17 giu 2014

Il "caos creativo" di Domenico Cacopardo



di domenico Cacopardo
Le difficoltà in cui ci dibattiamo da almeno sei anni non sono miracolosamente risolte. Anzi, la sensazione è che, insieme a un quadro politico più chiaro e più coerente, si sia impadronito del governo del Paese il caos, un caos creativo intendiamoci, ma pur sempre un caos.

Non c’è un settore in cui un disegno efficace sia emerso: le riforme sembrano collage di idee incapaci di cogliere i punti fondamentali della crisi.

Prendiamo la riforma della pubblica Amministrazione, affidata alla Marianna Madia, un nessuno con nessuna esperienza, tranne quella maturata nella legislatura compiuta per miracolo ricevuto da Valter Veltroni. 

Intendiamoci subito: chi conosce le aziende private, sa come si procede quando è ora di cambiare tutto per essere al passo con i tempi. Si abbandonano al loro destino le unità esistenti, e si creano task force di gente capace di usare nuove tecnologie, avviando un nuovo modo di produrre. Per lo Stato, la ricetta è analoga: i pannicelli caldi servono a poco. Occorrerebbe costruire un’Amministrazione che si muova per obiettivi e che li individui affidandoli a squadre di tecnici e funzionari addestrati alle nuove necessità. Solo dopo che la non breve fase di avviamento di un simile sistema sarà completata, avremo una burocrazia adeguata dalle performances misurabili e, soprattutto rilevabili dagli stessi cittadini. Tanti specie di Duc parmigiani (a 360°) dovrebbero popolare il Paese.

Ovviamente, il progetto Madia non prevede nulla di tutto ciò. Sfogliamolo: “Staffetta generazionale”. Viene eliminata cioè la possibilità che i dipendenti pubblici presentino domanda per rimanere in servizio due anni in più. “Ridotti i permessi sindacali”: l’immenso monte ore destinato all’attività sindacale viene ridotto, senza alcuna concreta possibilità di utilizzare efficacemente il personale ‘di ritorno’. “Sforbiciata per le prefetture”. Un’altra delle misure alla “Coraggio con prudenza”. Se le prefetture servono, occorre lasciarle e potenziarle rendendole il fulcro della pubblica Amministrazione periferica. Se non servono, è meglio abolirle tout court (vedi pasticcio Senato). “Part time” prima della pensione. È chiaro di che si tratta: di una nuova riduzione dell’età pensionabile alla faccia di tutti i discorsi (europei) sull’equilibrio dei conti previdenziali. Infine la chicca più gustosa: “I direttori delle Asl scelti fuori dalla politica”, mediante il sistema della presentazione di candidatura con curriculum. Viene da ridere: chi valuterà i curricula? Tanti piccoli marziani ingaggiati all’uopo? E, in Emilia-Romagna, nella regione più pervasiva d’Italia, chi lo farà?

Comunque, siamo nel caos creativo. Nonostante tutto, l’istinto politico di Matteo Renzi (il suo, solo il suo) riesce a mantenere una rotta tutta politica verso il cambiamento strutturale della nostra democrazia, da trasformare in una macchina istituzionale esente dai vecchi poteri di ricatto sindacali e di groppuscoli organizzati, capace di individuare una maggioranza e di lasciarla governare. Un assetto che dovrebbe moralizzare i costumi nazionali, in un’alternanza virtuosa tra partiti e proposte di governo, senza compromissioni sottobanco.

I piccoli ministri passeranno. La trasformazione, se ci sarà, rimarrà a lungo.



16 giu 2014

Una nota sulla recente posta di Paolo Speciale

L'ARTE DEL CONFRONTO di Paolo Speciale
La vicenda Mineo nel PD a maggioranza renziana induce ad una riflessione più approfondita sulle più o meno opportune forme dialettiche del confronto tra diverse correnti di pensiero all'interno di un partito che con l'aggettivo“democratico” ha costituito il suo completo epiteto.
Maggioranza e primato di essa sono l'essenza ed al tempo stesso la legittimazione dell'esercizio del potere politico.
In filosofia politica prioritaria è la costante ricerca, di matrice aristotelica, dei mezzi più idonei, costituenti la forma di governo, per la migliore amministrazione della “polis”.
Ma come conciliare il frequente conflitto tra le singole libertà di coscienza con la più vasta identificazione ideologica di base che può culminare nella assunzione di responsabilità di gestione all'interno di una imponente formazione politica (40,8 per cento docet)?
Riferendosi al comune sentire e quindi in presenza di accertata ed indubitabile obiettività, occorre innanzitutto operare una salutare distinzione tra mero protagonismo finalizzato alla presunta facile acquisizione di una maggiore visibilità nell'ambito del contro-correntismo ad ogni costo e tra la moderata manifestazione di un pensiero le cui ragioni siano fatte valere nelle sedi istituzionali adeguate.
Ora, Mineo ed i suoi seguaci hanno diffuso, loro malgrado, una sì bella lezione di esemplare democrazia: epperò hanno anche perso una grande occasione per instaurare quell'ottimale e più trasparente contraddittorio che attiene esclusivamente al partito e non alla commissione parlamentare affari costituzionali.
Se è vero che ciascuna commissione sia un mini-parlamento – e lo vediamo allorquando alcune disposizioni legislative in alcune di esse vengono licenziate e poste in esecuzione prescindendo dall'aula -, altrettanto innegabile è però anche la evidente inopportunità di trasferire in un ambito comunque ristretto come una commissione – con la potenziale mortificazione del ruolo ricoperto da ciascun membro – qualcosa che deve essere propriamente ascritto al dibattito interno del Partito Democratico e che, proprio per questa sua caratteristica, dovrebbe essere legittimamente rivendicato davanti a tutta l'aula, dove il trionfo di ogni soggettività è diritto inalienabile ad unico e maggiore titolo.
La cosiddetta “rimozione” di Mineo operata dal premier in tal senso, anche se criticabile per gli aspetti e per gli effetti contingenti ad essa connessi, è mera e non allarmante conseguenza della constatazione di una biasimevole incultura politico-costituzionale ancora più sorprendente perché riferita ad un noto ex-giornalista e commentatore politico.
Nel percorso riformatore di una legge costituzionale quale è quella elettorale non può esserci adeguato spazio, pur prevedendo il rispetto delle minoranze, per la minoranza di una maggioranza, né possibilità di esercizio della funzione di indirizzo politico, tipica di altri organi istituzionali che Renzi, nella qualità di capo dell'esecutivo, si è naturalmente avocato.




