27 set 2014

interessante nota del consigliere Cacopardo


L'OTTIMISMO DEL CAMBIAMENTO
di domenico cacopardo

«E pur si muove!» disse Galileo Galileo, di fronte al Tribunale dell’inquisizione, al termine della rinuncia all’eliocentrismo, a conferma, non raccolta dai clerici parrucconi che lo giudicavano, che la terra ruota intorno al sole.

«E pur si muove», possiamo sostenere oggi, con riferimento all’Italia, alla sua situazione politica ed economica. 

Non è notte e, quindi, non tutti i gatti sono bigi. Certo di gatti bigi ce ne sono in giro e tanti. Ma qualche gatto bianco o rosso o grigio si vede bene, nel mezzo delle strade o sui marciapiedi più frequentati.

Sono manager, imprenditori, dipendenti pubblici, insegnanti, ricercatori, artigiani che, nonostante i legacci in cui sono avvolti riescono ad andare avanti e a produrre quel di più che caratterizzò, un tempo tutta la società italiana e che ora contraddistingue una minoranza.

Non è il caso di andare alla ricerca delle cause storiche, anche se, nell’attuale situazione, possono bene identificarsi gli irreversibili danni prodotti dalla stagione del ’68 e degli anni ’70.

Tra i gatti bianchi, si può serenamente individuare Matteo Renzi. 

Lo possiamo ben dire, non avendogli risparmiato critiche puntuali su tutto ciò che non andava e non va nella sua personalistica gestione del potere. La verità vera, però, è che il giovanotto dalla parlantina sciolta ha messo in moto la Nazione «politica», quel mondo a sé stante, costituito dalle migliaia di professionisti della politica che ha infestato e infesta Roma, le regioni, le exprovincie nella nuova versione, i comuni e le oltre 8.000 società pubbliche che sprecano i soldi dei contribuenti dall’Alpi a Lilibeo.

Una società politica parassitaria, avvinta alle strutture esistenti e incapace di immaginare il percorso necessario per recidere i legami che ci impediscono di essere quelli che fummo, protagonisti di almeno due miracoli economici.

La società politica del no: Notav, Noponte, Norigassificatore, Notermovalorizzatore e via dicendo. Un No, dietro il quale si celano interessi pelosi che aspettano, per svanire, congrui benefici da chi può dispensarli. 

Se si approfondisce, dietro a ogni No, c’è anche un gruppo sociale che spera di trarre utili concreti dal suo No, a spese della comunità nazionale.

Certo, è difficile essere ottimisti nell’Italia dei nostri giorni. Eppure, l’ottimismo di cui parliamo non è un confuso sentimento, è una ragionata fiducia nella nostra capacità di esprimere ciò che sappiamo fare nei campi in cui esistiamo.

Da questo punto di vista, Renzi è stato meno salutare, per suoi limiti, di quanto avrebbe potuto essere.

Ma ora siamo al dunque, al discrimine tra un prima e un dopo. Il prima scadrà lunedì, nello «show down» alla direzione del Pd, tra i riformatori del «job act» e dell’art. 18, e coloro che succubi del peso della Cgil e del vecchio che permane, si oppongono.

Se Renzi rifiuterà qualsiasi gattopardesco compromesso e vincerà, prima in via Sant’Andrea delle Fratte (sede del Pd) e, indi, in Senato, entreremo nel «dopo», nella stagione –pur contraddittoria- delle riforme che servono, prima e più urgente quella della giustizia, ancora più attuale dopo l’incredibile chiamata di Giorgio Napolitano a testimoniare sulla trattativa Stato-Mafia.

Infatti non è solo l’«attualità e non rinviabilità dei problemi», la sussistenza di questo «nodo essenziale … per ridare competitività all'economia» e un «funzionamento è largamente insoddisfacente», tutte parole del presidente alla cerimonia di saluto del Csm uscente.

È questione di ristabilimento di corretti rapporti tra poteri dello Stato, da tempo compromessi per un mondo politico colpevole o tremebondo, spesso colpevole e tremebondo. E la restituzione del «servizio giustizia» alle sue ragioni etiche e costituzionali con l’abbandono delle usuali gestioni burocratiche che ci pongono in coda in ogni classifica di settore e consentono l’allargamento delle ipotesi processuali, come nel caso della chiamata di Napolitano a Palermo. 

Un magistrato del Consiglio di Stato, anni fa, di fronte all’eliminazione dell’arretrato da parte della 1^ sezione, presieduta da Alfonso Quaranta, ebbe a dirmi, a mo’ di critica: «Un grave errore. L’arretrato è potere.»

Insomma, non per Palermo, ma in genere, la perpetuazione all’infinito del giudice processante e del giudice accusante, nel rimirar, compiaciuti, i propri ombelichi.

«Usque ad finem».

26 set 2014

Dov'è finita la proposta del disegno di legge sul conflitto d'interessi?

di vincenzo cacopardo

Uno dei temi più scottanti nel quadro della politica nazionale rimane il conflitto d'interessi. 
E' passato parecchio tempo da quando la sinistra, potendo sollevare l'argomento, per metterlo in atto attraverso formule appropriate, ha ceduto alle tentazioni... regalando al Cavaliere un più libero percorso …

Ricordiamoci come il giovane sindaco d'Italia..neo premier, durante la campagna per le primarie dell'anno scorso, esordiva di continuo sul tema.. accusando i vecchi leaders dei Partiti di non aver mai risolto alla base il problema.

È ancora fresca la notizia di un nuovo rinvio della discussione sul DDL conflitto d'interessi, ormai giacente in Parlamento da qualche mese. Pare che la decisione sia stata presa dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera con il voto favorevole della maggioranza (PD, NCD, Scelta Civica) e naturalmente... Forza Italia. Sembra chiaro che questi continui slittamenti facciano comodo al rapporto che il Premier intrattiene con Berlusconi per la formulazione delle altre riforme.

Sappiamo che negli anni 90 il centrosinistra aveva le forze per offrire delle regole e determinare delle formule più adatte. In questi anni si è solo perso altro tempo.. non possiamo nemmeno omettere l'esordio, quasi autolesionista, di Luciano Violante che ammise in Parlamento, senza mezzi termini, le garanzie offerte al Cavaliere. Per opportunità lo spinoso argomento viene ancora una volta accantonato dal giovane rottamatore, pena la messa in crisi di un patto detto del “Nazareno” che condiziona in modo poco logico ed ambiguo... tutta la politica del paese.. e lo stesso PD. 
Una riforma di primaria importanza quella sui conflitti che si apre a ventaglio su una moltitudine di principi...che tocca il cuore di ogni percorso politico che si vorrebbe sano e funzionale...che invade grossi campi del potere economico e politico...un tema che investe l'attività parlamentare e quella governativa insieme. Insomma.. una vera madre di tutte le riforme assieme a quella di una indispensabile riforma sui Partiti.

