3 ott 2014

una chiosa sulle "cicale italiane e quelle francesi" di domenico Cacopardo



LE CICALE ITALIANE E QUELLE FRANCESI
La tentazione di Renzi sembra quella di accodarsi alla Francia nel chiedere flessibilità per il bilancio 2015 e seguenti. Una tentazione diabolica per un cattolico praticante (sempre Renzi) che si batte il petto tutte le domeniche.

È come recarsi alle corse dei cavalli e puntare sul perdente. 

Una follia.

Quando è cominciata l’avventura presidenziale di Renzi, l’abbiamo scritto con insistenza: era necessario creare un fronte dei paesi per i quali necessitano misure speciali di sostegno, in modo che la Merxel e l’Europa fossero costretti a trattare. Invece no. A Bruxelles il nostro «boy-scout» s’è pavoneggiato di un’intesa, tutta da verificare, con la cancelliera tedesca e ha inciso come può incidere un piccolo moscerino sulla pelle di un cavallo da tiro.

Quando s’è trattato di discutere gli incarichi nella Commissione si è autolimitato designando l’inesistente Mogherini che, in quanto tale, è stata accettata dopo qualche piccolo mal di pancia.

Se Moscovici, commissario francese agli affari economici, mette le mani avanti evocando le difficoltà che incontrerà sul dossier francese, figuriamoci la nostra commissaria (alta) alla politica estera e di sicurezza.

Dobbiamo confessare che, leggendo i triboli della Francia, abbiamo pensato ai risolini a proposito dell’Italia (dell’Italia, non di Berlusconi) del duo Sarkozy-Merkel in una famosa conferenza stampa e non ci siamo dispiaciuti delle difficoltà transalpine. 

Si tratta di «mal italiano», cioè dell’assenza delle riforme liberamente convenute in sede europea con l’approvazione del «Fiscal compact» e delle conseguenti direttive.

La cura francese aggraverà la malattia, visto che si pensa di combattere la recessione con deficit ben al di fuori del 3% tabellare. 

Ecco, l’inesperienza e la supponenza potrebbero condurre Matteo Renzi sulla strada del disastro. Il sistema di dichiarare «fatte» le riforme approvate, anche in semplice cartellina, dal consiglio dei ministri è ormai al capolinea. La legge di stabilità metterà una parola definitiva, almeno per il 2015, alle evoluzioni verbali del nostro «premier»: certo, nell’attuale situazione, sarà difficile che l’Unione nomini tre commissari (la Troika) per governare il risanamento delle finanze pubbliche italiane e per aggredire il debito pubblico. La soluzione che sembra consolidarsi nei corridoi di Palazzo Berlaymont (sede dell’UE), in vista dell’insediamento della nuova commissione, consiste in un cronoprogramma vincolante di riforme (definite nei loro contenuti minimi, in modo che il teatrino dell’art. 18 non possa più ripetersi). Rispetto a esso, il governo e il Parlamento italiani hanno solo il compito di procedere con rapidità effettiva, trasformando in modo sostanziale la struttura socio-economica della Nazione. Il mercato «tout-court», cioè la concorrenza vera, le strutture pubbliche, protette e deficitarie, il welfare, la sanità, l’idrovora regioni. Insomma un’azione seria condotta a tamburo battente, pena, appunto, il ricorso ai commissari.

Saranno capaci questo governo e questo Parlamento di affrontare e vincere la sfida? C’è da dubitarne, visto il livello e, soprattutto, i condizionamenti di un passato che non ci si decide a seppellire.

La verità vera è che, comunque, fra breve il passo cambierà. Resta da capire chi sarà protagonista del cambiamento, dato che le cicale politiche italiane risultano, sin qui, incapaci di trasformarsi in formiche.



E' proprio l’inesperienza mista con la supponenza, come giustamente scrive Domenico, che potrebbero condurre Matteo Renzi sulla strada del disastro.... 

Il suo sproloquiare in inglese dinanzi all'Europa sulle riforme..dichiarandole come fatte ed invece tutte ancora da attuare e definire, commuove... e mette anche tanta tristezza ai tanti che vivono dentro le istituzioni dell'economia e della politica, poiché lo fa apparire sempre più un millantatore che persevera nel vendere ancora fumo al paese ed all'Europa. Siamo al massimo dell' ipocrisia politica..dove tutto rimane ingannevole ed ogni strategia si costruisce senza alcun ritegno. 
L'apparenza è sempre stato il suo forte, le chiacchiere aumentano e, malgrado il suo inglese particolare (più ostentato che conosciuto) il sindaco d'Italia, col suo fare da accentratore, rischia di portare il Paese al baratro. (Renzi dovrebbe almeno immedesimarsi nell'esprimersi con maggior impegno e dedizione nella propria lingua anche in zona Europea.. imponendola come nobile ed antica valenza di un Paese..in cui la propria storia e la cultura.. ancora contano).

Infine, dopo così tanto tempo, rimane quasi superflua la domanda se riuscirà a farcela...almenochè non gli diano la possibilità di sforare i parametri del 3%..In tal caso..molte delle cicale ritorneranno e lo sproloquiare del Premier aumenterà. 
vincenzo cacopardo







2 ott 2014

Una nota al nuovo appunto di Domenico Cacopardo


Probabilmente Adam Smith approverebbe l’idea di smobilizzare una parte del Tfr, restituendolo in busta paga ai lavoratori cui compete. Si tratterebbe, infatti, di un fatto coerente con l’Illuminismo settecentesco e con la dottrina liberale che considera l’uomo (libero) degno di fiducia, molto più che lo Stato.

