22 mar 2014

interessante analisi di Alberto Cacopardo

Matteo Renzi rottama Norberto Bobbio, ma senza darlo a vedere.
di alberto Cacopardo

E’ apparsa di recente in libreria, nel ventennale della prima uscita, una riedizione del famoso pamphlet di Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, accompagnata da un commento di Matteo Renzi a quel memorabile testo. “Repubblica” ha pubblicato giorni fa in anteprima questo commento renziano sotto un titolo incoraggiante (“Innovazione e uguaglianza, la mia idea di destra e sinistra nell’Europa della crisi”) accompagnato da un catenaccio confortante: “Il manifesto di Renzi: ‘La lezione di Bobbio è viva’”. 

Nel breve testo, Renzi dice alcune cose sensate. Innanzitutto ci rallegra che faccia a meno di aggregarsi al vecchio coro, ormai rauco e spiegazzato, dei confusi infelici che da trent’anni cercano di convincerci, contro ogni evidenza, che destra e sinistra non significano più niente. Renzi li ignora, e rende omaggio a Bobbio per averli sonoramente confutati. Subito dopo, peraltro, eccolo sollevare il dubbio che “la coppia eguaglianza/diseguaglianza non riesca a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra”, mettendo così in discussione proprio la tesi centrale di quel volumetto Bobbio.
Il dubbio, espresso in questi termini, è sensato. Renzi fa l’esempio dei movimenti xenofobi europei, “un magma impossibile da ridurre alla vecchia contraddizione uguali/disuguali”. E’ un esempio più che appropriato. Il tema dell’inclusione/esclusione è infatti uno degli elementi fondamentali che, a mio parere, bisognerebbe aggiungere per completare, non per sostituire o superare, l’analisi di Bobbio. La destra alza confini, identifica il “noi” in una comunità, etnica, linguistica, religiosa o nazionale che sia, dotata di precise frontiere, oltre la quale c’è il mondo degli “altri”, possibili amici, perennemente potenziali nemici. E’ soprattutto per questo che l’America è diventato oggi, a differenza che in passato, un paese di destra, perché il segno e la forza di quel confine sono stati impressi in maniera profondissima nell’animo del popolo americano.
Ma Renzi su questo non elabora. Dopo aver addotto il suo esempio, evidentemente al solo scopo di alleggerire il peso del tema dell’eguaglianza, se ne disinteressa. E passa a spiegarci che per lui la distinzione destra/sinistra resta comunque essenziale. Perché? Perché, naturalmente, è un convinto sostenitore del bipolarismo: e se ci vogliono due poli, anzi “un modello bipartitico, all’americana”, ci vorrà pur qualcosa che distingua i due partiti.
Ed è qui che Renzi si domanda: “Tiene ancora lo schema basato sull’eguaglianza come stella polare a sinistra?” La domanda è retorica, la risposta implicita è no. Ma non è che ci spieghi tanto bene perché. Parla di una “società sempre più individualizzata”, si chiede come recuperare idee come “merito” o “ambizione” e soprattutto come evitare che “la sinistra perda contatto con gli ultimi”, facendosi scavalcare da un papa Francesco. Perché, sì, ci spiega a questo punto con una piroetta lievemente cerchiobottista, “l’uguaglianza – non l’egualitarismo – resta la frontiera per i democratici”. Ma oggi è più utile interpretare l’opposizione destra/sinistra “nei termini temporali di conservazione/innovazione”. La sinistra, secondo lui, deve “innovare”, la destra invece “conserva”. Cioè proprio una delle tesi che Bobbio, a suo tempo, aveva discusso e scartato.
E ben a ragione: perché se c’è qualcuno che negli ultimi vent’anni ha fatto di tutto per “innovare”, questa è stata proprio la destra. Fino a quando l’ordine costituito fu segnato da marcatissime disuguaglianze economiche, sociali e culturali, innovare e cambiare significò scardinare quelle disuguaglianze. Ma quando, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in Europa e in America, l’affermarsi del principio di uguaglianza cominciò a minacciare i privilegi dei potenti, innovare e cambiare prese a significare scardinare il Welfare State e le politiche sociali che quei privilegi mettevano in questione. Sono circa trent’anni che la destra innova, ma in direzione esattamente opposta a quella in cui innovava la sinistra.
Renzi non sembra accorgersene. Per lui l’alternativa che conta è “movimento/stagnazione”. Dove “stagnazione” significa non rendersi conto che oggi non esistono più “quei blocchi sociali definiti e compatti” che la “sinistra socialdemocratica, cara a Bobbio” si era impegnata a scardinare per dare a tutti cittadinanza. E qui Renzi ha ragione. Quei “blocchi sociali”, s’intende, non sono altro che le classi in conflitto di marxiana memoria. Quelle classi, in quei termini, non esistono più e la sinistra migliore non ha certo aspettato Renzi per accorgersene.
E, per di più, Renzi avrebbe quasi ragione a sostenere che proprio questo è il segno che la sinistra socialdemocratica ha vinto la sua battaglia. Chi si ricorda bene e con dolore, come lo ricordava Bobbio proprio alla fine di quel libretto, che cosa era la disuguaglianza appena pochi decenni fa, non può che apprezzare di tutto cuore l’immenso cambiamento che c’è stato: la dignità sociale e la speranza di riscatto di chi è nato povero oggi sono tutt’altra cosa da quello che erano allora.
Avrebbe quasi ragione. Perché la verità è che noi avevamo vinto quella battaglia. L’avevamo vinta fino a quando, proprio contro quella vittoria, non si è scatenata la poderosa reazione del neoliberismo, che, con la preziosa collaborazione dei Clinton e dei Blair che Renzi tanto ammira, si è dedicato a piene mani alla sua grandiosa attività di “innovazione”, tutta diretta a smantellare i presupposti di quell’uguaglianza a cui Renzi presta il suo formale omaggio.
Quella partita è vinta, dice lui. “Oggi ne stiamo giocando un’altra”. Quale?
Poiché “quei blocchi sociali sono stati sostituiti da dinamiche sociali irrequiete” e “i confini nazionali non delimitano più gli spazi entro i quali le nuove dinamiche giocano la loro partita”, la sinistra deve cambiare se stessa, sposare l’”innovazione”, pena la “condanna all’incapacità di distinguere i nuovi ultimi e i nuovi esclusi e all’ignavia di non mettersi subito al loro servizio”. Saper distinguere, insiste Renzi, “le dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi” per dare loro rappresentanza e costruire per tutti un paese migliore, è il compito del Partito democratico. E questa, conclude, è la missione storica della sinistra.
L’operazione ideologica di Renzi, poiché di questo si tratta, è sottile e piuttosto pericolosa. Per lui, l’uguaglianza non è più tema centrale perché la battaglia in suo favore è stata vinta, le classi ottocentesche sono state scardinate e siamo entrati in un nuovo mondo, in cui la preoccupazione della sinistra dev’essere tutta per quella minoranza di ultimi e di esclusi di cui tanto si preoccupa papa Francesco.
Il problema è che quella battaglia non è stata vinta affatto. Oggi, nell’Occidente e nei paesi ricchi, ma particolarmente in Italia, la frontiera della disuguaglianza non è quella che esclude quella minoranza di ultimi, ma quella che investe la vasta maggioranza di persone che negli ultimi due decenni hanno visto il loro reddito reale ristagnare e poi contrarsi, il loro accesso ai servizi e ai beni che un tempo si dicevano “pubblici” farsi sempre più oneroso e incerto, il loro benessere complessivo sempre più minacciato, mentre la ristretta minoranza dei più ricchi concentrava nelle proprie mani una porzione continuamente crescente sia del reddito che del patrimonio. Pochi ricchi si sono enormemente arricchiti, tutti gli altri si sono impoveriti. E questo non è successo né per caso, né per un qualche oscuro meccanismo connaturato alle mostruosità del capitalismo che solo chissà quale catarsi rivoluzionaria potrebbe in un futuro scardinare, come continua a credere certa sinistra. E’ successo per effetto di un vasto, intelligentissimo disegno messo in opera dai potenti della terra che si è materializzato in tutto il mondo nelle vesti della controriforma neoliberista.
La battaglia per l’uguaglianza, proprio nei termini in cui la vedeva Bobbio, è oggi più che mai all’ordine del giorno. Essa non riguarda semplicemente quella minoranza di “ultimi ed esclusi”, ma la vasta maggioranza che si è vista ricacciare nell’insicurezza e nel rischio di ricadere nel bisogno. La posizione di Renzi in questo scritto somiglia tanto a quella descritta da Carlo Galli in un recente libro che tratta proprio lo stesso tema del pamphlet di Bobbio (Perché ancora destra e sinistra, Laterza, 2013): “Ciò che conta è che la linea guida della politica non sia più l’uguaglianza garantita dallo Stato […]. Al più, si accede all’idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col balsamo della compassione la dura legge delle disuguaglianze.” Solo che Galli non descriveva qui la missione della sinistra, ma, tutt’al contrario, le posizioni della destra.
Nel discorso di Renzi, in sintesi, la lezione di Bobbio non è affatto viva, è morta e sepolta.
La situazione, oggi ancor più che vent’anni fa, è proprio il contrario di ciò che dipinge Renzi. Come pensava Bobbio, la bandiera dell’innovazione non è né di destra né di sinistra, può esser messa al servizio di entrambe.Mentre davanti ad una destra planetaria che costruisce un potere sempre più potente e penetrante, sempre più capace di condizionare e controllare i corpi e le menti dei nuovi sudditi dell’era globale, sempre più abile a regolare i flussi del denaro, del sapere e dell’informazione nell’interesse di chi comanda, le parole della sinistra non hanno bisogno di “innovazione”. Devono sì lasciarsi alle spalle gli errori del passato, quelli che aprirono la strada al culto dell’odio, del conflitto, della violenza e della sopraffazione. Ma devono restare, o tornare ad essere, quelle semplici, limpide e potenti di oltre duecento anni fa, quelle che ispirarono il sogno più grande che l’umanità abbia mai coltivato, un sogno che non è ancora realizzato: uguaglianza, fratellanza e libertà.


