5 dic 2014

Azione comunicativa..socializzazione e ricerca delle regole.

di vincenzo cacopardo
Il filosofo..storico e sociologo Jürgen Habermas nei suoi scritti che occupano una posizione centrale sulle tematiche e le scienze sociali, pone le analisi delle società industriali nel neocapitalismo maturo; il ruolo delle istituzioni in una nuova prospettiva in relazione alla crisi di legittimità che mina alla base tutte le democrazie contemporanee ed i relativi meccanismi che determinano i consensi.

La sua elaborazione filosofica... lo ha visto impegnato in una ermeneutica relativa alla critica del metodo del conoscere oggettivamente. Uno studio che lo ha guidato verso un bisogno della reale edificazione di una nuova ragione comunicativa che egli ritiene possa liberare l'umanità dal principio di autorità. Egli considera che solo il modello conoscitivo tra i soggetti possa andare al di là dell' irreale paradigma della soggettività.

Sembra difficile...ma è più semplice di quanto non sembri... In sostanza il filosofo, recependo la caratteristica di "partecipazione" propone le linee fondamentali di una teoria discorsiva della morale e della politica: Il discorso pubblico si pone come modello di un agire comunicativo che si oppone all'agire strumentale. L'agire strumentale sembra organizzato dalle logiche della tecnica e del dominio, mentre quello comunicativo... indica la possibilità di un'unione sociale non coercitiva, basata sul criterio di riconoscimento tra i soggetti ed orientato verso l'intesa.

Già nel passato Georg Simmel, spiega la realtà sociale, non intesa come realtà autonoma rispetto agli individui, né come somma di individui. Simmel affermava che l’attenzione è sempre attratta, non tanto dalla società come situazione comune, quanto piuttosto da ciò che differenzia gli individui l’uno dall’altro. La solidarietà, la sottomissione, la superiorità, la concorrenza, sono tutte forme di sociazione che noi possiamo  riscontrare prescindendo dal loro realizzarsi in unità sociali concrete e specifiche.

La teoria di Habermas.. contiene una logica dei livelli di sviluppo dell'umanità.. Tanto più il "sistema" si forma differenziando se stesso e aumentando la propria complessità, tanto più gli uomini introietteranno le imposizioni sociali come ingiunzioni autonome individuali.
Nel suo saggio sulla “Teoria dell'agire comunicativo”, Habermas pone la comunicazione come un modello dell'azione sociale in cui l'opinione pubblica.. viene considerata elemento fondamentale per la legittimazione di ogni stato democratico. Pur riconoscendone l'importanza in relazione alle istituzioni, il filosofo ritiene che tutto dipenda principalmente dalla struttura comunicativa che si stabilisce: Pone quindi un dubbio su una certa "razionalità discorsiva" che, fondandosi sul sistema comunicativo, favorisce la formazione di una volontà collettiva alla partecipazione democratica.
Il suo ricorso alla razionalità conferma innanzitutto che ogni problema ha per centro la ragione, dal momento che ogni soluzione viene data e valutata esclusivamente in termini razionali: Parlare di razionalità significa prendere in considerazione un'agire, ed è solo grazie alla esatta conoscenza di questa... che è possibile stabilire i criteri di valutazione e i livelli di criticabilità delle azioni.

Ma perché la società odierna non appare pienamente razionale?..Perché la ragione non coincide spesso con una certa realtà? 

La razionalità su cui è basata la società contemporanea non è accettabile...perché in essa le persone non sono fini in sé, ma risultano solo strumenti e mezzi utilizzati per finalità tecniche ed economiche. L’agire strumentale è quello del sistema, di quell'impianto economico ed amministrativo che forma il nostro vivere associato, ma che...nel contempo... impedisce la formazione di una configurazione razionale più libera ed indipendente..che aiuta una certa emancipazione.

Questo è uno degli argomenti più interessanti del pensiero di una certa scuola filosofica..Quella che potremmo definire “ teoria del fine e del mezzo”.. sul quale si possono individuare ulteriori spunti per un dialogo che pur nascendo in uno schema filosofico... finisce con l'innestarsi quasi naturalmente in un concetto sociologico di grande rilievo. L'importanza di una emancipazione sociale viene posta come un determinante percorso senza il quale non sarà mai possibile crescere. Il richiamo ad una certa comunicazione deve farci riflettere, ma non è l'unico sul quale meditare. 

Vi sono ulteriori spunti sui quali porsi domande che trovano in un contesto di socializzazione motivi profondi in una certa etica dei rapporti umani.. Pensare ad esempio che per quanto riguarda il merito non vi possano essere regole...sarebbe come tollerare che solo gli intelligenti ed i più colti.. hanno diritto ad una vita migliore. Ma sappiamo che una buona parte degli intelligenti sono anche astuti e si sentono di poter imporre ciò che vogliono a coloro che peccano di capacità intellettive similari (Una certa comunicazione ne é l'esempio poiché, oggi, viene manovrata intenzionalmente con estrema furbizia). La vera intelligenza dovrebbe basarsi su altri principi....principi che vedono in un simile naturale vantaggio l'importanza di unirvi quell'essenziale umiltà che dovrebbe spingere a vedere con maggior rispetto il rapporto col prossimo. Insomma....esser capaci di percepire che il vantaggio della propria intelligenza si basa su un confronto con il prossimo e quindi.. quando si intuisce tale vantaggio...non ci si può esimere dal riflettere che, se non vi fosse chi è meno intelligente, il più intelligente non potrebbe mai emergere.

Quest'ultima breve analisi..che, per certi lati, si lega alla “teoria dell'agire comunicativo”  in sé risulta essenziale e propedeutica per sottolineare l'aspetto antropologico dell'uomo soggetto a vivere e relazionarsi in una società dove i rapporti sembrano basarsi su una gara al successo, mettendo in evidenza un aspetto che non può negarsi proprio per il fatto che si è voluta lasciare troppo libera e con poche regole la costruzione di una società dove prevale costantemente una certa competizione sfrenata. Se mettiamo in relazione la teoria del merito.. aprendo un ragionamento che coinvolge la sfera sociale e la relativa integrazione tra gli uomini ed i popoli, ci accorgiamo che anche essa pone dei limiti e spinge a porsi una serie di domande. Come nell'intelligenza... anche per la capacità di inventiva..vi sono uomini avvantaggiati da una travolgente genialità rispetto ad altri...ma anche in questo caso.. non potrebbero emergere.. se non ve ne fossero altri al confronto non arricchiti da questo dono naturale...