Le osservazioni che si leggono in giro (l’accantonamento in vista di spese importanti a fine lavoro o il definitivo crollo della previdenza integrativa) rientrano nel pensiero dominante, che incrocia la dottrina sociale (soccorrevole) della Chiesa al credo comunista dello Stato ‘governatore’ degli uomini, e non convincono. 

Ogni operazione messa in piedi sulla via della liberazione dell’individuo è eticamente superiore ed economicamente opportuna.

Tuttavia, «hic et nunc» (qui e ora), l’uso del Tfr suggerisce una constatazione e apre un problema. La prima è che, viste le difficoltà di trovare quattrini nel bilancio dello Stato, è facile governare con i soldi degli altri. Il problema è che l’accantonamento del Tfr è una risorsa aziendale, l’unica rimasta a causa di un erario dedito al saccheggio dei profitti generati da ciò che resta dell’economia privata. E questo non è un frutto di un destino avverso che ci perseguita da almeno vent’anni. È il frutto avvelenato (il maggiore protagonista Vincenzo Visco, inventore dell’Irap) della convinzione che il cittadino è un incapace incosciente, pericoloso evasore che occorre porre sotto stretto controllo (fiscale) in modo che non abbia i mai i quattrini per vivere la vita che preferisce. L’ideale, il massimo della felicità per i sadici che propugnano l​a posizione è il cittadino dipendente dello Stato, seguito e diretto dalla nascita alla morte. L’esempio più evidente l’Unione sovietica.

In Italia, gran parte del personale politico (quasi tutto d’accatto, nel senso che è composto da gente che non ha saputo affrontare ed esercitare una qualsiasi attività lavorativa), anche di centro-destra, visti i risultati, non s’è reso conto che il capitalismo ha vinto e governa il mondo. E che alle sue regole occorre adeguarsi. 

E non pare proprio che il nostro giovane presidente del consiglio ​sappia bene cos'è successo: basti il fatto che cita, nel suo Pantheon personale, gente come La Pira e don Milani che rappresentano la negazione della contemporaneità.

Quindi, ordinando alle imprese di erogare, in busta paga, una parte del Tfr, si costringe il sistema produttivo a privarsi di risorse reali o di accantonamenti virtuali che non possono essere utilizzati senza «svaccare» conti economici, investimenti per ricerche, riserve fisiologiche.

Certo, quest’operazione non è farina del sacco di Renzi, ma dovrebbe discendere dal suo «staff» di consulenti. Sarà bene che ci si pensi su in modo approfondito, tralasciando il contributo di organizzazioni virtuali come la Confindustria, per puntare sulle opinioni del mondo finanziario, a partire proprio da Mario Draghi, che, il «premier» ha difficoltà ad accettare come riferimento, visto il gap culturale e, in sostanza, politico.

Il semestre italiano di presidenza dell’Unione entra nella fase conclusiva senza fatti o iniziative degne d’essere ricordate, a parte la riunione dei ministri della cultura a Torino, promossa dal nostro Franceschini. Né per i prossimi mesi si vedono proposte degne di catalizzare l’attenzione dei nostri «partner». 

Non è però il momento della rassegnazione. È il momento di agitare le acque rilanciando una posizione italiana sulle sanzioni alla Russia, sui problemi energetici, sul «dumping» fiscale, sul programma di infrastrutture europee, immaginato negli anni ’80 da Delors e mai attuato.

Se la fiducia è una componente essenziale della guerra alla recessione, è il momento di sollecitarla, con decise iniziative in Europa, a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte.

E se il bottiglione (non fiasco) Renzi contiene vino buono, è il momento di versarlo.



A parte la divertente battuta sul bottiglione... vorrei accompagnare l'articolo del cugino Cacopardo con una nota riguardante il TFR in busta paga..Una semplice domanda che in sé è anche una constatazione logica che si fanno tutti coloro che oggi non hanno lavoro: Ma perchè Renzi continua a favorire chi un lavoro lo ha già? ...Ovviamente perchè è la strada più facile, ma anche perchè è furbo e talmente sistemico da voler mantenere i consensi di tutta quella classe lavoratrice subordinata in gran parte alle pubbliche amministrazioni.

Si..è vero, come asserisce Domenico vi è un problema di risorse che verrebbero a mancare alle aziende ...ma non può solo essere quello il problema e quando si tocca il tema del lavoro.. bisognerebbe immedesimarsi con maggior impegno sulla mancanza di una crescita e sulla disperazione di chi il lavoro lo cerca e non lo ha. 

Il sindaco d'Italia continua imperterrito a seguire metodi di regolamentazione e ricerca di risorse per chi un lavoro lo ha già e questo è veramente imperdonabile oltre che la dimostrazione di una mancanza di sensibilità per la dignità stessa di tutti coloro che, secondo queste logiche, lavoro non potranno mai averne.
Vincenzo cacopardo




Lealtà e libero pensiero politico..

DICOTOMIE e  DIALETTICA”

Cosa vuol dire la frase di Bersani «Non mancherà la lealtà verso il partito e il governo» in un contesto in cui la politica dovrebbe vedere una fedeltà come espressione nei confronti di una società che ti ha votato? Una società che considera la correttezza di un politico, sicuramente non come un atto di lealtà leonina verso un governo che si muove con proposte che poi non si condividono.


Slitta ogni discussione sulla riforma del lavoro di Renzi (il job act), e le votazioni si spostano ad ottobre inoltrato...mentre Bersani stigmatizza il suo”saremo leali”.