21 mar 2014

Una nota al nuovo articolo di Cacopardo su Chiesa e politica

Difficile stagione di cambiamenti
di domenico Cacopardo

Spesso chi vive tumultuose stagioni politiche, disgregazione sociale, crollo di valori, non si rende conto d'essere spettatore di un fase di passaggio, conclusiva di un'esperienza storica e preparatoria di un'altra stagione. Così Craxi e Andreotti non percepirono che il loro mondo stava esalando gli ultimi respiri se non quando il primo fu colpito dal lancio delle monetine di un gruppo di militanti comunisti reduci da una manifestazione svoltasi nelle vicinanze e il secondo venne investito da un procedimento giudiziario dai contorni discutibili.
Qualcosa di simile è accaduto nei nostri giorni. Né Napolitano né Monti né Letta (né prima Berlusconi) hanno capito d'essere nel mezzo di uno sconvolgimento politico e sociale dalle conseguenze imprevedibili di cui erano al tempo stesso causa e vittime. Non credo che con l'avvento di Renzi il processo sia terminato. Tutt'altro.
Con l'avvento di Renzi siamo entrati nel centro della crisi e stiamo per incontrare il nucleo del ciclone. Sarà difficile che l'Italia che verrà abbia molto da spartire con quella che c'è. Se Renzi avrà successo i rapporti sociali, sindacali e politici diventeranno diversi e nuovi.
Solo la Chiesa ha compreso il cambiamento ed è stata la prima a mutare passo, potendolo fare in virtù di una organizzazione monocratica. Per il vero, ci fu uno sprazzo con Albino Luciani che, in grande anticipo coi tempi, affermò, suscitando lo sgomento delle gerarchie, che Dio è mamma.
Una prospettiva rivoluzionaria che il destino mise a tacere passando la mano al papa mediatico e guerriero Karol Wojtyla.
Oggi, occorrerà vedere se alla facondia di papa Francesco seguiranno novità concrete. Anzi i due cambiamenti storici che ci si aspetta: l'ammissione della donna al sacerdozio e alle superiori gerarchie; il matrimonio dei preti.
Sono questi i temi che circolano tra i bene informati OltreTevere, quel genere prelatizio che frequenta con piacere i salotti romani ricevendo e regalando confidenze.
L'unico elemento in dubbio è la modalità: un Concilio è l'opzione più forte, ma non è detto che non bastino una serie di «motuproprio» papali, un lavoro in progress dagli effetti imprevedibili.
Da ogni punto di vista, la Chiesa sa accelerare quando è necessario mostrando una reattività spesso ben lontana dai riti interminabili di una democrazia all’italiana, capace di mettere in campo spinte e controspinte che la paralizzano.
In questo terreno si misurerà l’efficacia di Renzi.
Incassata la benevola attesa di Angela Merkel, incontrato l’inaffidabile (per sue insufficienze) Hollande, la partita si trasferisce a Bruxelles, dove il nostro primo ministro incontra una squadra di commissari (influenzati da un’eurocrazia tetragona a tutto ciò che è diverso da un credo vetero-liberista) pronti ad arricciare il naso di fronte a ogni idea di movimento.
L’importante è non deflettere dal proposito che, prima di tutto, viene l’Italia e i suoi interessi. Anche a costo di avviare una politica corsara sui cento dossier che sono in attesa.
Lo fanno gli altri paesi senza cedere a dannosi compromessi.  L’Italia non può più peccare di superficialità. Né di colpevoli timidezze: il «Fiscal compact», con le sue tragiche prospettive, incombe.


