suggerimento tecnico, costituisce, nel caso qualche giudice intendesse occuparsi della questione, la dimostrazione di un’omissione di atti di ufficio da parte di chi è responsabile del settore.
Mercoledì, finalmente, il prefetto di Roma Pecoraro s’è deciso e ha risposto al capo della Polizia Pansa, autore di una incredibile dichiarazione sul poliziotto cretino che sarebbe più o meno inavvertitamente salito sul corpo di una dimostrante distesa in terra. Il dialetto di Pansa fa il paio con quello del giudice Esposito e le esternazioni di entrambi si iscrivono d’ufficio nella storia della deteriore napolitanità. Nessuno che ricordi di essere investito di una pubblica funzione e obbligato ad assumere atteggiamenti dignitosi se non solenni.
Sono le manifestazioni frequenti uno dei guai peggiori di Roma. Per gli abitanti, ma soprattutto per i visitatori. In anno in cui veniamo a sapere che l’Italia è scesa al terzo posto nel turismo, dopo Francia e Spagna, ci permettiamo di chiudere gli occhi sul ruolo devastante che gruppi di scombinati svolgono nel dissuadere gli stranieri a visitare il bel paese.
La questione, che costa miliardi e migliaia di posti di lavoro, non può più essere gestita col diritto mite, variamente invocato da settori politici, culturali e giudiziari pronti a chiudere gli occhi e a lasciar fare. L’esempio di Torino (notav) dovrebbe essere seguito e se si ci sono giudici penali che hanno, nonostante imponenti scorte, paura li si solleciti a passare al civile.
La democrazia, per sopravvivere, non può essere paralitica.
Infine, il comune di Roma. Onorando le peggiori previsioni sulla sua sindacatura, dopo una serie di episodi curiosi e più o menoimbarazzanti, il professor Marino rinuncia al proprio assessore al bilancio (una magistrato della Corte dei conti) e ai tagli da essa proposti.
Non si illuda, il professore reduce dall’America, di avere trovato il modo di eludere le esigenze della finanza pubblica: fatalmente, se non affronta energicamente il problema delle dissipazioni del suo comune e degli illegittimi pagamenti ai suoi impiegati, può prepararsi a un altro inglorioso ritorno a casa: non troverà più dirigenti dei Ds pronti a offrirgli una candidatura al Senato.


18 apr 2014

Renzi: astuzia, fretta e loquacità…



“QUEI CAMBIAMENTI IN CORSO D’OPERA”
di vincenzo cacopardo
La sua ruota della fortuna continua a girare..Il suo sembra essere un eterno gioco..come quello a cui partecipò anni addietro...
L’abolizione del Senato e delle province si avvia in una direzione alquanto rischiosa. 
Renzi usa l’astuzia proponendo una prima fase attraverso i poteri che il premierato gli rende. Il furbo sindaco d’Italia è perfettamente al corrente che il rafforzamento di un esecutivo è poco amato da buona parte della politica.. a differenza dei tagli per l’abolizione del Senato e delle province che, uniti agli ottanta euro per i lavoratori sotto i venticinquemila euro annui, gli serviranno per ottenere un grande consenso per consolidare il proprio potere.

Le riforme sembrano davvero insignificanti se poste in termini di miglioramento delle funzioni istituzionali. Non sono utili a migliorare, ma solo a dare l’apparenza di un ridimensionamento delle spese, un risparmio che.. come pare ormai provato.. risulta addirittura esiguo.  Ma è ancora più stupefacente e desta maggiore inquietudine, il fatto di non riuscire a vedere un vero percorso costituzionale futuro di tutto questo suo progetto.

In questo modo Renzi tende a distrarre il cittadino da ogni giudizio sul pericolo che una democrazia corre per via di quel potere di comando affidato e concentrato su un’unica figura. Una figura che appropriandosi del governo, attraverso i mezzi della comunicazione e dell’informazione, riesce persino a manipolare dissensi e confronti di opinione. Così facendo.. lui e la sua corte..costringono un fondamentale principio democratico.. sostenendo la priorità di ogni azione governativa.