Spostandoci infine alla materia economica..sappiamo che la ricchezza e mal distribuita e che ugualmente esistono i più ricchi... poiché aumentano i poveri. Un dato sembra prendere il sopravvento ed è quello che determina in modo assoluto la ricchezza di pochi a danno della povertà dei molti. Anche qui una domanda dovrebbe porsi. 

La “Teoria dell'agire comunicativo” di Habermas rimane un'ottima base di partenza sulla quale poter innestare ulteriori temi che colgono gli aspetti antropologici dello studio comunicativo per l'importanza di una sana interazione in seno alla nostra società. Ma con l'enorme sovrappopolazione in crescita dal dopoguerra ad oggi... si è arrivati ad un punto in cui nuove regole risultano più che necessarie se proposte in favore di una necessaria politica della socializzazione.



4 dic 2014

nuovo articolo di domenico Cacopardo


                                                        LO SCEMO DEL VILLAGGIO
Di questi tempi essere scemi non è condizione indispensabile per fare politica, ma aiuta molto. Co​sì​ è stato raccontato, soprattutto negli Stati Uniti, ​i​l privilegio del mediocre, di colui che, non avendo idee né spiccata personalità, alla fine risulta il preferito da un elettorato che non cerca un governante ma un suo simil​e.

Da noi, è evidente, in questo senso, la testimonianza del Movimento 5 Stelle che ha portato in Parlamento gente che della mediocrità è l’espressione più autentica. Ma non sono da meno gli altri partiti, a cominciare dal Pd.

Non parliamo del presidente del consiglio anche se comincia a mostrare la corda dei suoi limiti, interni e internazionali. La chiamata di Andrea Guerra è un fatto positivo. Ma solo gli appuntamenti delle prossime settimane ci diranno quale sia la vera caratura di Renzi e, soprattutto, se sia capace di arrestare la marcia di avvicinamento all’Argentina, di cui ogni giorno si scorgono i preoccupanti sintomi. 

Certo la colpa non è di Renzi, visto il contributo determinante di gente come Berlusconi e Prodi e ora Camusso e Landini.

Ma che, nonostante tutto, essere, politicamente, scemi vada di moda lo dimostrano gli episodi di queste ultime ore.

Il presidente della Regione Toscana Rossi (uno di quelli che non si era accorto di nulla quando Mussari imperava nella sua Toscana) si è fatto fotografare con una famiglia rom. È poi risultato che la stessa vivrebbe in un appartamento fornitole e pagatole da una Onlus, con soldi ricevuti dalla regione medesima di Rossi (quindi dai contribuenti italiani) e che i piccoli di famiglia sarebbero stati ripetutamente colti nell’esercizio dell’accattonaggio. Sono portato a credere che queste notizie siano vere, conoscendo molti casi simili. 

In una Nazione regolata dalla legge (anche in Italia) i genitori di tale progenie sarebbero privati (dal giudice) della patria potestà e processati per sfruttamento di minori. In un Paese mite come l’Italia, il maresciallo comandante della stazione dei Carabinieri di Campo de’ Fiori, a Roma, vede continuamente ricomparire e tornare a delinquere i piccoli rom fermati per l’assalto di squadra agli anziani che fanno la spesa nel mercato e riportati nei campi dove vivono i genitori.

Prima di celebrare questa mitezza sarebbe il caso di ascoltare cos’hanno da dire in proposito i derubati e gli assaltati. 

Non c’è nessuna intenzione razzista in queste constatazioni: la realtà va vista per quello che è, non con gli occhi molto interessati dei cosiddetti operatori (più o meno umanitari).

Rossi, presidente della Toscana, si bea in questo genere di compagnia foraggiata per lo più da gente che non è suo elettore. E mostra un razzismo subliminale, comportandosi come gli esploratori ottocenteschi Livingstone e Stanley che, a loro volta, si beavano di mostrarsi in compagnia dei «selvaggi» dell’Africa nera.

Quanto a sciocchezza, non è da meno il sottosegretario Faraone che, dopo una breve eclissi per qualche notizia paragiudiziaria proveniente da Palermo, è stato catapultato al ministero della pubblica istruzione: qui ha trovato modo di celebrare l’elogio dell’occupazione delle scuole medie superiori e degli studenti che le occupano.

Ignora proprio questo Faraone che in tutto il mondo l’insegnamento si sta facendo più duro e più serio e che una delle componenti del nostro disastro è l’insufficienza del sistema scolastico (fatto più per gli insegnanti che per gli scolari) a confronto con la concorrenza europea ed extraeuropea. Si faccia redigere (senza spendere i soldi di un viaggio e utilizzando quelli, troppi, che vengono erogati al nostro personale all’estero) un rapporto sulla pubblica istruzione dal nostro ambasciatore in Polonia, per esempio.

Apprenderà, se ne sarà capace, come funziona un sistema scolastico dei nostri giorni votato a rendere i giovani di quel Paese capaci di competere con tedeschi, indiani, cinesi, russi e americani. E si renderà conto che è meglio tacere e passare per insensibili che parlare e passare per cretini.

Domenico Cacopardo




3 dic 2014

una nota al nuovo articolo di D.Cacopardo


L'ULTIMO REGALINO di domenico Cacopardo
Come il lupo che perde il pelo, ma non il vizio, «in articulo mortis» (in senso politico, s’intende), Giorgio Napolitano intenderebbe manovrare governo e Parlamento per ottenere l’elezione del candidato preferito alla propria successione. Si tratta di Giuliano Amato (76) attualmente giudice costituzionale (di nomina presidenziale) dopo essere stato: consigliere giuridico di Antonio Giolitti, ministro del bilancio, consigliere di Bettino Craxi al ritorno da un periodo di insegnamento alla Georgetown University (gesuiti) di Washington, deputato, sottosegretario alla presidenza del consiglio di Craxi, ministro del tesoro (Goria e De Mita), presidente del consiglio (1992-1993), ministro delle riforme istituzionali e, poi, ministro del tesoro (D’Alema) e presidente del consiglio. È stato presidente dell’Antitrust e dell’Aspen Institute. 

Il più «insider» (prima e seconda Repubblica) di tutti i possibili candidati. Il contrario di ciò che s’intende per rinnovamento da quando mondo è mondo.