Difficile non essere d’accordo con Domenico in questa analisi che sottolinea l’esigenza di un vero cambiamento. Nello scorrere della lettura…la mia attenzione si sofferma al punto in cui Domenico esprime il suo pensiero sul mutamento di passo operato dalla Chiesa.. sostenendo che ha potuto farlo in virtù di una organizzazione monocratica. Mi sembra giusto il riferimento alla figura di Albino Luciani..come anche quello del Papa mediatico e guerriero Karol Wojtyla.

In questo suo scritto Domenico Cacopardo pone in parallelo i due personaggi oggi alla ribalta Papa Francesco e Matteo Renzi..che.. ugualmente capaci di una forza comunicativa.. devono trovare un risultato in una effettiva concretizzazione delle loro belle parole. In proposito credo di poter sottolineare che un vero cambiamento nella Chiesa, forse proprio in virtù della forza monocratica a cui fa riferimento Domenico, sembra già essere stato portato. Una trasformazione sicuramente più difficile per quanto riguarda il compito di Renzi e ciò non solo in forza del fatto che deve scontrarsi con un limitativo e fondamentale principio di democrazia, ma anche perché la sua accelerazione appare troppo forzata e rischiosa. 
Voglio dire che… se per la Chiesa, al di là di ogni visione contraddistinta uomo donna, la motivazione di un cambiamento in Papa Francesco, trova radici su un concetto spirituale facendo forza su una visione cristiana tradotta nell’amore verso il prossimo, per un Premier come Renzi, oggi il problema non può prescindere da una visione più empirica che vede contrastare interessi economici e di potere tenendo conto dei principi fondamentali di una democrazia popolare.

La Chiesa di Francesco.. attraverso il verbo di Cristo fondato sull’amore, riesce a conquistare maggior consenso di quanto non possa, pur operando per un equità sociale, qualunque politica.  
v.cacopardo   

Gli utili consigli di Domenico Cacopardo

Utili consigli per le prossime nomine
di domenico Cacopardo

Il primo ministro dovrebbe saperlo e forse lo sa, ma è bene porgergli qualche utile elemento di riflessione, in vista dell’imponente tornata di nomine che l’aspetta.
La circostanza che i ministri che ha scelto non abbiano ancora sviluppato le loro potenziali criticità non può essere considerata una sorta di implicita conferma della bontà dei criteri adottati. Quindi, è bene che la questione sia approfondita per tempo.
Parliamo prima di tutto di Confindustria.Impropriamente, però. L’attuale Confindustria è una specie di riedizione riveduta e non corretta della vecchia Intersind, il sindacato padronale delle imprese pubbliche. Infatti, Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Finmeccanica sono i più ‘grossi’ contributori. Dopo l’uscita della Fiat non ci sono imprese private confrontabili.
Questo significa che la politica datoriale è fortemente influenzata dall’industria di Stato: Matteo Renzi non deve dimenticarlo, anche in relazione al ruolo di mosca cocchiera dell’immobilismo che sta svolgendo Squinzi.
Veniamo ora ai manager cui saranno affidati i colossi pubblici e le altre aziende dello Stato.
L’idea di porre un limite ai mandati è politica e, politicamente, demenziale. Nei comuni (che piacciono tanto al premier) il divieto di ricandidatura dopo due mandati ha, forse, una qualche giustificazione.
L’impresa è un’altra cosa.
Se i risultati ottenuti risultano positivi, se negli ultimi tempi non sono emerse controindicazioni e conflitti di interesse, non c’è ragione per non garantire la continuità dei vertici.
Se, nel governo (gli unici a poter dire qualcosa sono il presidente, il ministro dell’economia Padoan e la ministra Guidi) emergono orientamenti diversi da quelli dei manager in carica sulle politiche aziendali, in relazione agli interessi nazionali, si dovrà avviare un confronto per capire se essi ritengono di poter attuare le eventuali nuove direttive. Poiché sin qui, in nome di un’errata concezione dell’autonomia, nessuno si è fatto carico delle coerenze tra gli interessi del Paese e l’attività delle imprese di Stato, questo problema va affrontato con chiarezza prima di procedere alla nomina dell’ultimo dei consiglieri di amministrazione.
Il secondo suggerimento è quello di lasciare a casa tutti i trombati che circolano per i corridoi di via Sant’Andrea delle Fratte (sede del Pd), per i corridoi delle particelle schizzate via da Scelta Civica e per quelli del Nuovo Centro Destra.
È preferibile rischiare qualcosa innovando con raziocinio, piuttosto che appesantire il sistema con gli sconfitti dalla politica, legati a interessi e a clientele più o meno fameliche.
Tutto questo, Renzi dovrebbe saperlo e dovrebbe sapere quindi qual è la linea giusta da tenere nei rinnovi e nelle nomine, vitali per la Nazione e per la sopravvivenza, tutt’altro che assicurata, del suo governo.
Non può permettersi, come Berlusconi, di sbagliarne gran parte. Se lo ricordi, il giovane scout di palazzo Chigi: in questa materia la sua fortuna o la sua sfortuna sono nelle sue mani. Il destino cinico e baro non c’entra.





20 mar 2014

Quali compiti per il nuovo Senato?


SEMBREREBBE SCONTATA UN’ATTIVITA’ PIU’ AMMINISTRATIVA…SI...MA CON QUALE FINE?
di vincenzo cacopardo