Renzi sembra oggi sottovalutarla... rimanendo condizionato dall'appoggio del suo alleato/oppositore Berlusconi?.... Un dato di fatto resta certo: del conflitto di interessi ancora una volta, malgrado le promesse di tutti, non ve ne è ombra.

Dov'è dunque finito il determinismo del nuovo sindaco d'Italia?

Bisognerebbe ricordare al Premier che... se un certo determinismo (a differenza di una più opportuna determinazione) paga nei brevi tempi..la necessaria umiltà finisce col pagare nel lungo tempo. Non si può inoltre imporre l'assolutismo e la fermezza in seno ad un qualsiasi Partito..e poi dimenticarsi degli obblighi che si hanno con i cittadini di fronte a temi scottanti come quello sul conflitto d'interessi.



24 set 2014

I guasti della globalizzazione..e le possibili reazioni

di vincenzo cacopardo

Sembra che il nostro Paese sia definitivamente fiaccato economicamente e che l'idea di una ripresa in un contesto globalizzato come quello odierno, rimanga remota.. se non addirittura teorica. Il peso e le regole poco chiare di una globalizzazione ci hanno sicuramente tagliato fuori da ogni possibile ripresa..anche se si deve di continuo sperare malgrado il forte debito pubblico, il condizionante patto di bilancio.. e la fortissima concorrenza sleale a cui ci sottopongono altri paesi.Il futuro internazionale più probabile pare essere quello di una reazione allo stesso modello globale impostosi con forza in questi anni senza alcun criterio di logica.. se non quello di base economico e finanziario.

Ma cosa è... e cosa ha generato la globalizzazione?

La globalizzazione è un principio ormai insito nel sistema che indica l'accentuarsi degli spazi e dei problemi che vanno oltre i propri confini nazionali facendoli diventare globali..Un processo che è sicuramente complementare e che deve essere verificato empiricamente. Il suo significato racchiuso in quello di una “società mondiale” andrebbe anche inteso in altra maniera e cioè... come quello di una società multidimensionale, multisociale, multiculturale e politica. Ma, a differenza della globalizzazione...oggi un più diffuso “globalismo”, assume la deleteria ideologia secondo la quale il processo economico ha un aspetto sovrastante..che pone, in modo malato, la stessa azione della globalizzazione, in un'ottica solo economica.

Secondo molti anche lo stesso principio di democrazia ha senso solo se rimane inserito in un contesto globale.. ed il modo di governare presuppone l’esistenza di una società civile globale e dei rispettivi rapporti giuridici che rimangono validi universalmente... Ma se è vero che i diritti fondamentali convalidati a livello transnazionale sono alla base della democrazia cosmopolita è anche vero che bisogna tener conto dell'aspetto di una società multiculturale e delle sue contraddizioni che ne rappresentano la particolare “realtà globale”. L’analisi neomarxista ritiene l’idea di una democrazia cosmopolita non realizzabile in quanto l’”etica” viene a confondersi con il “potere”.

Un dato di fatto è comunque certo: Il nuovo capitalismo globale riesce ormai ad estremizzare i profitti occupando meno capitale umano. Si perde.. quindi.. il peso di una contrattazione sul lavoro e cresce l'emarginazione di massa. Alcuni sociologi teorizzano persino l’avvicinarsi di una “era globale” con la fine di ogni Stato nazione e quindi di ogni democrazia.

Una società mondiale appartiene agli stessi individui ed alle proprie culture, non può restare estranea, poiche tocca la vita degli stessi. In una società mondiale che si vuole multiculturale.. la realtà..rimane globale.... Una società che si vuole mondiale non può restare esterna agli individui, ma deve toccare la loro vita. Si difendono i diritti umani da parte delle Organizzazioni governative mondiali, ma non si rispettano le loro culture terze... la loro storia e persino la loro dignità. Un certo cosmopolitismo nega il legame tra culture senza nemmeno provare a compierlo e con questo tipo di globalizzazione sembrano andate perse le speranze ed ogni ideale politico. La reazione potrebbe vedere una totale svolta contrapposta ... un irrigidimento da parte dei Paesi che tenderanno a chiudersi nel proprio ambito nazionale con una logica opposta di un insolito avvenimento di “deglobalizzazione”: - I paesi si chiuderanno..i mercati si marcheranno...le società si distingueranno...le culture si evidenzieranno..etc.. Un sistema mondiale intero che si fraziona e che competerà attraverso logiche differenti più segmentate e connaturate.



"Diritti e lavoro"..un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo



La bugia dell'allargamento dei diritti di domenico cacopardo 

Non c’è stato nessuno, nei media, che abbia chiesto a qualche esponente della minoranza del Pd: «Quali diritti intendeste allargare? Sostenete che invece di toccare l’art. 18 dobbiamo allargare l’area dei diritti dei lavoratori, spiegateci in cosa consiste la vostra proposta.»

Secondo me, l’interpellato farfuglierebbe qualche parola in puro politichese. Infatti, si tratta di una bugia bella e buona, annunciata con aria pensosa, proprio per confondere le acque di una discussione che, in realtà, è abbastanza semplice e riguarda l’allentamento delle rigidità dello statuto dei lavoratori, che impediscono all’imprenditore di avere fiducia e di assumere. 

I diritti dei lavoratori sono diritti di libertà (sindacale e politica), di sicurezza sociale (assenze pagate), di retribuzione. Tutti, proprio tutti comportano costi per le aziende. 

«Allargare i diritti dei lavoratori», quindi, significa aggravare i costi del lavoro.

Punto. Basterebbe questa constatazione per tappare la bocca ai confusi esponenti delle varie minoranze del Pd, in concorrenza tra loro, pronte, in alcuni casi, a ingrossare le file del vincitore.

Alle loro spalle c’è il colosso d’argilla, l’organizzazione che da condizionata dal partito, ne è diventata la condizionatrice: la Cigl. Essa, è il riferimento politico e organizzativo di gran parte della minoranza del Pd, legata mani e piedi al sindacato e alla congerie di soggetti che fanno capo a esso, compresa la cooperazione.

Come dimostra la posizione del «riformista d’un mese» Giuliano Poletti, ministro del lavoro e delle politiche sociali. 

L’allargamento dei diritti, in un periodo di drammatica crisi come l’attuale, allontanerebbe ogni idea di ripresa, a meno che, scartellando da ogni impegno europeo lo Stato non si desse ad assumere, caricando, ulteriormente, sulla collettività i costi del disastro.

Del resto, lo stolido Cofferati si dichiara in questi giorni neokeynesiano e propone un vasto piano di investimenti per recuperare posti di lavoro e rilanciare l’economia. Non lo sfiora il dubbio che i soldi non ci sono; se ci fossero mancano i progetti; e se tutto fosse pronto e disponibile dovremmo muoverci negli angusti spazi concessici dall’Unione europea.

