di Paolo Speciale
Si moltiplicano gli interventi di
Napolitano -formali e non – sul dibattito politico quotidiano. Sembra quasi di
rivivere i giorni più intensi del suo celebre predecessore “picconatore”, poi
spentosi nel suo vigore dopo l'inchiesta denominata “Gladio”di cui tutti
conosciamo l'epilogo.
E' molto facile assimilare un Presidente
quasi novantenne, per di più unico nel suo secondo mandato nella storia
dell'Italia Repubblicana, ad un monarca che richiama immediatamente il pensiero
al modello anglosassone, anche per il tipico “aplomb” che ha caratterizzato gli
ultimi tre inquilini del Colle più alto.
Al termine del secondo terribile
conflitto mondiale fu già un rilevante fattore democratico l'affidare ad un
referendum la sorte di una monarchia inevitabilmente concepita come stessa
sostanza del fascismo, di cui fu succube partner. Era quindi scontato l'esito
di quella consultazione.
Ma, pur nella dovuta considerazione del
gran lavoro svolto dai Padri Costituenti, non è da tempo che ci si interroga
sulla constatata irrilevanza “sostanziale” di quel cambio di forma di stato? Il
ruolo istituzionale oggi attribuito dalla nostra “magna charta” al Presidente
della Repubblica potrebbe risultare inadeguato o non pertinente ad un sovrano
di tipo europeo di comune accezione storica e politica contemporanea?
Dall'altra parte, come negare le implicazioni storiche anche se di tipo
meramente “formale”concretizzatesi dopo il referendum del 2 Giugno 1946?
Prendendo poi atto della generazione e
della fase storica alla quale appartiene il nostro Capo dello Stato, non riesce
difficile considerare come “naturali” le sue sempre più numerose, costanti e
preoccupate partecipazioni alla responsabilità della gestione della cosa
pubblica, che non possono essere ridotte e mortificate in un pretestuoso
richiamo alla presunta violazione del testo costituzionale.
E' qui infatti che dispiega i suoi
effetti quell'aspetto formale, non meno importante ed anzi più rilevante di
quello sostanziale, di quella consultazione popolare svoltasi quasi settanta
anni fa.
Tutto infatti si origina,compresa la
goffa reazione dei grillini, dalla aspecifica – ma non inopportuna e tanto meno
mal riuscita – connotazione della figura istituzionale di un Presidente della
Repubblica che è ancora presente nelle coscienze di molti come depositario di
una autorità (culturalmente e storicamente) riconosciuta precipuamente ad un
monarca, pur nel senso più democratico ed attuale del termine. E ciò senza la
minima volontà di ingenerare pregiudizi o pubblico scandalo.
Anche questo ci distingue da un' Europa
che non riesce a comprendere il travaglio che stiamo vivendo e che inseguiamo
da troppo tempo con un timore riverenziale che presto dovrà trasformarsi in
solida autostima e consapevolezza del pari ruolo strategico che ci appartiene.
Il questo
articolo l’amico Paolo sembra giustamente difendere e giustificare le
preoccupate partecipazioni alla responsabilità della gestione della cosa
pubblica da parte del Capo dello Stato Napolitano. Lo fa anche in riferimento al
percorso storico politico che ha oggi molto cambiato il
quadro di un assetto istituzionale non più conforme a quello su cui per Costituzionale ci si basava.
Nelle elezioni politiche italiane del 2 giugno 1946, si votò per
l'elezione di un’Assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito
di redigere la nuova carta Costituzionale e contemporaneamente si tenne un
referendum istituzionale perché i cittadini scegliessero fra un sistema di
monarchia o quello di una repubblica. Quel
referendum vide la vittoria del partito centrista della Democrazia Cristiana che si affermò
largamente come prima forza politica italiana. Allora però l’unione Europea era
assai lontana e ci vollero quasi cinquant’anni per la sua nascita. La sua prima formazione sotto il nome attuale risale
al trattato di Maastricht del 7
febbraio1992 .
Dalla data di quel referendum tutto sembra
completamente cambiato e sarebbe davvero ingiusto e persino anacronistico
definire la figura di Napolitano come quella di un “monarca” . Questo, tra
l’altro, è comprovato dall’inerzia di un Parlamento incapace di aver trovato
una nuova figura da sostituire al Colle, rendendo al Presidente Napolitano una
forza maggiore sulle decisioni. Ma è lo stesso Capo dello Stato che, con senso
di responsabilità ed equilibrio, ha sempre spinto con forza l’indispensabile
opera di rinnovamento per le necessarie
le riforme spettanti al Parlamento.
Come si può dunque colpevolizzare ..sebbene in
ambigui termini reverenziali, il nostro Presidente della Repubblica, quando la
politica e tutte le istituzioni che ne fanno parte.. appaiono oggi vittime di se
stesse?
Per quanto riguarda l’Europa.. poi..pur
comprendendo il travaglio che stiamo vivendo..sarebbe bene che si capisse che
ormai entrati, sarà impossibile uscirne senza dover peggiorare le cose. E se..
come afferma Paolo, l’Europa non riesce a comprendere il travaglio che stiamo vivendo…
è anche vero che le tante difficoltà del nostro Paese, non saremo mai capaci di
risolverle, senza l’aiuto della Comunità. Una di queste resta sicuramente
quella del Mezzogiorno che, per via del bisogno delle infrastrutture, delle
risorse e di una affermazione della legalità, non potrà mai poter fare a meno
di una comune forza internazionale che guidi e vigili su un tale difficile
processo di riqualificazione.
Dopo la evidente impotenza delle forze politiche
della Nazione di questo ultimo ventennio nei riguardi del proprio territorio,
lo stesso Sud.. dovrebbe oggi guardare verso una politica europea con più
speranza, poiché riqualificare il sud significa rendere più forte la stessa
Europa!
Vincenzo cacopardo