Quello che Paolo.. con sicura conoscenza afferma...potrebbe essere giusto se nella realtà nel PD  vi fosse oggi davvero un contraddittorio...Io penso che il vero protagonismo oggi lo abbia espresso con troppa sicumera lo stesso Segretario di Partito che... divenuto  in fretta sindaco d'Italia, ha finito con l'agire con altrettanta fretta e determinazione.
Quando Paolo, con tutto il rispetto, accenna che:.. in filosofia politica è prioritaria la costante ricerca, di matrice aristotelica, dei mezzi più idonei, costituenti la forma di governo, per la migliore amministrazione della “polis”.... non fa che ridurre a pura teoria didattica una faccenda non proprio attinente al caso (e soprattutto non solo amministrativa). Nella fattispecie il problema nasce alla fonte e cioè..dal fatto che Matteo Renzi ha ormai deciso il suo percorso in modo perentorio (altro che democratico). Questa è anche una delle ragioni per la quale ritengo sia necessario separare un ruolo di Partito da una gestione governativa che, se troppo determinata, finisce col condizionare ogni sana dialettica.
Se il senatore Mineo ha apostrofato erroneamente il Premier paragonandolo ad una figura autistica, seppur scusandosi....ha scioccamente offerto al furbo Renzi una ulteriore occasione di sfruttare quel termine a suo beneficio.. Errori perennemente commessi da chi affronta i temi della politica con troppa enfasi e senza riflettere...Ma nella sostanza io credo che una buona parte di questo Partito si senta fortemente penalizzata dall'incedere pressante e troppo assoluto del suo segretario.
Bisogna anche tenere conto del fatto che quel docet del 40,8 per cento...sottolineato da Paolo (espresso con le elezioni europee) equivale in sostanza ad un 20% per via del fatto che il 50% di coloro che avevano diritto al voto non è andato a votare.... E noi possiamo davvero affidare il futuro della nostra politica... costruito attraverso le nuove riforme... ad un governo che potrebbe detenere meno di un quarto dei consensi?..Non sembra più giusto ed appropriato che tale discussione possa avere un dibattito più vasto e profondo al di fuori di una specifica competenza governativa,?
vincenzo cacopardo

VIA ALLORO: IL PERCORSO PIU' ANTICO DELLA VECCHIA PALERMO



Esaltare il suo percorso artistico attraverso un innovativo e funzionale completamento


di vincenzo cacopardo

E' tra le strade più vecchie di Palermo e la prima direttrice naturale che dal mare portava fino al cuore della vecchia città. Un percorso da piazza della Kalza verso il centro tra chiese e monumenti. Una strada che andrebbe riqualificata e rimessa in luce dall'Amministrazione della città.

Via Alloro è l'asse viario esistente già nel 1200 e ritenuto antecedente a quello del Cassaro, che nel passato la vide come una direttrice viaria primaria verso monte. La via prende il nome da un antico giardino, da tempo ristrutturato: Il giardino dell'Alloro con un grande albero di alloro di ragguardevole dimensioni ormai nei secoli abbattuto.

Oggi purtroppo gli eleganti palazzi che vi si affacciavano sono stati distrutti o restano molto rovinati. Ma da tempo non vi è mai stata una volontà di voler riqualificare meglio tale luogo allo scopo di farlo rivivere anche in senso commerciale, ponendo l'attenzione del suo percorso artistico attraverso il completamento di una particolare strada ricca di botteghe artistiche ed artigianali..che sfocia in Piazza Aragona e prosegue per via Sant'Anna.

La zona della Kalza, nella quale è inclusa via Alloro, si estende fino a corso Vittorio Emanuele e piazza Magione ed accoglie molti tra monumenti più interessanti della città. Tra questi ricordiamo i più importanti, quali il Palazzo Abatellis (sede della Galleria Regionale). Lo Spasimo(particolare complesso suggestivo) la Chiesa della Magione(una delle più antiche della città)..Oratori ed altro.

Nel suo percorso in salita verso il centro si incontrano altri meravigliosi palazzi alcuni dei quali ristrutturati ed altri al contrario no..come Palazzo Castel di Mirto Bonagia (crollato rovinosamente nel 1982) che rimane fra le testimonianze più significative dell'architettura siciliana del XVIII secolo. Nel 1750 Nicolò Palma rinnovò il prospetto lungo via Alloro

Una costruzione del tutto ristrutturata è, invece.. quella di Palazzo Sambuca. La costruzione del palazzo, nella configurazione attuale, è fatta risalire al 1778 anno in cui la famiglia Bologna ingloba nella propria dimora la casa dei Saladino, anche questi esponenti della nobiltà palermitana. In questa radicale modifica, viene inglobata la Torre Maniace del 1039 che sorgeva presso la porta Policii. L'edificio prospetta su tre vie con facciate stilisticamente diverse tra loro.

Vi è poi il Palazzo Diana di Cefalà che si trova di fronte Palazzo Bonagia e rimane anch'esso sottoposto a continue cure. Oggi le sue bifore ancora, in parte schermate e non messe in luce dai spessori di intonaco per la sicurezza, sono ben note. Appartenne alla famiglia Diana e ingloba la fabbrica architettonica trecentesca che venne eretta nel tempo in cui una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche, tra cui quelle dei Chiaramonte e degli Sclafani, esercitava il controllo politico locale. A partire dal terzo trentennio del XIV secolo, grazie alla relativa stabilità politica dovuta alla famiglia Chiaramonte, sorsero edifici civili e residenze urbane e furono restaurate le antiche mura musulmane.


Era il tempo di una magnifica Palermo costituita in cinque grandi quartieri, (oggi quattro integrati e collegati tra loro). Sebbene il periodo fosse caratterizzato da rivolte e carestie rimase esaltato dalla presenza di grandi geni dell’arte come Pietro Novelli, Filippo Paladini, Gaspare Vazzano, i Serpotta e artisti del tempo che creavano veri e propri capolavori.