A nessuno al mondo che abbia avuto esperienze produttive, in qualsiasi posizione, verrebbe in mente di rendere ancora più problematiche le assunzioni, lasciando a spasso, senza speranze, per le nostre piazze i giovani, poco qualificati dalla scuola, che vi soggiornano. 

A nessuno, sano di mente, verrebbe in mente di allargare il ruolo dell’autorità giudiziaria (che è il garante dei diritti) dandole ulteriori facoltà di intervenire nelle gestioni aziendali.

Se, quindi, è così intuitivo che «allargare i diritti» è una formula senza costrutto, una follia comunicazionale, perché gente che, per altri versi, conosciamo come ragionevole e posata, la adotta come una bandiera? Pensiamo a Bersani, solido, spietato burocrate dell’exPci, dotato di una naturale bonarietà. Pensiamo al raziocinante Cuperlo, prezioso consigliere alla presidenza del consiglio in anni non lontani, e a tanti altri che si prodigano su questo terreno dichiarando a destra e a manca che il problema non è l’abolizione dell’art. 18, ma, appunto, l’allargamento dei diritti.

Se questo accade, non accade per caso. Dalle parti della sinistra Pd, si è capito che quella sull’art. 18 è la madre di tutte le battaglie del renzismo. La sua vittoria determinerebbe la fine di quel poco o tanto di potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende, e, per li rami, le possibili influenze che gli eredi di quella che fu una grande armata, il Pci, riescono ancora ad avere sul mondo produttivo nazionale. 

Probabilmente, lo sa anche la massa dei disoccupati che l’«allargamento dei diritti» è una bugia che può solo prolungare il loro tragico stato rendendolo permanente. Meglio spazzarla via dalla scena il prima possibile.




In una visione moderna riesce sempre più difficile parlare del lavoro come di un diritto.. e ciò non perchè si voglia sottovalutarne l'importanza, ma per via dei tempi che hanno imposto una globalizzazione quasi selvaggia... condizionando tutti i paesi.. soprattutto il nostro finanche privo di risorse energetiche.

In realtà il tema dell'articolo 18, come vuole far intendere Domenico, è sicuramente la madre di tutte le battaglie del renzismo, ma rimane anche un vessillo per chi, come la CGIL, non pare ricercare ulteriori alternative per la sua lotta contro un sistema e la sua classe imprenditrice. 

La guerra odierna interna in seno al PD ...è infuriata anche in forza del fatto che.. lo stesso giovane segretario, usa questa contesa per avversare ulteriormente le poche forze a lui ostili all'interno del Partito. … Forze che, in realtà, poggiano ancora i loro valori sui principi di una classe lavoratrice non più adeguabile all'allargamento di alcuni diritti dei lavoratori. 

Il potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende non è più quello di prima ed il confronto con una realtà industriale moderna globalizzata, non può che prescindere da un articolo che pone un freno alla stessa competizione tra le aziende. Tuttavia sarà necessario studiare modelli alternativi per rendere maggiore sicurezza al lavoratore, il quale non potrà mai più pensare di ottenere le certezze del passato... se non attraverso alternative più flessibili. 
Vincenzo cacopardo

23 set 2014

Il “rischio” dell'impresa....e l'art 18


di vincenzo cacopardo
Si parla oggi dell'articolo 18 facendone una questione di estrema importanza e guardandone solo un aspetto slegato da una primaria importanza relativa all'impresa: Se è vero che il lavoratore dipendente deve avere le proprie garanzie al fine di non pagare il prezzo altissimo della perdita del suo lavoro, riesce ancora più difficile pensare che un magistrato possa decidere sulle decisioni di una impresa che affronta la sua rischiosa avventura. In ogni iniziativa industriale vi è la possibilità che si verifichino fatti negativi... che non vi siano gli esiti voluti e si è costretti a subire eventi negativi...Questa è la sfera in cui è rinchiuso il “rischio”!

All'impresa ed all'imprenditore appartiene il “rischio”: il rischio di intraprendere, di investire capitali, di mettere in produzione il suo prodotto derivante da un'idea. Se questo rischio ha un motivo di esistere in un'attività industriale..lo stesso dovrebbe ammettersi nella scelta di chi deve collaborarvi per il lavoro da svolgere e cioè... sia che essi siano operai o impiegati di concetto o persino dirigenti....La scelta di costoro è inevitabilmente connessa ad un rischio oltre che alla loro opera.

Ora ...se si ammette che chi vuole intraprendere una iniziativa industriale.. sta rischiando..dovrebbe di conseguenza ammettersi che la scelta del suo personale collaborativo è un altro rischio e deve potersi operare con estrema libertà e senza vincoli particolari...Libertà di operare sui prodotti, ma anche la libertà di una scelta collaborativa più libera..

Il datore di lavoro, quindi, rischia anche nella scelta del collaboratore...alla stessa maniera di come il collaboratore rischia nella sua permanenza nell'attività lavorativa. La flessibilità rimane, perciò, la base per poter affrontare ogni iniziativa.. il cui genere.. comporta continui rischi. La scelta dei collaboratori (operai o impiegati che siano) deve poter restare libera nella scelta qualitativa e nell'impegno temporale poiché connessa all'azzardo che l'impresa affronta.

Da parte di chi collabora per l'iniziativa si vuole però una sicurezza al fine di non ritrovarsi senza un lavoro ed alcuna fonte di retribuzione....certezza oggi impossibile da garantire proprio perchè connaturata al “rischio” che l'impresa oggi corre..ancor più che nel passato. D'altronde anche il datore di lavoro.. se fallisse.. non avrebbe alcuna certezza sul suo futuro..anzi verrebbe sommerso da pignoramenti e persino rischiare di finire in galera. L'unica via in tal senso, per rendere più forza e responsabilità ad ambedue, potrebbe solo essere quella che lega l'impiegato al datore in un'opera di collaborazione che renda ad ambedue vantaggi economici relativi ai risultati della stessa azienda.

Una via difficile da trovare... se non attraverso un'attenta ricerca che possa offrire vantaggi economici di collaborazione, ma mai sicure garanzie temporali di lavoro a fronte degli evidenti rischi.       

22 set 2014

L'Europa ribolle..



di vincenzo cacopardo
Tutta la politica internazionale è in fermento..ovunque..in ogni parte d'Europa pare esservi quel desiderio indipendentista che esalta gli animi più esaltati. Dopo il referendum che ha visto la vittoria dell'unione in Scozia...sembra che la polizia sia dovuta intervenire diverse volte per sedare le ostilità tra gruppi di sostenitori dell'indipendenza e gruppi a favore dell'unione.. un risultato che pone al 45% gli sconfitti..deve comunque far pensare

In Spagna intanto...il premier spagnolo Mariano Rajoy, ha persino elogiato il discorso pronunciato dal capo del governo della regione autonoma spagnola della Catalogna e dopo la diffusione dei risultati nella Scozia ha anche elogiato il senso della democrazia del primo ministro britannico David Cameron, il quale avrebbe anche potuto bloccare il referendum. La richiesta di un voto di referendum pare persino più forte in Catalogna ancora più che in Scozia..non si esclude quindi una misura che potrebbe essere adottata al più presto.

