7 ott 2014

"UN CAMBIAMENTO TROPPO SISTEMICO CHE NON GENERA CRESCITA" di vincenzo cacopardo



Scrive il cugino Domenico su Italia Oggi...
« La sensazione che si ricava da qualche breve colloquio col personale di governo è quella di un caos incontrollato. I provvedimenti da approvare sono in sostanza due, il jobs act al Senato e la legge di stabilità in consiglio dei ministri. 
Manca un regista. Un punto di riferimento che monitorizzi la scrittura delle norme, la discussione preliminare, l’individuazione dei nodi politici e delle soluzioni. La presidenza del consiglio ipertrofica, messa insieme da Matteo Renzi con gente di varia, e non tutta brillante, estrazione opera in modo scoordinato e avventurista. 
L’istituto intorno al quale si sono costruite le fortune e le sfortune dei vari gabinetti, il preconsiglio, composto dai rappresentanti tecnici di tutti i ministri è stato abolito. Era il luogo dove si discutevano le proposte di legge prima che andassero nel consiglio, quello vero e legittimato a decidere. Era presieduto dal sottosegretario alla presidenza-segretario del consiglio dei ministri. Leggendarie alcune figure, da Giuliano Amato a Gianni Letta, capaci di arare il terreno sino in fondo, in modo che quando le questioni erano sul tavolo del «premier» e dei suoi ministri c’era solo da dire «Sì, il testo corrisponde alle intezioni del governo».
Non è solo questione di persone, naturalmente, ma è anche questione di persone, visto che al consiglio dei ministri arrivano provvedimenti che nessuno ha esaminato, spesso in semplice cartellina o scaletta. 
L’Italia ha una quantità e una qualità di problemi tali da esigere riflessione e capacità tecnica e politica.

Certo Matteo Renzi corre da tutte le parti: da Assisi a Termini Imerese, da Detroit a Brescia. E rappresenta in questo modo la propria volontà di essere vicino al corpo elettorale, per tranquillizzarlo e spingerlo alla fiducia. E parla in continuazione, spesso smarrendo il filo della coerenza. I risultati significativi che ha raggiunto sono politici e sembrano, purtroppo, effimeri. La minoranza del Pd, maggioranza nei gruppi parlamentari, diventa condizionante e mostra come sia mancato un secondo tempo, dopo l’elezione del segretario l’8 dicembre 2013: il tempo del consolidamento del nuovo «leader» nella propria «leadership» con la scelta accurata di collaboratori e di responsabili dei vari uffici.

La medesima rottamazione del personale excomunista ed exdemocristiano s’è arrestata, tanto che, per risolvere il problema del commissariamento dell’Inps, si è dovuti ricorrere a una degna persona, Tiziano Treu, grande esperto di area Cisl, che, però non corrisponde all’«identikit» anagrafico disegnato da Renzi e dai suoi stretti collaboratori, il «giglio fiorentino» che lo circonda, lo protegge e ne interpreta le intenzioni.
Oggi, assisteremo all’incontro governo-sindacati: un’esibizione mediatica nella quale Renzi farà la parte del riformatore che si batte contro il conservatorismo del sindacato stesso.
Ma mercoledì, al vertice europeo di Milano, potremo valutare le dimensioni dello scoglio che l’Italia incontrerà nella sua decisione di superare il deficit del 2014, concordato nel 2,2%. Un pessimo segnale è la notizia che la Merxel e Renzi terranno, al termine conferenze stampa separate. Vuol dire che, a oggi, l’area del dissenso è così vasta da non poter immaginare un possibile compromesso, un punto di incontro che non smentisca nessuno e lasci qualche margine di movimento agli italiani.

A questo va aggiunto –e ben più importante- lo stop ricevuto da Mario Draghi che, nell’incontro del 3-4 scorso a Napoli ha dovuto operare una riconoscibile marcia indietro nel suo progetto di ampliare i cordoni della borsa della Bce, finanziando direttamente il debito degli stati.
Questa scappatoia non è per il momento disponibile.
Le speranze riposte nel ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sono impallidite, oscurate dall’attivismo un po’ sconclusionato di Renzi che ha riportato a sé e al suo «staff» di esperti, dalle qualità tutte da scoprire, la regia della politica economica.
Una cosa nient’affatto rassicurante, visto il modo di procedere.
Non ci resta che aspettare la fine del mese, l’addio della vecchia Commissione europea, che fra il 29 e il 30 dovrebbe indicarci in modo cogente la stretta via da seguire, e l’insediamento della nuova che promette di porre al primo punto la ripresa e al secondo un massiccio investimento in infrastrutture (in Italia dovremo chiedere il permesso alle regioni, ai Black-block, agli anarchici e quell’esempio di nuova politica che è il sindaco di Messina, Accorinti, vincitore delle elezioni con la lista Noponte).

Insomma, abbiamo ancora qualche giorno per alimentare un’immotivata speranza.»
domenico cacopardo


Mi domando cosa ancora dobbiamo aspettare?. Sembriamo insensatamente seduti sulla riva del fiume aspettando in cadavere del nostro Paese.. sempre più attaccati all'effimera speranza di non vederlo mai arrivare...

Il cambiamento che avremmo voluto e desiderato affinchè si potesse in qualche modo contenere nei limiti il defoult della Nazione non poteva mai affrontarsi come pretende di fare.. in modo assoluto.. Renzi. 

Il cambiamento deve per forza essere rivoluzionario e di idee...non sistemico.. ma anti-sistemico in senso innovativo! 
Il sindaco d'Italia persevera con riforme che aiutano chi è dentro il sistema aumentando le buste paga di chi un lavoro lo ha già (vedasi gli 80 euro ed il TFR)... dimenticando quasi intenzionalmente chi un lavoro non può averlo o chi sopravvive con misere pensioni..si scorda di spingere verso la crescita favorendo nuove iniziative e rimane inerte verso il lavoro delle libere professioni. Il suo ipocrita modo di procedere sembra studiato per amicarsi ed assicurarsi il consenso di tutta quella parte di lavoratori dipendenti che possono oggi usufruire di un posto di lavoro. Il suo è un percorso studiato per tenersi stretto un consenso nella eventualità di nuove elezioni.

La lettura non sarebbe difficile... se appena si volesse guardare con attenzione la strada determinata di un premier, simulata da un conformismo, costantemente diretta a beneficio di quella classe lavoratrice che può assicurargli la sicurezza di un consenso.

Ma la sostanza è quella che lascia intravedere ovunque una totale mancanza di lavoro... per cui ogni regola nel merito (se pur ostentata attraverso le regole un «job act») non potrebbe mai portare alcuna crescita... e comunque mai quella di cui avrebbe bisogno il nostro Paese. L'edilizia è al palo già da anni ed il sud precipità nel più profondo buio...le aziende ancora in piedi...molto spesso non hanno commesse ed il costo del lavoro rimane altissimo... quale crescita potrà mai esservi senza le nuove idee in tal senso?
vincenzo cacopardo

6 ott 2014

Quale verità sull'Ucraina?