14 giu 2014

RESISTENZA E SEMPLIFICAZIONE DI UN PREMIER



di vincenzo cacopardo
Il Premier Renzi critica un po' nauseato una parte del suo Partito che sembra privilegiare una democrazia rappresentata dalla minoranza. Renzi afferma ciò... dopo gli ultimi avvenimenti che hanno visto la quasi epurazione di alcuni membri del Partito non d'accordo col metodo imposto dalla sua maggioranza interna.
Io credo che il problema dovrebbe valutarsi in modo diverso e meno semplificativo valutando differentemente i compiti di un Partito dove il dialogo con la minoranza è necessario, non per chiuderle definitivamente la bocca, ma per ricercare insieme le scelte attraverso uno scambio più che necessario. Se il sindaco d'Italia avesse voluto agire in solitario nella sua assoluta determinazione, avrebbe dovuto scegliere ancor prima di staccarsi dal suo vecchio Partito.... affrontando una nuova realtà partitica con le figure che lo avrebbero più volentieri seguito nel suo nuovo progetto. In realtà.. Renzi.. assumendo di colpo un ruolo di Premier, si trova a dover fare i conti col suo stesso Partito, in seno al quale non si è veramente profuso in un'azione di dialogo profondo per un progetto, finendo quasi per imporlo.
Sui suoi progetti oggi dichiara:  o così...o me ne vado!
La sua visione di Partito è quindi molto simile a quella di una società per azioni dove la maggioranza, anche se di uno, conta per vincere sul progetto, ma mentre nelle aziende... in discussione vi sono scelte relative ad un prodotto (ai suoi costi, al marketing, alla pubblicità) per quanto riguarda un progetto politico.. le problematiche restano molto più complesse, poiché attinenti al percorso di una società, ad una cultura politica che coinvolge le istituzioni nel suo complesso..che non è un complesso semplice e non può definirsi attraverso una rigida determinazione o convenienza, ma resta articolato da una costituzione che mette in primo piano l'importanza di poter procedere per una democrazia rappresentativa che necessita di un dialogo.
In un Partito sarebbe troppo banale porre delle scelte e metterle ai voti senza un preciso e dettagliato dialogo al suo interno.
Questa è anche una ragione che mette in evidenza ancora una volta, la necessità di disciplinare l'azione dei Partiti...affidando al loro interno il progetto attraverso un dialogo continuo con i cittadini (veri ideatori di un programma progettuale) separando il loro ruolo induttivo dalle scelte di governo, le quali non potranno mai essere dirette su riforme costituzionali di tale importanza.
I riformatori dovrebbero trarre spunto da questi ultimi avvenimenti per dettare con più logica una differenza tra i compiti spettanti a chi governa, separati dai ruoli riguardanti la costruzione delle riforme necessarie, individuando quelle anomalie che determinano i continui conflitti.
Andando poi nel merito:...se Renzi deve correre per via delle tante problematiche irrisolte nel passato.. non è detto possa farlo senza un logico scambio all'interno del suo Partito, né sperando di tagliare le istituzioni ed i relativi costi... non tenendo conto del funzionamento dell'intero sistema istituzionale che... nel suo iter... merita rispetto e prerogative di efficienza.



13 giu 2014

Burrasche nel Partito del Premier Renzi


LA VISIONE RISTRETTA E POPULISTA DI UNA POLITICA DEL “FARE” OFFUSCA L'IMPORTANTE ESIGENZA DI UNA FUNZIONALITA'
di vincenzo cacopardo

Di ritorno dalla Cina, il sindaco d'Italia, con la complicità della fedele e obbediente ministra Boschi, alza la voce epurando i due membri commissari Mineo e Chiti.. rei di non condividere il suo piano sulla riforma del Senato che deve a tutti i costi seguire un assoluto iter. Sembra che adesso, in quattordici, si apprestino a scendere dal carro del vincitore delle ultime elezioni. Mentre la ministra Boschi annuncia disinvoltamente, ma con estrema enfasi... di andare avanti sulle riforme perché è il popolo a chiederlo, in seno al Pd, sembra esservi molto disagio dovuto alle continue decisioni che provengono dall'alto. Era prevedibile che ciò avrebbe portato reazioni, poiché il troppo decisionismo di Renzi ha arrecato un naturale effetto causato dalla mancanza di uno scambio necessario. ...Adesso cominciano a venir fuori le prime truppe a difesa di tale determinazione, ma saranno solo i prodromi di un modo di far politica troppo assolutista che poco sembra condividersi all'interno di un partito come il PD...e che rischia di apparire sempre più simile a quello del Cavaliere.

Quando penso a Matteo Renzi, al di là della speranza che egli può esprimere..alla quale tutti sembriamo aggrapparci, mi viene da pensare a quei palloncini che si gonfiano con il gas. Si gonfiano...si gonfiano..fino a quando non esplodono..o finiscono col volare alti e sparire.... Una visione che si adatta a chi si riempie la bocca di tante proposte...esponendosi senza un minimo di timore riguardo agli immensi problemi esistenti. Questa visione è suffragata dalla estrema ambizione e dalla ostinata determinazione che il Premier cova...ma anche dal cinico pragmatismo dei molti che ormai pensano che, non essendovi altre strade, bisogna riporre su questa figura...comunicativamente capace di attrarre l'attenzione, l'avvenire del nostro Paese. 

Si sa ormai cosa si possa pensare di una simile comunicazione, come del resto ho specificato diverse volte gli assurdi propositi di affidare ad un'unica personalità politica il futuro della Nazione, ma il mio giudizio, (che sicuramente poco conta) va oltre... spingendosi in una visione che non condivide né il metodo ..nè il merito di molte delle sue scelte.

La questione, seppur delicata e ricca di argomenti, potrebbe affrontarsi così: Il sindaco d'Italia si muove per riaffermare il sistema rigido bipolare..al fine di poter rendere forza ad un'attività governativa, ritenendo essenziale dirigere un esecutivo senza gli orpelli di un qualunque intervento parlamentare.... o meglio la sua visione è quella di ridimensionare l'attività parlamentare col rischio di ingabbiarla in due monolitiche squadre (secondo la sua ristretta visione calcistica)...un parlamento che resterebbe più facilmente succube delle pretese ordinate dall'alto. (questa è anche la ragione per la quale si esprime parlando di “regole del gioco”). ...Come se la politica, che deve dirigersi attraverso una profonda cultura, fondasse le sue regole su un gioco...

Il suo paradigma è quasi assoluto ed è figlio di una concezione non proprio moderna della politica, in quanto nei fatti.. si è ormai dimostrata l'importanza primaria di modelli innovativi di maggior funzionalità per rendere più forza di base democratica alla stessa governabilità.... Insomma, il pensiero di Renzi appartiene a quella categoria di uomini che pongono la priorità assoluta di un governo attraverso l'esigenza di poterlo determinare attraverso due formazioni politiche che (come in una partita sportiva) si battono affinchè uno dei due, vincendo, assuma il comando. Non avendo altre capacità di inventiva e di ricerca edificate sulle idee, si adatta ad una visione alquanto tradizionale che pone la governabilità al centro di una ambizione senza rendergli alcuna forza alla base. 

Una visione, a parer mio troppo ristretta, poiché, (al di là di ogni paradossale premio di maggioranza) se chi prevale... vincesse con un piccolo scarto di percentuale in più..il restante perdente, pur rappresentando una enorme parte del consenso del Paese, resterebbe isolato e non avrebbe più alcuna ragione nemmeno di restare presente in un Parlamento..perdendo ogni possibilità di imporre le proprie idee ed il proprio pensiero. Questo.. nei fatti e con la normativa esistente non lascerebbe, (come del resto ultimamente non ha mai lasciato) alcuna possibilità di operare attraverso la dinamica politica che in un certo senso... nel passato vi era. 

Nel passato la formazione di un governo avveniva in sede parlamentare attraverso formule proporzionali ed in base ai programmi dei vari partiti che lo generavano. Di colpo con l 'ideazione un po' avventata del nostro bipolarismo, per una esigenza di stringere e dare maggior forza ad una attività governativa, si è come preteso di costruire un governo al di fuori, in ragione prioritaria e con programmi aleatori. Ma se nel passato, si generavano instabilità poco sane e non vi è mai stato posto un rimedio attraverso formule mirate per sostenere con maggior forza l'attività governativa, non è detto che ..oggi..col rigido sistema bipolare, si possa dar rimedio senza rendere ulteriori problematiche al logico percorso politico istituzionale.