Delle due una: o sei d'accordo con la riforma o no! Il non siamo d'accordo... "Saremo leali"..suona invece, come la più grande delle ipocrisie di una politica non corretta.Le votazioni sulle nuove regole del lavoro dovrebbero vedere la fine entro il 16 ottobre e, per grazia ricevuta, l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto senza incappare in clamorosi intoppi. Le rassicurazioni dell’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, malgrado le pesanti critiche sulla riforma proposta dal segretario Premier, suonano come un incoraggiamento ed aprono la strada a Renzi, anche se con qualche piccola variante.


Ma la domanda è sempre la stessa, una domanda che fa meditare: Che senso può avere rassicurare un progetto di riforma..quando non lo si condivide, solo per un atto di lealtà nei confronti di un governo. Alla stregua di ciò e per paradosso, il governo potrebbe, per assurdo, proporre una pena di morte e chi non è d'accordo con la proposta, per motivi di lealtà ... ritiene costringersi ad assecondarla per devozione e fedeltà...Questa visione della politica nella sua doppiezza può generare sconforto da parte dei cittadini: Cosa significa la fedeltà in politica quando il principio fondamentale dovrebbe essere quello di essere fedeli alle idee, al programma ed al popolo che ti ha eletto?

Bersani, ritiene fondamentale chiarire la differenza tra esprimere il proprio dissenso e mettersi di traverso: “Dove non sono d’accordo lo dico” e non cambia la sua posizione in merito alle critiche sul Permier .

Al di là delle conseguenze che si riscontreranno col voto al Senato, e che metteranno giustamente in discussione il voto dei singoli, credo che sia opportuna una critica seria sul metodo fin'oggi usato dagli stessi Partiti... Risulta chiaro il nodo dell'ipocrisia e della doppiezza che si propaga all'interno di questi contenitori di consensi, i quali non dovrebbero mai rendersi disponibili o in sudditanza a qualunque governabilità. Il cittadino che guarda da fuori non potrà mai riuscire a comprendere l'atteggiamento menzognero di lealtà di chi si propone per le idee e che... nel contempo... si costringe quasi in una abnegazione.

La lealtà in politica è solo un pretesto, poiché non potrebbe mai esistere nel momento in cui le idee cambiano e gli stessi programmi si modificano e si evolvono in base al tempo ed ai principi di un mondo sempre più globalizzato. 

E' vero -I partiti devono rispettare il metodo democratico, quindi, ogni minoranza deve rispettare le decisioni di una maggioranza (pur restando nella piena libertà di agire per diventare a sua volta maggioranza).Il metodo democratico offre la possibilità dell’alternanza pacifica al potere tra maggioranza e minoranza. Ma ciò non significa che quando non si è d'accordo.. si debba restare fedeli ad un principio di governabilità che stravolge ogni altro principio personale e di pensiero, condizionandone la base. In una democrazia che si vuole parlamentare l'ultima parola deve sempre spettare all'Aula e non può mai essere condizionata da una governabilità..come non deve mai essere condizionata da un “partitismo” che necessita sicuramente di essere ridisciplinato in favore di una funzionalità delle stesse istituzioni.
La separazione dei ruoli è quindi più che necessaria!
vincenzo cacopardo






1 ott 2014

l'eufemismo di Padoan e la dissennata politica estera..

Scrive il cugino Domenico Cacopardo su Italia oggi:
Abbiamo scritto di un “prima” la riforma dell'articolo 18.. e un dopo. Invece siamo rimasti in un “mentre”di cui non si vede la fine, nemmeno in una remota lontananza. Ora, il governo dovrà occuparsi di legge di stabilità. Sta affrontando l'appuntamento nella solita spensierata confusione, dimenticando i dati fondamentali del problema: a fine anno il rapporto debito/Pil avrà superato il 137%..Quando Renzi è arrivato era intorno al 126%. Nove mesi di parole non solo non hanno avviato alcun risanamento, ma anzi l'hanno aggravato. Nonostante l'eufemismo di Padoan che chiama l'attuale deflazione “bassa inflazione”, è in corso una inesorabile marcia indietro del sistema economico nazionale che determinerà una caduta del gettito di tasse ed imposte ed un impoverimento quasi generale”....Prosegue poi...”Ad aggiungere sale nella ferita, si annuncia un aumento del prezzo dell'energia e del gas, per gli effetti della dissennata politica ucraina del presidente Obama, seguito stolidamente dai suoi satelliti europei.”

Come dare torto a ciò che scrive Domenico.. quando da tempo abbiamo sottolineato in abbondanza.. sia sulle manovre inutili del giovane sindaco d'Italia (11 punti di differenza debito/Pil)... sia su quella politica estera dissennata.. alla quale lo stesso avrebbe potuto opporsi tutelando gli interessi che la nostra Nazione intrattiene con il paese Russo.
Dopo la fine della direzione nel PD si annuncia una riforma finta, o meglio, simulata. Le nuove iniziative del governo ( TFR in busta paga) parlano di possibilità di assegnare una cifra mensile al dipendente detraendola dalla buonuscita ..si parla del 50% da spalmare nelle mensilità..Si persevera quindi col focalizzare l'attenzione sui dipendenti ...su coloro che un lavoro lo hanno già, dimenticandosi ancora di fornire nuovo lavoro a chi non lo ha.. e quindi non spostando l'attenzione verso iniziative significative di nuova crescita...Perdonando la metafora:- Come si può mai pensare di far crescere un raccolto quando si innaffia sempre sullo stesso punto?
Ci si continua a muovere senza rendere alcun risultato all'economia di un Paese che vede il Sud ormai ridotto al lumicino...un mezzogiorno totalmente dimenticato da un premier tutto preso dalla usuale e sconsiderata comunicazione che poco sembra costruire.
Vincenzo cacopardo

30 set 2014

Tra vecchi principi e contrapposizioni....