L'effetto Scozia sembra arrivare dappertutto... persino in India, dove la regione indipendentista del Kashmir è tornata all'attacco nel rivendicare la sua autonomia.

Anche Matteo Salvini, di rientro da Edimburgo, si è proposto per sostenere il referendum sull'indipendenza del Veneto e della Lombardia. Lamentandosi di uno stato che vessa di continuo i cittadini, annuncia di voler andare avanti..poichè bombardato da richieste che giungono persino da ogni parte del territorio del nostro Paese. Salvini scommete anche su una indipendenza del Sud asserendo che anche nel meridione si chiede più autonomia e meno dipendenza dallo Stato tiranno: le sorprese non arrivano solo dalla Scozia!
Insomma... sembra esservi un gran desiderio di indipendenza che non calza esattamente con l'opera di costruzione che si sarebbe voluta nell'azione di edificazione di un' Europa..Ciò proprio per i molti errori commessi da coloro che hanno sempre visto questa unione più come una unione economica finanziaria e senza una precisa logica che guardasse ad uno sviluppo territoriale più aggregato e costruttivo dei diversi territori.

Sono passati più circa sessant'anni da quando un lungimirante Schuman propose “la comunità europea del carbone e dell'acciaio”...una proposta che rappresentava il preludio a quella Europa dei sei. Questi anni hanno visto un progresso smisurato e l'affermazione economica e culturale di alcune comunità rispetto ad altre, un progresso ed un cambiamento che non può essere sottovalutato quando si affronta una unione di questa portata.
Si ha la sensazione che si sia tirata fin troppo la corda sottovalutando le cultura dei paesi dove principi e valori etnici sono finiti con l'esplodere in reazione ai gravosi impegni dettati dall'agenda dei paesi economicamente più forti nell'establishment della Comunità Europea.


Un commento al nuovo articolo del consigliere Cacopardo sull'art.18 e sul lavoro



Finalmente si fa sul serio... 

Si è passati dalle chiacchiere al primo vero e sostanziale «show down» sulla questione «madre» di tutte le riforme, l’art. 18 dello Statuto dei lavori che prevede il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa.

Merito di Ichino e Sacconi, due veri esperti che affondano le loro radici culturali e politiche nel bel mezzo della prima Repubblica e, tuttavia, protagonisti di quella che sarà la prima vera modernizzazione del mercato del lavoro.

Già, l’art. 18, approvato nel pieno di una stagione industriale non ancora toccata dai segni della crisi, aveva una ragione politica precisa. Qual era o poteva essere la causa di un licenziamento, a parte la discriminazione? E quale una giusta causa? Il punto era ed è proprio questo. La giusta causa non poteva essere che lo scarso rendimento e qualche mancanza disciplinare. Sfido chiunque a provare (anche con testimonianze orali) qualcosa del genere. Quindi, era la garanzia che l’azienda –che non licenzia i lavoratori solerti e capaci- non licenziasse chi esercitava attività politiche e sindacali nella fabbrica. In sostanza, una tutela contro il licenziamento di comunisti (considerati i nemici e sabotatori del capitale) e sindacalisti della stessa area.

Ora che i comunisti non ci sono più, che il sindacato, anche la Cgil, rappresenta soprattutto pensionati, ora che la crisi trasferisce il potere dai Comitati di base all’impresa, l’art. 18 è diventato un archeologico residuo di una stagione morta e sepolta. Anche se, dal suo inserimento nello Statuto dei lavoratori, questo articolo ha avuto sovente, troppo sovente, un’applicazione giudiziaria fondamentalista, che non aveva alcun riguardo alle condizioni e alle esigenze aziendali.

L’art. 18 è la norma cui si appellò Michele Santoro per ottenere per via giudiziaria il proprio reintegro nella Rai, nel medesimo ruolo e con la medesima retribuzione di prima.

Alla fine, il «premier» chiacchierone dalle promesse facili, si è trovato davanti al primo vero e sostanziale bivio: riformare o no il mercato del lavoro a partire dall’unica norma che lo tiene bloccato.

Ha scelto di riformare e, come d’incanto, si è ritrovata contro la coalizione che da trentacinque anni si oppone a qualsiasi modernizzazione del Paese. Sullo stesso versante le anziane «vedove della Repubblica», capeggiate da Stefano Rodotà, a seguire, la Cgil (la gentile Camusso, capo dei resti dell’armata sindacale, dichiara che, più o meno «Renzi è come la Tatcher». Non si rende conto, la poveretta, che in questo modo fa il miglior complimento possibile allo scout fiorentino. E che la prosperità dell’Inghilterra è fondata proprio sul rigoroso risanamento tatcheriano) e alcuni settori dell’exPci, capeggiati da Pierluigi Bersani (e le sue esternazioni di questi giorni rendono l’idea di quali guai avrebbe portato all’Italia un suo governo) e dal grande pensatore Civati, settori della magistratura, pronta a presentare il conto di qualsiasi iniziativa sgradita al partito dei Pm e le aree giustizialiste (il giustizialismo è malattia infantile della conservazione). Tutto iniziò sul finire degli anni ’70, contro Craxi e le sue idee di governabilità e di repubblica funzionante. E proseguì, trovando il terreno più fertile mai incontrato, con Berlusconi.

Oggi, più o meno, sono gli stessi. Vedono svanire il loro potere di interdizione e di condizionamento del Paese. Vedono svanire le loro rendite di posizione. Si vedono costretti a nuotare nel vasto e pericoloso mare della competitività.

Basterebbe questa riforma (il contratto a tutele crescenti) a caratterizzare come riformista un governo. Aspettiamo di vedere le nuove norme che saranno emanate in forma di decreto delegato, mentre oggi è in discussione la legge di delega. Ma, a questo punto, siamo confortati da un po’ di fiducia.

Diceva Talleyrand che in politica contano le parole. In qualche modo, i toni e le parole innovativi di Matteo Renzi l’hanno costretto a iniziare a fare le cose che aveva promesso.

Se proseguirà su questa strada, l’Italia solleverà il capo e riprenderà la marcia





Non so se adesso si faccia davvero sul serio come crede Domenico Cacopardo....sta di fatto che tutta questa storia dell'articolo 18 sembra estremamente ingrandita rispetto ai problemi del lavoro esistenti. 

Ha ragione Domenico quando esprime il suo pensiero circa una giusta causa e ponendola come “scarso rendimento e qualche mancanza disciplinare”... quindi, “la garanzia affinchè un’azienda che non licenzia i lavoratori solerti e capaci... non licenziasse chi esercitava attività politiche e sindacali nella fabbrica”. 