Per far questo il Premier Renzi, come volesse apparire paladino e vero restauratore del processo istituzionale del nostro Paese, opera attraverso tagli e soppressioni... senza mirare principalmente ai risultati qualitativi che dovrebbero trovare riscontri su una vera funzionalità del sistema: Taglia una Camera (senza in realtà fornire un vero reale progetto alla sua funzione).. si muove per una legge elettorale del tutto priva di fondamenti relativi ai principi di una democrazia (con ricchi premi di maggioranza e soglie limitate)...non si adopera per una principale riforma verso i Partiti, etc... il tutto condito da una operazione di restauro populista attraverso tagli qui e là..un po' ovunque, al fine di accogliere su di se un consenso..forte della percezione che.. in tanti oggi... ignorano la reale visione del complicato meccanismo politico istituzionale.

12 giu 2014

Una nota del consigliere Cacopardo sul CSM


Il caso Procura della Repubblica di Milano, sollevato da un ricorso del procuratore aggiunto Alfredo Robledo avverso le decisioni organizzative e preprocessuali del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, inizia a essere dipanato. Il barocco Consiglio superiore della Magistratura, nella sua 7^ commissione competente sulle questioni organizzative, ha, infatti, adottato una prima determinazione che dovrebbe investire delle questioni sollevate i titolari dell’azione disciplinare: cioè il ministro della Giustizia e il procuratore generale della Cassazione.

Non avevamo torto, qualche giorno fa nel considerare manifestazione di debolezza il documento di appoggio a Bruti Liberati, firmato da tutti i magistrati della Procura, tranne, il capo, Robledo e la dottoressa Bocassini: di debolezza e di uno stile da Soviet leninista, fortunatamente in ribasso, il cui riflesso più evidente era una sorta di minaccia nei confronti dell’istruttoria in corso nel Consiglio superiore della Magistratura.

La settima commissione, alla fine, ha deciso a maggioranza dando torto a entrambi i contendenti: Bruti Liberati non avrebbe aggiornato i criteri di assegnazione dei fascicoli; non motivato alcune scelte; commesso un errore affidando alla Bocassini il processo Ruby senza adottare un formale motivato provvedimento. Insomma, rilievi –come si dice- di rito e di merito, in particolare quelli che riguardano i criteri di assegnazione dei fascicoli.

Quanto a Robledo, avrebbe rischiato di violare la riservatezza dell’inchiesta Expo (un’osservazione particolarmente lieve, visto che un conto è violare il segreto d’ufficio, un altro è rischiare di violare, senza, però, concretamente farlo), avrebbe sbagliato nel rilevare una sovrapposizione di indagini e, poi, nel duplicare l’attività della Polizia giudiziaria (in questo caso la Guardia di Finanza).

Emerge di nuovo, in modo pur ovattato, un problema che ha travagliato varie procure, compresa quella cruciale di Palermo (a scapito di Giovanni Falcone): il possibile conflitto tra definizione di criteri meccanici di assegnazione dei fascicoli e rapporto fiduciario tra aggiunti, sostituti e capo dell’ufficio.

Il meccanismo immaginato negli anni ’80 da alcune correnti della magistratura (in primis Magistratura democratica) prevedeva la spoliazione di ogni possibilità discrezionale (del capo) nell’assegnazione dei fascicoli e, quindi, una sorta di rotazione di inquirenti, mitigata dall’introduzione delle competenze funzionali (reati finanziari, contro la pubblica amministrazione, terrorismo e così via).

L’idea che i giudici e i pubblici ministeri siano tutti uguali, che avanzino solo per anzianità, e che abbiamo il medesimo trattamento, s’è nella pratica rivelata profondamente errata, visti i tanti inconvenienti prodotti. Non è infatti detto che un magistrato pozzo di scienza giuridica possieda capacità investigative o organizzative e che possa espletare, quindi, le sue funzioni con la medesima efficacia di un collega meno pozzo di scienza, ma dotato di tecnica e istinto investigativi.

Nella querelle occorrerebbe trovare un reale contemperamento che valorizzi le capacità di giudizio e di direzione dei procuratori capi (valutati, per la funzione, proprio dal Csm), consentendo loro, nel rispetto dei colleghi subordinati, di scegliere, per la trattazione di processi delicati, quelli che ritengono più idonei. C’è da aggiungere che così la responsabilità del procuratore capo avrebbe la possibilità di esprimersi pienamente. Solo l’eventuale abuso di una simile facoltà dovrebbe essere censurato.

Intanto, la palla è passata alla 5^ commissione che si occupa delle promozioni, cioè della nomina dei capi degli uffici. Delle sue decisioni oramai prossime, ci occuperemo quando avremo la possibilità di prenderne visione integrale.
domenico Cacopardo







11 giu 2014

ORDINE MONDIALE E MOBILITAZIONE GLOBALIZZATA



Ormai sappiamo che l'entrata in Europa e soprattutto nella moneta unica...non ha seguito il percorso che si doveva. Il processo di unificazione dell’Europa, ha finito col fare uso solo di principi regolati da una economia globale. Questi principi, basati su valori imposti da un mercato sempre più competitivo, sembrano gli unici a guidare una unificazione che si evidenzia abbastanza precaria per le logiche differenze etnico culturali delle diverse comunità. Un processo di unificazione forse non prematuro rispetto ai tempi, ma sicuramente anticipato nelle procedure che ha sottovalutato la sicurezza di alcune popolazioni.
Ma persino la dimensione delle mobilitazioni internazionali sembra assumere un carattere diverso...in poche parole: si sta cambiando l'ordine del mondo e di conseguenza si riflettono i logici effetti.
Il processo in corso si presenta inedito poiché i periodi storici precedenti avevano una caratteristica internazionale di natura diversa. L'internazionalismo sostenuto dal mondo operaio, le guerre (Corea, Vietnam, Iraq, Afganistan)... Solidarnosc' e la caduta del muro di Berlino, hanno contribuito allo sviluppo di un nuovo ciclo di mobilitazioni....prima nazionali..poi del continente ed infine mondiali. Ma il futuro processo di internazionalismo avrà sicuramente altri sviluppi, poiché le strutture statali odierne sono del tutto diverse per la evidente presenza delle comuni istituzioni internazionali
Le decisioni dell'Unione Europea...WTO sull'agricoltura...OGM e persino strutture “informali” come il G8, finiscono col condizionare i Paesi più poveri e sofferenti... finendo con l'influenzare sull'annullamento del loro debito...Ed ecco che le mobilitazioni aumentano prendendo di mira queste stesse istituzioni, ponendosi oggi attraverso movimenti locali in rapporto sempre più aperto con una mobilitazione internazionale... al fine di costruire successive alleanze ed assumendo di conseguenza una caratteristica sempre più estesa.Mobilitazioni che potremmo definire tendenti a globalizzarsi...come logica ripercussione di un sistema anch'esso globalizzato. 
In questo contesto, la voce di tutti i paesi del Sud non si è mai espressa con forza... non rappresentando mai una politica alternativa favorita da una unione con i paesi più poveri da contrapporre alla voce dei paesi più ricchi. 
 vincenzo cacopardo