La prossima vittoria della Destra....di vincenzo cacopardo

Premetto che io sono tra quelli che non crede più alle vecchie posizioni ideologiche come presupposto per la guida di un pensiero politico....In una politica che si vuole moderna, le differenze devono essere individuali, di pensiero e di idee... sposate con metodo e funzionalità..Di conseguenza non sono per niente convinto che tali principi sulle contrapposizioni, edificati in quasi tutti i modelli internazionali e mondiali che guidano storicamente la politica per la determinazione delle scelte, siano costruttivi.

In un sistema i cui principi si muovono in tal modo e cioè.. come un elastico..si può immaginare pleonastica la possibilità che, se tirato da un lato in modo assai forte, l'elastico tenderà a rispondere come una molla, dal lato opposto.... E' un principio fisico, ma facilmente intuibile anche in una dinamica costruita su opposte contrapposizioni, soprattutto se attuata in una società dove il valore fondamentale continua ad essere quello dell'economia e della conseguente importanza del denaro che determina forti interessi.

Fatta questa importante premessa.. e cercando di tenere il più possibile i piedi per terra, la mia analisi sulla conduzione politica e sociale del nuovo “sindaco d'Italia” Matteo Renzi, con il suo processo di determinazione e le conseguenti ricette, (più fumose che realizzabili)... sicuramente poco utili ad un vero cambiamento, non potrà che portare conseguenze antitetiche che proietteranno la sua particolare politica di centro sinistra.. verso la edificazione di una destra sempre più forte e liberista. La prossima vittoria della destra non può che essere certa e, maggiore sarà il determinismo di Renzi, più forte e dura sarà la conseguente marcia verso la vittoria di una destra ancora più determinata, sicuramente agevolata da tutta la forza di un potere economico che difficilmente non l'appoggerà più.

Il muro contro muro creatosi con l'ala più a sinistra del PD nei giorni passati, non poteva che dimostrarsi ragionevole, poiché se la sinistra deve fare la sinistra, ottenendo una buona parte dei suoi consensi per proteggere gli interessi di quella classe di lavoratori, tali principi andrebbero salvaguardati al di là di ogni ragionevole dubbio. La posizione attuale del sindaco d'Italia oggi, a prescindere da ogni ragionamento a suo favore, è quella di un moderato con un piede a sinistra, ma spinto fino al midollo verso destra per accaparrarsi i voti di chi, al contrario, manovrerà per una sicura prossima e non lontana.. vittoria.

Quello che rimane sempre vecchio è proprio il concetto di contrapposizione Destra-Sinistra che blocca ogni processo di rinnovamento di una politica che si vuole moderna e funzionale. Le manovre di chi, come Renzi, vorrebbe spingere la politica (più verso la semplificazione che verso il funzionamento) in direzione di un cambiamento... saranno sempre condizionate da procedure ideologiche vecchie e di continua reazione.

   
Questa e la vecchia ed improduttiva procedura della politica delle antiquate contrapposizioni ideologiche! 

29 set 2014

la tiepida intervista di Fazio...



di vincenzo cacopardo
L'intervistatore ha fornito grandi appoggi al giovane premier non solo per la lunga discussione l'articolo 18 (sicuramente una delle poche cose sulle quali non si può dare del tutto torto a Renzi).. articolo attraverso cui sembra si sia costruita una enorme propaganda.. tagliando di netto altri più interessanti ed importanti punti di discussione sul lavoro. Un argomento che naturalmente fa comodo a Renzi. Fazio non ha nemmeno fatto notare la maggiore importanza che oggi può avere.. da parte del governo.. l'iniziativa per il riscontro di lavoro nuovo.. più ancora della ricerca delle regole su quel poco che di lavoro sembra esser rimasto. La domanda da rivolgere sarebbe dovuta essere quella di come si intendono portare avanti nuove iniziative. Quali le ricerche e gli studi per poter sfruttare le nostre energie e la qualità?..

In merito ai poteri forti che vogliono farlo fuori (domanda che si sarebbe potuta omettere), Renzi glissa.. poiché obiettivamente il discorso potrebbe tornargli scomodo, ma approfittando dell' assist offertogli, ha potuto..diversamente.. stigmatizzare la visione ostile dei molti pensieri deboli, ponendosi quasi come una vittima di un sistema che vede ormai parecchi gufi girargli intorno con lo scopo di abbatterlo.

Quando poi si accenna al bonus degli 80 euro, Fazio evita la domanda più logica di come mai il governo si sia occupato con tale solerzia di fornire il bonus ai dipendenti ormai facenti parte di un certo sistema che gli offre già un lavoro... dimenticando, e mettendo in secondo piano, i tanti pensionati di basso reddito e una grande parte dei lavoratori autonomi. L'unica domanda rimane per Fazio.. quella della possibilità di ripetere l'operazione il prossimo anno... chiedendo se vi sono i soldi per queste garanzie che il premier vorrebbe estendere.