Tuttavia, occorre riconoscergli un servizio dello Stato senza ombre speciali, salvo l’assenza di uno specifico spessore e di una specifica tenuta ogni volta che il termometro della temperatura politica è salito di qualche grado. Di fronte alla fermezza usata dopo il crollo della lira (Ciampi governatore della Banca d’Italia, estate 1992, che sbaglia clamorosamente impegnandosi in una insostenibile difesa del cambio) con un pacchetto di misure economico-finanziarie che impedirono il default dello Stato, ci sono state tante altre circostanze in cui, il cedimento è stata la cifra specifica della sua azione di governo. Pensiamo al valore emblematico di quanto accaduto col decreto Conso, ritirato per le pressioni di Scalfaro, intimidito dalla squadra di Borrelli, della sua fuga dal Psi, che avrebbe potuto ‘salvare’, dell’incredibile adesione al movimento di Mario Segni (Il patto per l’Italia) e di alcune indecisioni e incertezze di difficile apprezzamento che nell’azione quotidiana ha manifestato.

Non c’è, però, dubbio che il successo della presidenza Craxi è in gran parte dovuto alla sua sagacia giuridica che implementava e realizzava il senso politico del «premier».

Con Craxi, è stato colui che ha approfondito il «dossier» Sme/Prodi-De Benedetti, definendo i contenuti legali della presa di posizione che impedì che la vendita (per 350 miliardi di lire) dell’importantissima finanziaria Iri, per la quale il Comitato per la politica industriale (CIPI) aveva stanziato i soldi necessari al risanamento stabilendo, per dopo, una vendita ‘spezzettata’.

Come vicepresidente della convenzione incaricata di scrivere la nuova Costituzione europea (poi bocciata e mai entrata in vigore) ha contribuito a definire un documento di compromesso che, comunque, avrebbe rappresentato un passo avanti nel processo di integrazione.

Fa però male, molto male, Napolitano a sponsorizzare l’elezione di un successore. Se lo può permettere per la fragilità politica e culturale dell’attuale primo ministro, cui, però, non difettano senso politico e capacità di manovra.

C’è da dire infine che Amato è il candidato preferito da Silvio Berlusconi, sia per antiche frequentazioni e benefici (nelle vicende dell’introduzione delle televisioni private giocò un ruolo cruciale) sia per l’attesa di un atteggiamento mite. Nel senso che, se ci fosse uno spiraglio per una grazia, Berlusconi può ritenere che Amato lo coglierà. 

Con il solito, insopprimibile autolesionismo, l’excavaliere ha annunciato di candidarlo alla presidenza: il modo migliore per comprometterne il successo e, quindi, ogni speranza di ‘graziosa catarsi’.

Per il momento la candidatura non è sfumata, viste anche le corazzate che la sostengono.

Non si può dimenticare, perà, il voltafaccia di Amato sul decreto Conso e tante altre occasioni perdute, anche sulla questione Craxi, abbandonato e dimenticato senza una lacrima o, almeno, una parola di rimpianto e di solidarietà.

Così va il mondo. Almeno il mondo in cui si sono affermati e sono cresciuti gli Amato.



Un curriculum di tutto rispetto, ma anche.. come sostiene Domenico, il più «insider» di tutti i possibili candidati. 

Il riferimento al decreto Conso..non è, tra l'altro, di poco conto, in un contesto in cui si tratta della nomina istituzionale più importante della nostra Nazione. 

Per intendersi..la storia si inquadra così: 
Conso..già presidente della Corte Costituzionale diviene membro dell'esecutivo nel governo Amato nella qualità di ministro della giustizia. Il 5 marzo 1993.. il Governo, su proposta dello stesso ministro... vara un decreto che depenalizza il finanziamento illecito ai partiti definito un vero "colpo di spugna". Il decreto, che recepisce un testo già discusso e approvato dalla commissione affari costituzionali del Senato, conteneva un controverso articolo che dava alla legge un valore retroattivo, e quindi comprendendo anche gli inquisiti di mani pulite. Il presidente della Repubblica,Oscar Luigi Scalfaro, non firmò il decreto e il provvedimento venne così ritirato.
Tale decreto-legge fu denominato "decreto Conso" dal nome del ministro della giustizia proponente, ma, tutt'oggi non tutti sono propensi a credere che sia stato il frutto della sua unica mente. Il presidente del consiglio dei ministri dell'epoca, Amato, durante la riunione del governo, fu molto criticato per essere stato prono alle indicazioni del Quirinale, il quale per la prima volta s'ingeriva così pesantemente nella redazione di un testo di competenza del governo. 
Ecco perché Conso offrì immediatamente le dimissioni e all'indomani della scelta di Scalfaro non firmò il decreto, dettato dalle esigenze sopravvenute in seguito alla protesta dei magistrati della procura di Milano. Consapevoli della sua totale estraneità alla vicenda, sia Amato che Scalfaro... lo scagionarono agli occhi dell'opinione pubblica.

Amato governò nel periodo buio in cui venne posto il tema del 41bis come trattativa Stato -mafia. Di lui ricordiamo anche la manovra dei novantamila miliardi: una legge finanziaria tra tagli e tasse con la quale si raschiò il fondo del barile, prelevando forzatamente i contributi dai conti correnti dei cittadini ed iniziando la svendita delle imprese e dei beni pubblici, reclamata da un certo capitalismo nazionale. In quel periodo il bersaglio preferito erano proprio i socialisti di cui anche Amato ne faceve parte. Lo stesso Martelli..compagno di partito ed exministro della giustizia, non pare un suo convinto estimatore. 

L'arte del professor “sottile”, così definito anche per la sottigliezza estrema con la quale si è sempre mosso in politica, è conosciuta dai tanti che hanno operato in politica negli anni passati. La sua figura.. ormai chiacchierata...fu fortemente condizionata dall’allora capo dello Stato Scalfaro..

L'aspetto più inquietante di questa figura ..che tanto pare esser desiderata alla carica della presidenza della Repubblica.. è una certa ambiguità. La doppiezza di chi, con estrema furbizia, ha saputo sempre scaricarsi da ogni responsabilità attraverso una dialettica tanto acuta e sottile..quanto astuta e costruita ad arte. 
vincenzo cacopardo












1 dic 2014

Il "non voto"?..un chiaro richiamo ai Partiti

di vincenzo cacopardo

Le pecore nel paese sembrano diminuire!..
Forse il popolo comincia ad intuire che l'unico pastore da seguire è quello di un'entità superiore legata solo all'ultraterreno. 
Per ciò che riguarda il terreno l'importanza del "non voto" di questi giorni appare come un ulteriore elemento di sprono ad un diverso cambiamento. Un cambiamento che non deve solo ispirare nuove valide figure (grandi o giovani che siano), ma anche e soprattutto piani progettuali efficienti per quella funzionalità oggi occorrente.
In molti hanno finora pensato solo alle figure... ed in meno si sono poste il serio problema fondato sui programmi. In questo quadro la ricerca risulta essenziale, poiché non potranno mai esistere verità assolute che possano risolvere i tanti e difficili problemi esistenti nella conduzione di una politica ridotta in uno stato di difficoltà evidente.