"Non abbiamo ancora una verità certa sui fatti dell'Ucraina..ma una serie di dubbi ci inducono a pensare"

di vincenzo cacopardo

Sappiamo che... poco tempo fa... attraverso un referendum, si è votato a favore dell'indipendenza della Crimea dall'Ucraina, sancendo il passaggio della regione alla Federazione russa. Se i mercati non si sono curati del dramma ucraino non allarmandosi più di tanto per la Crimea, è perché sanno che la vera potenza vittoriosa è rimasta quella Americana. Una faccenda ambigua che ha portato conseguenze nello stesso paese ucraino. Sono in tanti ormai a pensare che tutti i guai dell’Ucraina sono nati per mantenere in vita la Nato e tutto il loro apparato militare... a premere sui confini per generare l’ingresso in Europa dei paesi dell’Est come un atto in contrasto alla Russia. Sembra che nella stessa Crimea vi siano stati inni di gioia e qualche disapprovazione, ma il passaggio della Crimea alla Russia rimane comunque un dato di fatto. Mosca ha sempre dichiarato legittima la dichiarazione di indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea ed ha evocato in proposito lo statuto dell'ONU.

Vi sono ancora province orientali in ballo nella zona vicina all'Ucraina e non è facile capire se Mosca si contenterà solo della Crimea o se non aiuterà queste in una lotta che vede oggi gli Stati Uniti fare il necessario per assicurarle all'Ucraina. Comunque voglia leggersi questa storia, se analizziamo gli eventi accadut a Kiev il giorno della fuga di Janukovich ( piazze in allarme occupate dai manifestanti europeisti per un appoggio occidentale, la prodiga reazione dell'Europa della Merkel ed in particolar modo.. il sostegno americano), ci accorgiamo come di contro, da parte di Mosca... vi sia stata una evidente scelta democratica degli abitanti attraverso il ricorso ad un referendum che non può lasciare alcuno spazio a pensieri diversi o subdole pretese.

Naturalmente il coro dei media occidentali ha imputato alla Russia un atto di aggressione militare invocando sanzioni dichiarando che era insostenibile appoggiare un presidente ucraino che rifiutava di portare il paese in Europa, il tutto in un sostegno più che apprezzabile da parte degli Stati Uniti che a loro volta dichiarano di aver investito miliardi di dollari negli ultimi vent’anni per dare all’Ucraina un futuro memorabile...

Ma cosa è accaduto davvero?...Sembrano volersi volutamente nascondersi alcuni fatti essenziali avvenuti a febbraio quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.

Di sicuro in quella data, a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le forze di opposizione, ma la notizia pare essere smentita e poi... come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno. Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di Janukovich.

Appare certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est: - Si parla di una fuga di Janukovich prima della sua destituzione per paura di fare una brutta fine.

Chi ha vinto e chi ha perso?
L'america che ancora una volta ha voluto subdolamente imporre la sua supremazia anche al di là di ogni interesse monetario?...o la Russia.. che in qualche modo ha voluto dichiarare il suo sdegno di fronte alle posizioni territoriali che meno competono agli Stati Uniti e persino alla giovane Europa?.

Un dato di fatto pare certo: il nostro governo con la costante ipocrisia che lo accompagna..si è accodato in tutto e pertutto ad una politica estera di un paese come l'America..il quale ritiene ancora indispensabile l'uso della forza per imporre la sua supremazia in ogni angolo del mondo e che ci ha portato in una lotta che peserà ulteriormente sulle casse dello Stato per via delle sanzioni (vedasi aumento gas e energia elettrica) imposte come risposta dal paese Russo. Ma che ci coinvolge anche in azzardosi conflitti che potrebbero immettere nel nostro paese un pericoloso terrorismo .







5 ott 2014

un appunto sul nuovo articolo di domenico Cacopardo


LE PICCOLE MANOVRE di domenico cacopardo

I tempi delle grandi manovre politiche e militari è terminato con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico. Restano quelle economiche che, per esaurimento di margini, stanno diventando «manovrine».

La medesima ascesa al governo del Paese di Matteo Renzi è il piccolo frutto di una piccola operazione interna al Pd, le primarie. A esse hanno partecipato 2.814.881 persone, compresi gli extracomunitari (cioè privi di cittadinanza), su un elettorato complessivo di 50.449.979 (Camera dei deputati). Renzi ha ottenuto il 67,5% dei voti.

Insomma, tanto per chiarire, i partecipanti alle primarie rappresentano meno del 5,57% degli elettori (vista la partecipazione di extracomunitarti) e i voti di Renzi ammontano a circa 2.390.000 unità, pari al 4,7% degli elettori complessivi.

Su questi numeri è fondata la pretesa del capo del Pd, accolta da Napolitano, di assumere la direzione del governo senza passare attraverso una consultazione generale. 

Questo la dice lunga sull’emergenza nazionale, sugli errori del presidente della Repubblica, che dal luglio 2011, ha perso la bussola democratica che dovrebbe orientarne le decisioni, sul precoce ruolo affidato all’exsindaco di Firenze e sul gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

Non si tratta di poca cosa, visto che l’approccio sbagliato con l’Unione europea, nella fase di ricambio della Commissione, ci costerà, comunque, caro. Tanto per chiarire le responsabilità che ricadono sul «premier» e sul partito che lo ha espresso, si trattava di una occasione storica, unica per tempistica e contenuti.

L’Italia aveva un giovane primo ministro, in qualche modo vergine di un passato di flebili distinguo e di sostanziali accondiscendenze, che aveva ottenuto un insperato successo nelle elezioni europee. Nell’equilibrio continentale, se i socialisti avevano perso, i socialisti italiani avevano conquistato con i numeri la maggioranza relativa del loro gruppo parlamentare e una forza ineguagliata. Era il momento in cui dovevano essere posti sul tappeto i problemi che risultavano irrisolti e dannosi per gli interessi dell’Italia.

Già, è inutile illudersi: a Bruxelles ognuno fa i propri interessi nazionali. Ho visto la Commissione bloccata per due mesi da Margareth Tathcher per una questione di una valore complessivo, in lire, di 200.000 milioni. Ognuno negozia sino alla morte, sapendo che la regola dell’unanimità costringe tutti ad ascoltare le ragioni di tutti. Anche la Merkel, affrontata con la giusta decisione, i giusti numeri nei dossier, deve ascoltare e, se necessario compiere marce indietro.

Ma il nostro primo ministro non ama i numeri. Non ama i documenti. Non ama gli esperti. Non ama coloro che, essendo più vecchi di lui, conoscono il gioco e possono dargli utili suggerimenti. Potrebbero essere testimoni diretti dei suoi errori.