Fazio prova.. con tono opaco e sommesso.. a chiedere del futuro del Partito Democratico e degli scontri interni. Renzi, astutamente glissa e torna sull’Articolo 18 : “Il datore di lavoro deve avere il diritto di lasciare a casa qualcuno. E’ lo Stato che deve intervenire dopo. Chi perde il posto di lavoro deve essere preso in carico dallo Stato.” ?.Si ..ma come?.Con quali risorse? E soprattutto come si costruisce lavoro se non si inventa e si favorisce il nuovo?..Queste sarebbero state le domande più logiche! Difficile pensare che si possa cancellarel'art 18 ed il co.co.co e le altre forme di precariato, inventando un nuovo meccanismo, quando non si inventa prima nuovo lavoro!...Ma Fazio tace...

La grande boutade del premier è quella sulla globalizzazione La globalizzazione non è un nemico, è una grande opportunità per il nostro Paese. Se saremo bravi, capaci di fare un’Italia più attrattiva, saranno i cervelli fuggiti a tornare a casa”.Una frase che ostenta in modo inconsueto l'ottimismo fanatico di chi pensa di poter dare un senso positivo ad un principio che ci ha sottratto lavoro e possibile competizione.. riducendo al minimo le nostre capacità qualitative. ..Poi l'argomento dei trecento miliardi della comunità europea su cui, il modesto Fazio, non ha pronunziato alcun appunto sull'entità precisa che eventualmente spetterà all'Italia e condizionati dalla mancanza dei progetti pronti non prima del finire di due anni.... Poi ancora sull'Isis ed il profondo esagerato sottometersi ad una politica internazionale americana che in realtà non ha esportato alcuna democrazia e che sul piano diplomatico ha coinvolto il nostro territorio persino sotto il profilo terroristico ..

Per finire con la riforma della giustizia affrontata dal premier con la comune semplificazione... ostentando sul principio di offrire meno ferie ai magistrati e dimenticando l'importanza delle dovute risorse che si devono a quell'ambito dove gli stessi giudici sono costretti ad esaminare fino a migliaia di casi l'anno...
Fazio ha dimostrato una remissività fuori dal comune non ponendo le logiche domande ed offrendo sempre più spazio alla loquace parlantina che incanta del sindaco d'Italia. Sappiamo ormai tutti quali capacità ha il sindaco d'Italia di sfuggire alle domande ed a portare dove lui vuole ogni argomento.

Per finire, riguardo alla metafora sull'auto della politica..mi permetto di informare i lettori  e lo stesso intervistatore che,  a differenza di chi , come Renzi, crede di aver formulato per primo questa metafora...il mio post sull'"auto della politica"porta la data del 17 novembre 2012.
L'AUTO DELLA POLITICA di vincenzo cacopardo

28 set 2014

Una recensione al recente editoriale di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera


Il nemico allo specchio di ferruccio de Bortoli
Devo essere sincero: Renzi non mi convince.Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere. Se vorrà veramente cambiare verso a questo Paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso. Una personalità egocentrica è irrinunciabile per un leader. Quella del presidente del Consiglio è ipertrofica. Ora, avendo un uomo solo al comando del Paese (e del principale partito), senza veri rivali, la cosa non è irrilevante.
Renzi ha energia leonina, tuttavia non può pensare di far tutto da solo.La sua squadra di governo è in qualche caso di una debolezza disarmante. Si faranno, si dice. Il sospetto diffuso è che alcuni ministri siano stati scelti per non far ombra al premier. La competenza appare un criterio secondario. L’esperienza un intralcio, non una necessità. Persino il ruolo del ministro dell’Economia, l’ottimo Padoan, è svilito dai troppi consulenti di Palazzo Chigi. Il dissenso (Delrio?) è guardato con sospetto. L’irruenza può essere una virtù, scuote la palude, ma non sempre è preferibile alla saggezza negoziale. La muscolarità tradisce a volte la debolezza delle idee, la superficialità degli slogan. Un profluvio di tweet non annulla la fatica di scrivere un buon decreto. Circondarsi di forze giovanili è un grande merito. Lo è meno se la fedeltà (diversa dalla lealtà) fa premio sulla preparazione, sulla conoscenza dei dossier. E se addirittura a prevalere è la toscanità, il dubbio è fondato.
L’oratoria del premier è straordinaria,nondimeno il fascino che emana stinge facilmente nel fastidio se la comunicazione, pur brillante, è fine a se stessa. Il marketing della politica se è sostanza è utile, se è solo cosmesi è dannoso. In Europa, meno inclini di noi a scambiare la simpatia e la parlantina per strumenti di governo, se ne sono già accorti. Le controfigure renziane abbondano anche nella nuova segreteria del Pd, quasi un partito personale, simile a quello del suo antico rivale, l’ex Cavaliere. E qui sorge l’interrogativo più spinoso. Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria. Auguriamo a Renzi di farcela e di correggere in corsa i propri errori. Non può fallire perché falliremmo anche noi. Un consiglio: quando si specchia al mattino, indossando una camicia bianca, pensi che dietro di lui c’è un Paese che non vuol rischiare di alzare nessuna bandiera straniera (leggi troika). E tantomeno quella bianca. Buon lavoro, di squadra.