In questo contesto..il punto di partenza non possono che essere i Partiti.

Oggi la considerazione sulla funzione dei Partiti è lasciata nel vuoto pensiero dei tanti che pensano di occuparsene in un modo assai figurativo ed improprio...dei molti che ne restano assenti e che ne usufruiscono coprendo incarichi politici nelle sedi istituzionali. Ma la problematica del deludente funzionamento risiede proprio su un vero mancato rinnovamento...su una ridisciplinazione di questi contenitori di consensi, da cui parte la prima grande anomalia che accompagna tutto il percorso del fallito funzionamento del meccanismo politico istituzionale.

Se l'attività dei Partiti si ridisegna in modo logico al fine di immettervi idee e desideri legittimi sui quali sollevare le proposte dei cittadini, l'attività di tali “centri organizzativi”... rimodellati come vere officine per la funzione logica di una politica utile al funzionamento sociale..avrà una giusta ragione di esistere. Se..altrimenti ..si vorrà continuare ad usarli con lo scopo improprio al fine di attrarre un vuoto consenso figurativo..allora nulla potrà mai cambiare.

Il dissenso dichiarato col “non voto” di questi giorni da parte di una grossa parte della popolazione, dimostra una chiara insofferenza ed una non celata diffidenza nei confronti della politica in genere.. Ma è proprio questa genericità che non può più attrarre.. quando in più il Paese sembra costretto in una morsa mortale di una crisi che non lascia scampo.

Il popolo oggi desidera una sicurezza anche nel voto ..desidera che i Partiti cambino completamente il loro assetto..desiderano un dialogo diretto..esigono essere ascoltati e proporre..facendo parte integrante di un progetto condiviso.. pretendono un responsabile col quale confrontarsi.
Chi se non i Partiti dovrebbero proporsi in un tale progetto condividendolo e rinnovandosi all'uopo?

Se una democrazia si vuole più diretta.. in un Paese come il nostro.. che conta decine di milioni di aventi diritto al voto (senza scadere nelle vuote proposte di chi..come i 5Stelle.. intendono costruirla attraverso logiche innaturali e virtualistiche), occorre ridisciplinare con attenzione l'attività dei Partiti (sia che si contiuni a definirli “partiti” o più modernamente “ officine di idee”) senza alcuna superflua e deleteria costruzione di leaders al loro interno, ma con le logiche più costruttive proposte attraverso uno scambio diretto con i cittadini.


Questo “filo conduttore” è oggi quello mancante... e rappresenta un vero ostacolo per il legame di una politica che si deve ai cittadini..quale parte integrante della società.     

Braccio di ferro..per la nuova presidenza

di vincenzo cacopardo
Il chiaro braccio di ferro tra il Cavaliere e Renzi è sotto gli occhi della politica odierna..e rappresenta una ennesima battaglia tra colui che oggi determina (ancora per poco) il maggior consenso e chi, dall'altra parte, non pare arrendersi all'evidente tramonto di una politica fallimentare condotta negli anni passati.
La sfida più importante che pare combattersi è quella che definirà il candidato per il Quirinale in vista dell'abbandono da Parte di Napolitano che sembra confermato per fine anno. Una sfida appena cominciata che si profila di grande importanza per chi la vincerà. Per Renzi.. naturalmente.. sarebbe più conveniente che Napolitano vi meditasse ancora.. onde evitare un'ulteriore difficoltà all'attività di governo già di per se piena di tanti ostacoli. Quella tra Renzi e Berlusconi, viene in queste ore considerata come una guerra di nervi che non lascia alcun risultato scontato, poiche il Colle rimane un punto di grandissimo interesse per il futuro della politica Nazionale...
Forza Italia, ha già avuto esperienze nel passato con figure come quelle Scalfaro che, a detta loro, non hanno favorito il partito del loro leader. La paura di Berlusconi rimane quella di ritrovarsi con un inquilino del Colle poco gradevole che possa ostacolare il suo percorso che oggi.. in realtà.. appare solo quello di trovare serenità per l'andamento del suo gruppo imprenditoriale: - Difficile poter ancora pensare che Berlusconi possa condurre avanti una nuova politica..se non offrendo ulteriori speranze legate a forme e progetti propagandistici senza alcun nesso con una realtà. Al contrario.. per Renzi.. la nomina di un nuovo Capo dello Stato che possa favorirlo nel percorso delle sue (particolari) riforme, rimane fondamentale.
Per il sindaco d'Italia, al di là del suo Job-act , rimangono fondamentali le riforme costituzionali ed istituzionali e cioè: l'abolizione di una Camera, una legge elettorale ad hoc e la formazione di un modello bipartitico che possa garantire al massimo il funzionamento di una governabilità...Poco importa se poi il modello di una democrazia venga sostenuto con una partecipazione dal basso..in quella che per lui è sempre stata una visione ristretta ed assoluta della politica del comando.
Quella per il Quirinale è di sicuro una dura battaglia, ma potrebbe risultare un evento fortuito che verrà determinato da votazioni in cui saranno presenti molti dissidenti e frondisti in seno ai partiti di maggioranza, ma con essa potrà almeno dissiparsi il timore di elezioni anticipate. Di sicuro per il Premier Renzi il rischio rimane peggiore.. anche in vista dei consensi di questi giorni che sembrano declinare senza sosta.
Mentre Renzi tenta un accordo con il mov.5stelle...il Cavaliere rimane metaforicamente seduto sulla riva del fiume in attesa che il Premier venga ad incrementare a suo favore quel patto del Nazareno.. tanto inviso dal paese..quanto oscuro nella suoi innaturali principi che legano la politica alla democrazia.





28 nov 2014

Alla faccia della rottamazione!.

Alla faccia della rottamazione!..Se la politica del segretario PD.. primo ministro e sindaco d'Italia Matteo Renzi.. voleva presentarsi come quella innovativa della rottamazione..non vi è dubbio che ha sortito un risultato totalmente opposto.