C’erano da ridefinire i confini della politica monetaria della Bce. Si tratta di confini che impediscono alla banca di operare come la Federal Reserve, come la Banca d’Inghilterra o del Giappone. 

Come disputare un incontro di boxe con un braccio legato dietro la schiena.

C’era da discutere il coordinamento delle politiche fiscali, per impedire il dumping, in cui sono specializzati l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo.

C’erano da stabilire le linee del grande piano infrastrutturale che avrebbe rimesso in moto l’industria del «Bâtiment», delle costruzioni cioè, quella a più alta intensità di mano d’opera che si conosca, e nella piena disponibilità degli stati, visto che altri strumenti, in un’economia di mercato, non ci sono.

Gli sciocchi che protestano chiedendo lavoro, gli ultimi «in maschera» a Napoli, chiedono, in realtà «posti» dello Stato, pagati dai cittadini senza alcun impegno di «lavoro». Insomma, pretendono il riconoscimento del diritto di essere parassiti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo anche a sua santità Francesco I che non ci può essere lavoro senza produzione, distribuzione di denaro senza creazione di ricchezza.

Quindi, il programma infrastrutturale europeo, la cui dimensione iniziale non doveva essere inferiore ai 500 miliardi di euro, invece dei 300 di cui si parla, avrebbe mobilitato mano d’opera diretta e indiretta, fertilizzando le economie europee, a corto di idee e di risorse. C’era infine il capitolo «avanzamento dell’integrazione», col superamento della bocciatura della Costituzione del 2003, e la definizione di una serie di passi in avanti sulla via dell’Europa politica. Quell’Europa politica che potrebbe essere la risposta più efficace ad alcuni dei problemi esistenziali che ci affliggono.

Tutto questo è mancato da parte italiana. Altri, come Hollande, sono afflitti da nanismo politico. Altri ancora, sono semplici satelliti dell’egemone Germania, portata sempre, almeno negli ultimi tre secoli a strafare, conquistando una primazia ch’è sempre finita per essere un boomerang.

Ci sono i tempi e gli spazi per rimediare ?

In politica non è mai troppo tardi : ci vogliono uomini che sappiano usare numeri e argomenti.


 IMPRUDENTE  "DEUS EX MACHINA"  ..PIU' AVVENTATO CHE TEMERARIO

Ci vogliono anche idee..idee sane e costruttive al fine di far funzionare...non basta un determinismo!

I temi sociali sono delicati e non possono certo affrontarsi con questa prosopopea...nè attraverso una riduttiva semplificazione...Sarebbe utile maggior umiltà e meno chiacchiere!

In tutto questo..quello che più sorprende (come giustamente sottolinea Domenico) è l'atteggiamento del nostro Presidente della Repubblica, il cui affidamento totale alla figura del giovane sindaco d'Italia... difficilmente può più essere giustificato. Il nostro Presidente Napolitano, con tutto il rispetto che gli si deve, ormai è corresponsabile del gap di autorevolezza che, quotidianamente, paghiamo sullo scenario domestico e su quello internazionale.

L'affidamento “tout court” al giovane premier fiorentino che giorno per giorno si espone in una comunicazione fuori dalla realtà, rimane oggi per Napolitano un'arma a doppio taglio, rischiando ormai di fargli perdere ogni consenso ricevuto nel passato. 

Il sindaco d'Italia, grazie all'appoggio del Capo dello Stato, si presenta oggi come il “deus ex machina”

Sappiamo che nel teatro antico ogni situazione la più ingarbugliata, ogni intreccio che aveva tenuto col fiato sosteso lo spettatore, veniva alla fine sciolto dall'improvviso apparire di un nume(deus), calato in scena mediante un congegno meccanico(ex machina) per risolvere ogni cosa in nome del lieto fine. Se il ricorso a questo sbrigativo espediente, dal punto di vista artistico, è una dimostrazione di debolezza creativa, dal punto di vista politico.. in una democrazia, è l'errore peggiore. 

La locuzione deus ex machina è comunque rimasta per indicare una persona che riesce là dove altre hanno fallito o un'azione che sblocca una situazione difficile. Nel caso di Renzi è chiaro che la situazione difficile da risolvere resta quella governabilità, ma è tanto misero ...quanto insensato poter pensare che un qualunque “deus ex” machina” possa oggi risolvere un problema di governabilità, senza prima risolvere altri principi che possano accompagnarla funzionalmente. Né.. si può mai pensare che da solo si possano dirimere la montagna di problematiche esistenti attraverso un risoluto determinismo ed una ostentata semplificazione...

I risultati sono più che evidenti e non mancheranno ulteriori problematiche che per effetto del conseguente abbrivio, arriveranno.
vincenzo cacopardo

i dolori del giovane Renzi

di paolo Speciale

La vicenda politica del nostro premier vede il suo protagonista inquieto e spesso solitario leader di un partito che continuerà ad autodistruggersi sino a quando si ostinerà a considerarlo non già figlio del tempo, quanto anche e soprattutto un male necessario per accumulare voti o, peggio, tessere.
Sarebbe un grossolano errore dimenticare che non è Renzi il primo Presidente del Consiglio incline ad attuare strategie di indirizzo politico di tipo terapeutico ispirate dalla contingente situazione socio-economica e non proprio in linea con datate ideologie di base, parimenti sostenibili – con identica se non maggiore efficacia –comprendendone appieno la naturale storica evoluzione, insieme ai nuovi diritti e valori che ne derivano e che non vanno certo revocati o negati, ma riconosciuti e trattati in maniera diversa, poichè essi stessi sono cambiati.
Giova qui ricordare che già trenta anni fa, solo contro tutti, Bettino Craxi vinse una consultazione referendaria abrogativa del decreto del febbraio del 1984 – detto di San Valentino per il giorno in cui fu emanato – che bloccava la scala mobile e che puntava all'ambizioso obiettivo – poi raggiunto- di ridurre una inflazione che uccideva ogni giorno di più una economia già sul letto di morte.
Le pregiudiziali lotte di classe – da fare ad ogni costo - in tempi di crisi globale nascono dalla irresponsabile consapevolezza di non saper considerare ogni grave recessione alla stregua della “livella” del principe De Curtis, dove a creare la disoccupazione è sia l'imprenditore che non può assumere sia l'operaio che non può lavorare.
Ciò premesso, non credo che la semplice abolizione del famigerato art. 18 possa contribuire ad una presunta “liberalizzazione” del mercato del lavoro con conseguente ripresa della produzione e dell'economia; anzi, poiché non vi attiene proprio, più utile sarebbe intervenire nel testo con emendamenti strutturali che non solo ne estendano l'efficacia a tutti i  lavoratori senza l'incostituzionale differenziazione – generante una inaccettabile diseguaglianza – del numero dell'organico, ma lo rendano finalmente ed inequivocabilmente avulso dalla querelle sul welfare.
E tuttavia questa convinzione non mi impedisce di considerare prioritario il recupero e la giusta valorizzazione dei presupposti fondamentali presenti in ogni rapporto di lavoro, che passa per il superamento una volta per tutte della restrittiva semplicità del principio secondo il quale uno o più licenziamenti possano costituire la chiave di volta per un'azienda che, se già soffre, non attenuerà di certo il proprio malessere mandando a casa le maestranze.
Soltanto pochi, oggi, si rendono conto delle vere priorità: e sono gli stessi che cercano di sfondare i muri di gomma fatti di tesi preconfezionate, spesso collegate ai cosiddetti “poteri forti” di cui colpevolmente i sindacati si sono fatti parte integrante, distruggendo un'immagine dialettica di confronto - che almeno nel 1984 c'era - di cui per prima la storica controparte , cioè il governo, oggi sente più di altri la mancanza.
E sono anche questi i dolori del giovane Renzi.