In questo recente editoriale del qualificato giornalista, si mettono in evidenza le stesse perplessita già da tempo espresse nella lunga serie dei miei post. L'ipertrofia alla quale fa riferimento il giornalista è quella quantitativa che molto spesso finisce col coprire ogni percorso qualitativo di merito e di sostanza.
Bortoli esprime termini come egocentrismo, debolezza di idee, parlantina spinta e superficialità.. sottolineando così l'operato della sua squadra di governo: “Ogni competenza appare un criterio secondario. L’esperienza un intralcio, non una necessità”. Il giornalista prosegue esprimendo perplessita sulla conduzione del suo partito pieno ormai di “controfigure renziane che abbondano nella segreteria” .Infine si domanda se il “famigerato” patto del Nazareno finirà pure con l'eleggere un presidente della Repubblica.
Nei tanti post inseriti nel mio Forum si è sempre messa in seria discussione la figura del nuovo sindaco d'Italia..il suo percorso ricco di una fumosa loquacità, una comunicazione accattivante e ricca di slogan..ma soprattutto di scelte non conformi al percorso che oggi si dovrebbe per una politica meno di semplificazione e con più fine funzionale.. Infine.. appare illogica l'opera di rinnovamento condotta unicamente da una figura col solito incalzante determinismo.. ancor pur stimolato da una mancanza totale di altre figure capaci di dialogare.
Quando si critica l’operato di Matteo Renzi, non lo si vuole fare per partito preso o per finire con l’essere assimilati a quei gufi di cui lui stesso parla:- Mentre in tanti lo contestano su un operato ancora da vedere e sulle sue possibilità di reperire risorse per raggiungere lo scopo, le mie osservazioni restano più profonde e legate soprattutto al merito.

Renzi pare procedere come una falciatrice e tagliando tagliando...avanza noncurante della precisa ed utile logica che si deve al funzionamento di un’attività politica. Per quanto si possa criticarlo nel metodo, quelle che colpiscono... a chi guarda la politica in senso più costruttivo, restano le sue “scelte” che continuano a non avere un riscontro con un criterio di funzionalità e dei valori di una qualità democratica... Quello che oggi infastidisce è il fatto di non poter opporsi alla sua figura senza esser presi come coloro che contrastano un cambiamento o addirittura che aspirano alla palude.

Il neo imperatore della politica, Matteo Renzi, appare oggi più un “restauratore” che un vero “rottamatore”, proseguendo in un’opera di ristrutturazione del sistema connessa a quella che nel passato pretendeva di passare come opera in favore di una visione progressista. La sua attività politica appare sempre più decisa, anzi “decisionista”, e suona assai poco attenta rispetto ad una sua prima volontà di voler procedere verso un cambiamento di certe figure, non guardando col dovuto rispetto alla riqualificazione di un utile impianto politico istituzionale.


Non si può quindi che essere d'accordo con quanto afferma nell'editoriale de Bortoli, il quale rende conto con estrema chiarezza di tutti i vuoti e le conseguenti anomalie presenti nel percorso politico di una figura che, seppur armata di buona volontà, potrebbe finire col costringere il Paese a dover alzare quella bandiera straniera a cui fa riferimento il giornalista.  

27 set 2014

interessante nota del consigliere Cacopardo


L'OTTIMISMO DEL CAMBIAMENTO
di domenico cacopardo

«E pur si muove!» disse Galileo Galileo, di fronte al Tribunale dell’inquisizione, al termine della rinuncia all’eliocentrismo, a conferma, non raccolta dai clerici parrucconi che lo giudicavano, che la terra ruota intorno al sole.

«E pur si muove», possiamo sostenere oggi, con riferimento all’Italia, alla sua situazione politica ed economica. 

Non è notte e, quindi, non tutti i gatti sono bigi. Certo di gatti bigi ce ne sono in giro e tanti. Ma qualche gatto bianco o rosso o grigio si vede bene, nel mezzo delle strade o sui marciapiedi più frequentati.

Sono manager, imprenditori, dipendenti pubblici, insegnanti, ricercatori, artigiani che, nonostante i legacci in cui sono avvolti riescono ad andare avanti e a produrre quel di più che caratterizzò, un tempo tutta la società italiana e che ora contraddistingue una minoranza.

Non è il caso di andare alla ricerca delle cause storiche, anche se, nell’attuale situazione, possono bene identificarsi gli irreversibili danni prodotti dalla stagione del ’68 e degli anni ’70.

Tra i gatti bianchi, si può serenamente individuare Matteo Renzi. 

Lo possiamo ben dire, non avendogli risparmiato critiche puntuali su tutto ciò che non andava e non va nella sua personalistica gestione del potere. La verità vera, però, è che il giovanotto dalla parlantina sciolta ha messo in moto la Nazione «politica», quel mondo a sé stante, costituito dalle migliaia di professionisti della politica che ha infestato e infesta Roma, le regioni, le exprovincie nella nuova versione, i comuni e le oltre 8.000 società pubbliche che sprecano i soldi dei contribuenti dall’Alpi a Lilibeo.

Una società politica parassitaria, avvinta alle strutture esistenti e incapace di immaginare il percorso necessario per recidere i legami che ci impediscono di essere quelli che fummo, protagonisti di almeno due miracoli economici.

La società politica del no: Notav, Noponte, Norigassificatore, Notermovalorizzatore e via dicendo. Un No, dietro il quale si celano interessi pelosi che aspettano, per svanire, congrui benefici da chi può dispensarli. 

Se si approfondisce, dietro a ogni No, c’è anche un gruppo sociale che spera di trarre utili concreti dal suo No, a spese della comunità nazionale.

Certo, è difficile essere ottimisti nell’Italia dei nostri giorni. Eppure, l’ottimismo di cui parliamo non è un confuso sentimento, è una ragionata fiducia nella nostra capacità di esprimere ciò che sappiamo fare nei campi in cui esistiamo.

Da questo punto di vista, Renzi è stato meno salutare, per suoi limiti, di quanto avrebbe potuto essere.

