La
vicenda politica del nostro premier vede il suo protagonista
inquieto e spesso solitario leader di un partito che continuerà ad
autodistruggersi sino a quando si ostinerà a considerarlo non già
figlio del tempo, quanto anche e soprattutto un male necessario per
accumulare voti o, peggio, tessere.
Sarebbe
un grossolano errore dimenticare che non è Renzi il primo
Presidente del Consiglio incline ad attuare strategie di indirizzo
politico di tipo terapeutico ispirate dalla contingente situazione
socio-economica e non proprio in linea con datate ideologie di base,
parimenti sostenibili – con identica se non maggiore efficacia
–comprendendone appieno la naturale storica evoluzione, insieme ai
nuovi diritti e valori che ne derivano e che non vanno certo
revocati o negati, ma riconosciuti e trattati in maniera diversa,
poichè essi stessi sono cambiati.
Giova
qui ricordare che già trenta anni fa, solo contro tutti, Bettino
Craxi vinse una consultazione referendaria abrogativa del decreto
del febbraio del 1984 – detto di San Valentino per il giorno in
cui fu emanato – che bloccava la scala mobile e che puntava
all'ambizioso obiettivo – poi raggiunto- di ridurre una inflazione
che uccideva ogni giorno di più una economia già sul letto di
morte.
Le
pregiudiziali lotte di classe – da fare ad ogni costo - in tempi
di crisi globale nascono dalla irresponsabile consapevolezza di non
saper considerare ogni grave recessione alla stregua della “livella”
del principe De Curtis, dove a creare la disoccupazione è sia
l'imprenditore che non può assumere sia l'operaio che non può
lavorare.
Ciò
premesso, non credo che la semplice abolizione del famigerato art.
18 possa contribuire ad una presunta “liberalizzazione” del
mercato del lavoro con conseguente ripresa della produzione e
dell'economia; anzi, poiché non vi attiene proprio, più utile
sarebbe intervenire nel testo con emendamenti strutturali che non
solo ne estendano l'efficacia a tutti i lavoratori senza
l'incostituzionale differenziazione – generante una inaccettabile
diseguaglianza – del numero dell'organico, ma lo rendano
finalmente ed inequivocabilmente avulso dalla querelle sul welfare.
E
tuttavia questa convinzione non mi impedisce di considerare
prioritario il recupero e la giusta valorizzazione dei presupposti
fondamentali presenti in ogni rapporto di lavoro, che passa per il
superamento una volta per tutte della restrittiva semplicità del
principio secondo il quale uno o più licenziamenti possano
costituire la chiave di volta per un'azienda che, se già soffre,
non attenuerà di certo il proprio malessere mandando a casa le
maestranze.
Soltanto
pochi, oggi, si rendono conto delle vere priorità: e sono gli
stessi che cercano di sfondare i muri di gomma fatti di tesi
preconfezionate, spesso collegate ai cosiddetti “poteri forti”
di cui colpevolmente i sindacati si sono fatti parte integrante,
distruggendo un'immagine dialettica di confronto - che almeno nel
1984 c'era - di cui per prima la storica controparte , cioè il
governo, oggi sente più di altri la mancanza.
E
sono anche questi i dolori del giovane Renzi.