Sappiamo però che.. nel contesto odierno.. non è facile valutare il rapporto dei dipendenti di un'azienda in simile modo...Tutto ciò che afferma in questo articolo il consigliere Cacopardo è perciò giusto..ma rimane sempre ancorato ad un rapporto di lavoro costruito nel tempo. Un rapporto che potrà forse aiutare nell'investimento di queste aziende in cui si applica l'articolo 18 ...ma non certamente nella nuova crescita innovativa di cui il Paese ha bisogno... il quale necessita proprio di nuovo lavoro.. più che di regole sul lavoro.

Insomma... il vero problema di un Paese come il nostro..non può essere solo il rapporto di lavoro...poichè è proprio il lavoro che manca! Credo che se le aziende oggi licenziano.. è soprattutto per la mancanza delle commesse e di una produzione che penalizza quantitativamente i fatturati. ..Il problema sta nel fatto che siamo ancorati ad una visione industriale che deve cambiare nei termini e nella stessa tipologia della produzione...un sistema industriale che non può più pensare di entrare in concorrenza con altri Paesi il cui costo del lavoro è estremamente più basso: il nostro Paese deve investire attraverso nuove intraprese sul principio inimitabile della qualità e dell'innovazione.. qualità alta ed innovazione particolare.. che possano meglio metterlo in concorrenza con altri.

Meno importerà quindi se vi sarà o no un articolo 18 nel futuro...poichè il vero problema sta nell'inventarsi nuove ed innovative produzioni. 
In questa logica non sembra apprezzabile il lavoro svolto fin qui dal governo Renzi che, preoccupandosi fin troppo delle regole tra il lavoratore e le aziende...pare trascurare quello più importante di spingere ed incoraggiare nuove iniziative... attraverso il credito e le opportune regole della fiscalità... 
vincenzo cacopardo



vincenzo cacopardo

19 set 2014

Il Nazareno...il nuovo spazio delle decisioni...


...nell'immobilismo dei Partiti   di vincenzo cacopardo

Dietro le parole “ i patti vanno rispettati” Berlusconi conferma la volontà di una accelerazione sulla legge elettorale!
Questa storia dei “patti” suona tanto come un'operazione di stampo quasi massonico a cui una gran parte dei cittadini non fa caso, ma che dovrebbe in sè stupire....Sorprende perchè rimane davvero singolare, oltre che fuori da ogni logica politica istituzionale, che un patto detto del “Nazareno” possa condizionare e costringere il futuro della politica del Paese in questa modalità. Il solo concetto di “patto” edificato e concluso in una racchiusa camera di un edificio.. fa tanto pensare a quanto i partiti oggi restino inesistenti nella loro vera funzione di ricerca...fa pensare all'immobilismo di una figura, seppur saggia, come il Presidente Napolitano...Non esiste più una costituente... un'assemblea composta da membri capaci come una volta di affrontare le tematiche legate alla costituzione secondo i canoni di un vero funzionamento del sistema democratico...e quindi ci si riduce ai "patti"fra leaders...

Tutto questo oggi appare... invero.. come una sorta di complice intesa, una intesa di comodo per raggiungere un preciso potere ..ostacolando la strada più corretta di un percorso che si deve nel rispetto dei cittadini.

Renzi e Berlusconi persistono in questo processo di costruzione delle riforme a dispetto di ogni deontologia politica ed in barba agli stessi Partiti....

Il giornalista Gino Marra, parlando del passato di Renzi scrive ..”essendo stato chiamato dal solito elettorato con il prosciutto sugli occhi a sostituire il peggiore e più odiato Sindaco che Firenze abbia mai avuto (quel Leonardo Domenici che, come premio per i suoi fallimenti, è stato mandato al Parlamento Europeo), era inevitabile che qualcosa di buono dovesse pur farlo. Ma, a parte aver evitato lo scempio del passaggio di un tram delle dimensioni di un Eurostar da Piazza del Duomo e aver ripavimentato alcune strade del centro, l’ex “ragazzo prodigio” ha utilizzato sapientemente Firenze come palcoscenico per proporsi alle masse come il volto nuovo, come una sorta di messia destinato a cambiare l’Italia, come un nuovo ed ennesimo “salvatore della Patria”. Marra quindi prosegue: a noi non interessa il pettegolezzo...Quello lo lasciamo volentieri a Marco Travaglio e ad altri. A noi interessa che la gente apra gli occhi sulla verità, sul grande inganno nel quale siamo immersi fino al collo. A noi interessa constatare e far capire quella che è ormai un’evidenza: Matteo Renzi è un massone figlio di massoni!
Non ci interessa il fatto che magari non si trovino le prove di un suo effettivo “tesseramento”, di una sua affiliazione a qualche loggia. Renzi è l’espressione più diretta ed immediata di quella culturalità massonica di cui si servono i grandi burattinai del potere occulto per agire indisturbati ai danni della società. Questa massonicità lo investe come individuo, come parte integrante di un contesto politico di potere e come espressione di una cultura che è e resta prettamente massonica.Questa è l’idea che mi sono fatto personalmente di Matteo Renzi, un personaggio abilmente costruito a tavolino e curato nei minimi dettagli per quanto riguarda il look, la gestualità, il tenore e il contenuto dei discorsi, tanto che, nonostante risulti agli occhi dei più attenti una squallida scopiazzatura di Barak Obama, sta trovando sempre maggiori consensi sia fra un elettorato di sinistra ormai senza bussola e senza identità, sia fra l’elettorato di un centro-destra fiaccato da vent’anni di Berlusconismo e di promesse non mantenute.”

Al di là dell'immagine che voglia darsi al nuovo sindaco d'Italia, quello del Nazareno.. appare come il nuovo capitolo di una farsa della solita politica all'italiana...dove due personaggi, simili nel loro determinismo ed in quella loro cultura di grandi burattinai del potere...si chiudono in una tranquilla camera di un palazzo definendo il futuro politico di una società ormai a pezzi....Il tutto nell'immobilismo totale dei Partiti che appaiono sempre più confusi ed inerti rispetto al compito ed al rispetto che si deve ai propri elettori.