L'esempio più vivido è quello del senatore Denis Verdini, venuto fuori alla ribalta della scena politica improvvisamente negli ultimi anni seguendo a braccetto il Cavaliere... Diverse volte a giudizio con capi di imputazione come concorso in corruzione, truffa e bancarotta..(i processi non si contano più sulle dita di una mano e restano ancora in sospeso per la lungaggine di una magistratura di per sè impantanata, ma anche alle prese con le decisioni dell'Aula parlamentare).

La domanda che i tanti cittadini dovrebbero porsi è quella di come Renzi abbia voluto rottamare personaggi dello stampo di D'Alema (sicuramente più politicamente profondi e preparati) lasciando il campo aperto ad altre figure come quella dell'ineffabile e fin troppo discusso Verdini. Se è vero che il personaggio non appartiene al suo Partito ..è anche vero che con esso il premier mantiene un considerevole dialogo.

L'esempio di Verdini viene spontaneo proprio perchè determina una evidente dicotomia che contrasta fortemente la deontologia politica di chi, come Renzi, ha sempre preteso di rottamare per rinnovare. Sappiamo bene che Renzi opera pragmaticamente e per fini politici determinati non ponendosi problemi nel dialogo con Berlusconi. Ma Berlusconi non è esattamente Verdini. Berlusconi nel bene o nel male è sempre stato un leader ed occupa una posizione forte ed ormai riconosciuta di grande manager...ma Verdini..da quel che si conosce..sembra essere venuto fuori improvvisandosi figura politica.

Questo il curriculum non proprio impeccabile..tratto dalle fonti della Rete.. di chi oggi discute le riforme col nostro Primo Ministro:

-Nel passato è titolare di macellerie, da laureato in scienze politiche, si specializza come dottore commercialista, esercitando a lungo la professione, prima di ricevere l'incarico di presidente del Credito Cooperativo Fiorentino.
-Il 14 marzo 2013, i PM di Firenze chiedono il rinvio a giudizio per Verdini nell'ambito del procedimento sulla gestione del suddetto Credito Cooperativo Fiorentino. La richiesta viene accolta dal gup di Firenze. Verdini dovrà rispondere per truffa ai danni dello Stato.
-Successivamente nell'ambito di una inchiestaper truffa per una presunta indebita percezione di fondi per l'editoria, la Procura della Repubblica di Firenze emette un'ordinanza attraverso la quale la Gurdia di finanza sequestra beni per 12 milioni di euro alla società Settemari di Verdini
-Poi ancora.. il 19 novembre 2014, Verdini, viene rinviato a giudizio dal gup Cinzia Parasporo per concorso in corruzione. Il 25 novembre 2014 viene indagato dalla procura di Firenze con l'accusa di bancarotta fraudolenta in riguardo al fallimento della Scietà Toscana Edizioni.
Non domentichiamo altri casi come quello della Maddalena, della P3 e P4..

Ma al di là di come si concluderanno detti processi.. e come verrà definita la posizione del senatore Verdini..della quale poco potrebbe interessarci, ma per la quale si deve rispetto, non può che apparire inquietante il dialogo che (all'ombra di un Nazareno) vede coinvolta una simile figura in un quadro riguardante le riforme del futuro del Paese... quando altre più nobili figure, sono state tolte di mezzo attraverso una manifesta volontà di non voler riciclare.Tutto ciò sembra non nuocere affatto alla figura ipocrita del nostro sindaco d'Italia.
Se questa è la rottamazione...
vincenzo cacopardo

Austerità e crisi ..quale futuro?


James K. Galbraith, famoso economista americano.. radical, pacifista, grande studioso delle diseguaglianze, ci induce a dimenticare la normalità di un benessere passato ..affermando che esso non potrà più tornare in un contesto evidente dell'economia mondiale. Da oggi in avanti..secondo l'economista vivremo di continua instabilità ed è quindi preferibile adattarsi ad un ritmo di vita diverso.
James K.. Galbraith, sostiene che le scelte economiche dell'Europa suggerite dalla Merkel non potranno mai portare benefici economici alla società . Nel suo ultimo libro la “fine della normalità” spiega come e perchè, nonostante questi tetri aspetti, ce la possiamo ancora fare.

Secondo il parere dell'economista, il sentimento nutrito da molti è quello dell'attesa di una crescita: -in tanti pensano che quanto prima si ritorni a quel benessere economico che abbiamo conosciuto nel secolo scorso e che... passata la crisi, si torni a quella normalità.
Nel suo nuovo saggio.. Galbraith ci espone i motivi secondo i quali non sarà possibile ritornare agli splendori degli anni dorati della crescita: 1)-i costi crescenti e volatili dell’energia- 2)il caos geopolitico con le crisi della governabilità- 3)una prepotente innovazione tecnologica che ruba lavoro -4)una finanza più che amorale.
Quattro motivi per i quali ogni sforzo potrebbe essere inefficace.

Nel contempo l'economista si pone l'altra domanda ..una domanda diretta verso la realtà di dover vivere con poca crescita...si chiede perchè e come attaccarsi alla poca crescita. La risposta gli viene suggerita dal fatto che una crescita resta impossibile da ricreare attraverso il gravoso impegno in direzione delle molte cose da dover sviluppare insieme: Non è più possibile forzare una crescita, ma adeguarsi con intuito ad uno sviluppo differente..più mite.. che deve prevedere il rafforzamento di tutte le istituzioni...Insomma ..con una crescita inferiore..le stesse istituzioni e le politiche sociali diventeranno più solide..al contrario più si cresce ..più vi è bisogno di affrontare spese sociali maggiori per proteggere la popolazione....ed alzandosi i bisogni sociali...chi li pagherà?.. Il pensiero dell'economista sembra dividersi anche nella visione keynesiana, per la quale la politica sociale e l’intervento pubblico, servono per ottenere più benessere e anche più occupazione

Galbraith ritiene che fino a pochi anni orsono una certa scuola di pensiero dell'austerity sosteneva che tagliando la spesa sociale si sarebbe creata più crescita... Ormai sembra scontato asserire che se tagli la spesa sociale avrai più povertà, disagio, disoccupazione, senza alcuna rilevanza sul debito pubblico; questa scuola non ha più credibilità. Un’altra scuola(giusto quella di matrice Kejnesiana) asserisce che bisogna invertire l’austerità, spendendo più soldi e così avremo la crescita”. Ma oggi..come sostiene l'economista, “sono cambiate molte cose rispetto alla impennata della crescita avvenuta nel dopoguerra...e nei suoi quattro punti sopra esposti quello che più la impedisce è “una certa speculazione che ha rubato il posto dei finanziamenti alle imprese”. In questo quadro, sottolinea, “la reazione migliore è proteggere la gente. ed in più, mettere fine alla particolare situazione che si è creata in Europa, con i paesi del Sud sotto enorme pressione per i programmi di austerity"
Per Galbraith..la situazione in Europa pare essere quella di una stagnazione più che di una crescita ed è molto più pericolosa che nel resto del mondo. Una crisi che minaccia l'esistenza stessa delle sue istituzioni e che porterà al fallimento dell'Europa prima ancora che di quella dell'euro..Saranno proprio gli effetti divergenti dell'austerity a provocarne la fine.