4 ott 2014

Un dissesto privato..maggiore di quello pubblico

Qualcuno ci descrive il disastro finanziario in questi termini“

di vincenzo cacopardo

QUALCOSA NON FUNZIONA
Cinque fra le maggiori banche americane hanno tutte un’esposizione ai derivati superiore ai 40 trilioni di dollari. Deutsche Bank vanta la maggiore esposizione in derivati di qualunque istituto americano, vale a dire oltre 75 trilioni di dollari (5 volte il Pil europeo e più o meno il Pil del mondo!!) Nel contempo si afferma che questi istituti sono troppo grandi per fallire ma, a differenza di azioni e obbligazioni, i derivati non rappresentano “investimenti” in nulla: sono solo scommesse di carta su ciò che accadrà in futuro. Come un gioco d’azzardo legalizzato e le banche “troppo grandi per fallire” hanno trasformato Wall Street nel maggiore casinò nella storia del pianeta”.

Secondo il New York Times, tali istituti“contano quasi 280.000 miliardi dollari di derivati sui loro libri contabili”, anche se la crisi finanziaria del 2008 ha dimostrato quanto sia pericoloso. Le grandi banche hanno sofisticati modelli che dovrebbero mantenere il sistema stabile e aiutarli a gestire questi rischi. Ma tutti questi modelli sono basati solo su ipotesi ideate da gente come tutti noi.

Nel 2008 l'economia americana era in piena espansione, tutti sembravano essere ricchi, anche se i segnali di pericolo erano dappertutto, vi erano troppi prestiti, investimenti folli, e banche avide, ma poi, quando Lehman Bros cade, il sistema finanziario e l’economia mondiale quasi crollano. Le cause ormai le conosciamo: prestiti sconsiderati e assunzione di rischi eccessivi con una evidente mancanza di trasparenza.

Dopo questa crisi, ed in forza di una evidente esperienza si sarebbe dovuto provvedere, ma secondo alcuni economisti, il problema è diventato molto più grande: il rapporto trimestrale sulle cinque maggiori banche “troppo grandi per fallire” dispongono tutte di oltre 40 trilioni di dollari in esposizione ai derivati.

Queste sembrano essere le cifre di un dissesto..
JPMorgan Chase - Asset complessivi: circa 2,5 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 67 trilioni di dollari
Citibank- Asset totali: quasi 1,9 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: circa 60 trilioni di dollari
Goldman Sachs- Asset totali: poco meno di un trilione di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Bank Of America- Asset totali: 2,1 trilioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 54 trilioni di dollari
Morgan Stanley- Asset totali: 831 milioni di dollari- Esposizione ai derivati: oltre 44 trilioni di dollari
..E non è certo solo un problema americano!. Secondo l'economista Michael Snyder, ci stiamo pericolosamente avvicinando verso il maggior disastro finanziario nella storia del mondo e nessuno sta facendo nulla per impedirlo.



Non possiamo augurarci che questa nuova bolla scoppi.. poiché colpirebbe chiunque ... l'economia soccomberebbe in modo indescrivibile su un piano globale, ma se pensiamo ai debiti pubblici degli Stati sovrani.. rispetto a tali azzardi continuamente esposti dalle banche private nel mondo, restiamo perplessi ed attoniti, anche in considerazione che il nostro debito appare quasi risibile. 

3 ott 2014

Quel paragone con la Francia...




di vincenzo cacopardo

Nel quadro europeo la Francia di Holland vive oggi pressata da una condizione politica che vede il partito della Marine Le Pen......aumentare nei consensi obbligando lo stesso governo in una posizione meno europeista e più marcatamente indipendentista. L’attuale leader del FN ha caricato l’orientamento antieuropeo del suo linguaggio e della sua strategia politica in nome di un nazionalismo che risponde alle paure prodotte dalla crisi economica e della globalizzazione.

La Francia sembra decisa a violare i patti di Maastricht e nel contempo...ed al contrario.. l'Italia non può che rispettarli: il rinvio del pareggio di bilancio per la Francia è una diretta conseguenza della recessione, mentre per l'Italia il rapporto deficit-Pil è quasi un dovere. Per Bruxelles, una manovra è lecita, l'altra no...perchè le agenzie di rating prevedono che l'economia francese cresca dello 0,9%. mentre il nostro governo, dopo un 2014 con il Pil in recessione a meno 0,3%, prevede un aumento dello 0,6% nel 2015 . Sono comunque ambedue stime approssimative.. ma non prive di supporto. ...

E' vero che anche i francesi stanno iniziando ad entrare in un tunnel accumulando deficit, e quindi debito.. e di conseguenza interessi da pagare. Renzi si fa forte di questo...il rosso francese ha superato i 2 mila miliardi di euro, attestandosi al 97% del Pil e nel 2016 è destinato a toccare quota 98%. Dal 2016, però, secondo i loro piani..col tempo, il debito dovrebbe iniziare a calare.

Sappiamo anche che gli interessi sul debito sono frutto delle valutazione dei mercati sulla credibilità delle diverse economie dell'Eurozona. Il paragone con la Francia, quindi, necessita di una valutazione diversa e cioè di un dato di fatto reale: la Francia pagherà nel 2014 46,65 miliardi di euro di interessi e 44,34 miliardi per il 2015....mentre l'Italia con i suoi quasi 100 miliardi sconta ancora una bassa credibilità sul suo enorme debito. Inoltre i tagli: in Francia valgono 7,7 miliardi, in Italia 4,5.
Sulla nostra spending review pesa anche il fallimento del piano privatizzazioni: per quest'anno si era contato di incassare dalla vendita di asset immobili almeno 10 miliardi e invece ne sono arrivati solo 3. Infine.. la disoccupazione in Francia tocca il 10% ed in Italia il 12, 3%...senza spingerci poi, con evidente imbarazzo, verso l'argomento ormai.. quasi pericoloso... di un Sud praticamente al collasso. ...Pensiamo davvero che questo argomento non è conosciuto e pesato dall'unione Europea? 