18 set 2014

Una nota al nuovo editoriale di Antonio Polito


I sotterranei della democrazia...visti da antonio Polito
Sta per chiudersi nel nostro Paese una lunga era cominciata negli Anni 70 e segnata dall’espansione della democrazia elettiva, intesa come forma di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica. Su impulso specialmente del Pci, che vi vedeva un inveramento della Costituzione (il Centro per la riforma dello Stato di Ingrao ne fu il laboratorio teorico), dalle Regioni fino ai Consigli di Istituto, passando per i Consigli circoscrizionali nelle città, abbiamo da allora eletto una pletora di livelli di autogoverno, producendo forse più democrazia di quanta fossimo in grado di consumare.
La sbornia è stata tale che prima o poi il pendolo della storia doveva cambiare verso. E infatti dal 28 settembre al 12 ottobre si terrà in tutt’Italia la prima tornata di elezioni indirette per 64 assemblee provinciali e 8 città metropolitane. Sarà dunque l’esordio di una democrazia di secondo grado (sperando che non sia tale anche per qualità) che dovrebbe culminare con l’elezione indiretta dello stesso Senato, e cioè di un’assemblea legislativa.
Quale sia l’obiettivo di questo cambiamento e perché sia popolare, è facile da capire: si tratta di spoliticizzare istituzioni finora dominate dai partiti e di sfrondarle (da 2.500 consiglieri si passerà a meno di mille, e senza indennità). Invece che dai cittadini, i membri delle nuove assemblee e i loro presidenti saranno scelti dai consiglieri comunali e dai sindaci, con un voto ponderato in base alla popolazione che rappresentano. Però, come tutte le volte che si cerca di cacciare la politica dalla democrazia, c’è il rischio che quella si vendichi rientrando dalla finestra.
È ciò che sta accadendo in queste ore. È tutto un fiorire di trattative, spesso segrete, alcune già chiuse, altre riaperte, per dar vita ad alleanze contro natura tra partiti che di solito si combattono, o fingono di farlo, pur di assicurare un posto a tutti.
La più scabrosa è saltata proprio ieri, quando Pizzarotti ha dovuto rinunciare a guidare un listone unico tra Pd e M5S a Parma, a causa dell’opposizione di Grillo. Ma in altri territori il dialogo prosegue e non mancano, soprattutto al Sud, scambi di effusioni tra Pd e Forza Italia (anche se questi, dopo il patto del Nazareno, sono ormai meno innaturali). Spesso queste alleanze scatenano lotte interne ai partiti, come è accaduto in Puglia, dove Emiliano ha dovuto sconfessare l’intesa raggiunta dal Pd con i berlusconiani a Taranto e Brindisi, per non compromettere le sue primarie alla Regione.
Il rischio vero, insomma, è che una riforma che punta a cacciare i partiti dal tempio della cosa pubblica si trasformi in una fase più proterva della lottizzazione partitica (alle Province restano per ora rilevanti poteri e capacità di spesa), con spartizioni di nomi e di cariche decise in stanze chiuse al pubblico, e senza neanche avere più sul collo la spada di Damocle del giudizio popolare. Non sarebbe la prima beffa del genere, ma questa getterebbe una luce sinistra sulla ben più delicata elezione di secondo grado prospettata per il Senato, che giochetti locali di piccolo calibro potrebbero trasformare in un pied-à-terre romano per la nomenklatura regionale dei partiti. Anche se stavolta non votiamo, sarà dunque bene che vigiliamo: della democrazia di secondo grado siamo pur sempre il pubblico pagante.


Una democrazia ormai umiliata
Più che una democrazia di secondo grado mi sembra un gioco condotto al solito scopo di rendere più potere all'esecutivo. ...e a coloro che hanno già in mano le leve del potere politico.
Quella espansione della democrazia elettiva, intesa come forma di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica, a cui fa riferimento il giornalista, non sta per chiudersi, ma sembra essersi conclusa già da tempo in rapporto ad una mentalità politica che segue ormai assoluti principi di potere, oligarchici e che mirano prevalentemente ad una comoda governabilità. La mentalità di chi ritiene che per far funzionare un sistema sia necessario tagliare o percorrere vie più semplici senza un rispetto verso i principi della democrazia..è ormai prevalente. Quando si operano simili riforme non si può partire da un principio generico di risparmio e di riduttività dell'azione parlamentare..umiliandola a favore di una governabilità!
Con questi ultimi metodi non si sta provando ad uscire dal parlamentarismo eccessivo, ma si corre dritti verso un'avventura. Se si esaspera una certa semplificazione senza una logica costruttiva che protegga un vero principio di democrazia. ...i risultati potranno solo essere a danno del cittadino e di tutto il contesto sociale che lo circonda.
Polito, prendendo anche spunto dalla nuova riforma del Senato e delle Provincie, descrive con accortezza i rischi che continua a correre il nostro ordinamento politico che, con le nuove riforme promosse dal governo, rischia di porre la democrazia elettiva... nei più oscuri sotterranei.
vincenzo cacopardo


17 set 2014

CROCETTA IN CROCE...MA PERSEVERA..


di vincenzo cacopardo
E mentre la produzione della finction del “commissario Montalbano” rischia di allontanarsi dalla Sicilia per via di assurdi disguidi e delle incomprensioni da parte dell'apparato della Regione Sicilia...Crocetta persevera nella ricerca di nuove possibilità di governo attraverso soliti ed insoliti accordi politici.

L'articolo 8 bis dello statuto della regione siciliana si eprime in tal senso:
Le contemporanee dimissioni della metà più uno dei Deputati determinano la conclusione anticipata della legislatura dell'Assemblea, secondo modalità determinate con legge adottata dall'Assemblea regionale, approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti.”
Tuttavia nel successivo articolo 10 vi è stabilito che: “L'Assemblea regionale può approvare a maggioranza assoluta dei suoi componenti una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione presentata da almeno un quinto dei suoi componenti e messa in discussione dopo almeno tre giorni dalla sua presentazione. Ove la mozione venga approvata, si procede, entro i successivi tre mesi, alla nuova e contestuale elezione dell'Assemblea e del Presidente della Regione”.

Conosciamo bene la situazione difficile che.. da lungo tempo.. attraversa la nostra Regione e non dovrebbe sorprenderci la possibile interruzione di una legislatura a metà del percorso: Anche se direttamente eletto dal popolo... il governatore può essere sfiduciato!.

Ma sappiamo anche come possa essere difficile immaginare che i deputati eletti possano decidere la loro conclusione.. quando il posto del loro scranno vale quel che vale in termini di remunerazione. In più... un loro ritorno in Sala d’Ercole sarebbe assai difficile, non soltanto per il consenso... Il risoluto taglio dei parlamentari regionali da ridurre a settanta, pone ulteriori timori ed in ogni caso... qualsiasi resistenza per rimanere seduti nella propria poltrona per altri due anni e mezzo, non potrà che essere prevalente.

Mentre sta per riprendere in pieno l’attività parlamentare dell’Assemblea regionale dopo la pausa estiva...si inizia con reclamare la poltrona di vicepresidente dell'assemblea in sostituzione di chi è stato eletto al parlamento europeo. Fuori Sala D’Ercole vi è un clima politico tempestoso. Sembrano esservi ormai da tempo rapporti poco chiari...se non addirittura conflittuali, tra il Presidente Crocetta ed il PD, il Partito che pare avergli tolto ogni appoggio. Dal canto suo lo stesso Crocetta, ostentando la solita sicurezza, afferma di non volersi mai dimettere...

In tutto questo l'isola, già penalizzata nel suo territorio da una politica Nazionale completamente assente, è costretta ad assistere alle pietose scene offerte da una politica locale debole e priva di vere capacità di pensiero ed attuative....abbarbicata unicamente ad un concetto di potere che gli offre persino il suo Statuto autonomo.