Secondo Matteo Renzi la nuova riforma del Senato dovrebbe vedere un’assemblea di 150 persone composta da sindaci e presidenti di Regione, oltre a un gruppo di esponenti della società civile scelti direttamente dal capo dello Stato. Questa nuova composizione, in rappresentanza delle autonomie locali, dovrebbe affiancare la Camera dei Deputati senza creare sovrapposizione di compiti e funzioni legislative. Chi ne farà parte.. inoltre… non percepirà alcuna indennità.
Pur volendo andare incontro al progetto di Renzi, tale radicale trasformazione, legata indirettamente alle politiche regionali, richiederà tempo, ma anche dettagli più precisi per la sua modifica.
Il diverso funzionamento di una Camera occorre certamente, ma è importante ricercarlo attraverso logiche legate al meccanismo stesso della politica e cioè individuando quelle carenze senza le quali l’attività parlamentare potrebbe svolgersi con maggiore efficienza in termini strutturali oltre che temporali.
Secondo il sindaco d’Italia ed il plauso di buona parte della classe politica odierna, il Senato dovrebbe diventare la Camera delle autonomie immaginando 108 sindaci dei capoluoghi e 21 presidenti di regione più 21 esponenti della società civile che… oltre a non percepire alcuna prebenda, non potranno votare il bilancio dello Stato, nè dare la fiducia al governo, ma concorrere alla nomina del Presidente della Repubblica. Il problema che adesso si pone è, dunque, quello di fornirgli un compito adatto per capire esattamente quali funzioni devono svolgere i componenti di tale Camera e per far sì che possa rendersi utile.
La logica del taglio secco.. diminuendo numeri e indennità.. potrebbe rivelarsi frutto della consueta logica comunicativa, se si finisce col non dare un senso alla funzione che tale Camera ed al ruolo che deve assumere in rapporto a tutto il quadro istituzionale: Come operano i sindaci che la compongono?…Come i presidenti delle regioni?..Quale il raccordo con gli enti locali?…Insomma quale deve essere la loro vera funzione nell’ambito di una Camera delle autonomie?
Ora..se diamo per scontato che il Senato debba obiettivamente operare per  rendersi funzionale ad un compito istituzionale senza raddoppiare il lavoro politico che spetterà unicamente alla prima Camera e se questo compito sembrerebbe portarlo vicino ad un ambito territoriale (comuni e regioni)…appare dedursi un’attività più marcatamente amministrativa. ..Si..ma in che ragione ed a quale fine?
Sono tutte domande alle quali Renzi e la sua diversa maggioranza dovranno fornire una risposta, poiché una cosa è cancellare di colpo una Camera ed un’altra è riuscire a fornirgli un compito sinergico utile e funzionale….ed ancora più importante da conoscere nell’ambito della programmata futura abolizione delle provincie.




19 mar 2014

L’esemplare divisa dell’uomo di carattere


“Spezzato ma non piegato”
di vincenzo cacopardo

Molti si domandano se Matteo Renzi riuscirà nel suo difficile compito delle riforme e se potrà spingere il Paese verso un cambiamento. Le risposte sono sempre decise: c’è chi lo ritiene impossibile e c’è chi vede i suoi progetti fattibili. Io credo che qualcosa il giovane sindaco d’Italia riuscirà a farla …soprattutto per ciò che riguarda il lavoro, ma più difficilmente quella trasformazione dell’assetto istituzionale che deve far fronte alla relativa normativa costituzionale.
Andrà avanti con manovre più o meno azzardate …alcune da riproporre poiché non possibili..altre realizzate a metà ed altre ancora.. più o meno soddisfacenti. Renzi potrà apparire come la persona giusta al momento giusto, ma malgrado ogni buona volontà..non esiste un nume in terra capace di sostenere un cambiamento con tanta ambizione e disinvoltura…Per di più… simili metamorfosi  dovrebbero essere affrontate con estrema umiltà e con il contributo sinergico dei tanti (cosa alla quale  lo stesso Renzi..nella qualità di accentratore.. non aspira)
Un cambiamento sconvolgente come quello che tanta gente si aspetta non potrà mai arrivare… ma riuscendo a costruire piccole trasformazioni..con probabilità.. e lentamente, il giovane primo ministro dimostrerà qualcosa e potrà dare piccole prove che gli consentiranno continuità nel percorso. Naturalmente nulla resisterà al cammino imposto dalla globalizzazione ed all’evidenza di una economia internazionale le cui regole non sembrano mai volersi determinare: I piccoli cambiamenti serviranno solo a dare l’apparenza e qualche stimolo in più ad un Paese come il nostro fortemente squassato dal pesante debito. 
Le piccole trasformazioni, però.. accrediteranno il giovane Premier nel paese..un paese che, come tutti ormai sappiamo, tende ad esaltare o a buttare giù. La capacità di venditore di Renzi sarà pari  alla sua permanenza nel teatro di quella politica del "fare"..(anche far poco)..ma se anche quel poco sarà fatto, per molti cittadini, dopo i lunghi anni di una politica in declino, sarà sempre un ottimo risultato. 
Nel suo muoversi con decisione Renzi troverà una miriade di ostacoli, molti delatori ed altrettanti invidiosi che gli metteranno il bastone tra le ruote…pagherà..quindi… una certa disinvolta determinazione e si accorgerà anche delle tante difficoltà poste da una particolare incrostazione burocratica che impedirà certe sue avventate ambizioni di cambiamento.

Lui persevera non tenendo in considerazione alcun commento …Per lui vale sicuramente il detto “frangar non flectar” ad indicare che.. sarà spezzato ma non piegato! L’esemplare divisa dell’uomo di carattere, che..nel bene o nel male (questo si vedrà) tende a credere solo in se stesso.

Breve nota all'articolo di Domenico Cacopardo sugli avvenimenti internazionali Russi

di domenico Cacopardo

Per una di quelle coincidenze che la Storia e il destino (quel Fate protagonista di tanti drammi di Shakespeare) si divertono a costruire, Matteo Renzi si è recato a Berlino il giorno successivo alla celebrazione del referendum in Crimea: una consultazione volta a stabilire la volontà della maggioranza di lasciare l’Ucraina per aderire alla santa madre Russia. I modi per attuare la decisione sono i più diversi, ma quello che ha le maggiori probabilità di successo è quello della repubblica autonoma (la Crimea lo è già) aderente alla Confederazione di stati indipendenti, il nome odierno della federazione russa, governata da Vladimir Putin.
Prima di entrare nel merito dell’opportunità che si è offerta al nostro primo ministro, rivolgiamoci una domanda: conviene all’Italia mettere in discussione i buoni rapporti con la Russia?
Il nostro Paese, che ha rinunciato all’indipendenza energetica scegliendo (due referendum) di non costruire centrali nucleari (il prezzo relativo lo stiamo pagando da tempo e qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare ai disoccupati che la loro disperata condizione attuale è stata causata anche dall’eccessivo, non concorrenziale costo dell’energia), che si approvvigiona di gas e petrolio nel mercato russo, con contratti a lungo termine nei quali larga parte ha avuto l’Eni, può rinunciare a questo fondamentale fornitore?
La Libia, altro tradizionale venditore di petrolio, è nelle condizioni che sappiamo. Con l’Algeria ci sono più problemi che soluzioni.
Insomma, la nazione italiana deve continuare a commerciare con la Russia comprando commoditiese vendendo prodotti finiti di alta qualità.
Se questo è vero com’è vero, Matteo Renzi ha tra le mani la possibilità di alzare la testa a Bruxelles e a Berlino, dimostrando di essere ben diverso dal gauleiter euro-tedesco Mario Monti e dal tremebondo Enrico Letta.
Se l’Italia, sul dossier Odessa, si colloca in posizione autonoma e, diciamolo pure, contraria alla prevalente opinione comunitaria, si apre un fronte di negoziato nel quale trovano legittimo spazio tutti i dossiers che ci riguardano, primo fra tutti il consenso a un programma spinto di rilancio della nostra economia.
Del resto, la posizione dell’Unione, indebolita da una Germania che ha interessi analoghi ai nostri, è decisamente fragile: come si può ragionevolmente sostenere, dinnanzi a centinaia di milioni di europei, che l’esercizio della volontà popolare mediante un referendum non è accettabile? È accaduto tra Slovacchia e Cechia, nei Balcani a opera proprio della Comunità che s’è spesa per disgregare uno stato federale e sovrano come la Juvoslavia, intervenendo con le truppe nella secessione del Kosovo. Per quali ragioni, era giusto intervenire per sottrarre a uno stato sovrano un pezzo del suo territorio, senza una consultazione popolare, e non è giusto consentire ai russi di Crimea di costituirsi in stato indipendente dall’Ucraina e di aderire alla Confederazione confinante?.
Ecco, in questa contingenza internazionale, c’è l’opportunità per dimostrare che gli italiani sanno perseguire i propri interessi senza soggezioni e timidezze.