E’ chiaro che l'avventuroso Premier conta molto sulla possibilità di cambiare in corso d’opera alcuni punti sulle impostazioni delle riforme costituzionali (come del resto ha già fatto). Questa opportunità gli è offerta dalla mancanza totale di una seria opposizione..rendendogli quel decisionismo che, nel contempo, gli permette di ostentare con innata loquacità i suoi continui slogan… Ma desidera anche voler chiudere questo suo periodo aureo di cambiamento.. prima che avanzi un diverso orizzonte..e questa potrebbe essere la ragione della sua fretta…
Lui sa di essere protetto dal Capo dello Stato ed assecondato dalla Comunità Europea per il piano di bilancio economico del paese. Gioca molto sulla forza che gli ha reso l’infausta politica del passato ed in più non teme alcuna costrizione dall’interno del suo Partito, quindi non si pone alcun dubbio sui propri limiti, anche perché, la sua ambizione non fa che tutelarlo da ogni perplessità.


17 apr 2014

Un appunto al nuovo articolo del consigliere Cacopardo sul lavoro di Matteo Renzi

di domenico Cacopardo
Sono passate poche settimane dall’insediamento di Matteo Renzi a palazzo Chigi e il panorama politico nazionale è completamente cambiato. Chi ancora pochi mesi fa era al vertice dello Stato o dei partiti è fuori gioco o quasi, ancorato a un tempo che non tornerà e di cui non c’è alcun rimpianto. Li abbiamo visti operare, puntare tutto sul berlusconismo e sull’antiberlusconismo, sostenendosi a vicenda, mentre la Repubblica rimaneva immobile davanti ai suoi problemi.
Questa staticità è confermata dall’elegiaca rievocazione di Berlinguer realizzata da Veltroni: gli errori del capo del Pci non sono sfiorati consegnando agli spettatori un’immagine inattendibile di un politico che ha perduto molte battaglie. Finché le disperse truppe dell’exPci non riusciranno a fare i conti critici con il passato, per loro sarà difficile riconquistare un posto al tavolo delle decisioni.
In questo mondo sclerotizzato, irrompe il giovane sindaco di Firenze e spariglia le carte con una capacità mediatica superiore a quella del mago della comunicazione Berlusconi. Il suo successo è reale e percepibile ogni giorno. Certo, il compito del premier è facilitato dal crollo della vecchia classe dirigente, ma l’elemento più coinvolgente è la ripresa del discorso riformista abbandonato dall’Italia dei partiti alla fine degli anni ’80.
La stessa escalation di aggressività di Beppe Grillo (privo, e si vede, del suo guru preferito), il ricorso a frasi sempre più forti, la perdita del controllo del proprio cervello e della propria lingua, mostrano una profonda insicurezza nei confronti della novità Renzi, al suo linguaggio diretto e alla simpatia che riscuote tra gli italiani.
Certo, non è tutt’oro il luccichio di primo ministro. Ci sono stati e ci sono problemi seri, sia all’interno del governo, per la disarmante pochezza di molti ministri (e sottopancia), per alcune dichiarazioni demagogiche, non ultime quelle sulla burocrazia, sugli alti dirigenti e sui manager, per alcuni provvedimenti in itinere molto discutibili. Tra essi, il medesimo disegno di legge di riforma del Senato appare come un arzigogolo da apprendisti legislatori piuttosto che un progetto ben ragionato e coerente. Non c’è una ragione plausibile per non abolire tout-court il Senato, liberando risorse e tempo nell’iter dei provvedimenti sui quali il nuovo organismo dovrebbe pronunciarsi. Il pragmatismo che governa il  capo del governo lo spingerà, al momento giusto a correggere il tiro. Di fondo, la direzione di marcia è giusta: quello che conta, infatti, è avere abolito il diritto di veto della Cgil e della sinistra interna ed esterna al Pd. Le azioni privilegiate nelle mani di queste aree politiche sono ormai fuori corso. La necessità di non avere nemici a sinistra, di riverire alcuni esponenti del radicalismo senile, di non muovere nulla senza il consenso di personaggi dello spettacolo, del cinema, della cultura è stata cancellata d’un tratto, restituendo la priorità alle urgenti necessità del Paese.
E Giorgio Napolitano, riflettendoci, di questo cambiamento è stato il primo, inascoltato interprete. Colui che ha saputo andare al di là dei veti tradizionali, navigando in mare aperto.
Non c’è dubbio, siamo entrati nel terzo millennio.