Non c'è quindi tanto da sorridere nel Paese..nè si può sperare in un miracolo...poichè il paragone rimane sempre a nostro sfavore..Sembriamo purtroppo attaccati alla scommessa e puntiamo tutti su un cavallo dal nome Renzi..un cavallo che in molti definiscono di razza, ma che sembra nitrire troppo e correre libero nei campi senza un indirizzo preciso...

Interessante nota sulla comunicazione di Gabriele Carbone su “Forbes”

di Gabriele Carbone Digital Strategic Planner
Leggendo ilrapporto dell’ISTAT di luglio 2014 su “Fatturato e ordinativi dell’industria”, emergono una serie di “segni meno” che portano a riflettere:
  • fatturato di maggio 2014 rispetto ad aprile sul mercato estero:-1,9%;
  • nella media degli utlimi tre mesi rispetto ai precedenti:-0,8%;
  • diminuzione degli ordinativi esteri:-4,5%.
Non si può fare a meno di notare che, nonostante tutto questo parlare di internazionalizzazione, l’internazionalizzazione, di fatto, stia calando. La situazione non può altro che essere peggiorata, dopo l’embargo deciso dalla Russia.

Comunicare nella maniera giusta

Non è certo colpa dei siti web delle aziende italiane, se il fatturato estero sia calato. I dati di ISTAT ci offrono però un ottimo spunto di riflessione, un motivo più che valido per domandarci se la nostra azienda stia seguendo i canali giusti per ottenere risultati, se la strategia di comunicazione stia effettivamente supportando i processi di internazionalizzazione, come potrebbe e dovrebbe.
Preparare gli strumenti di comunicazione valutando bene i contenuti, le immagini, l’obiettivo che si vuole raggiungere, è il primo passo imprescindibile per qualunque azienda che vuole internazionalizzarsi”. Massimo Metilli, Agenzia per la Russia
Sono in realtà pochi i punti da seguire per capire come operare nel web 2.0, attivando una strategia che possa concretamente supportare l’azienda nell’approccio di nuovi mercati. Ecco quindi una semplice guida, su come strutturare il proprio sito web, in modo che possa diventare l’hub della comunicazione aziendale, e possa aiutare concretamente le aziende a sviluppare le opportunità offerte dai mercati internazionali.

1. Anche i professionisti usano lo smartphone
Visionando le statistiche dei siti web, è facile notare come il 50% degli accessi arrivi ormai da dispositivi mobili, smartphone (iPhone) in testa. Oggi è possibile predisporre il proprio sito web in modo che, non solo sia ottimizzato per la lettura su smartphone e tablet, ma possa eventualmente fornire contenuti o funzionalità specifiche a seconda del dispositivo.
Parola chiave: responsività
Il primo passo, pare scontato, è proprio quello di rendere fruibili i propri contenti, permettendo agli utenti del sito web (potenziali clienti) di approfondire, in qualsiasi momento e tramite qualsiasi dispositivo, le informazioni relative all’azienda.
 2. Localizzare, localizzare, localizzare
Ancora troppe aziende sono convinte che il sito web italiano sia più che sufficiente per presentarsi al mondo; altre si limitano a fare il minimo indispensabile, traducendo i contenuti in inglese.
Approcciare i mercati internazionali, significa presentare il proprio prodotto/servizio a Paesi che possono essere anche molto differenti dal nostro, per lingua, per cultura, per il modo di pensare e interpretare la comunicazione.
Tradurre i contenuti non è più sufficiente
E’ fondamentale comunicare avendo cura di comprendere il Paese a cui ci si rivolge, affidarsi a copywriter madrelingua che possano rivedere, in parte o completamente, i contenuti aziendali, per adattarli alla lingua ed alla cultura del target.

 3. Il sito come vero hub di contenuti
Qualche azienda ha capito che i Social Media possono supportare i processi in internazionalizzazione, diffondere il brand nei Paesi obiettivo, portare traffico al sito web.
Il cimitero dei contenuti
Il problema che spesso ci si trova ad affrontare, è che il tipico sito web delle aziende italiane è composto solamente dalle pagine: “chi siamo”, “cosa facciamo”, “contattaci”; le eventuali pagine “news” o “blog” sono tipicamente aggiornate ogni due anni, se va bene.
L’utente, potenziale cliente, che segue un’azienda su Twitter, Facebook o Linkedin, deve poter approfondire gli argomenti trattati, non essere veicolato ad un sito web che assomiglia ad un cimitero di contenuti.
Saper selezionare i punti di forza che contraddistinguono la propria azienda e i propri prodotti/servizi, è diventato fondamentale per le imprese italiane, che forti del concetto di “Made in Italy”, spesso dimenticano come la globalizzazione abbia portato i competitor internazionali a migliorare le produzioni per rimanere sui mercati; comunicare quindi nel modo migliore ciò che riteniamo strategico e vincente, può sicuramente fare la differenza. Vale la pena rivedere la struttura, l’albero e i contenuti del proprio sito web aziendale, magari pensare ad un blog, sempre che si sia in grado di mantenerlo aggiornato.


breve nota alla nuova analisi del consigliere Cacopardo sull'attività governativa..

Sembra che sia in corso un paradossale e tragico gioco di «Mosca cieca» che coinvolge il governo e, in particolare, Matteo Renzi. Corre con gli occhi bendati, agitando le mani per acchiappare uno dei mille fantasmi che si agitano nelle sale del palazzo. I fantasmi sono i problemi accumulati negli anni e che ora pretendono una immediata soluzione. Certo, il giovanotto non ha alcuna esperienza e non sa quello che alcuni uomini di Stato che hanno governato il Paese sapevano benissimo: non sono le emergenze che debbono dettarti l’agenda, ma sei tu a stabilirla, affrontando un problema per volta secondo la priorità che tu stesso stabilisci.

La gioventù, però, ha anche il pregio di permettere a chi ne ha le capacità di imparare rapidamente e, forse, questo è il caso nostro anche se, in verità, non è proprio chiaro se Renzi abbia voglia di riflettere e imparare. Vista anche la resa (direzione Pd) sui licenziamenti disciplinari (art. 18).

La legge di stabilità 2014, al netto di nuovi tagli e nuove tasse dovrebbe prevedere un disavanzo del 3%. In soldoni una cifra tra i 23 e i 26 miliardi di euro. Rispetto al montante della spesa pubblica (830 miliardi, più o meno) quisquilie. Se, però, in questa legge saranno inseriti nuovi capitoli di spesa (estensione degli 80 euro mensili, ipotesi di sussidio generalizzato ai non occupati) sarà necessaria la manovra la cui imminenza è stata negata da Graziano Delrio. 