Le domande poste da Domenico sono più che ragionevoli ed aprono il pensiero di tutti su ciò che sta per accadere nelle rive del mare di Odessa. Situazione che non può trovare una soluzione precisa e ben definita da parte di ogni paese dell’Europa.
Secondo la cronologia ricordiamo che il 1° marzo il parlamento russo ha approvato una richiesta del presidente Vladimir Putin all’uso della forza militare in Ucraina. Che il 2 marzo hanno avuto luogo manifestazioni a favore della Russia persino a  in molte città ucraine compresa Kiev. Il 3 e 4 marzo  numerose truppe paramilitari hanno preso il controllo dei punti di confine tra Crimea e Ucraina e che navi russe hanno cominciato a sorvegliare le acque al largo della Crimea. Il 6 marzo il parlamento della Crimea si è pronunciato all’unanimità per l’adesione alla Federazione Russa staccandosi così dall’Ucraina. E per finire ..il 16 marzo si è previsto un referendum per ratificare la decisione del parlamento in Crimea. Non possiamo, infine, sottacere che oltre i 90% tra i votanti della Crimea risponde di essere favorevole alla riunificazione della Crimea con la Russia come entità costituente. 
Questa cronologia si conclude, quindi, con un forte dubbio sulla valutazione dell’evento.. accendendo di fatto forti contraddizioni tra pensiero pacifista e diritti umani. I governi europei non sembrano comunque aver fatto molto per contrastare Putin.
In questo scenario, il punto focale che intende esprimere Domenico è la posizione del nostro Paese e cioè se conviene all’Italia mettere in discussione i buoni rapporti con la Russia, poiché… approvvigionandosi di gas e petrolio nel suo mercato con contratti a lungo termine, potrebbe temere ripercussioni. Ripercussioni anche sulla commercializzazione dei nostri prodotti finiti di alta qualità. Una ragione…come sostiene Domenico… che.. ponendo il nostro Premier in luogo neutrale, se non addirittura distante,  gli fornisce la possibilità di alzare la testa a Bruxelles in riferimento ai propri dati economici.
Aspettando gli eventi…tra Ucraina e Crimea, un problema Russia sembra comunque  rimanere ..
v.cacopardo

Un nuovo appunto di Domenico Cacopardo

La presenza di Putin non viene considerata come elemento di stabilizzazione di un’area fortemente a rischio per la presenza di regimi autoritari dotati di grandi risorse, prima di tutto energetiche, e di nazioni deboli, sussidiate , per la loro esistenza, dalla Russia medesima.
La presenza di Putin con la sua esondante dose di orgoglio nazionale (segreto del suo successo in patria) è erroneamente considerata portatrice di pericoli per la forza di attrazione che sa esprimere verso il mondo russofono.
Quindi, ripresa della politica di accerchiamento, per limitare il suo ruolo politico ed economico..
Illusioni da apprendisti e stregoni.
Infatti, se Obama crede possibile riportare la Russia nelle condizioni in cui si trovò dopo il fallito golpe degli anni ’90, che determinarono gli errori politici di quegli anni, ha perso (e l’hanno persa anche i suoi servizi d’informazione) la conoscenza dei luoghi, degli schieramenti e del sentimento popolare. E, ad ampliare la sensazione di incertezza su obiettivi e strumenti, ci si mette anche l'imbarazzante imperizia del segretario di Stato Kerry.
In realtà, nello scenario politico mondiale, c'è un solo elemento di novità, tale da rimettere in discussione antichi equilibri e consolidate relazioni economiche:  si tratta dello shale gas, il nuovo combustibile estratto dalle rocce americane che darà agli USA alcuni decenni di autosufficienza energetica.  Una indipendenza che potrebbe spingere la Casa Bianca sulla strada di un neoisolazionismo. Il che non è detto che sia il male assoluto.
Di conseguenza, perderanno peso i tradizionali produttori di olio e di gas a cominciare dai paesi del golfo Persico. Si accentuerà invece la dipendenza europea da essi, e con essa il suo declino strategico, inarrestabile almeno finché la dottrina neoliberista influenzerà la casta di euro burocrati che allontana sempre più l’Unione dagli europei. L’idea di trasformare l’Europa in un’altra Cina, competitiva con il resto del globo sul piano dei prezzi e dei costi può esserci fatale.
Non si capisce, quindi, questa sorta di infatuazione collettiva per i destini della Crimea, tenuto conto che, nel recente passato, di operazioni tipo Crimea si sono macchiate l'Europa, la Francia e la Germania (Balcani). E non si capisce nemmeno l'improvvisa bellicosità franco-inglese che ha prodotto danni irreversibili nella sponda Sud del Mediterraneo. Quanto a noi, nonostante Renzi, siamo alla paralisi energetica: niente rigassificatori, niente rilancio dell'energia idroelettrica (imponenti le nostre riserve), niente prospezioni ed estrazioni dell'olio e del gas di cui disponiamo in abbondanza nel nostro sottosuolo. Sarebbe ora che proprio Renzi indicasse agli italiani le camicie di forza che ci impediscono di vivere e svilupparci.


(nota di v.cacopardo)
Per maggiore conoscenza del lettore:
Lo shale gas ha rivoluzionato il mondo dell’energia. Si tratta di gas naturale racchiuso in particolari formazioni di rocce, per la cui estrazione si ricorre a una perforazione idraulica con impiego di solventi e pompaggio massiccio di sostanze liquide. Un pozzo tradizionale di gas è generalmente una formazione unica di grandi dimensioni; per lo shale, dobbiamo pensare a tante formazioni più piccole, che vengono perforate tramite una tecnica definita “fracking”.


Lo shale gas (estratto dalle rocce con perforazione idraulica) non è solo una rivoluzione energetica, ma anche geopolitica. Gli Usa sognano l’indipendenza dalle importazioni e dal 2030 Medio Oriente e Russia si indeboliranno. La Ue ha giacimenti importanti in Romania e Polonia. Ma difficilmente li sfrutterà a pieno.