Non vorrei che.. il più dotto cugino Domenico, con il quale mi confronto sempre volentieri, dovesse,  un domani, con meno ottimismo.. esprimersi in altro senso sul lavoro del sindaco d’Italia Renzi. Avendo lui stesso,  sottolineato.. nel passato.. le difficoltà di questo governo composto da quelli che ha definito come “apprendisti” e  dichiarando adesso “discutibile” una riforma come quella del Senato.
Io.. a questa..aggiungerei quella relativa alle Provincie (sulla quale potremmo anche attenderci confusione sulle future competenze ed altrettanta inefficienza sul meccanismo) e quella poco democratica del sistema elettorale. Messe insieme tutte e tre danno sicuramente un quadro assai chiaro…e cioè quello di voler intrappolare una democrazia in favore di un primario potere governativo stabilito dall’alto.
Il cugino Domenico richiama giustamente il momento storico politico che ha visto il crollo di una certa classe politica aiutando non poco il cammino di Renzi..ma è proprio il risoluto pragmatismo del nuovo Premier a destare serie preoccupazioni  da parte di chi dovrebbe vedere la politica come mezzo per il raggiungimento di una sana funzione costruttiva...il resto è tutto più facile: --Chiunque con la forza risoluta di un assolutismo può cambiare un sistema...molto più difficile è farlo tenendo fede ai principi di una democrazia!
Ora… sia il forte pragmatismo che il decisionismo di chi oggi pretende di approcciarsi ai temi della politica in modo assai sintetico e tranchant..anzichè con il dovuto rispetto e la necessaria umiltà, fanno tanto pensare ad un cambiamento che somigli più ad un processo di “restaurazione”.
Quando un politico avanza così determinato ..per quello che oggi dovrebbe rappresentare un cambiamento epocale.. senza un serio scambio in seno al suo stesso Partito, parlando continuamente per slogan..a volte demagogicamente..e persino con quel “remarque”  populista simile a quello di Grillo, assai poco potrà contare il linguaggio diretto e la simpatia che riscuote, quando ciò viene dettato da una comunicazione che lascia dubbi e che poco può spartire con la logica di programmi funzionali...
Per finire… poi.. sul merito delle sopracitate riforme che continuano a convincere poco e che possono attrarre solo per l’ignoranza dei tanti cittadini che non conoscono bene i meccanismi delle istituzioni, né quale deve essere il vero fine di una società democratica.. o a chi si illude che col solo pragmatismo si possono superare le problematiche di una indispensabile crescita che necessita principalmente di nuove idee.
vincenzo cacopardo




15 apr 2014

UN RICHIAMO DI BANKITALIA AL GOVERNO


Il  vicedirettore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini, nel corso di un'audizione sul Def davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, pare aver dichiarato: "è importante che l'azione riformatrice sia nei fatti incisiva e coerente". Signorini ha inoltre spiegato  che i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review non sarebbero sufficienti, da soli, a conseguire gli obiettivi programmatici, qualora dovessero finanziare lo sgravio dell'Irpef per dare copertura agli esborsi connessi con programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente. Ciò pone molti dubbi su una "spending rewiew” che potrebbe non bastare  per il 2015.