Matteo Renzi, nel rito tribale andato in scena nella direzione del Pd, ha ipotizzato, per il sussidio di cui sopra, uno stanziamento di euro 1,5 miliardi. Diviso i 3.750.000 non occupati, sarebbero euro 400 l’anno. Quindi una sciocchezza. Per fare qualcosa in questo campo, tipo 400 euro al mese, la somma necessaria sarebbe di 18 miliardi di euro.

Non solo, in base alle previsioni macroeconomiche, va valutata la caduta del gettito fiscale e parafiscale, con conseguenze imprevedibili per il bilancio 2015.

L’unico varco che si può conquistare a Bruxelles potrebbe essere il rinvio del pareggio di bilancio al 2017. Non è facile crederci, data la situazione nazionale.

Ci sarebbero state tante partite da giocare visto il semestre italiano (ormai verso la fine): per esempio il «dumping» fiscale all’interno dell’Unione. Sono di questi giorni, i rilievi dell’Unione alle aliquote offerte da Olanda, Lussemburgo e Irlanda. Tutto gettito sottratto agli altri stati a dispetto del «Fiscal compact» che imponeva l’armonizzazione delle politiche fiscali. 

Il nostro primo ministro avrebbe dovuto porre la questione in termini ultimativi, giovandosi proprio del provvisorio ruolo che esercita. 

C’è poi il peso accresciuto del debito pubblico. A fine anno tra il 137% e il 138% del Pil. 

C’è qualcuno, in Italia, a Francoforte o a New York che pensa che l’Italia possa adempiere all’impegno del «Fiscal compact» e abbassare il debito (lo stock) di 50 miliardi l’anno?

E, un giorno, restituire i 2.400 miliardi che deve agli investitori, prevalentemente nazionali?

A Palazzo Chigi nessuno si pone le due questioni strategiche per il futuro. Imperversa il riformismo verbale. Una disciplina in cui gli specialisti italiani della ginnastica orale eccellono nel mondo.



Pur nel rispetto..li abbiamo già appellati debuttanti allo sbaraglio ..a prescindere dalle difficoltà inerenti lo stato economico finanziario di un paese..ormai decotto.

Commuove la loro voglia di fare, ma fa rabbrividire di più la sconsiderata fiducia in se stessi.. molto simile ad un'ambizione che li divora di giorno in giorno. Chiaramente i numeri sono disastrosi pur volendoli nascondere.. velandoli con la solita ipocrita verbale loquacità del sindaco d'Italia. 

Sembra perciò chiaro che continuando così... o si sfora il parametro del 3%..( con una prevedibile ricaduta sul debito) o si abbattono drasticamente i costi della spesa pubblica.. rischiando di porre una ulteriore buona parte dei cittadini in strada senza lavoro. 

Quello che che appare certo è un prossimo aumento dell'IVA che aggiusterà sul momento qualsiasi bilancio di uno Stato ormai economicamente a pezzi. L'aumento IVA è sempre stato risolutivo per i conti pubblici, ma penalizzerà pesantemente i consumi. 

Si corre sempre su strade che non fanno intravedere alcuna crescita e lo stesso premier si rende responsabile di una mancanza della stessa.. poiché le sue strade si muovono verso regole che non promuovono sviluppo e che propongono regole non adatte. Per crescere occorrono le idee oltre che le risorse... e le idee di Renzi appaiono poco costruttive e spesso dettate da una esterofilia poco convincente. Come si fa...ad esempio.. a non sfruttare un patrimonio del sud offrendogli infrastrutture per porlo come volano di crescita dell'intero Paese? 

Ha ragione Domenico “Imperversa il riformismo verbale. Una disciplina in cui gli specialisti italiani della ginnastica orale eccellono nel mondo”......ma ormai non sembra esservi più tempo..Renzi si è perso in chiacchiere inutili e percorsi errati, non rottamando alcunchè.
vincenzo cacopardo




una chiosa sulle "cicale italiane e quelle francesi" di domenico Cacopardo



LE CICALE ITALIANE E QUELLE FRANCESI
La tentazione di Renzi sembra quella di accodarsi alla Francia nel chiedere flessibilità per il bilancio 2015 e seguenti. Una tentazione diabolica per un cattolico praticante (sempre Renzi) che si batte il petto tutte le domeniche.

È come recarsi alle corse dei cavalli e puntare sul perdente. 

Una follia.

Quando è cominciata l’avventura presidenziale di Renzi, l’abbiamo scritto con insistenza: era necessario creare un fronte dei paesi per i quali necessitano misure speciali di sostegno, in modo che la Merxel e l’Europa fossero costretti a trattare. Invece no. A Bruxelles il nostro «boy-scout» s’è pavoneggiato di un’intesa, tutta da verificare, con la cancelliera tedesca e ha inciso come può incidere un piccolo moscerino sulla pelle di un cavallo da tiro.

Quando s’è trattato di discutere gli incarichi nella Commissione si è autolimitato designando l’inesistente Mogherini che, in quanto tale, è stata accettata dopo qualche piccolo mal di pancia.

Se Moscovici, commissario francese agli affari economici, mette le mani avanti evocando le difficoltà che incontrerà sul dossier francese, figuriamoci la nostra commissaria (alta) alla politica estera e di sicurezza.

Dobbiamo confessare che, leggendo i triboli della Francia, abbiamo pensato ai risolini a proposito dell’Italia (dell’Italia, non di Berlusconi) del duo Sarkozy-Merkel in una famosa conferenza stampa e non ci siamo dispiaciuti delle difficoltà transalpine. 

Si tratta di «mal italiano», cioè dell’assenza delle riforme liberamente convenute in sede europea con l’approvazione del «Fiscal compact» e delle conseguenti direttive.

La cura francese aggraverà la malattia, visto che si pensa di combattere la recessione con deficit ben al di fuori del 3% tabellare. 

Ecco, l’inesperienza e la supponenza potrebbero condurre Matteo Renzi sulla strada del disastro. Il sistema di dichiarare «fatte» le riforme approvate, anche in semplice cartellina, dal consiglio dei ministri è ormai al capolinea. La legge di stabilità metterà una parola definitiva, almeno per il 2015, alle evoluzioni verbali del nostro «premier»: certo, nell’attuale situazione, sarà difficile che l’Unione nomini tre commissari (la Troika) per governare il risanamento delle finanze pubbliche italiane e per aggredire il debito pubblico. La soluzione che sembra consolidarsi nei corridoi di Palazzo Berlaymont (sede dell’UE), in vista dell’insediamento della nuova commissione, consiste in un cronoprogramma vincolante di riforme (definite nei loro contenuti minimi, in modo che il teatrino dell’art. 18 non possa più ripetersi). Rispetto a esso, il governo e il Parlamento italiani hanno solo il compito di procedere con rapidità effettiva, trasformando in modo sostanziale la struttura socio-economica della Nazione. Il mercato «tout-court», cioè la concorrenza vera, le strutture pubbliche, protette e deficitarie, il welfare, la sanità, l’idrovora regioni. Insomma un’azione seria condotta a tamburo battente, pena, appunto, il ricorso ai commissari.