18 mar 2014

Europeisti ed antieuropeisti..La discordia aumenta..



CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO? PER IL PREMIER MATTEO RENZI  LA ANALOGIA CON LO SPORT E’ ORMAI CONSUETUDINE.

di vincenzo cacopardo
Volando in Germania dopo essere passato dalla Francia, Matteo Renzi ha incontrato Angela Merkel. Col tono di chi intende proteggere il nostro Paese in Europa, il giovane premier ha giustamente chiarito la posizione della nostra Nazione "L'Italia vuole guidare l'Europa perchè non siamo l'ultimo vagone" Queste le parole che hanno scosso la Merkel la quale risponde dicendosi molto colpita dal cambiamento strutturale che si sta verificando in Italia..e sorpresa dal coraggio dimostrato da Renzi.
A differenza di ciò che la stampa tedesca asseriva, le proposte argomentate dal nuovo Premier, sembrano convincere Berlino. La Merkel è dunque sicura che il nostro Paese non sforerà i parametri rispettando il fiscal compact…E non poteva che essere così..dato che le parole di Matteo Renzi viaggiano..adesso.. per convincere sia il nostro… che tutti gli altri Paesi dell’area europea.
Nel ribadire che le riforme sono fatte per noi ed i nostri figli e non per i partner europei, Matteo Renzi ha sottolineato l’orgoglio stesso dell’Italia per un  cambiamento necessario anche al fine di credere ad una unione Europea che non deve apparire come la causa dei nostri problemi ed aggiunge: “Bisogna cambiare le regole del gioco”. Dal canto suo la Cancelliera si è limitata a dichiarare che si continuerà a vigilare perche’ le parole del governo italiano si trasformino in concreti provvedimenti.

Se cambiare regole del gioco nello sport è una cosa…cambiarle in politica non è lo stesso…la politica non è un gioco! Il vero problema…adesso.. si presenterà nei fatti e cioè al momento di trovare le risorse per le quali Renzi sembrerebbe essere tranquillo: L’opera di convincimento verso l’Europa era importante e non poteva che essere esposta con il solito positivismo e la determinazione innata che lo contraddistingue….insomma non ci si poteva che aspettare questo e non certamente un pianto da parte dell’Italia in favore di un tentativo di sforamento dei conti. In proposito non pare nemmeno essere mancata una sviolinata in favore del Paese della Cancelliera.. allorquando il Presidente del Consiglio ha ribadito che dopo 5 anni di sconfitte si deve cambiare gioco…anche attraverso un modello che potrebbe essere dato dalle politiche del lavoro tedesche.
La posizione di Renzi è stata netta a favore di quell’Europa che pare intensificare un predominio tedesco..mentre nei Paesi si va intensificando il divario tra i proeuropeisti e  antieuropeisti. Lo scenario internazionale vede in Francia il partito del Fronte nazionale di Marine Le Pen aumentare nel consenso a dismisura ed in Italia.. il Movimento di Grillo che insieme alla Lega tocca quasi il 30% dei consensi nazionali …tutti avversi alla  politica europea e contro la sua moneta.
In questo quadro… al di là di ogni regola del gioco (come la intende Renzi) bisognerebbe capire se una politica europea non debba potersi esprimere meglio attraverso una logica che possa soddisfare le esigenze dei propri Paesi oltre che sul piano economico anche in quello delle esigenze strutturali e della cultura.
A tal proposito… la Comunità europea pare lavorare per il preciso compito  di semplificare ogni percorso dei singoli Paesi ed allo scopo di poter dirigere la sua politica attraverso due sole linee in seno al Parlamento Europeo (che oggi si identificano nel PPE e nel PSE -una sorta di centrosinistra e centrodestra). Così facendo.. si vuole premere per rendere più semplificativo il quadro e garantire maggior forza ad una governabilità internazionale…continuando a mortificare una cultura e la libera azione delle idee e dei Partiti….
      









17 mar 2014

IL LAVORO...TRA GIOVANI E JOB ACT ....

di vincenzo cacopardo

Quando con il Decreto Legge del 24 gennaio 2012 , convertito in legge il 24 marzo 2012,  con il governo Monti.. si rendeva possibile la costituzione di società semplificate, a responsabilità limitata, da parte degli under 35, con costi minimi e con particolari condizioni di vantaggio, si pensava di rendere più agevole l’iniziativa di lavoro dei giovani. C’èra interesse e molta voglia di scommettere e di combattere la gravissima recessione in corso e la devastante disoccupazione che, soprattutto al sud, colpiva oltre il 50% dei giovani. A migliaia di giovani si sarebbe data la possibilità di aprire una srl semplificata senza i costi della tradizionale srl.
Quella iniziativa si proponeva come un impegno verso un’occasione di crescita e di sviluppo, ma oggi molti di questi giovani sono completamente sfiduciati verso le istituzioni del Paese che avevano loro promesso norme importanti per il  futuro. La semplificazione dei costi sulle iniziative del lavoro è oggi indispensabile nonostante le solenni promesse di ogni governo che, al di là di ogni scontata garanzia, non sembrano in grado di predisporsi nei fatti attraverso una metodologia costruttiva più fattibile. Ulteriori promesse arrivano oggi dal governo Renzi che attraverso il suo “Job Act” , pur interessandosi alle varie tipologie di lavoro attraverso le formulazioni di contratti a tempo determinato, non sembrano avvantaggiare uno sviluppo con la forza di una spinta propulsiva verso nuove iniziative.
Nuove intraprese andrebbero incoraggiate ed accompagnate soprattutto sul piano del contenuto innovativo che potrebbero apportare: contenuti anche qualitativi che definiscono la vera crescita. Se è vero che a Matteo Renzi interessano i ragazzi che non trovano un lavoro e non i sindacalisti o le associazioni di categoria, il problema oltre ad una indispensabile semplificazione, non può essere affrontato solo nell’ottica di consentire loro di lavorare, ma anche di come offrirgli un lavoro per predisporsi ad una crescita più utile e cioè… quello di incoraggiarli sulla messa in atto delle loro idee. A parte i  frequenti slogan del giovane Premier tipo: dobbiamo riprenderci l’orgoglio di essere italiani, la sua azione di rinnovamento nei confronti del lavoro giovanile.. dovrebbe essere quella di una nuova cultura basata soprattutto sulla qualità delle loro idee, altrimenti il rischio sarà quello di aumentare una spesa senza accompagnare una vera crescita.
Su alcune riforme più complesse…l’azione politica di Renzi, pur forte nella sua determinazione e nell’impulso verso un cambiamento, a volte appare grossolana: via Senato, via province e via consiglieri, via auto blu, via un po’ tutto...Un  'trancher' secco solo sulla base di un risparmio e senza una metodologia che possa far riflettere meglio verso una logica ed un’ analisi più ponderata.  L’unica logica che si scorge è quella un po’ populista ed un po’ retorica del  “Basta sprechi della politica, soldi nelle tasche dei cittadini”.