Il vicedirettore afferma la necessità di dover assicurare la sostenibilità del debito pubblico che non è imposta solo dall'obbligo di rispettare le regole che abbiamo con l’Europa e nemmeno per conservare la fiducia dei mercati, conquistata con estremo sacrificio, ma soprattutto come requisito fondamentale della buona e prudente amministrazione della cosa pubblica.

Per l’alto funzionario dunque la possibilità di ridurre il peso del debito sul Pil non dipende solo da una gestione prudente delle finanze, ma anche dalla capacità di crescita dell'economia. Un richiamo a chi pensa che con tagli e prudenza della spesa possa risolversi in toto un problema che riguarda lo sviluppo di un Paese come il nostro che necessita di una crescita che può trovare sbocchi soprattutto con le idee  spingendo su intraprese innovative.

vincenzo cacopardo

Una chiosa al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Dell'Utri

di domenico Cacopardo

Il più potente dei bracci destri di Silvio Berlusconi, il più intelligente, il più vicino, Marcello Dell’Utri viene catturato a Beirut come uno sprovveduto dilettante. Un telefono consente agli inquirenti italiani di localizzarlo. Non è difficile trovare il luogo in cui si nasconde (per modo di dire): uno degli hotel più belli della città, cinque stelle, nei quali s’è registrato con il suo nome e cognome, con un normalissimo passaporto italiano.
Questo modo di fuggire e nascondersi fa venire in mente “I soliti ignoti” di Monicelli e l’attore Carlo Pisacane, che interpreta il personaggio di Capannelle, l’attempato componente della banda che, alla fine, si contenta di un piatto di minestra.
A dire il vero, già da qualche giorno la stampa nazionale scriveva che il latitante, in attesa della decisione della Corte di cassazione, s’era rifugiato proprio a Beirut.
La polizia libanese, allertata da quella italiana, lo cattura facilmente e lo conduce alla Centrale, dove è trattenuto in quella che lui stesso definisce una foresteria.
Sulle prossime mosse dei fantastici Gmen italiani e del governo libanese, i telegiornali formulano le più approfondite ipotesi, intervistando esperti di diritto internazionale, dalle opinioni, ovviamente, divergenti.
Domenica sera, per esempio, un serioso professore spiegava che il trattato vigente tra Italia e Libano prevede l’estradizione in caso di mandato di cattura per reati che siano contemplati anche dalla legge libanese.
Un altro aggiungeva che anche in quel paese vige il reato di associazione a delinquere, anche se altrimenti denominato. Quindi, l’estradizione sarebbe sicura.
La realtà è ben diversa.
La Corte d ‘Appello di Palermo ha adottato la misura cautelare per un reato, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, che non esiste in altri ordinamenti nazionali. La condanna di primo e secondo grado di Dell’Utri è motivata dal concorso esterno, ignoto alle altre nazioni, anche perché risultato di una elaborazione giurisprudenziale.
Abbiamo scritto che per l’estradizione, il reato deve essere contemplato in entrambi gli ordinamenti.
Per l’ospite della Centrale di polizia di Beirut non è così.
Quindi, pensare a Capannelle è del tutto improprio. Le possibilità che il latitante-catturato sia estradato in Italia sono limitate. Andandosene a Beirut, via Tel Aviv, Marcello Dell’Utri ha scelto una via abbastanza sicura e, probabilmente, studiata adeguatamente nei mesi scorsi. Ed è possibile che l’appoggio di Putin presso Gemayel (fatto trapelare dalle solite fonti bene informate) ci sia effettivamente.
Resta solo una domanda: perché i media lasciano intendere che l’estradizione è (quasi) cosa fatta, quando, riflettendo, si capisce che ci saranno dei problemi e che il nostro uomo è meno fesso di quanto si voglia far pensare? E non potrebbe essere altrimenti, visto che il Tribunale e la Corte d’appello di Palermo l’hanno ritenuto l’uomo di collegamento tra la mafia e Berlusconi.
La risposta è semplice: strategia comunicativa, in modo che se e quando Beirut dirà di no, l’opinione pubblica se la prenderà con i libanesi invece che con chi doveva prevenire e vigilare e non ha prevenuto e vigilato.