La visione di Galbraith.. che, riguardo al nostro paese, Renzi valuterebbe da gufo, altro non è che lderivata da una analisi approfondita di chi studia da tempo tali fenomeni dell'economia. La vera problematica esistente sulla quale sicuramente si sovrappongono i quattro punti che l'economista americano pone come freno alla crescita, rimane, però, lo stato evidente dell'eccessiva sovrappopolazione. Un punto sul quale è difficile poter trovare soluzioni facili e comode. 

L'eterogenesi dei fini di conseguenze non intenzionali provocata dalle azioni di una prepotente speculazione finanziaria, hanno ridotto il mondo al servizio di una economia malsana, assai corrotta e per niente funzionale all'essere umano. La politica ne è la maggiore responsabile.

Tutto nasce dopo una morte e tutto muore dopo una nascita.  Lo splendore della rinascita che abbiamo toccato con mano nel dopoguerra sembra già da tempo essere arrivato al culmine ed un mondo sempre più sovrappopolato..pare combattere la sua lotta verso la crescita attraverso il cinico pragmatismo di una finanza a dispetto delle fondamentali risorse delle idee e dell'equilibrio...
Saranno proprio queste a salvarci?
vincenzo cacopardo




27 nov 2014

Pragmatismo ed interpretazione democratica

di vincenzo cacopardo

Srive Domenico Cacopardo sulla Gazzetta di Parma

“Finalmente, il «Jobs act» entra in dirittura d’arrivo: dopo l’approvazione con modifiche minori alla Camera, il Senato, nei prossimi giorni ne sancirà la definitiva approvazione. Da gennaio, le norme, mano a mano che i decreti delegati saranno diramati, entreranno a regime.

Rimangono sul terreno, accentuandosi, le divisioni del Pd: una quarantina dei suoi deputati non hanno votato la legge.

Curiosa questa posizione. Non c’è chi non veda come la situazione globale spinga verso la flessibilità del mercato del lavoro, secondo il collaudato paradigma «la facilità d’uscita facilita l’entrata».

Basterebbero due conti a spanne. La terra è popolata da circa 6 miliardi di persone. Almeno quattro miliardi e mezzo sono in età lavorativa. Un miliardo vivono nei paesi sviluppati. Un paio di miliardi tra Cina, India, Brasile e Messico. Essi, sino a ieri –e in parte ancora oggi- erano sulla soglia della povertà, come al di sotto ci sono gli altri.

Nel mondo, quindi, ci sono almeno due miliardi e mezzo di persone che, per la recente uscita dall’indigenza, o per la persistenza di essa, sono disposti a tutto pur di lavorare, guadagnarsi l’alimentazione, il vestire e gli studi per i figli.

Questo è il terreno di confronto tra l’Italia, ancora attestata, anche se un po’ meno, sulla difesa di un sistema di tutele e privilegi e il resto del mondo.

E pensare che siamo entrati nel 14° trimestre di Pil calante, un evento mai verificatosi nella storia di una nazione. 

A Terni, la Thyssen-Krupp che gestisce l’Ast, azienda produttrice di acciai inox, dichiara 536 esuberi su 2600 dipendenti. Che fa il sindacato? Blocca l’azienda, la città e l’autostrada del Sole, immaginando che ricattando gli italiani sarà trovata una soluzione. E, purtroppo, la giovane ministra dello sviluppo, impaurita dalla violenza della lotta sindacale si inerpica in promesse non mantenibili.

I dati del problema sono semplici. La Thyssen-Krupp opera nel contesto mondiale e il suo palcoscenico è globale. Se il suo stabilimento viene bloccato per difendere 536 posti di lavoro che non ci sono più (esuberi) potrà facilmente spostarsi altrove, dove ci sono migliaia di uomini disponibili a lavorare di più e a percepire una retribuzione inferiore senza disporre delle previdenze del sistema italiano. E, se cercasse di vendere, nessun «competitor» accetterebbe un sistema così paralizzato.

Perché quindi il sindacato e un pezzo di Pd danno battaglia sul terreno del lavoro?

C’è, di fondo, un’ipocrisia che non fa dire agli italiani e agli operai, la verità: il loro potere contrattuale oggi è pari a zero e, quindi, si dovrebbe operare per una gestione «accompagnata» delle crisi. 

Né Camusso né Landini hanno il coraggio che serve. Quindi, alimentano il conflitto, una strada d’irresponsabilità che aggrava la situazione, quando ci vorrebbero collaborazione e realismo.

Diversa la storia delle minoranze Pd. Legate mani e piedi all’ultima organizzazione in vita (la Cgil), sanno di essere giunte al capolinea, com’è accaduto nell’exEst europeo agli excomunisti. Se la prendono, invano, con il leader del rinnovamento.

Non hanno speranze. L’Emilia Romagna lo dimostra. Il circuito che alimentava il voto totalitario è scomparso: tutti (gli excomunisti) a casa.”
domenico Cacopardo



I tecnicismi burocratici a cui fa riferimento Papa Francesco altro non sono che il frutto di una interpretazione fin troppo pragmatica che non lascia vedere oltre....

E' veramente impossibile per il sottoscritto leggere le parole di Domenico Cacopardo senza poter commentarle ed esprimere le mie diverse posizioni. La maggiore ipocrisia..non è certamente quella dei lavoratori e di chi si appresta a difenderne i diritti...ma è quella condotta dal primo ministro che pretende di imporre ogni sua riforma col solito determinismo..chiudendo ogni dialogo e persino offendendo alcune associazioni storiche a difesa della classe lavoratrice. Al contrario di quanto asserisce il cugino Domenico..mi sembra proprio che sia il Premier ..nella fattispecie.. a mancare di partecipazione e collaborazione!