Ma ora siamo al dunque, al discrimine tra un prima e un dopo. Il prima scadrà lunedì, nello «show down» alla direzione del Pd, tra i riformatori del «job act» e dell’art. 18, e coloro che succubi del peso della Cgil e del vecchio che permane, si oppongono.

Se Renzi rifiuterà qualsiasi gattopardesco compromesso e vincerà, prima in via Sant’Andrea delle Fratte (sede del Pd) e, indi, in Senato, entreremo nel «dopo», nella stagione –pur contraddittoria- delle riforme che servono, prima e più urgente quella della giustizia, ancora più attuale dopo l’incredibile chiamata di Giorgio Napolitano a testimoniare sulla trattativa Stato-Mafia.

Infatti non è solo l’«attualità e non rinviabilità dei problemi», la sussistenza di questo «nodo essenziale … per ridare competitività all'economia» e un «funzionamento è largamente insoddisfacente», tutte parole del presidente alla cerimonia di saluto del Csm uscente.

È questione di ristabilimento di corretti rapporti tra poteri dello Stato, da tempo compromessi per un mondo politico colpevole o tremebondo, spesso colpevole e tremebondo. E la restituzione del «servizio giustizia» alle sue ragioni etiche e costituzionali con l’abbandono delle usuali gestioni burocratiche che ci pongono in coda in ogni classifica di settore e consentono l’allargamento delle ipotesi processuali, come nel caso della chiamata di Napolitano a Palermo. 

Un magistrato del Consiglio di Stato, anni fa, di fronte all’eliminazione dell’arretrato da parte della 1^ sezione, presieduta da Alfonso Quaranta, ebbe a dirmi, a mo’ di critica: «Un grave errore. L’arretrato è potere.»

Insomma, non per Palermo, ma in genere, la perpetuazione all’infinito del giudice processante e del giudice accusante, nel rimirar, compiaciuti, i propri ombelichi.

«Usque ad finem».

26 set 2014

Dov'è finita la proposta del disegno di legge sul conflitto d'interessi?

di vincenzo cacopardo

Uno dei temi più scottanti nel quadro della politica nazionale rimane il conflitto d'interessi. 
E' passato parecchio tempo da quando la sinistra, potendo sollevare l'argomento, per metterlo in atto attraverso formule appropriate, ha ceduto alle tentazioni... regalando al Cavaliere un più libero percorso …

Ricordiamoci come il giovane sindaco d'Italia..neo premier, durante la campagna per le primarie dell'anno scorso, esordiva di continuo sul tema.. accusando i vecchi leaders dei Partiti di non aver mai risolto alla base il problema.

È ancora fresca la notizia di un nuovo rinvio della discussione sul DDL conflitto d'interessi, ormai giacente in Parlamento da qualche mese. Pare che la decisione sia stata presa dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera con il voto favorevole della maggioranza (PD, NCD, Scelta Civica) e naturalmente... Forza Italia. Sembra chiaro che questi continui slittamenti facciano comodo al rapporto che il Premier intrattiene con Berlusconi per la formulazione delle altre riforme.

Sappiamo che negli anni 90 il centrosinistra aveva le forze per offrire delle regole e determinare delle formule più adatte. In questi anni si è solo perso altro tempo.. non possiamo nemmeno omettere l'esordio, quasi autolesionista, di Luciano Violante che ammise in Parlamento, senza mezzi termini, le garanzie offerte al Cavaliere. Per opportunità lo spinoso argomento viene ancora una volta accantonato dal giovane rottamatore, pena la messa in crisi di un patto detto del “Nazareno” che condiziona in modo poco logico ed ambiguo... tutta la politica del paese.. e lo stesso PD. 
Una riforma di primaria importanza quella sui conflitti che si apre a ventaglio su una moltitudine di principi...che tocca il cuore di ogni percorso politico che si vorrebbe sano e funzionale...che invade grossi campi del potere economico e politico...un tema che investe l'attività parlamentare e quella governativa insieme. Insomma.. una vera madre di tutte le riforme assieme a quella di una indispensabile riforma sui Partiti.

Renzi sembra oggi sottovalutarla... rimanendo condizionato dall'appoggio del suo alleato/oppositore Berlusconi?.... Un dato di fatto resta certo: del conflitto di interessi ancora una volta, malgrado le promesse di tutti, non ve ne è ombra.

Dov'è dunque finito il determinismo del nuovo sindaco d'Italia?

Bisognerebbe ricordare al Premier che... se un certo determinismo (a differenza di una più opportuna determinazione) paga nei brevi tempi..la necessaria umiltà finisce col pagare nel lungo tempo. Non si può inoltre imporre l'assolutismo e la fermezza in seno ad un qualsiasi Partito..e poi dimenticarsi degli obblighi che si hanno con i cittadini di fronte a temi scottanti come quello sul conflitto d'interessi.



24 set 2014

I guasti della globalizzazione..e le possibili reazioni

di vincenzo cacopardo

Sembra che il nostro Paese sia definitivamente fiaccato economicamente e che l'idea di una ripresa in un contesto globalizzato come quello odierno, rimanga remota.. se non addirittura teorica. Il peso e le regole poco chiare di una globalizzazione ci hanno sicuramente tagliato fuori da ogni possibile ripresa..anche se si deve di continuo sperare malgrado il forte debito pubblico, il condizionante patto di bilancio.. e la fortissima concorrenza sleale a cui ci sottopongono altri paesi.Il futuro internazionale più probabile pare essere quello di una reazione allo stesso modello globale impostosi con forza in questi anni senza alcun criterio di logica.. se non quello di base economico e finanziario.