Più che giusto e brillante l’esame del cugino Domenico. Un articolo che mi permette di aggiungere quanto importante sia la forza di tali strategie comunicative.. e quanto ancora più rilevante sia trovarne i veri responsabili.
La fuga in Libano (sicuramente studiata ad arte) si sarebbe potuta prevedere. Con astuzia, Dell’Utri, ha messo in evidenza la sua scomparsa attraverso facili riscontri, lo ha fatto volutamente in modo da far credere di non aver nulla da temere, dichiarando dapprima  personali problemi di salute, salvo dopo asserire di trovarsi in Libano per una campagna elettorale in favore di un suo amico politico. Nessuno oggi potrebbe incolparlo di essere davvero fuggito al destino di un provvedimento della giustizia, non essendosi nascosto.
Qualunque sia stata la circostanza..quella dell’amico del Cavaliere.. è sicuramente una fuga da un Paese che ancora ritiene un reato come quello del "concorso esterno" poco chiaro e molto discutibile. 
Sarebbe opportuno riscontrare in questo reato una seria colpevolezza: o si è manifestamente aderenti al sistema mafioso o no! Quel “concorrere” potrebbe identificarsi in una compartecipazione spesso fumosa sulla quale..chiunque.. può rimestarvi attraverso inganni.. persino di comodo.

Con ciò non mi permetto, avendo scarsa conoscenza degli atti che riguardano il processo a Dell’Utri, di coniugare alcun attestato di innocenza o colpevolezza, ma solo di porre luce su un reato che lascia ancora aperti parecchi dubbi, oltre che in tante altre Nazioni, persino nell’ambito della nostra giurisprudenza. 
vincenzo cacopardo      

14 apr 2014

RENZI-GRILLO: SIMILI NELL' ASSOLUTISMO

Cosa vuol dire cambiamento….
di vincenzo cacopardo

Cosa vuol dire cambiamento… quando con tanta forza si vogliono imporre riforme additando chi non le condivide come un antiriformista? Cosa significa cambiare in meglio..quando si tende a voler escludere la voce dei tanti opponendovi una fermezza ed una determinazione che poco si sposano con una politica che si dovrebbe democratica? Ed infine..come si può pretendere una collaborazione da parte dei cittadini..quando sono proprio loro gli eterni esclusi da un qualunque consenso sulle regole del gioco di cui si parla?
Quando il giovane sindaco d’Italia, continuando a parlare con slogan e con adulazione verso i cittadini, predica in favore dei tagli, sembra sottovalutare l’importanza di una utile funzione che la politica deve avere per raggiungere il risultato primario del suo stesso compito: Qualunque taglio, se non coerente ed utile allo scopo, non potrà che risultare superfluo se non addirittura ritorcersi contro il funzionamento delle stesse istituzioni..potendo persino, un domani.. rendersi più costoso.
Quale differenza dunque può esistere tra Renzi e Grillo..quando l’uno si ritrova determinato con lo stesso assolutismo dell’altro?..Se Grillo, nella sua opera di cambiamento, pare tirarsi indietro da ogni governabilità, Renzi pretende di cambiare il Paese con la forza di un decisionismo illimitato. Grillo non dimostra superbia, ma timore unito a programmi spesso demagogici, Renzi, al contrario, finisce col dimostrarsi privo di umiltà, con programmi più fattibili e sempre più populisti, ma senza un utile riscontro con una politica più funzionale.
In questa analisi io riscontro molta più pericolosità nell’opera di Renzi che nella fantasia virtualistica di Grillo....ciò proprio per il fatto che Renzi ha potuto impadronirsi di un premierato..a cui Grillo, sicuramente meno ambizioso, in questo momento, non sembra bramare.
Tutte le riforme del nuovo sindaco d’Italia sono studiate ad arte per chiudere definitivamente la strada ad una politica più libera nel pensiero e questo.. proprio per salvaguardare una governabilità sicura. Al contrario di Grillo, che predica in favore una fantasiosa democrazia diretta, Renzi colloca la governabilità in cima alla politica, ponendo ancora una volta forti limiti alla democrazia.
Ambedue non lavorano per una ricerca più appropriata verso un equilibrio che possa riscontrare ulteriori formule…e questo oggi…dovrebbe accendere il pensiero dei tanti che guardano alla politica in senso più logico e funzionale non privo di una necessaria dose di umiltà: Cambiare è più che necessario, ma cambiare in peggio od in modo illogico, potrebbe arrecare maggior danno al processo di crescita dell’intero Paese.