10 giu 2014

Un appunto sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo



Molta confusione nell’alluvione di parole

Gli scandali Expo, Mose e Carige rappresentano l’occasione per dare sfogo al moralismo nazionale, per mescolare cause ed effetti, per attribuire a questo o quel partito o gruppo sociale la responsabilità di ogni nefandezza, esclusi i grillini del Movimento 5Stelle: esenti perché, sino a ora, hanno esercitato un potere marginale. Occorrerà vederli alla prova, se mai avranno un’occasione vera.
Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine.
La prima considerazione è che la legge e il giudice penale non rappresentano un serio ostacolo a corrotti e corruttori. Nel territorio della Procura più agguerrita d’Italia, Milano, il fenomeno si è ampiamente e di recente concretizzato, per quel che si sa, per la sanità e l’Expo. Poiché si può ritenere che corrotti e corruttori non siano degli imbecilli amorali e che anzi, tra di loro, ci siano degli attenti calcolatori, questo vuol dire che le probabilità di farla franca sono elevate. Rilevanti quelle di sistemare i soldi rubati in luoghi sicuri, in cui mai potranno essere scoperti e sequestrati. Quindi, il loro calcolo costi-benefici mette all’attivo il maltolto e al passivo il sequestro di ciò che hanno previsto di farsi sequestrare e un periodo abbastanza breve di detenzione. Qui, viene in rilievo l’inefficienza del sistema giudiziario e la totale inaffidabilità del regime delle pene, investito questo (legge Gozzini) da un’ingiustificabile indulgenza nei confronti dei condannati. Per fare un esempio, negli Stati Uniti le condanne si scontano tutte sino in fondo e solo in fondo si può contare su qualche indulgenza giudiziale. Non esistono matematici sconti capaci di annullare o quasi, come in Italia, le pene tabellari.
Certo, c’è anche un problema morale: su di esso vorrei suggerire a tanti (e soprattutto al magistrato Raffaele Cantone) la lettura della celebre Favola delle api dell'inglese Bernard de Mandeville, scritto nel 1705. In essa si dimostra che l’istinto che regola l’attività umana è quello del possesso, nel senso dell’arricchimento: quando questo viene esercitato all’interno di un efficiente sistema di divieti e riconoscimenti, produce la ricchezza degli stati.
Non è, quindi, in discussione la morale privata dei cittadini, che non è di competenza dello Stato. È, invece, da elevare la qualità (non la quantità) della legislazione che regola i rapporti civili nel territorio della Nazione.
Questa qualità in Italia è molto bassa.
Insediandosi in Italia, un ambasciatore americano riunì a Villa Taverna, sua residenza ufficiale, i trustees dell’Aspen Institute Italia e spiegò loro che il maggiore ostacolo all’incremento dei rapporti economici tra i due paesi era costituito dal nostro sistema giudiziario e dalle sue geometrie variabili, in una parola dalla totale incertezza del diritto.
Un discorso, questo, che riporta immediatamente al tribunale di Pesaro che nomina il signor Mario Andolina, vicepresidente di Stamina Foundation, indagato dalla procura di Torino per associazione a delinquere, truffa e somministrazione di farmaci pericolosi, commissario ad acta per l’infusione degli stessi farmaci a un povero paziente ignaro dei discussi e contestati valori scientifici della terapia.
Anche qui siamo alle prese con un evento che va al di là delle figure dei truffatori e dei truffati e investe un sistema amministrativo (sanità) e giudiziario incapaci di assumere comportamenti tra loro coerenti sul tema della salute.
Purtroppo le misure amministrative che possono rimettere il sistema in carreggiata non sembrano interessare più di tanto il governo.
Il medesimo presidente del consiglio Renzi sembra appagarsi di dichiarazioni reboanti (l’alto tradimento, il Daspo, i calci) prive di efficacia pratica. Anche il nuovo decreto anticorruzione serve solo a definire i poteri del dottor Cantone: gli incrementi delle pene che stabilirà avranno effetto per il futuro (e non potrebbe essere altrimenti) e, in fin dei conti, non incideranno sul fenomeno per le ragioni che abbiamo esposto.
Probabilmente, la rinuncia agli strumenti dell’amministrazione (il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, delle imprese partecipanti e del Magistrato alle acque) deriva dalla consapevolezza che gli staff di collaborazione al governo non hanno le competenze professionali occorrenti per predisporre i provvedimenti amministrativi possibili e utili hic et nunc. 
A Renzi, comunque, va riconosciuto il merito (prima di lui solo Bettino Craxi) di avere messo in discussione e, di fatto, abolito il metodo concertativo tipico del consociativismo costituzionale. La caduta della sostanziale omertà tra partiti ha provocato i suoi primi, positivi effetti. Altri ce ne dobbiamo attendere, per esempio, in quel tempio del consociativismo che è la Rai. 
L’evoluzione della Repubblica italiana verso una democrazia compiuta è appena cominciata.




La chiarezza con la quale si esprime il cugino Domenico è pari alla sua competenza nel merito, ma se è vero che la legge e le relative normative non sembrano preservare dai ripetuti taglieggiamenti negli appalti è anche vero che la politica non ha mai fatto il necessario per ripristinare tali normative in modo da renderle più efficaci. 
E' soprattutto in termini preventivi che la politica dovrebbe muoversi.. in un Paese che sembra costantemente seguire una deleteria filosofia repressiva. Il consociativismo a cui fa riferimento il consigliere Cacopardo, altro non è.. che il frutto di un vuoto politico legislativo verso il quale la classe politica sembra non aver mai posto alcuna attenzione, probabilmente per interessi speculativi e tangentizi comodi agli stessi Partiti. 
Sembra che per molte soluzioni, le istituzioni, continuino ad adottare metodi dettati dall’impotenza o da una profonda rassegnazione di fronte ad ostacoli che non si riescono a preventivare. Se entriamo nel campo degli appalti ci accorgiamo di quanto.. questi ostacoli.. abbiano fatto sempre comodo ad una certa politica guidata unicamente da una ristretta, ma efficace, forza delle risorse economiche.
La domanda che mi pongo dopo i venti e più anni da “mani pulite” è..come non si sia messa ancora in campo una impostazione più efficace, da parte di tutti i governi succeduti attraverso normative più adatte riguardanti una reale prevenzione. Lo stesso Renzi parla costantemente di punizioni e sanzioni richiamando il plauso populista di un popolo impreparato, senza accorgersi di come sarebbe più utile e semplice studiare a fondo regole preventive e di controllo più idonee. Se questo ancora non si fa.. è perchè risulta utile a certi poteri che bramano di governare...
La scarsa qualità... giustamente sottolineata da Domenico, dipende anche da un altrettanto scarso modo di interpretare la politica...
vincenzo cacopardo