La strada del governatore.. in questi due anni... è sempre stata percorsa da buche proprio perchè non è mai apparsa forte e sostenibile, ma solo debole e compromessa...senza alcuna nota innovativa........In Sicilia si rimane ancora aggrappati a vecchi schemi che richiamano partiti ormai alla deriva. Politici di un tempo continuano a padroneggiare e dettare linee e schemi antiquati su destra-sinistra e centro, nel vuoto assoluto di una Regione che pare abbandonata da ogni innovativa cultura politica. Tutto sembra rimasto fermo nel tempo e non si scorgono personaggi che possano infondere la voglia di far crescere la politica in un'ottica diversa..di vera innovazione ... Nessuno tra essi ha il coraggio di interrompere una legislatura tanto guasta... inutile e dannosa come quella attuale.

Siamo rimasti indietro... pretendiamo di crescere soltanto attraverso una mentalità politica del passato che sembra legata ad interessi personali che nulla hanno a che fare con un mondo politico che chiede innovazione e rispetto verso una democrazia...L'importante..per qualcuno di costoro.. è restare seduti in una poltrona tra interessi di partito e personali.

Il governatore Crocetta vorrebbe somigliare ad un redentore di una terra politicamente incapace, ma..per ostinazione, continua a non rendersi conto di come sia dannoso il suo continuo percorso di giravolte.. costruito su logiche politiche discutibili con l'uno o l'altro partito....


Una nota sul "piccolo eroe fiorentino" di Domenico Cacopardo



di domenico Cacopardo
Giorno dopo giorno, come nel bollettino di una disfatta, si susseguono le notizie delle ritirate della Repubblica italiana e dei suoi cittadini. L’attuale, inimmaginata situazione, non è colpa di Matteo Renzi che, probabilmente, pagherà per se stesso e i predecessori.

Il nostro «premier» ha affrontato il compito affidatogli come se si trattasse di una recita. Da attore consumato ha alternato le battute ai toni drammatici, battendo tutti i tasti più graditi al pubblico. È stato seguito con distratta attenzione. Si è riso delle sue trovate. Si è assistito alle sue promesse, sin qui tutte mancate.

Purtroppo, oggi, a metà settembre, alla vigilia dell’adozione della legge di stabilità 2015, Renzi non ha cambiato strada e continua a spararle grosse, girando l’Italia come se fosse non il primo ministro, ma un caudillo sudamericano.

Anche lunedì, a Palermo, s’è esibito in una serie di sciocchezze che avranno fatto sganasciare dalle risate i componenti dell’organizzazione criminale che si chiama mafia e che, oggi, cessato il viso delle armi, s’è inserita nel tessuto economico nazionale forte almeno quanto prima.

Benché gli sforzi compiuti da magistratura e forze dell’ordine siano stati importanti e coronati da diversi successi.

Dove, però, il «premier» manifesta la sua non-conoscenza delle regole base della politica è sul palcoscenico internazionale.

Destinatario di seri avvisi dell’Unione, della Bce, della Banca d’Italia, a Bari per l’ennesima comparsata, ha ritenuto di poter rovesciare il tavolo, respingendo le esortazioni (le riforme le faremo da soli) e chiamando l’Unione medesima a erogare i 300 miliardi di euro che dovrebbero finanziare un piano comunitario di infrastrutture.

Non è informato, l’inquilino di Palazzo Chigi, che, in materia di progetti finanziabili siamo a zero o quasi. E che i tempi per le progettazioni esecutive e per tutti i consensi necessari non sono inferiori ai tre anni. A essere ottimisti. Quindi, se ci aspettiamo una ripresa da questo genere di investimenti europei e nazionali, possiamo stare tranquilli: quando la medicina arriverà sulla tavola, l’Italia avrà subito, da tempo, il collasso che si intravvede al prossimo incrocio.

Comunque, non riuscirà, il nostro «piccolo eroe fiorentino» a smuovere l’Unione mediante i proclami fuor d’opera cui ci ha abituati.

Dovrebbe avere fatto ciò che andava fatto o dovrebbe farlo nel giro di pochi giorni, lui che ci ha messo sei mesi per definire una squadra di esperti per la presidenza del consiglio. Ha fatto filtrare un’accusa (di lentezze) nei confronti della burocrazia del palazzo. Una falsità. Normalmente, gli incarichi di collaborazione si definiscono in un giorno. Se ci hanno messo di più, la responsabilità è dei funzionari apicali scelti proprio da Renzi&Del Rio.

A questo punto, con un risultato di Pil a meno 0,4, dobbiamo aspettarci che il destino compia il suo corso e che una troika commissariale adotti per noi i provvedimenti che, tutti insieme, siamo stati incapaci di adottare.

Cosa resterà alla fine dell’anno del governo del cambiamento capeggiato da Renzi è presto per dirlo. Ma le campane non suonano a festa e il panettone non è specialità toscana.

Se per salvare l’Italia servono i commissari, che vengano.



L'esortazione di Domenico fa pensare.... forse ha ragione! Cosa potrà cambiare se vengono? D'altronde soffriamo allo stesso modo...Possiamo soltanto sperare che venendo..possano occuparsi meglio dell'assetto economico del Paese e magari garantire qualche risorsa in più per un Sud.. che necessita sicuramente di serie infrastrutture.

Ma il problema del nostro Paese non è solo economico, è anche istituzionale e non so in che modo.. il nostro Stato sovrano.. possa proseguire nel compito di promuovere le opportune riforme istituzionali qualora venisse, in qualche modo, commissariato..

Il nuovo sindaco d'Italia sembra aver fatto sognare una buona parte dei cittadini attraverso le speranze...ma la politica non può essere costruita sulle speranze..nè su una comunicazione faziosa in favore di sogni..Potrà ancora farcela?...vedremo, ma tutto si appesantisce giorno dopo giorno... 

A gennaio di quest'anno Matteo Renzi ha presentato la bozza del suo “Jobs Act” sulla riforma del lavoro. «Tra otto mesi un nuovo codice del lavoro». Tra i punti chiave sulla riforma del lavoro, il testo prevede «un assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto». L'obiettivo «è creare posti di lavoro». 

Ancora le sue parole di allora:"l’Italia ha tutto per farcela. È un Paese che ha una forza straordinaria ma è stato gestito in questi anni da una classe dirigente mediocre che ha fatto leva sulla paura per non affrontare la realtà, Un cambiamento radicale è possibile partendo dall’assunto che il sistema Paese ha le risorse per essere leader in Europa e punto di attrazione nel mondo. A noi il compito di non sprecare questa possibilità; abbiamo già sprecato la crisi, adesso non possiamo sciupare anche la ripresa. L’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori" .