13 apr 2014

Una analisi sul nuovo articolo del Consigliere Cacopardo sulla Costituzione. 12/4/2014



di domenico Cacopardo

Nata dall’intesa delle tre scuole di pensiero politico-istituzionale dominanti, la cattolica, la socialista e la comunista, la Costituzione italiana presenta contraddizioni concettuali e di incoerenze sostanziali. Di certo non è un documento liberale, capace di garantire i diritti di cittadinanza e di intrapresa, stabilendo i doveri di solidarietà e di cooperazione. In parte ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, in parte alle esigenze ideologiche del marxismo vincitore sui campi di battaglia dell’Est, è di difficile applicazione.
Non che i problemi della legge fondamentale non fossero presenti ai Padri costituenti: chi veniva dall’esperienza prefascista (Vittorio Emanuele Orlando, Nitti, Croce e Ruini, per esempio) segnalò i pericoli insiti nella formulazione degli articoli. Non fu ascoltato: prevalsero le discipline di partito.
Un altro elemento fondativo della Costituzione era il timore che uomini e movimenti di tipo fascista potessero aprirsi un varco nell’impianto politico repubblicano riportando il Paese ai tempi del ventennio fascista.
Questa ragione ispirò diversi punti cruciali, dal procedimento rigido di modifica, al bicameralismo, all’idea del potere diffuso con le Regioni. Il tutto fu aggravato, nel 2001, dalla modifica del titolo V, curata da Franco Bassanini, e mai abbastanza deprecata per i guai insolubili di cui fu portatrice, nel nome di un regionalismo, succedaneo nostrano del federalismo, auspicato anche da alcune destre.
Basti il rifiuto della guerra come strumento di definizione delle controversie internazionali: una petizione di principio coerente con il pacifismo cattolico e con l’ipocrisia dei regimi dell’Est, per i quali qualsiasi guerra era difensiva perché volta a tutelare i loro interessi. Un rifiuto, questo della guerra, ampiamente violato, a partire dall’attacco Nato alla Jugoslaviasino alla partecipazione italiana alle missioni in Iraq (Prima e Seconda guerra del Golfo) e in Afghanistan.
Ma ci sono tanti altri esempi, da segnalare: l’oscuro significato del “fondata sul lavoro”, una frase che ha dato la stura alla peggiore retorica sindacale, ma che, di fatto e di diritto, non significa nulla di preciso. L’altrettanto oscuro il senso della statuizione dei “doveri di solidarietà politica, economica e sociale.”
Dannoso per la comunità nazionale è il principio dell’art. 4, laddove la “Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”. Quest’idea di un “diritto al lavoro” era propria delle società socialiste di scuola sovietica e non è stato mai attuato, visto che è impossibile farlo in un’economia di mercato.
La sua dannosità è nel fatto che il cittadino può ritenere effettivo il suo diritto al lavoro e inadempienti le autorità che non lo rendono tale. Per renderlo effettivo, bisognerebbe risolvere il problema di “chi paga” e di “chi lavora”.
Le vestali della Costituzione debbono arrendersi: il loro mito, il loro vangelo è un documento da modificare e aggiornare. Il potere di ricatto che è conferito a tante minoranze dovrà essere abolito. Quando lo sarà, riprenderemo il cammino democratico cui abbiamo diritto.