Saranno capaci questo governo e questo Parlamento di affrontare e vincere la sfida? C’è da dubitarne, visto il livello e, soprattutto, i condizionamenti di un passato che non ci si decide a seppellire.

La verità vera è che, comunque, fra breve il passo cambierà. Resta da capire chi sarà protagonista del cambiamento, dato che le cicale politiche italiane risultano, sin qui, incapaci di trasformarsi in formiche.



E' proprio l’inesperienza mista con la supponenza, come giustamente scrive Domenico, che potrebbero condurre Matteo Renzi sulla strada del disastro.... 

Il suo sproloquiare in inglese dinanzi all'Europa sulle riforme..dichiarandole come fatte ed invece tutte ancora da attuare e definire, commuove... e mette anche tanta tristezza ai tanti che vivono dentro le istituzioni dell'economia e della politica, poiché lo fa apparire sempre più un millantatore che persevera nel vendere ancora fumo al paese ed all'Europa. Siamo al massimo dell' ipocrisia politica..dove tutto rimane ingannevole ed ogni strategia si costruisce senza alcun ritegno. 
L'apparenza è sempre stato il suo forte, le chiacchiere aumentano e, malgrado il suo inglese particolare (più ostentato che conosciuto) il sindaco d'Italia, col suo fare da accentratore, rischia di portare il Paese al baratro. (Renzi dovrebbe almeno immedesimarsi nell'esprimersi con maggior impegno e dedizione nella propria lingua anche in zona Europea.. imponendola come nobile ed antica valenza di un Paese..in cui la propria storia e la cultura.. ancora contano).

Infine, dopo così tanto tempo, rimane quasi superflua la domanda se riuscirà a farcela...almenochè non gli diano la possibilità di sforare i parametri del 3%..In tal caso..molte delle cicale ritorneranno e lo sproloquiare del Premier aumenterà. 
vincenzo cacopardo







2 ott 2014

Una nota al nuovo appunto di Domenico Cacopardo


Probabilmente Adam Smith approverebbe l’idea di smobilizzare una parte del Tfr, restituendolo in busta paga ai lavoratori cui compete. Si tratterebbe, infatti, di un fatto coerente con l’Illuminismo settecentesco e con la dottrina liberale che considera l’uomo (libero) degno di fiducia, molto più che lo Stato.

Le osservazioni che si leggono in giro (l’accantonamento in vista di spese importanti a fine lavoro o il definitivo crollo della previdenza integrativa) rientrano nel pensiero dominante, che incrocia la dottrina sociale (soccorrevole) della Chiesa al credo comunista dello Stato ‘governatore’ degli uomini, e non convincono. 

Ogni operazione messa in piedi sulla via della liberazione dell’individuo è eticamente superiore ed economicamente opportuna.

Tuttavia, «hic et nunc» (qui e ora), l’uso del Tfr suggerisce una constatazione e apre un problema. La prima è che, viste le difficoltà di trovare quattrini nel bilancio dello Stato, è facile governare con i soldi degli altri. Il problema è che l’accantonamento del Tfr è una risorsa aziendale, l’unica rimasta a causa di un erario dedito al saccheggio dei profitti generati da ciò che resta dell’economia privata. E questo non è un frutto di un destino avverso che ci perseguita da almeno vent’anni. È il frutto avvelenato (il maggiore protagonista Vincenzo Visco, inventore dell’Irap) della convinzione che il cittadino è un incapace incosciente, pericoloso evasore che occorre porre sotto stretto controllo (fiscale) in modo che non abbia i mai i quattrini per vivere la vita che preferisce. L’ideale, il massimo della felicità per i sadici che propugnano l​a posizione è il cittadino dipendente dello Stato, seguito e diretto dalla nascita alla morte. L’esempio più evidente l’Unione sovietica.

In Italia, gran parte del personale politico (quasi tutto d’accatto, nel senso che è composto da gente che non ha saputo affrontare ed esercitare una qualsiasi attività lavorativa), anche di centro-destra, visti i risultati, non s’è reso conto che il capitalismo ha vinto e governa il mondo. E che alle sue regole occorre adeguarsi. 

E non pare proprio che il nostro giovane presidente del consiglio ​sappia bene cos'è successo: basti il fatto che cita, nel suo Pantheon personale, gente come La Pira e don Milani che rappresentano la negazione della contemporaneità.

Quindi, ordinando alle imprese di erogare, in busta paga, una parte del Tfr, si costringe il sistema produttivo a privarsi di risorse reali o di accantonamenti virtuali che non possono essere utilizzati senza «svaccare» conti economici, investimenti per ricerche, riserve fisiologiche.

Certo, quest’operazione non è farina del sacco di Renzi, ma dovrebbe discendere dal suo «staff» di consulenti. Sarà bene che ci si pensi su in modo approfondito, tralasciando il contributo di organizzazioni virtuali come la Confindustria, per puntare sulle opinioni del mondo finanziario, a partire proprio da Mario Draghi, che, il «premier» ha difficoltà ad accettare come riferimento, visto il gap culturale e, in sostanza, politico.

Il semestre italiano di presidenza dell’Unione entra nella fase conclusiva senza fatti o iniziative degne d’essere ricordate, a parte la riunione dei ministri della cultura a Torino, promossa dal nostro Franceschini. Né per i prossimi mesi si vedono proposte degne di catalizzare l’attenzione dei nostri «partner». 

Non è però il momento della rassegnazione. È il momento di agitare le acque rilanciando una posizione italiana sulle sanzioni alla Russia, sui problemi energetici, sul «dumping» fiscale, sul programma di infrastrutture europee, immaginato negli anni ’80 da Delors e mai attuato.

Se la fiducia è una componente essenziale della guerra alla recessione, è il momento di sollecitarla, con decise iniziative in Europa, a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte.

E se il bottiglione (non fiasco) Renzi contiene vino buono, è il momento di versarlo.



A parte la divertente battuta sul bottiglione... vorrei accompagnare l'articolo del cugino Cacopardo con una nota riguardante il TFR in busta paga..Una semplice domanda che in sé è anche una constatazione logica che si fanno tutti coloro che oggi non hanno lavoro: Ma perchè Renzi continua a favorire chi un lavoro lo ha già? ...Ovviamente perchè è la strada più facile, ma anche perchè è furbo e talmente sistemico da voler mantenere i consensi di tutta quella classe lavoratrice subordinata in gran parte alle pubbliche amministrazioni.

Si..è vero, come asserisce Domenico vi è un problema di risorse che verrebbero a mancare alle aziende ...ma non può solo essere quello il problema e quando si tocca il tema del lavoro.. bisognerebbe immedesimarsi con maggior impegno sulla mancanza di una crescita e sulla disperazione di chi il lavoro lo cerca e non lo ha. 