9 giu 2014

Bergoglio..il "coraggio" di un umile Pastore..

di vincenzo cacopardo
Ci vuole più coraggio per la pace che per la guerra”
Con queste parole Papa Francesco persevera nella sua opera innovatrice evangelica...  abbattendo ogni muro dell’inimicizia e riaccendendo la speranza di un percorso di dialogo per la pace. Un appello ancora forte... come sono sempre stati i suoi, non privi di una intensa visione umana del sociale….
Nei Giardini vaticani.. insieme a Papa Francesco.. vi erano i presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Abu Mazen. Con loro anche il patriarca ortodosso Bartolomeo e il custode di Terra Santa padre Pizzaballa.
L'appello del Pontefice è stato sostenuto da Shimon Peres che ha espresso l'importanza di adoperarsi con tutte le forze per raggiungere una pace a costo di ogni compromesso. Una giornata di portata memorabile dalla quale si attende l'apertura di una nuova stagione all'insegna della pace e della tranquillità in quei territori ormai da lungo tempo condannati da attacchi e stragi violente. La visita di Papa Francesco in Terra Santa ha rappresentato qualcosa di veramente unico. Una vera missione piena di ostacoli tra culti di origine comune...e con sfumature alquanto diverse per via delle tre religioni.
Ebrei , islamici e cristiani ...con l'intervento e l'ispirazione delle parole di Papa Francesco, ricercano una strada comune che possa essere da illuminazione per la pace. Le tre grandi figure profetiche che distinguono il loro credo: Mosè, Maometto e Cristo, seppur discusse tra di loro in un dialogo millenario, restano legate nel tempo ad un'unica concezione che si concretizza in un unico Dio. Nel passato proprio per questo unico Dio..ha dichiarato con amarezza Francesco... si è combattuta una interminabile guerra che per centinaia di anni ha portato...in quella che doveva raffigurare una “Terra Santa”.... continui scontri armati violenti.
Negli ultimi anni a venire..si è tentato diverse volte di interrompere la minaccia di dure lotte tra le religioni ed il nuovo Papa, oggi, ricalcando il viaggio operato da Giovanni Paolo II, ha cercato di unificare, seppur idealmente, il dialogo con le altre religioni, lanciando un ulteriore appello in favore della pace
"La Pace è un dono da costruire con i gesti"... prendendo spunto da queste parole Francesco ha inteso spiegare l'importanza del beneficio dello Spirito Santo e dell'armonia che esso infonde e genera... tale da poter operare una pace ed un'unità in qualunque contesto, passando sopra ogni presupposto ideologico integralista e fondamentalista.
Un auspicio.. sicuramente...ma anche una volontà non comune di un Pastore che persevera nel suo cammino forte di parole umili e concettualmente profonde. Il suo non è solo un messaggio cristiano, ma anche politico, umano e sociale... posto con la delicatezza non comune di chi non ostenta verità assolute e che si sforza di comunicare nel cuore e nell'animo umano infondendo una speranza ed un coraggio non comune.

6 giu 2014

Tra ammaliatori e gufi...si attende la crescita


di vincenzo cacopardo

Sappiamo ormai che quando si prova a non essere d'accordo con le idee del Premier Renzi ...si viene presi per gufi o similari pennuti incapaci di credere al futuro. Non si fa che esclamare che bisogna offrire tempo a Matteo Renzi e dargli la possibilità di mettere in atto il suo modo di interpretare il cambiamento.
Mi domando ..però..se esiste ancora quel tempo per le prove...se ancora il nostro Paese è disponibile a mettere nelle mani di un unica figura politica il proprio destino rischiando di dover sopportare ulteriori sacrifici o perdite di tempo che potrebbero definirsi irresponsabili...se non addirittura peggiorative...Possiamo quindi restare appesi nella speranza che un'unica figura possa districare gli innumerevoli problemi di una Nazione che ha nelle stesse istituzioni infiltrazioni burocratiche tanto vecchie.. quanto mentalmente radicalizzate?
Un simile affidamento ad un'unica personalità è di per sé rischioso in assoluto...figuriamoci per ciò che riguarda la materia politica che necessita del contributo delle organizzazioni partitiche, le quali... non avendo da tempo una nuova disciplina e regolamenti efficienti, non potranno mai essere di utile accompagnamento.
La tendenza a mitizzare una nuova figura emergente è tipica di questo Paese: sembra che le innumerevoli problematiche inerenti noi stessi.. possano essere affidate alla comunicazione di chi, ergendosi alla stregua di un messia, rischia imprudentemente una faccia...Ma non è tanto il rischio di una sola persona che si sta mettendo in gioco...quanto il destino della nostra Nazione che ostinatamente non percepisce che è la stessa politica a dover essere riformata prima di chi oggi, ambiziosamente, pretende di esercitarla con troppa disinvoltura.
Alcune figure politiche più attente e sapienti potrebbero avere intuito tutto ciò ..lasciando lavorare il nuovo sindaco d'Italia, consapevoli del rischio enorme che sta correndo, al fine di lasciarlo bruciare da solo.
Le nuove regole sul lavoro proposte da Renzi rimangono comunque e sicuramente deboli per la domanda che necessita, in quanto quello che oggi manca al Paese, prima delle stesse.. è proprio la ricerca di nuovo lavoro. Le risorse per gli ottanta euro in busta paga in più.. avrebbero di certo reso un miglior contributo se fossero state usate in favore di ulteriori iniziative, nuove startup capaci di contribuire ad una crescita qualitativa dell'intero Paese.


Bisogna sostenere il Paese con una vera crescita che ancora tarda ad arrivare... uno sviluppo reale e consono alle capacità territoriali, guardando certamente verso un futuro..ma non effimero e dannoso..Ossia non illudere i cittadini che, ormai esausti e perennemente ingannati, reiterano un'ulteriore speranza sui nuovi seducenti ammaliatori, rinnovandogli un consenso.

Una riflessione sul nuovo commento di Domenico Cacopardo riguardo gli appalti pubblici



La politica di questi ultimi mesi e gli scandali ci danno la certezza che il travagliato passaggio dalla prima alla terza Repubblica si sta traumaticamente compiendo. Sembra che contraddizioni, compromissioni e illeciti si siano dati appuntamento nel primo semestre del 2014, per spingere il sistema governato da Renzi fuori dalle secche in cui era incagliato.

La storia viene da lontano, da una Costituzione consociativa, nella quale la spartizione del potere era considerata un valore democratico. Nei decenni ne abbiamo constatato la devastante deriva, sino a quando, da Venezia, sono venute le notizie di una trasversale partecipazione al sacco del Mose, la grande opera pubblica che dovrebbe riscattare la città dalla minaccia delle acque alte.