Potere di ricatto delle minoranze…o un bavaglio per farle tacere definitivamente? Il cugino offre pane per i miei denti!
Ricordiamoci l’importanza di lasciare libero il pensiero delle minoranze, e se per un desiderio di governabilità imposto dall’alto, si vuole tendere ad ingabbiare la voce dei piccoli…addio ad ogni principio di democrazia! Ci sarebbe da domandarsi perchè mai nessuno promuove la ricerca di percorsi più innovativi che possano lasciare più libera l’azione dinamica di un dialogo politico per i programmi e per le normative adatte, separandole.. con equilibrio.. da un ruolo governativo da ricercare in altra forma.. Ad esempio...cominciando e disciplinare meglio i Partiti... Forse perché fa tanto comodo continuare a mantenere certi conflitti?

Pur d’accordo sull’indispensabile rinnovamento della Carta, non posso condividere un modo di discriminare e catalogare chi è o non è d’accordo con i principi che la guidano, poiché servirebbe soltanto ad alimentare il continuo gioco delle contrapposizioni tendendo a sviare l’immedesimazione di una ricerca più utile. 
Senza intaccare quei principi di base che ne hanno ispirato la ragione e dando forza a quei contenuti che dovrebbero sempre proteggere l’alto valore di una vera democrazia, si dovrebbe lavorare per rimodernare la nostra Costituzione. 

Considerato che i problemi della politica si concentrano essenzialmente sulla mancanza di utili regole per una adeguata funzionalità del sistema e, premesso che le basi per le riforme primarie della politica devono prendere spunto dal testo della nostra Costituzione, bisognerebbe poter provvedere.
Alcuni suoi articoli risultano oggi obsoleti poiché non tengono conto del cambiamento storico culturale che il nostro Paese ha avuto in questi sessant’anni.  

Articoli della Costituzione, sia sui principi fondamentali che quelli sui diritti e doveri dei cittadini  suonano superati ed assai lontani da una società che si vuole moderna ed innovata. Altri, nel loro testo, non entrando nel merito del tema in modo approfondito, finiscono col trasmettere un indirizzo  poco chiaro. 

La nostra Carta appare volutamente scritta al fine di poter dare continua possibilità di rivedere in chiave moderna i suoi articoli…quindi rinnovabile.
Volendomi collegare a ciò che ha scritto il cugino Domenico sull’articolo 1… ad esempio.. interpretando questo articolo chiunque, oggi, potrebbe riscontrarvi una curiosa ipocrisia, poiché, già da parecchi anni, con le crisi economiche ed i nuovi modelli di sviluppo, non può più evidenziarsi un preciso fondamento basato sul lavoro ma, forse,  solo sul profitto di pochi, sicuramente su un modello di nuove regole nel campo del lavoro ben diverso da quello esistente in un tessuto imprenditoriale del 1947. Oggi il concetto è ben diverso poichè manca  una vera possibilità di lavoro!
Un articolo che oggi appare alquanto retorico, costruito su una passata ideologia comunista che i Costituenti hanno inteso formulare in favore della classe lavoratrice di quel tempo. Meglio sarebbe oggi:fondata sulla libertà, sul rispetto e sulla pari dignità.

Ma si potrebbero individuare altre anomalie circa il terzo,…. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica” In via teorica tutto ciò potrebbe sembrare realistico ma, se, per quanto riguarda la pari dignità sociale, la distinzione di sesso e di razza e di lingua, non si può che essere d’accordo, non ci pare che, oggi, possiamo davvero esserlo davanti all’attuale esercizio dell’espressione politica e della legge. Pochissimi cittadini sono, oggi, in grado di comunicare le proprie opinioni politiche se non attraverso la forza di precise risorse finanziarie o soggiacendo agli interessi dei Partiti. Inoltre, fino a quando non si studiano nuovi percorsi e regole capaci di individuare un rapporto di equilibrio tra il potere politico parlamentare, quello esecutivo e l’ordine giudiziario, le opinioni politiche difficilmente potranno essere libere nel loro pensiero.
Senza le regole dettate dai nuovi principi della stessa Carta, sia i Partiti che la  Magistratura, potrebbero condizionare fortemente qualunque opinione politica voluta dal cittadino.