Le analisi sul terreno della competizione affrontate da Domenico sono più che valide (l'esempio della Thyssen-Krupp che opera nel contesto globale..è noto), tuttavia le sue valutazioni sembrano sempre suggerite da un pragmatismo che non pare scorgere alcun interesse verso la situazione economica sociale di una gran parte della popolazione. Un modo di guardare la realtà solo da un lato e da una posizione di chiusura che non pare lasciare alternative e che occlude visioni diverse altrettanto realistiche.

Quello che oggi si intravede è una chiara mancanza di crescita e non può bastare un «Jobs act» che guarda alla regolamentazione del lavoro ..non affrontando nel merito le vere idee per lo sviluppo. Vi è poi una leggerezza nell'affrontare nel metodo una riforma (tra l'altro delegata in modo alquanto singolare ad un governo che potrebbe da un giorno all'altro cambiare..stravolgendone l'indirizzo) ..Come realmente saranno affrontate le tutele crescenti?..Come il metodo del dimansionamento?..Metodi che saranno affrontati prossimamente direttamente dal governo, avendo potuto ottenere una delega alquanto ambigua..

Sono anch'io tra quelli convinti che l'articolo 18 sia un falso problema, ma quello che veramente lascia perplessi .. anche per via di un contesto globale tendente a complicare la concorrenza..(eliminando sempre più posti di lavoro)..è proprio il fatto che il governo si sia impegnato in modo assai poco equilibrato verso una riforma riguardante gli aspetti di un regolamento... distraendosi dalla più importante ricerca di idee per portare nuovo lavoro.

La visione di tanti come Domenico Cacopardo (affermato alto magistrato del consiglio di Stato..ormai in pensione) non può che essere pragmatica e sistemica..non può che guardare ad una posizione che confidi in una resistenza del sistema con le logiche di un sindaco d'Italia che persegue un obiettivo ancora più pragmatico, determinato ed anche assoluto. Sono posizioni logiche conservatrici. In questa loro visione .. si dimenticano dei tanti che, perdendo il lavoro e non avendo alcuna certezza sullo sviluppo stesso del Paese.. ponendoli in uno stato di notevole insicurezza, dovrebbero quanto meno avere tutta la comprensione sulle incertezze del momento.

Bisognerebbe all'uopo riprendere le parole del Santo Padre che.. con suo discorso di stampo politico filosofico e di chiara matrice antropologica.. fatto a Bruxelles, pare aver impartito una vera "lectio magistralis" a tutto il parlamento europeo:

- “Persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l'utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi".
Parole, le sue, che legano l'essere umano ad una precisa dignità..poichè il lavoro lo unisce ad essa.

- "I grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni", Alle istituzioni, il Pontefice ha ricordato l'importanza dello "sviluppo culturale dell'umanità", ricordando di promuovere i diritti umani, a cui "si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto".

I tecnicismi burocratici a cui fa riferimento Papa Francesco altro non sono che il frutto di una interpretazione fin troppo pragmatica che non lascia vedere oltre e che pone argine a qualunque esegesi più equilibrata.
vincenzo cacopardo












26 nov 2014

Una nota alla nuova analisi di Domenico Cacopardo



di domenico cacopardo
Fiumi di lacrime inondano i volti delle vedove di Lenin, i personaggi politici e dei media che, in tutti questi anni dalla caduta del Muro di Berlino in poi, hanno ritenuto d’essere gli interpreti di un mondo inesorabilmente crollato.

L’Italia continuava a essere un Paese anomalo, la più sovietica delle nazioni occidentali prima, la meno desovietizzata dopo. 

Un sistema in cui lo Stato era centrale nell’economia e nella società e nel quale la legge dello Stato serviva a delimitare gli spazi di libertà dei cittadini. Con un fisco che li metteva e li mette sotto controllo quotidiano, una specie di grande, squallido fratello che uccide ogni libertà di intrapresa. Con leggi urbanistiche che favorivano le cosiddette “operazioni”, vessando i cittadini comuni che, magari, dovevano allargare un tinello. Con normative e movimenti ecologisti che permettevano ai comuni di ricattare chiunque intendesse assumere una iniziativa importante di carattere produttivo o infrastrutturale. 

L’errore fondamentale che ha portato, oggi, al rifiuto della politica, l’ha commesso la classe dirigente del Pci, a partire da Berlinguer, e poi da Occhetto. Il rifiuto d’essere interpreti del socialismo democratico europeo e la volontà di percorrere la vecchia, fallimentare strada del compromesso storico (il passaporto per governare concesso dagli exdemocristiani) è all’origine di questi vent’anni di degrado. Berlusconi ha dato un buon contributo, contando sull’antinomia liberali-comunisti, ma esercitando una pratica di governo che si giovava di tutti gli strumenti posti in essere da uno Stato assistenziale e rapinatore.

Il tentativo di D’Alema (la “Cosa 2”) di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo fallì per la viscerale opposizione del corpo grosso comunista.

Non poteva che finire così com’è finita: con la vittoria della componente exdemocristiana e con l’emergere di un giovane che ha pensionato la vecchia nomenklatura, ma soprattutto miti, stili, legami e ricatti che tenevano insieme il vecchio patto sociale esistente tra l’exPci e parte del Paese.

Non è cambiato solo il modo di fare politica. Senza accorgercene, anche l’Italia è cambiata, sull’onda di una crisi così grave come nella storia s’era vista. 14 trimestri consecutivi di caduta del Pil non sono un numero, sono una tragedia. 

Del resto, se l’umanità è oggi intorno ai 6 miliardi, se il processo di sviluppo ne ha investito la maggior parte, se ovunque il lavoro è il valore morale e sociale di riferimento, dato che tutti vogliono guadagnare quanto necessario per mangiare, per vestire e per mandare i figli a studiare, senza se e senza ma, può un Paese seduto come l’Italia, in cui si parla prima di garanzie, mai di produttività, prima di privilegi, mai di doveri, rimanere ai vertici dell’economia mondiale?

Può un Paese che non ha ordine pubblico, devastato dal racket delle occupazioni abusive di case private, dopo quelle delle case popolari, investito dalle gang di zingari che infestano le piazze, che consente a chiunque di occupare strade e ferrovie interrompendo i traffici, che ospita Mafia, Ndrangheta e Camorra può un Paese così pretendere di continuare sulla stessa strada?

Può un Paese in cui gli studenti si oppongono ai rapporti stretti tra sistema economico e scuola avere una speranza?