La terapia politica è stata scritta da Renzi: procedere nella propria direzione senza accettare veti del sindacato o del partitino di turno, e realizzare le riforme dal bicameralismo perfetto alla legge elettorale maggioritaria, che deconsociativeranno il sistema.

Sulla terapia giudiziaria e amministrativa la confusione è totale. Il commissario anticorruzione Raffaele Cantone mette l’accento sul controllo successivo e sulla legge penale, senza rendersi conto che è il sistema degli appalti a essere sotto accusa. È lì infatti che si annidano i germi che consentono di frodare la legge. Il primo è il cosiddetto «Inhouse», inventato da Bassanini: mediante esso, il comune o la regione o, più di rado, il ministero, costituiscono una società alla quale viene affidato il compito di indire gli appalti. Anche se la Cassazione ha più volte stabilito che le società di questo genere debbono applicare la disciplina pubblicistica, nessuno se n’è dato per inteso: si è proceduto come privati che affidano i lavori in piena discrezionalità. Il secondo germe è proprio nella invocata normativa sugli appalti, in parte mutuata dalle direttive europee. Essa è un raffinato modo per impedire alla libera concorrenza di manifestarsi, indirizzando le aggiudicazioni secondo accordi tra imprese con o senza la partecipazione (illecita) dei funzionari.

A questa grave e diffusissima distorsione c’è un rimedio immediato, adottabile con un provvedimento amministrativo. Una sola breve digressione, prima di spiegarlo. Nelle gare internazionali («tender») il sistema è il seguente: massimo ribasso con garanzia totale sull’opera. Perciò chi può garantire 100, potrà appaltare un’opera del valore di 100.

In Italia, invece, la garanzia è parziale, limitata, più o meno al valore di uno stato di avanzamento (tra il 10 e il 20%). In questo modo un’azienda nazionale che può garantire 100, può prendere, per esempio, 10 lavori da 100, garantendo il 10% di ciascuno.

Ecco quindi, il rimedio che suggeriamo a ministro e alle autorità: una semplice direttiva con la quale si dispone di affidare i lavori al miglior offerente che deve prestare garanzia sull’intero valore. Le armi di corrotti e corruttori sarebbero immediatamente spuntate. Una rivoluzione (copernicana) che colpirebbe, tra l’altro, il movimento cooperativo, sempre partecipe, a pieno titolo politico e imprenditoriale, delle spartizioni: unico modo immediato per fermare ogni illecito, in attesa dell’ennesima riforma.
domenico Cacopardo

Si!.. forse l'idea del consigliere Cacopardo potrebbe essere utile, ma di fatto, taglierebbe fuori una miriade di concorrenza non in grado di avere le potenzialità attraverso gli istituti di credito per garantire un tale costo fidejussorio. Una concorrenza in sé necessaria per la stessa qualità dell'opera. Inoltre, come tutti sappiamo bene, le banche sono spesso unite nell'interesse tra politica ed imprenditoria e se da un lato si potrebbe garantire una scrematura delle aziende ...da un altro... si garantirebbe solo il lavoro alle solite ditte legate in un modo o in un altro al potere economico e quindi anche politico dei Partiti al governo.
Al di là di tutto ciò, io credo sia necessario battersi più su una qualità di un risultato con un uso speciale di appalti che possano garantire la realizzazione del lavoro veloce e spedito oltre che di notevole pregio strutturale e tecnologico. Assurdo pensare che un'opera possa durare decine di anni..come resta abbastanza logico comprendere come negli stessi lunghi anni, si possano costruire artatamente perizie suppletive ed ulteriori rettifiche che.. aumentando notevolmente i costi dell'opera... possono assicurare ulteriori tangenti.

vincenzo cacopardo


Interessante appunto del consigliere Cacopardo



Fermarsi prima che sia troppo tardi
di domenico Cacopardo

Nei giorni scorsi, il governo ha approvato il decreto-legge Cultura presentato dal Ministro Franceschini. Il 31 maggio il decreto (n. 83), è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e, ora, è all’esame del Parlamento, che lo deve approvare, pena decadenza, entro 60 giorni. Il provvedimento è apprezzabile sotto diversi profili e, probabilmente, otterrà positivi risultati in tutto il sistema beni culturali, migliorandone la fruibilità da parte del grande pubblico italiano e straniero.
Tuttavia, anche alla luce di quanto accaduto a Venezia, presenta un serio problema, quando affronta, all’art. 2, la questione Pompei. A​gli affidamenti dei contratti in attuazione del Progetto Pompei, approvato dalla Commissione europea, si applicheranno una serie di disposizioni acceleratorie e di emergenza, che possono costituire il presupposto per il ripetersi dei fatti delittuosi accaduti, appunto, a Venezia, intorno al Mose, e a Milano, intorno all’Expo. 
Il direttore generale del progetto Pompei ottiene, infatti, poteri assoluti d’emergenza nell’affidamento e nell’esecuzione dei lavori, a eccezione di quelli relativi al protocollo di legalità di competenza della prefettura di Napoli. Sull’attendibilità delle procedure per le attestazioni di legalità, rimandiamo alle dichiarazioni dell’ultimo pentito di camorra, Antonio Iovine.
Al medesimo direttore, poi, è data la facoltà di aggiudicare un appalto anche se l'aggiudicatario non ha fornito in termini la prova del possesso dei requisiti dichiarati o confermato le proprie dichiarazioni. Qui, il ministero dei beni culturali ha dimenticato di inserire la norma che dirimerebbe ogni questione: chi concorre agli appalti di Pompei (in deroga a tutte le norme, a causa dell’emergenza) dovrebbe, insieme all’offerta, presentare una fidejussione bancaria a prima chiamata per il valore dell’intero appalto. In un mondo difficile come quello campano, un vincolo del genere avrebbe un senso moralizzante, escludendo tutti coloro che intendono speculare su Pompei. Certo, il fattore camorra, sempre presente dietro l’angolo, sarebbe ancora più scoraggiante del solito. Ma, se lo Stato intende risolvere la questione, deve garantire a chi opererà sul terreno la massima protezione da parte della Pubblica sicurezza, schierando tutti gli uomini necessari e, in mancanza, mettendo a presidio l’Esercito.
Il direttore del progetto potrà-dovrà sempre disporre l’esecuzione di urgenza dell’appalto, prevista dal Codice dei contratti pubblici, anche durante il termine dilatorio e quello di sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del relativo contratto. Immaginate il contenzioso che nascerà intorno a questa immediatezza, e gli abusi che, sotto il suo ombrello, potranno essere consumati, soprattutto in assenza di una garanzia bancaria totale.
Ancora, in deroga alle norme in vigore la consegna dei lavori avviene immediatamente dopo la stipula del contratto con l'aggiudicatario.
Infine, le percentuali stabilite per le varianti (e suppletive) del progetto sono elevate al trenta per cento.
Qui ci fermiamo per chiedere al ministro Franceschini e al Parlamento di ripensare seriamente all’impianto del Grande progetto Pompei, sapendo che l’emergenza è il luogo in cui si sviluppano le corruzioni e che non è necessario mettersi in mano a funzionari e imprese senza solide garanzie legislative e fidejussioni adeguate. 
Prima che sia troppo tardi.