Il sindaco d'Italia continua imperterrito a seguire metodi di regolamentazione e ricerca di risorse per chi un lavoro lo ha già e questo è veramente imperdonabile oltre che la dimostrazione di una mancanza di sensibilità per la dignità stessa di tutti coloro che, secondo queste logiche, lavoro non potranno mai averne.
Vincenzo cacopardo




Lealtà e libero pensiero politico..

DICOTOMIE e  DIALETTICA”

Cosa vuol dire la frase di Bersani «Non mancherà la lealtà verso il partito e il governo» in un contesto in cui la politica dovrebbe vedere una fedeltà come espressione nei confronti di una società che ti ha votato? Una società che considera la correttezza di un politico, sicuramente non come un atto di lealtà leonina verso un governo che si muove con proposte che poi non si condividono.


Slitta ogni discussione sulla riforma del lavoro di Renzi (il job act), e le votazioni si spostano ad ottobre inoltrato...mentre Bersani stigmatizza il suo”saremo leali”.

Delle due una: o sei d'accordo con la riforma o no! Il non siamo d'accordo... "Saremo leali"..suona invece, come la più grande delle ipocrisie di una politica non corretta.Le votazioni sulle nuove regole del lavoro dovrebbero vedere la fine entro il 16 ottobre e, per grazia ricevuta, l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto senza incappare in clamorosi intoppi. Le rassicurazioni dell’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, malgrado le pesanti critiche sulla riforma proposta dal segretario Premier, suonano come un incoraggiamento ed aprono la strada a Renzi, anche se con qualche piccola variante.


Ma la domanda è sempre la stessa, una domanda che fa meditare: Che senso può avere rassicurare un progetto di riforma..quando non lo si condivide, solo per un atto di lealtà nei confronti di un governo. Alla stregua di ciò e per paradosso, il governo potrebbe, per assurdo, proporre una pena di morte e chi non è d'accordo con la proposta, per motivi di lealtà ... ritiene costringersi ad assecondarla per devozione e fedeltà...Questa visione della politica nella sua doppiezza può generare sconforto da parte dei cittadini: Cosa significa la fedeltà in politica quando il principio fondamentale dovrebbe essere quello di essere fedeli alle idee, al programma ed al popolo che ti ha eletto?

Bersani, ritiene fondamentale chiarire la differenza tra esprimere il proprio dissenso e mettersi di traverso: “Dove non sono d’accordo lo dico” e non cambia la sua posizione in merito alle critiche sul Permier .

Al di là delle conseguenze che si riscontreranno col voto al Senato, e che metteranno giustamente in discussione il voto dei singoli, credo che sia opportuna una critica seria sul metodo fin'oggi usato dagli stessi Partiti... Risulta chiaro il nodo dell'ipocrisia e della doppiezza che si propaga all'interno di questi contenitori di consensi, i quali non dovrebbero mai rendersi disponibili o in sudditanza a qualunque governabilità. Il cittadino che guarda da fuori non potrà mai riuscire a comprendere l'atteggiamento menzognero di lealtà di chi si propone per le idee e che... nel contempo... si costringe quasi in una abnegazione.

La lealtà in politica è solo un pretesto, poiché non potrebbe mai esistere nel momento in cui le idee cambiano e gli stessi programmi si modificano e si evolvono in base al tempo ed ai principi di un mondo sempre più globalizzato. 

E' vero -I partiti devono rispettare il metodo democratico, quindi, ogni minoranza deve rispettare le decisioni di una maggioranza (pur restando nella piena libertà di agire per diventare a sua volta maggioranza).Il metodo democratico offre la possibilità dell’alternanza pacifica al potere tra maggioranza e minoranza. Ma ciò non significa che quando non si è d'accordo.. si debba restare fedeli ad un principio di governabilità che stravolge ogni altro principio personale e di pensiero, condizionandone la base. In una democrazia che si vuole parlamentare l'ultima parola deve sempre spettare all'Aula e non può mai essere condizionata da una governabilità..come non deve mai essere condizionata da un “partitismo” che necessita sicuramente di essere ridisciplinato in favore di una funzionalità delle stesse istituzioni.
La separazione dei ruoli è quindi più che necessaria!
vincenzo cacopardo






1 ott 2014

l'eufemismo di Padoan e la dissennata politica estera..

Scrive il cugino Domenico Cacopardo su Italia oggi:
Abbiamo scritto di un “prima” la riforma dell'articolo 18.. e un dopo. Invece siamo rimasti in un “mentre”di cui non si vede la fine, nemmeno in una remota lontananza. Ora, il governo dovrà occuparsi di legge di stabilità. Sta affrontando l'appuntamento nella solita spensierata confusione, dimenticando i dati fondamentali del problema: a fine anno il rapporto debito/Pil avrà superato il 137%..Quando Renzi è arrivato era intorno al 126%. Nove mesi di parole non solo non hanno avviato alcun risanamento, ma anzi l'hanno aggravato. Nonostante l'eufemismo di Padoan che chiama l'attuale deflazione “bassa inflazione”, è in corso una inesorabile marcia indietro del sistema economico nazionale che determinerà una caduta del gettito di tasse ed imposte ed un impoverimento quasi generale”....Prosegue poi...”Ad aggiungere sale nella ferita, si annuncia un aumento del prezzo dell'energia e del gas, per gli effetti della dissennata politica ucraina del presidente Obama, seguito stolidamente dai suoi satelliti europei.”

Come dare torto a ciò che scrive Domenico.. quando da tempo abbiamo sottolineato in abbondanza.. sia sulle manovre inutili del giovane sindaco d'Italia (11 punti di differenza debito/Pil)... sia su quella politica estera dissennata.. alla quale lo stesso avrebbe potuto opporsi tutelando gli interessi che la nostra Nazione intrattiene con il paese Russo.
Dopo la fine della direzione nel PD si annuncia una riforma finta, o meglio, simulata. Le nuove iniziative del governo ( TFR in busta paga) parlano di possibilità di assegnare una cifra mensile al dipendente detraendola dalla buonuscita ..si parla del 50% da spalmare nelle mensilità..Si persevera quindi col focalizzare l'attenzione sui dipendenti ...su coloro che un lavoro lo hanno già, dimenticandosi ancora di fornire nuovo lavoro a chi non lo ha.. e quindi non spostando l'attenzione verso iniziative significative di nuova crescita...Perdonando la metafora:- Come si può mai pensare di far crescere un raccolto quando si innaffia sempre sullo stesso punto?
Ci si continua a muovere senza rendere alcun risultato all'economia di un Paese che vede il Sud ormai ridotto al lumicino...un mezzogiorno totalmente dimenticato da un premier tutto preso dalla usuale e sconsiderata comunicazione che poco sembra costruire.
Vincenzo cacopardo