Al di là delle belle parole...ancora oggi la sua politica economica non dimostra di attrarre dall'estero, né di mettere in atto le proprie risorse di cui parla, esprime una penalizzante politica estera...e non sembra proiettata verso incentivi ed aiuti per chi vuole investire..
vincenzo cacopardo

un commento alla nuova analisi di Domenico Cacopardo sulle scelte governative


Presto ci accorgeremo degli effetti devastanti che la recessione insieme all’inefficacia, meglio all’inesistenza, dell’azione di governo produrranno nella vita di tutti i giorni.

È inutile nascondercelo, sette mesi di Renzi al potere ci hanno dato uno spettacolo scoppiettante, colpi di scena, presenza continua sui media, ma nulla di concreto. Il giovanotto fiorentino ha pensato che governare fosse organizzare e realizzare uno spettacolo quotidiano e, quindi, si è speso in esercizi verbali cui non corrispondevano né idee né progetti politici.

Da ultimo, la farsa della spending review e la richiesta ai ministeri di procedere di propria iniziativa a proporre i tagli possibili, avendo a riferimento un orientativo 3%. Insomma, dopo la damnatio di tutti i predecessori (non tanto infondata) siamo tornati ai tagli lineari, al demenziale meccanismo immaginato da una classe politica impotente e complice. La ragione è semplice. Se, mettiamo, la garza nella regione A costa 4 centesimi e nella regione B 62, andrebbe capito il perché di una simile differenza. Poiché il produttore di garza, vendendola a 4 centesimi non ci rimette, anzi ci guadagna, dove vanno a finire i soldi della differenza (58 centesimi) oltre che a lui? A dirla senza ipocrisie, questo è il costo della corruzione politica e amministrativa.

Ora, non imponendo brutalmente, senza sì e senza ma, i costi standard e operando un taglio lineare, il governo Renzi disporrà una riduzione del prezzo di acquisto a 3,6 nella regione A e a 60,14 nella regione B, dando un forte contributo alla persistenza della corruzione di cui abbiamo detto.

Non sarà che c’è un patto nonscritto per non incidere su tutte le rendite di posizione e le occasioni di illecito finanziamento della politica, dei politici e delle burocrazie?

Resta, poi, il bersaglio grosso: il pacchetto di riforme di cui s’è parlato, rimanendo nel solo ambito della ginnastica orale. A parte, il Senato che, è inutile nascondercelo, è un fatto importante, ma del tutto marginale, per l’emergenza in cui viviamo.

I nodi sono sempre quelli: l’art. 18 e il mercato del lavoro; un taglio deciso delle uscite e delle tasse che si oppongono a ogni iniziativa di investimento.

Su questi due fronti, come del resto in tanti altri, il governo barcolla e non sa cosa fare.

È inutile e controproducente l’esercizio muscolare di parole pesanti cui Renzi si è dedicato a Bari, all’inaugurazione della Fiera del Levante, dicendo all’Europa che l’Italia sa cosa fare per le riforme mentre sarebbe piuttosto necessario che i 300 miliardi per infrastrutture fossero presto assegnati agli stati dell’Unione (ma non abbiamo i progetti per i quali ci vogliono 2/3 anni. Nel frattempo, il cavallo può essere deceduto).

Si tratta solo di propaganda a uso interno che a Bruxelles non serve, risultando la conferma dell’atteggiamento superficiale di Renzi e dei nessuno (salvo chi sappiamo) che ha portato al governo.

Aveva e ha le occasioni per affermare il ruolo dell’Italia sul piano internazionale e le ha sprecate: poteva e doveva puntare i piedi sui tanti dossier delicati a partire dalla questione Ucraina. Qui c’erano le ragioni politiche e morali per non accodarsi agli Stati Uniti nella politica di aggressione alla Russia e di sostegno al governo golpista di quel Paese e alle sue milizie neonaziste come il battaglione Azov. C’era da dire no alle sanzioni e no alla Force de frappe Nato, rivendicando una politica di appeasement con la Russia.

Invece, scioccamente, ci siamo allineati come si allinea Fido, il fedele amico dell’uomo, rinunciando a esercitare un ruolo autonomo e pesante. Se c’era da negoziare qualcosa sul piano interno, era il momento di aprire un’ampia querelle su tutti i temi all’ordine del giorno, potendo, per la regola dell’unanimità, paralizzare la sconsiderata azione dell’Unione, dando alla Germania il sostegno di cui aveva necessità.

L’aspirazione della Mogherini all’ectoplasmatico incarico di pseudo ministro degli esteri comunitario, ci ha fatto d’improvviso cambiare posizione, diventando fautori di una dura quanto autolesionistica posizione (dalla piccola armata alle sanzioni).

Lo stupido fa più danni del delinquente. Ce ne stiamo amaramente rendendo conto.


Il cugino Domenico mi stuzzica di continuo su un argomento che è sempre stato discusso con dovizia nei miei post..ossia: l'inaffidabilità di un giovane premier ambizioso e saccente.. Non dimostrando alcuna umiltà nell'affrontare le difficilissime problematiche insite nel nostro Paese.. Renzi, col suo solito atteggiamento di arroganza...difficilmente riuscirà a persuadermi.

Non v'è dubbio che il costo della corruzione politica e amministrativa continua a prevalere se non si attuano riforme più appropriate. Seguendo la sua strada dei tagli lineari si sosterrà il forte contributo alla persistenza della corruzione e ciò dimostra quanto.. il giovane sindaco d'Italia.. agevoli e favorisca certe lobby che continuano a dettar legge.

Se poi passiamo all'argomento riguardante la politica estera, si dimostra ancora una volta quanto il suo governo non sia capace di attuare una politica innovativa in favore di posizioni che possano agevolarla anche sul piano economico..Il fatto di puntare i piedi sui tanti dossier delicati a partire dalla questione Ucraina, la dice lunga sulla mancanza di una vera capacità intuitiva nel saper identificare con maggior forza la nostra posizione nello scacchiere internazionale: C'erano di sicuro le ragioni politiche e morali per non accodarsi agli Stati Uniti nella politica di aggressione alla Russia e, come giustamente afferma Domenico (al di là della stragrande maggioranza dei cittadini che sconoscono) di sostegno ad un governo golpista ed alle sue milizie neonaziste....Per non parlare delle ridicole sanzioni..che continueranno a penalizzarci nell'economia.

Con tutto il rispetto per un paese come l'America che..nel passato.. ci ha sicuramente assistito ed aiutato, la nostra politica estera deve ormai seguire una strada più autonoma e neutrale riguardo al nuovo scenario che oggi si presenta. Uno scenario in cui noi siamo presenti nel territorio (al contrario dell'America). Le questioni orientali dovrebbero essere inquadrate in un'ottica diversa più consona al nuovo aspetto che si è formato in questi ultimi anni..accentrando anche l'attenzione su un indispensabile ambito etnico religioso e culturale...invece assistiamo al solito servilismo inefficace oltre che misero e di continuo contrasto anzichè di vera attività diplomatica.... Il nostro Paese non avrebbe dovuto perdere l'occasione per farsi garante di un'azione diplomatica più avveduta e meno oltranzista.

vincenzo cacopardo