Le due
anime inconciliabili
del centrodestra
di Giovanni Belardelli
shadow
«In Europa prima l’Italia»: lo slogan che campeggia sui manifesti del Nuovo centrodestra cattura
involontariamente la fisionomia evanescente, la leggerezza verrebbe da dire,
che attualmente caratterizzano non solo l’Ncd ma un po’ tutti gli eredi dello
schieramento che, sotto la guida di Berlusconi, ha segnato per quasi un
ventennio la politica italiana. Uno schieramento che oggi, nelle sue varie
componenti interne ed esterne al governo, affronta le elezioni europee con
slogan che, diciamo la verità, appaiono un po’ tutti uguali: da quello, appena
citato, del partito di Alfano, al «più Italia in Europa» di FI, fino
all’«Italia chiamò» di Fratelli d’Italia e alla stessa associazione creata da
uno dei suoi leader, Alemanno, che si chiama - neanche a dirlo - Prima
l’Italia. I messaggi politici debbono essere per forza semplici e immediati.
Tuttavia colpisce come (esclusa ovviamente la Lega) i vari spezzoni del vecchio
centrodestra si siano limitati a girare attorno alla parola Italia, forse
nell’illusione di arginare in questo modo la concorrenza degli assai più
aggressivi e (temo) efficaci messaggi antieuro del M5S.
Ma dietro lo scarso spessore politico di certi slogan c’è qualcosa che va oltre le prossime elezioni europee ed evidenzia piuttosto una contraddizione e un limite che hanno attraversato l’intera esperienza del centrodestra italiano dal momento in cui nacque, grazie a Berlusconi, nel 1994. Fin dall’inizio esso si trovava ad avere un’identità ancipite. Da una parte si presentava come una forza moderata, che era in grado di contrapporsi con successo alla sinistra postcomunista e si candidava a rappresentare e sostenere le posizioni della Chiesa su tutta una serie di temi etici. Dall’altra, soprattutto Forza Italia si proponeva come artefice di una «rivoluzione liberale» imperniata sulla riduzione delle tasse e più in generale della presenza eccessiva dello Stato nella vita dei cittadini. Ciascuna delle due identità presentava delle contraddizioni interne: ad esempio, la difesa dei valori cattolici era poco conciliabile con il modello individualistico-acquisitivo veicolato dalle tv berlusconiane; e d’altro canto la promessa riduzione della presenza oppressiva dello Stato trovava un ostacolo nella richiesta di protezione e benefici di tipo assistenzialistico ben presente anche fra gli elettori del centrodestra. In ogni caso (e soprattutto) presentarsi come l’alleanza dei moderati e insieme di chi propugnava la rivoluzione liberale dava origine a una contraddizione seria, con cui il centrodestra ha dovuto convivere per un ventennio. Lo ha potuto fare senza esserne troppo penalizzato (tanto da governare per vari anni) grazie al fatto che la leadership personale di Berlusconi copriva, e annullava nei suoi effetti potenzialmente negativi, la contraddizione anzidetta.
Considerati in un’ottica storica, il carisma di Berlusconi e la sua straordinaria capacità di comunicare direttamente con gli elettori senza bisogno della mediazione partitica, ci appaiono come una grande risorsa politica, ma anche come un non meno grande limite. Una risorsa perché hanno fatto sì che il fondatore di FI fosse per anni l’unico politico italiano in grado di muoversi agevolmente sul terreno della nuova «democrazia del pubblico» (secondo la definizione del politologo Bernard Manin). Ma anche un limite perché la crisi della leadership carismatica di Berlusconi - accelerata dalle sue vicende giudiziarie, certo, ma resa definitiva da un ovvio dato anagrafico - riconsegna agli ex alleati del centrodestra, pressoché intatta, quella contraddizione iniziale tra due anime poco o punto conciliabili. Senza che si veda all’orizzonte qualcuno che, dotato di un analogo carisma, possa svolgere la funzione di collante svolta per vent’anni da Berlusconi.
Con questo articolo.. Belardelli rende chiara la posizione ambigua e
scomposta delle restanti posizioni di destra
nel nostro Paese, in cui l’unica vera identificazione rimane fissata sulla
figura carismatica di Silvio Berlusconi.. reso ormai handicappato nella comunicazione
a causa delle proprie vicende giudiziarie. Ma le posizioni dei Partiti di destra
rimangono anche ostacolate dalla preponderante azione comunicativa di un
personaggio come Renzi che, attraverso i consueti slogans, pare anche muoversi
con la cadenza di un democristiano vecchio stampo.
Lo schieramento di destra nelle sue diverse componenti, sia interne che
esterne al governo, si propone con la
solita retorica e privo di un vero programma, ma mentre Alfano sembra costretto
a seguire pari passo i propositi dello stesso Capo del Governo, il Partito di
Forza Italia pare essersi impantanato in una azione di ricerca di un nuovo messaggio
politico che difficilmente riuscirà a trovare. Quella leadership carismatica
del Cavaliere, come sottolinea il professor Belardelli, riconsegna intatta agli alleati, quella contraddizione iniziale tra due anime poco conciliabili.
Ma la realtà è anche quella che
oggi non permette di vedere in questi politici di destra un pensiero politico
che possa identificarli, anche per via del fatto che le stesse contrapposizioni
ideologiche vanno via via scomparendo in favore di posizioni pragmatiche più
aderenti ai bisogni di una società che, dopo l’inconsistente ventennio, sembra
non voler digerire qualsiasi posizione politica. Se Renzi avanza non è perché sia
di sinistra, ma perché rappresenta una freschezza giovanile di un modo di far
politica deciso e pragmatico che entusiasma la stragrande maggioranza dei cittadini a
prescindere dai futuri risultati che si dovranno vedere.