E si potrebbe, poi, continuare.... riscontrandosi con altri articoli vecchi e persino contradditori malgrado le buone intenzioni, che non potranno mai agevolare un percorso della politica funzionale, ad esempio, nella parte dell’Ordinamento della Repubblica Titolo 1, riguardo alle funzioni del Parlamento, dove l’articolo 67 recita: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato .Curiosa teoria, poiché tutti sanno che un vincolo vi è ed è sempre più evidente: quello dettato dai Partiti e dai loro leaders. Questa retorica e ipocrita prassi di voler ancora considerare il parlamentare libero nella sua scelta, viene continuamente smentita da un suo chiaro condizionamento ad una forza di Partito che spesso lo favorisce anche nella elezione, soggiacendolo ad un preciso interesse. Ogni nuova legge elettorale potrà seguire questo articolo, solo se si apporterà la necessaria riforma.

E poi ancora…..sulla parte seconda Titolo primo (più facilmente rinnovabile) in riferimento alle Camere ed allo sproporzionato numero di deputati, sulla loro ripetuta elezione, sul sistema di elezione degli stessi, sulla formazione delle leggi e sull’uso esagerato dei decreti legge che alterano e riducono la vera attività del Parlamento. Chiaro sintomo di una Repubblica parlamentare in crisi.

Per arrivare persino….alle strane singolarità del Titolo quarto, allorquando, attraverso l’articolo 104 in riferimento alla Magistratura ed alla istituzione del Consiglio superiore, si pone un’anomalia. Anomalia costituita da un difficile posizionamento di ciò che dovrebbe figurare come un”ordine” indipendente, ma che, eletto per due terzi da magistrati ordinari, finisce col rappresentare un vero e proprio potere. Potere fortissimo, poiché in grado di limitare la libertà delle persone, potere sostanzialmente in contrapposizione a quello politico che agisce in rappresentanza del popolo. 

Ma in via di principio questa Carta esprime dei valori importanti anche se poi non se ne conseguono i risultati.
La nostra Costituzione, che come scopo dovrebbe avere il compito di guidare e fornire una traccia al complesso di norme per meglio definire la struttura dello Stato, non sembra avere oggi un giusto funzionamento che la porti al raggiungimento del suo desiderato fine. In se, essa potrebbe apparire perfetta nella rappresentazione dei valori per la determinazione di una democrazia, ma può solo idealizzarne il raggiungimento.
La passata Assemblea Costituente che ebbe il compito di porre le norme fondamentali dell’ordinamento dello Stato,  determinò le regole per una concezione politica in opposizione ad una visione di assolutismo, riconoscendo la validità di uno Stato fondato sulle norme e sui poteri. Ma qualunque norma o confine di potere, dopo la smisurata e sregolata crescita economica e sociale di questi sessant’anni, non potrebbe che essere rivisitata affinché non possano continuare a riscontrarsi ulteriori anomalie dovute ad un progresso che ha alterato gli stessi valori della società. Anomalie che non potranno mai dare innovazione al percorso di una politica che si vorrebbe efficiente e costruttiva.
Una carta costituzionale che, per una sua utile modernizzazione, non dovrebbe esimersi dall’osservare in lungimiranza un possibile sistema funzionale basato su principi più moderni in proiezione delle normative e della suddivisione dei poteri. Una carta costituzionale utile ed indispensabile, ma sicuramente da rinnovare, poiché non potrebbe mai essere richiesto un suo stravolgimento.

vincenzo cacopardo