5 giu 2014

Una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul progetto Mose



Esplode il Mose
L’abbiamo ripetutamente scritto che la concessione pubblica per il Mose, affidata al Consorzio Venezia Nuova, ​aveva vari aspetti di opacità, sottolineando che era il caso che il ministro delle infrastrutture Lupi affrontasse il problema, disponendo una ​Ora, il coperchio sulla questione lunga trent’anni ​viene sollevato dalla magistratura.

Ricapitoliamo: trent’anni fa, lo Stato affida a un consorzio capeggiato dall’azienda pubblica Italstat tutto il procedimento per la realizzazione del sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Si tratta di porre in opera alcune paratoie mobili nelle tre bocche lagunari, in modo da impedire o, comunque, rallentare l’afflusso delle maree, mettendo in sicurezza la città. L’operazione è molto complessa, giacché, diminuendo il ricambio laguna-mare si accentuano i carichi inquinanti e si mette in pericolo la salute degli abitanti del capoluogo e della cosiddetta 

Consorzio, questo, cui compete la progettazione, la sperimentazione dei manufatti (oggetto di modelli matematici e fisici), la realizzazione delle opere preliminari e di quelle effettive, la cui dimensioni possono essere definite imponenti. Già nelle progettazioni le cose non cominciano a funzionare come si deve. All’origine, si stabilisce che la progettazione e gli studi siano effettuati a Venezia, allo scopo, innanzi tutto, di formare un gruppo di tecnici e una cultura utilizzabili in tutte le realtà sono assimilabili per problematiche e difficoltà alla laguna. Tuttavia, la società Technital, affidataria della progettazione pensa bene di realizzarla –formalmente- nella casa madre di Verona, ma, effettivamente, di subappaltarla a varie realtà anche milanesi, in alcuni casi create 

Strada facendo, il consorzio cambia pelle. Liquidata l’Italstat, la sua quota maggioritaria è suddivisa tra altri soci, talché, per un certo periodo, è l’Impregilo ad assumersi la direzione di tutta la struttura.

Insomma, quel presidio dell’interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato, che legittimava –soprattutto politicamente- l’operazione, viene meno. Periodicamente, lo Stato elargisce i finanziamenti necessari, tanto che, ormai, i lavori sono prossimi al termine e alcune paratoie sono istallate. Il punto critico, a parte le questioni di cui si sta occupando la magistratura veneziana e di cui presto sapremo di più, è costituito dal sistema di controllo pubblico, di cui abbiamo detto all’inizio, dei costi e dei prezzi pagati.

L’ufficio statale incaricato della vigilanza sull’opera e della liquidazione degli stati di avanzamento è il Magistrato alle acque. Svuotato di competenza e di personale non è, ormai da un ventennio, nelle condizioni di onorare efficacemente l’incarico, per carenza di uomini e di professionalità. Quindi, in modo palese, sotto gli occhi di tutti, il Consorzio presta al proprio sorvegliante –inviandoli a lavorare negli uffici di Rialto- i tecnici e i contabili che debbono esaminare i documenti di spesa e liquidare i pagamenti. Il controllore si giova del controllato per esercitare il controllo: un pasticcio impensabile in qualsiasi altra realtà.

Il danno prodotto è incalcolabile, allo stato delle cose. Sia le progettazioni che i lavori sono stati pagati in modo che molti giudicano esagerato (e, in tale esagerazione, potrebbero essere state trovate le risorse per pagare tangenti, se tangenti sono state pagate): per questa ragione abbiamo proposto al ministro delle infrastrutture Lupi di dare il via alla già indicata 

Il momento è venuto perché un’operazione del genere, di natura squisitamente amministrativa, di supporto alle indagini dell’autorità giudiziaria, sia avviata. E, se il ministro non intende entrare nel merito, sia la procura della Repubblica ad affidarla a un soggetto idoneo di caratura, possibilmente, internazionale. Certo, gran parte dei soldi erogati, non sono recuperabili, per prescrizione, a meno che non siano frutto di reati di tale gravità da protrarre il diritto alla cosiddetta 

Detto questo, c’è da sottolineare che, al punto in cui siamo, le opere debbono essere terminate e Venezia deve essere messa in sicurezza. Lo strumento non può che essere quello esistente che, comunque, dispone di metri cubi di studi e di contratti. Per la tutela della finanza dello Stato e la regolarità futura, occorre un commissario che faccia piazza pulita, riveda i conti e prosegua l’opera: ci pensino i magistrati se non ci pensa il ministro.




Ci risiamo!..senza un commissariamento non si riesce ad andare avanti. Ogni opera di questo Paese sembra destinata a passare sotto gli occhi ed il controllo di un commissario.

Il progetto Mose è sicuramente un'opera da dover terminare. La sua peculiarità progettuale nella difesa della bella Venezia si esprime attraverso un geniale congegno che tende ad alzare le grandi paratie metalliche con un sistema acqua -aria.. creando una utile barriera a difesa delle maree più alte. Un progetto che nasce trenta anni fa e che ha visto una lentissima esecuzione dei lavori trasferendo nel suo iter, come afferma con competenza Domenico, quel presidio di interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato.

Non c'è da meravigliarsi nel costatare l'incalcolabile danno economico dovuto dal lunghissimo tempo e dai cambiamenti improvvisi. Come può mai durare oltre trent'anni la costruzione di un'opera che tra l'altro sembra aver passato il suo iter burocratico delle procedure (comune-regione-commissione lavori pubblici-ambiente etc.) proprio in considerazione di una messa in sicurezza di una delle più belle città del nostro Paese?

Risulta ormai presumibile (in considerazione di una cattiva mentalità ormai radicalizzata) che chi vi opera per la progettazione e l'esecuzione possa approfittare dei lunghissimi tempi per occupare spazi di potere remunerati attraverso tangenti. Come in ogni grande opera che dura in eterno e che vede il ricambio di competenze..si aprono spazi per beneficiarne illegalmente .

Anche questa volta la magistratura (spesso vituperata ) dovrà indagare ed un nuovo commissario potrà rivedere i conti, ma quello che riesce difficile da capire è l'atteggiamento di una certa politica che rimane sempre assente in questi evidenti casi di propria competenza. Ogni qual volta che un nuovo ministro siede nella poltrona di riferimento non riesce mai ad approfondire, mettere chiarezza e risolvere le problematiche inerenti opere di simile portata ed importanza.

A che serve dunque amministrare..se non si ha l'accortezza di occuparsi con competenza delle attività inerenti il proprio dicastero? Di saper mettere in atto le soluzioni? Di poter contrastare preventivamente simili malefatte evitando di far intervenire la magistratura?

vincenzo cacopardo