di domenico Cacopardo
Di questi giorni è la notizia che il
tribunale penale di Roma celebrerà solo 12.000 processi l’anno, scelti con
criteri prioritari tra i reati di maggior allarme sociale. Con questa
decisione, motivata con una inattendibile insufficienza di collaboratori,
l’ipocrita obbligatorietà dell’azione penale va a farsi benedire e, con essa,
gli anatemi di quella parte della stampa che si è fatta portavoce delle procure
nazionali.
La decisione di Roma fa tornare di attualità
la cosa più inattesa del governo Renzi: l’intervento del capo dello Stato per
impedire la nomina a ministro della giustizia del procuratore antimafia
Gratteri. Non un magistrato qualunque: impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta,
ha approfondito i problemi della giustizia e, senza protagonismo, ha
prospettato chiare soluzioni legislative e organizzative. Pensando a lui, Renzi
aveva compiuto una scelta felice che avrebbe caratterizzato il governo.
Infatti, con Gratteri, la giustizia avrebbe potuto riacquistare la credibilità perduta.
La bocciatura presidenziale (sembrava
inopportuno che un magistrato in servizio assumesse il difficile incarico anche
per le pressioni tutt’altro che nascoste di molti autorevoli componenti della
corporazione), fa venire in mente la lotta di molti personaggi senza vergogna contro
Giovanni Falcone nel momento in cui lasciò Palermo e andò a Roma come primo
collaboratore del ministro della giustizia Martelli. E la guerra dichiaratagli
da Magistratura democratica, l’organizzazione dei magistrati aderenti al Pci e
affini, quando divenne chiaro il disegno di costituire una procura nazionale
antimafia. Progetto questo che fu la causa vera del suo assassinio e di quello
di Paolo Borsellino, il più autorevole candidato, dopo di lui, alla direzione
del nuovo ufficio. Conoscendo le loro capacità, si poteva immaginare che
avrebbero ottenuto su scala nazionale quella repressione delle mafie che
avevano condotto in Sicilia. Così, l’arrivo di Gratteri al ministero avrebbe
scompigliato le comode abitudini della corporazione, avrebbe scoperchiato i
falsi santuari, denunciato le inefficienze e gli inefficienti, avrebbe, insomma,
gettato una ventata d’aria pulita in un sistema che non è diverso dal resto del
Paese. Quindi percorso dai negoziati e dagli scambi tra le correnti, dagli
interessi personali e di carriera, e modulato con i medesimi difetti che
riscontriamo nelle aule parlamentari e nelle sedi di partito.
Quello che manca è qualche cosa di
diverso: l’impegno concreto per l’efficienza e per il conseguimento del
risultato di rendere il servizio di giustizia agli italiani. Come la scuola
sembra fatta per i professori, così la giustizia sembra fatta per i magistrati,
non per gli italiani.
Probabilmente Domenico conosce l'opera svolta da Gratteri..e non è certo mia abitudine dare valutazioni professionali sul lavoro di chi
non conosco. In relazione alla notizia del tribunale penale di Roma, posso
invece esprimere una breve opinione sulla giustizia odierna e sul suo mancato
funzionamento.
Al di là di ogni valutazione critica per
le tante anomalie esistenti nel campo, le ultime riforme in campo di giustizia
sono caratterizzate dalla generale riduzione dei termini lunghi per
impugnazioni, riassunzioni etc. Nelle Corti principali, le cause vengono di continuo
rinviate. E’ anche noto che, per fissare un’udienza in Cassazione, possono
passare non meno di cinque anni. Tutto ciò per l’immensa mole di lavoro
del singolo magistrato, dovuta al moltiplicarsi delle cause e degli affari cui
deve occuparsi. E' chiaro che il cittadino comune non può più attendere e vorrebbe risposte precise dalla politica, rivolgendo la propria critica verso una una generica giustizia indolente e per niente funzionale. Anche in questo caso..l'assenza e quella di una politica!
I problemi risultano notevoli per la sua stessa macchinosa organizzazione: Oggi un magistrato lavora in solitario. Riceve
un aiuto dal cancelliere limitato a funzioni unicamente materiali come la
formazione dei fascicoli, la redazione dei verbali, la pubblicazione delle
sentenze etc. Inoltre il sostegno non è più intenso poiché il rapporto, negli
anni, si è ormai reso malato tanto da scoraggiare lo stesso cancelliere.
Il magistrato non ha nulla che assomigli
ad una squadra di aiuti e assistenti e deve fare tutto da solo per il compito
assegnatogli: deve assumere le prove, esaminare i documenti, ricercare i
precedenti, scrivere le sentenze oltre naturalmente tutti i vari provvedimenti.
A ciò bisognerebbe porre rimedio circondando il magistrato esperto, di un
gruppo di ausiliari, magistrati come lui, anche se con minore esperienza, ai
quali possa essere affidata la assunzione delle prove, la ricerca dei
precedenti, lo studio giuridico pertinente ed in fine, la stesura delle
sentenze. E’ un tema che ci porta chiaramente alla ricerca delle necessarie risorse
per assicurare efficienza alla magistratura.
In ogni caso, il vantaggio che ne
deriverebbe sarebbe principalmente di qualità, ma anche di maggiore velocità
per la soluzione dei casi e con un incremento notevole della produzione
complessiva. Ci si rende chiaramente conto che proposte simili potrebbero
apparire miraggi, sebbene si deve essere consapevoli che la gravità della
situazione è tale da indurre a formulare, anche se solo teoricamente, idee
simili per spingere gli addetti ai lavori verso la ricerca di una migliore
soluzione.
v. cacopardo