Si dice che il Signore accechi chi vuol
perdere. E che prima o dopo gli errori si paghino. Quelli che sta inanellando
il più celebrato premier d’Italia dal 1945 a oggi fanno temere che il conto gli
sarà presentato piuttosto presto, investendo in pieno l’azione di governo.
Nonostante ogni buona disposizione verso
lo svecchiatore del sistema che ha trasformato in reperti archeologici gran
parte dei dirigenti del Pd in carica prima del dicembre 2013, i segnali
quotidiani che si susseguono mostrano una inattesa pervicacia sulla via delle
scelte che hanno l’inconfondibile crisma della sciocchezza.
Parliamo di palazzo Chigi, cuore e
cervello del sistema di governo dell’Italia.
Nella posizione più delicata, quella di
sottosegretario e segretario del consiglio dei ministri vediamo Graziano Del
Rio endocrinologo, già sindaco di Reggio Emilia. Avrà tutto il fiuto politico
possibile, Del Rio, ma non può avere la conoscenza della macchina dello Stato
(ben diversa dalla macchinetta reggiana) necessaria per definire i contenuti
tecnico-giuridici dei vari provvedimenti di riforma annunciati.
Direte: però si sarà messo vicino dei
collaboratori di serie A.
Infatti: il segretario generale delle
presidenza del consiglio è l’ex-city-manager di Reggio Emilia. A naso, sembra
che prevalgano la familiarità e l’amicizia, sulla competenza e il prestigio.
Immaginate questo segretario generale di fronte al capo di gabinetto di Pier
Carlo Padoan, Roberto Garofoli, giovane consigliere di Stato di livello A1, un
fuoriclasse: quale autorevolezza potrà mai esprimere, quale interpretazione
giuridica, quale richiamo giurisprudenziale potrà mai richiamare per convincere
Garofoli delle sue tesi, magari collaudate nelle discussioni con l’assessorato
alla famiglia di Reggio Emilia.
Il caso fa comprendere come il rifiuto
generalizzato dell’apporto dei consiglieri di Stato, l’unico corpo italiano
paragonabile agli allievi della francese Ena, è una specie di rivolta dei
rimandati a ottobre nei confronti dei promossi, degli asini rispetto ai
secchioni, dei geometri (con tutto il rispetto) nei confronti degli ingegneri.
Ora, un osservatore attento, ma pratico
del mestiere, si sarà detto: “Vediamo l’ufficio legislativo, la fucina in cui
si forgiano le leggi dello Stato”.
Ecco invece che i giornali di ieri
raccontano che il prossimo capo sarà Antonella Manzione, già capo della Polizia
municipale di Firenze. Con tutto il rispetto, una follia.
L’avessero nominata numero due, in modo
da impratichirla, da farle conoscere ambiente e regole, persone e gerarchie
(tecnico-scientifiche)? Invece no, numero uno.
Scorrono nella mente i volti dei suoi
predecessori, da Patroni Griffi a Nino Freni ad Alfonso Quaranta (poi
presidente della Corte costituzionale), e viene da ridere.
Anche perché, accanto a questa squadra di
sconosciuti burocrati di paese è schierata una squadra di ministri neofiti, che
non hanno idea dei loro compiti e delle loro responsabilità.
La Mogherini, per esempio, che immagina
di ridimensionare le retribuzioni degli ambasciatori (sempre gli asini contro i
secchioni), senza avere approfondito ruoli, competenze, responsabilità. Senza
avere accertato quanti dipendenti (più o meno legati al sindacato) si muovono
per il mondo in costose missioni, senza, alcuni, nemmeno conoscere l’inglese?
Come fa a sentenziare che gli
ambasciatori guadagnano troppo se non ha cercato di capire quali e quanti siano
i punti di spreco nel suo dicastero?