Nelle prossime ore il Presidente del consiglio incontrerà Angela Merkel per presentargli il suo piano del lavoro: Le sue parole sono “Le voglio semplicemente mostrare il percorso di riforme che l’Italia ha in testa, un percorso che non ha fatto nessuno in Europa in questo tempo”. Il fatto è che questo percorso non sembra appartenere del tutto all’Italia, né al cittadino italiano che in verità non lo ha nemmeno votato, ma solo a lui  ed alla sua particolare brama di voler figurarsi come quell’uomo del Monte che.. nelle pubblicità di un tempo.. asseriva il suo si!
Dobbiamo affidarci al suo lavoro di bravo venditore... forse.. solo per la mancanza di una buona politica che ha lasciato un vuoto incolmabile.   



16 mar 2014

Un breve commento alla posta di Paolo Speciale

L'EDONISMO RENZIANO 
di Paolo Speciale

La ciclicità storico-politica è un dato obiettivo sotto gli occhi di tutti di cui il nostro Presidente del Consiglio costituisce, per certi versi,indiscutibile conferma. Ciò non vuol dire però che ciascun soggetto che si affaccia al massimo orizzonte della vita pubblica non abbia una sua peculiarità, spesso costituita da elementi nuovi che si intrecciano in modo imprevedibile con altri già noti alle masse.
Se di “era renziana”possiamo già dissertare, ciò che ne rappresenta una reale innovazione - seppure anch'essa ripetuta a fasi alterne nel tempo - è certamente l'elemento di svolta generazionale, già anticipato con la breve esperienza di Letta ed oggi rafforzato dalla presenza nell'Esecutivo di più under 40.
Molti si sono cimentati nella valutazione della qualità della comunicazione operata dal nuovo premier; chiara, precisa, spigliata e realistica per taluni commentatori; vuota, sfacciatamente convenzionale e falsa per altri. Entrambe tali posizioni vengono diffusamente riconosciute comuni ad un noto predecessore, di parte politica opposta, che ha avuto a disposizione un ventennio per diventare soltanto quel “Cavaliere” ancora oggetto del desiderio presso una opinione pubblica che vi trova un sano anti-europeismo ritenuto utile per uscire dalla crisi economica.
Ma Renzi può essere considerato europeista? Il suo richiamo alla riscoperta di un orgoglio di tipo nazionalista basato sulla storica dote del rimboccarsi le maniche rivela la volontà di un affrancamento dalle condizionanti e vigili maglie della politica economica comunitaria? O piuttosto il desiderio di conquista della stanza dei bottoni da parte di un Paese che ormai da anni soffre l'imbarazzo di un complesso di inferiorità che mal si concilia con il suo ruolo di “fondatore e primo sottoscrittore” di tutti i passaggi diplomatici generanti il processo unificatore del vecchio continente?
A questo proposito il Presidente Napolitano, puntuale, ricorda la imprescindibilità dell'elemento unitivo-comunitario non solo per ottimizzare la necessaria politica economica finalizzata alla ripresa, ma anche per indicare, come può ma non potrebbe, l'indirizzo politico di pertinenza del Governo.
Un elemento assolutamente nuovo che a prima vista sembrerebbe di matrice esclusivamente renziana potrebbe essere il preciso impegno assunto dal premier direttamente con i cittadini, che implica in sé il dovere di mantenerlo come se si trattasse di un patto stipulato tra galantuomini; ma anche questo ricorda implacabilmente la firma unilaterale di un contratto che fece storia nella programmazione dei talk-show televisivi; ed anche la manifestata intenzione di un ritiro dalla vita pubblica in caso di fallimento è assimilabile alla promessa berlusconiana – rivelatasi poi di marinaio - di non ricandidarsi in caso di manifesta non attuazione anche di una sola parte del programma pre-disposto e pro-posto.
E che dire del ritrovato“edonismo reaganiano” che torna a costituire teoria fondante ed esemplare per ogni governato? Eccezion fatta dalla condanna di uno stato assistenzialista, appare evidente la netta predilezione per il libero mercato, per i tagli alla spesa pubblica ed infine per la riduzione delle imposte; tutti elementi comuni con la destra berlusconiana e con questo Nuovo Centro Destra sempre meno lontano dai quartier generali di Palazzo Grazioli e di Arcore.
Perchè è difficile dunque cercare e reperire oggi elementi caratterizzanti e tipici di una reale innovazione che però è stata legittimamente annunciata e che ha riacceso le speranze di molti?
Perchè Renzi non è ancora riuscito a scrollarsi di dosso – e non è detto che non ci riesca – le accuse di un'opposizione populista ma sincera che ne fanno un instancabile e perenne conciliatore tra le istanze di un Partito Democratico a struttura piramidale, su base egualitaria, tenuto alla tutela delle fasce di reddito medio-basse, ed influenti gruppi di pressione, costituiti da forti poteri economici socialmente collegati a quelle fasce, che a loro volta ne garantiscono la produttività e la competitività anche internazionale.

La lucida analisi di Paolo mi spinge ad entrare nel dialogo in riferimento a quell’edonismo reaganiano che tocca in pieno la personalità del neo Premier.. i cui elementi comuni di matrice berlusconiana.. si mettono sempre di più in evidenza.  I consensi, anche intellettuali, che Renzi richiama attraverso l’uso e l’abuso degli slogan, contribuiscono al formarsi di un pensiero ormai diffuso  che, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, danno la percezione del particolare cambiamento che è in atto.
Ma è importante saper distinguere con raziocinio. Per ricordare il pensiero  di quella vecchia, ma saggia, classe politica di sinistra: Se è vero che senza un raeganesimo non sarebbe mai venuto fuori un berlusconismo…è anche vero che senza di questo, non avrebbe mai imperversato il nuovo Renzismo.