Può un Paese in cui le università sono i parcheggi degli sfaticati prima che la palestra dei volenterosi avere un futuro?

Negli Stati Uniti, è impressionante il numero di studenti cinesi (della Cina comunista) che studiano nei college e di quelli che vi insegnano: sono come i pugili italiani di un tempo. Venivano dalla fame e menavano pugni per conquistarsi uno status.

Noi lo status l’avevamo ottenuto. L’abbiamo perduto.

Solo il rinnovamento senza ideologie, solo la libertà d’intrapresa possono restituircelo. Né Civati, né Cuperlo, né Camusso o Landini.

Dobbiamo, infatti, riconquistare il nostro Far West.


"La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione."

L'analisi di Domenico è profonda oltre che acuta..La sua visione negativa del futuro del Paese si lega ad un senso di rassegnazione dal quale sembra difficile venir fuori. Nella sua prima parte, il consigliere fa riferimento al tentativo fallito da parte di D'Alema di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo e di seguito con la vittoria della componente exdemocristiana di cui persino Renzi..oggi ne rappresenta la perpetuità, appare cambiato il modo di fare politica. Ma ormai è anche cambiato lo stato sociale della Nazione nella morsa di una crisi economica smisurata.

Se è vero che avevamo un nostro "status" e lo abbiamo perso ..è anche vero che non si è mai provveduto ad affrontare i temi della politica attraverso una sana ricerca. Hanno sbagliato tutti : i Partiti soprattutto..che non hanno saputo leggere in lungimiranza. I principi della stessa democrazia si sarebbero dovuti sostenere attraverso risorse politiche qualitative e culturali...Ed oggi..quando tutto sembra volersi risolvere attraverso la forza di una spinta fin troppo autoritaria, sembra non esserci più tempo.

Domenico parla di un futuro rinnovamento senza ideologie.. intendendolo come unica possibilità di riuscita del cambiamento.. ed in questo non potrei che essere d'accordo, poiché oggi le idee ed il metodo sono l'unico motore per la ricerca di un vero funzionamento, ma il principio più difficile da poter far comprendere a chi come tanti continuano a ragionare in termini obsoleti e superati...è proprio quello di far loro comprendere l'importanza di una immedesimazione diversa..di un approccio innovativo.. che solo attraverso una diversa "forma mentis" può sostenersi. La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione.

Al di là di Civati, Cuperlo, Camusso o Landini...continuo a pensare che la politica troppo determinata e semplificativa del governo Renzi.. non potrà mai offrire frutti positivi ed i risvolti di questo processo (più simile ad una restaurazione che ad un rinnovamento) potrebbero divenire ancora più catastrofici fornendo le adeguate risposte alle stesse domande che il cugino Domenico, nel suo articolo, si pone. 
Vincenzo cacopardo


25 nov 2014

Astensionismo diffuso e crisi dei valori istituzionali

di vincenzo cacopardo

Mentre nel PD si riflette sull’astensione e qualcuno gode per il risultato del 40 per cento, nella Lega si esulta per il secondo posto ottenuto. Intanto il M5 Stelle fa i conti con la perdita secca dei suoi voti e Forza Italia si guarda intorno meditando seriamente sull'enorme vuoto lasciato.
Sembra che abbiano perso tutti tranne Matteo Salvini che conta seriamente di far crescere il suo Partito in tutto il Paese. La questione non è di poco conto.. poiché oggi Salvini, al Sud, può far forza su quella enorme massa di voti dispersi da Forza Italia..rappresentando però una destra più decisa e non sicuramente moderata.

Fanno drammaticamente ridere le dichiarazioni fatte da alcuni leaders prima fra tutte quelle dello stesso Premier che accenna ad una vittoria netta del suo PD. Da un altro fronte.. Raffaele Fitto dichiara che il risultato drammatico di Forza Italia, deve ormai considerare il serio problema di dover azzerare tutte le nomine in seno al Partito, per offrire un vero rinnovamento. Ma al di là di ogni mancanza di idee ..la pretesa di Fitto risulta ridicola poiché lui stesso, rappresentando il vecchio, avrebbe il sacrosanto dovere di mettersi da parte: Sono anni che si sente parlare di rinnovamento in seno a questo Partito che in realtà continua a mantenere nei posti di comando le stesse figure, alcune davvero ambigue. Il risultato negativo.. era quindi scontato..anche per via del fatto che Berlusconi, occupandosi più del patto del Nazareno.. assieme al suo (vero favorito) Matteo, pare essersi stancato delle tante figure che gli girano attorno.

Il voto di questi giorni è il risultato ovvio di scelte sbagliate che vedono da un lato la mancanza totale dello studio e della ricerca del funzionamento della politica ( una strada che non premia alcun dialogo) e dall'altro... quella di una politica non allarmata dal costante astensionismo... per lo più interessata alla costruzione di percorsi distinti ed ingannevoli.

Le Regionali in Emilia Romagna e in Calabria.. segnano, però, un punto sul quale sarebbe opportuno riflettere attentamente per via del fortissimo astensionismo...che chiaramente agevola le elezioni dei presidenti regionali attraverso consensi bassissimi rispetto agli aventi diritto al voto. Il Pd dovrebbe riflettere più degli altri sul voto dell'Emilia..regione che è sempre stata storicamente un feudo assoluto della sinistra. Un astensione attesa.. viste le incomprensioni sempre più evidenti tra i cittadini e la politica odierna: Se da un lato abbiamo una figura determinata e supponente che pare aver preso in mano le sorti della politica dell'intero Paese con l'ambizione tipica del superman...dall'altro lato non si intravede alcuna buona proposta di rinnovamento studiata attraverso una attenta ricerca che possa vedere al di là di ogni regola e parametro tale da poter offrire maggiore innovazione e funzionalità alle istituzioni.
La “forma mentis” rimane ancora fissata su alcuni punti che non potranno mai offrire innovazione..e l'unica strada che si affronta è quella che vede solo scelte semplificative! E' inutile..quindi.. fingere parlando di risultato netto! Un boccone amaro per tutti, ma soprattutto per l'avvenire incerto di una politica che tarda ad innovarsi.

Sarebbe il caso di mettere in discussione la formazione dei Partiti ed i perenni conflitti esistenti in seno alle figure odierne..in modo da offrire una nuova visione della politica più vicina alle esigenze della società, accantonando principi ideologici di destra-sinistra in favore delle esigenze e del metodo. Il dato dell’astensione è troppo alto da mettere in seria discussione lo stesso valore delle istituzioni.