Non v’è dubbio che i pensatori che tramano dietro questo rituale edonista, sono personaggi scelti con cura in base alla capacità di comunicare… sovrapponendo slogan e rendendo il tutto condito da una atmosfera di epicureismo accattivante. Nell’era del Raeganismo si sostenevano letture come «L’insostenibile leggerezza dell’Essere» di Kundera, «Il pensiero debole» di Vattimo, «L’impero dell’Effimero» di Lipovetsky, «L’estetica del brutto» di Rosenkranz, «L’ideologia del traditore» di Bonito Oliva. Oggi è più difficile indicare dei titoli da collegare a quell’edonismo Renziano a cui fa riferimento l’amico Paolo, poiché l’era del giovane sindaco d’Italia sta per nascere e, malgrado l’evidente ascesa suggestiva e seducente…  non si è ancora definito il suo  edonismo.
v.cacopardo

15 mar 2014

Senza crescita non c’è sviluppo



UN PROGETTO NON COMPLETO PER LA CRESCITA


di vincenzo cacopardo

Senza crescita vi è maggiore disoccupazione… e l’aumento dell’occupazione potrà portare conseguenze ben peggiori! Qualcuno plaude al piano di Renzi e qualche altro  preferisce attendere gli esiti delle sue proposte alla manovra. I provvedimenti del giovane Premier sembrano mirare ad un aumento in busta paga di una fetta dei lavoratori ma  non garantiscono una vera crescita. Poca l’attenzione sulle imprese se non per quella piccola percentuale di ribasso sull’IRAP ed il costo sull’energia elettrica.
In realtà per una vera crescita occorrerebbero idee più adatte e più spinte verso l’intrapresa. Sono certo che qualsiasi famiglia con un reddito sotto i 1500 euro mensili preferirebbe che i propri figli potessero trovare un lavoro e spingersi a rendersi autonomi ed indipendenti.
Proviamo ad immaginare se di questi 10 miliardi ne fossero stati investiti solo la metà (una cifra più sicura da coprire) per attività produttive che guardano all’innovazione e proposte dai tanti giovani capaci, suggerendo alle banche di entrare in società per un periodo da definire, integrando, così, l’investimento. In tal modo si sarebbe potuto dare agli istituti bancari l’incarico di gestire, attraverso una precisa normativa, tali risorse dello Stato… offrendogli la possibilità (o l’opportunità), ove vi scorgessero buone idee ed innovazione, di entrare in quota nell’investimento…( una parte a contributo dello Stato e l’altra finanziata dall’istituto di credito in  quota societaria). Accompagnando un processo di nascita e crescita delle piccole aziende sotto il profilo di nuove iniziative che devono basarsi esclusivamente sulla qualità e sulle idee. Si sarebbero, forse, potuti aprire migliaia di nuove piccole realtà produttive che avrebbero offerto quella spinta necessaria per la crescita.. arricchendo tra l’altro il gettito di IVA, attraverso il quale si sarebbe potuto valutare una forte contrazione dell’IRAP lungo il loro breve periodo di startup.
Il nostro Paese deve credere di più alla preziosa risorsa dei distretti industriali ed alle specializzazioni tradizionali poiché potrebbero essere sufficienti a garantire il successo nelle sfide economiche e tecnologiche future spinte dai processi di globalizzazione, rimane perciò fondamentale puntare sulla nostra qualità e sulle idee. 
Al contrario le banche dovrebbero tornare a fare le banche! Oggi..avrebbero il diritto-dovere di rischiare entrando in “equity”  investendo per e con le nuove iniziative, sposandone… per un periodo di tempo (fino al rientro della propria quota con i relativi interessi) la crescita e portandole verso un reale sviluppo.  Il loro scopo primario non potrà mai essere quello di un’attività finanziaria, ma di una reale crescita legata al territorio…un’opera di accompagnamento a chi lavora per la rinascita del nostro Paese.  
Il progetto di Renzi, malgrado la sua seducente comunicazione, non è completo perché non spinge verso una vera crescita e… per questi 10 miliardi, si affida alla promessa di 80 euro al mese in busta paga per una determinata classe sociale escludendo chi oggi è alla ricerca di lavoro e non può esprimersi in intraprese innovative e di sviluppo. Una promessa, la sua, che suona come una sorta di promozione simile a quella diffusa nel passato nelle tante "televendite" proposte dal Cavaliere per la ricerca di un consenso: Questo non vuol dire esattamente crescita e non è neanche detto che tale cifra di aumento venga.. poi.. rimessa in giro.
E’ inutile cercare di mettere a posto i conti dello Stato con analoghi percorsi.... alla luce del devastante debito pubblico del nostro Paese..Senza iniziative non c’è crescita e senza crescita non potrà mai esservi sviluppo!




14 mar 2014

L’APOCATASTASI DI MATTEO


di vincenzo Cacopardo

In termini prettamente filosofici,  traendo l'ipotesi dalla fisica di Eraclito, l'apocatastasi indica il "ristabilimento" dell'universo nel suo stato originario. (La relazione è con il compimento del giro di rivoluzione di un astro che ritorna alla sua originaria posizione). Eraclito asseriva che tutti coloro che vivono sulla terra sono condannati a restare lontani dalla verità a causa della loro miserabile follia che consisteva nel "placare l'insaziabilità dei sensi" e nell'ambizione al potere. Lui ne restava immune poiché ne rifuggiva, ma il suo pensiero.. è sempre stato particolarmente difficile da comprendere ed interpretato nei modi più diversi. 
Tornando al significato del termine “apocatastasi”, nella concezione neoplatonista.. sta ad indicare il ritorno dei singoli enti all'unità originaria, un ritorno possibile tramite l’ascesi filosofica. Un termine che venne usato dagli stoici antichi per indicare il riformarsi e ripetersi, in tutti i suoi particolari, del mondo dopo la sua distruzione. Oggi, questo termine poco usato, sta ad indicare sinteticamente un ritorno del mondo alla sua primitiva perfezione.
Un termine che ben si concilia con l’opera ambiziosa del giovane sindaco d’Italia sul quale tutti noi ormai sembriamo dover porre ogni speranza: Se Grillo col suo movimento è stato uno sprone nel placare quell'”insaziabilità dei sensi e l'ambizione al potere”, Renzi oggi, proprio attraverso l’insegna dell’apocatastasi, sembra volersi dedicare in direzione di un ritorno del Paese verso l’opera di un effettivo compimento. Non si tratta in realtà di rimettere a posto le cose nella primitiva perfezione dopo il decadente periodo di distruzione, sebbene di compiere quel giro “di rivoluzione astrale” rimettendo al loro posto le funzioni istituzionali e quelle di una politica economica ormai smarrite in un’orbita gravitazionale extraterrestre. Il giovane Premier nell’opera di “ristabilire”.. (come nella visione cosmologica della realtà), essendo sotteso agli eventi, potrà trovare immense difficoltà nel riordinare e riedificare un mondo quasi annientato dalle incapacità.
Per chiudere l’argomento sul piano della filosofia stoica in relazione al ciclo dei mondi reiterati…(distruzioni e riedificazioni) giusto appunto quello che viene definito come l'apocatastasi : Se è vero che la ragione presuppone una perfezione logica sempre identica a se stessa, è anche vero che il tempo ha un andamento ciclico, (e cioè tutti gli eventi sono destinati a ritornare uguali a se stessi e sempre nella stessa e medesima forma).
Una comparazione un pò cinica, ma che potrebbe persino avere dei risvolti positivi..  se diretta al lavoro del giovane Renzi..Comunque sempre relativa ad un processo naturale corrispondente ad una realtà scientifica.