Ma cosa è... e cosa ha generato la globalizzazione?

La globalizzazione è un principio ormai insito nel sistema che indica l'accentuarsi degli spazi e dei problemi che vanno oltre i propri confini nazionali facendoli diventare globali..Un processo che è sicuramente complementare e che deve essere verificato empiricamente. Il suo significato racchiuso in quello di una “società mondiale” andrebbe anche inteso in altra maniera e cioè... come quello di una società multidimensionale, multisociale, multiculturale e politica. Ma, a differenza della globalizzazione...oggi un più diffuso “globalismo”, assume la deleteria ideologia secondo la quale il processo economico ha un aspetto sovrastante..che pone, in modo malato, la stessa azione della globalizzazione, in un'ottica solo economica.

Secondo molti anche lo stesso principio di democrazia ha senso solo se rimane inserito in un contesto globale.. ed il modo di governare presuppone l’esistenza di una società civile globale e dei rispettivi rapporti giuridici che rimangono validi universalmente... Ma se è vero che i diritti fondamentali convalidati a livello transnazionale sono alla base della democrazia cosmopolita è anche vero che bisogna tener conto dell'aspetto di una società multiculturale e delle sue contraddizioni che ne rappresentano la particolare “realtà globale”. L’analisi neomarxista ritiene l’idea di una democrazia cosmopolita non realizzabile in quanto l’”etica” viene a confondersi con il “potere”.

Un dato di fatto è comunque certo: Il nuovo capitalismo globale riesce ormai ad estremizzare i profitti occupando meno capitale umano. Si perde.. quindi.. il peso di una contrattazione sul lavoro e cresce l'emarginazione di massa. Alcuni sociologi teorizzano persino l’avvicinarsi di una “era globale” con la fine di ogni Stato nazione e quindi di ogni democrazia.

Una società mondiale appartiene agli stessi individui ed alle proprie culture, non può restare estranea, poiche tocca la vita degli stessi. In una società mondiale che si vuole multiculturale.. la realtà..rimane globale.... Una società che si vuole mondiale non può restare esterna agli individui, ma deve toccare la loro vita. Si difendono i diritti umani da parte delle Organizzazioni governative mondiali, ma non si rispettano le loro culture terze... la loro storia e persino la loro dignità. Un certo cosmopolitismo nega il legame tra culture senza nemmeno provare a compierlo e con questo tipo di globalizzazione sembrano andate perse le speranze ed ogni ideale politico. La reazione potrebbe vedere una totale svolta contrapposta ... un irrigidimento da parte dei Paesi che tenderanno a chiudersi nel proprio ambito nazionale con una logica opposta di un insolito avvenimento di “deglobalizzazione”: - I paesi si chiuderanno..i mercati si marcheranno...le società si distingueranno...le culture si evidenzieranno..etc.. Un sistema mondiale intero che si fraziona e che competerà attraverso logiche differenti più segmentate e connaturate.



"Diritti e lavoro"..un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo



La bugia dell'allargamento dei diritti di domenico cacopardo 

Non c’è stato nessuno, nei media, che abbia chiesto a qualche esponente della minoranza del Pd: «Quali diritti intendeste allargare? Sostenete che invece di toccare l’art. 18 dobbiamo allargare l’area dei diritti dei lavoratori, spiegateci in cosa consiste la vostra proposta.»

Secondo me, l’interpellato farfuglierebbe qualche parola in puro politichese. Infatti, si tratta di una bugia bella e buona, annunciata con aria pensosa, proprio per confondere le acque di una discussione che, in realtà, è abbastanza semplice e riguarda l’allentamento delle rigidità dello statuto dei lavoratori, che impediscono all’imprenditore di avere fiducia e di assumere. 

I diritti dei lavoratori sono diritti di libertà (sindacale e politica), di sicurezza sociale (assenze pagate), di retribuzione. Tutti, proprio tutti comportano costi per le aziende. 

«Allargare i diritti dei lavoratori», quindi, significa aggravare i costi del lavoro.

Punto. Basterebbe questa constatazione per tappare la bocca ai confusi esponenti delle varie minoranze del Pd, in concorrenza tra loro, pronte, in alcuni casi, a ingrossare le file del vincitore.

Alle loro spalle c’è il colosso d’argilla, l’organizzazione che da condizionata dal partito, ne è diventata la condizionatrice: la Cigl. Essa, è il riferimento politico e organizzativo di gran parte della minoranza del Pd, legata mani e piedi al sindacato e alla congerie di soggetti che fanno capo a esso, compresa la cooperazione.

Come dimostra la posizione del «riformista d’un mese» Giuliano Poletti, ministro del lavoro e delle politiche sociali. 

L’allargamento dei diritti, in un periodo di drammatica crisi come l’attuale, allontanerebbe ogni idea di ripresa, a meno che, scartellando da ogni impegno europeo lo Stato non si desse ad assumere, caricando, ulteriormente, sulla collettività i costi del disastro.

Del resto, lo stolido Cofferati si dichiara in questi giorni neokeynesiano e propone un vasto piano di investimenti per recuperare posti di lavoro e rilanciare l’economia. Non lo sfiora il dubbio che i soldi non ci sono; se ci fossero mancano i progetti; e se tutto fosse pronto e disponibile dovremmo muoverci negli angusti spazi concessici dall’Unione europea.

A nessuno al mondo che abbia avuto esperienze produttive, in qualsiasi posizione, verrebbe in mente di rendere ancora più problematiche le assunzioni, lasciando a spasso, senza speranze, per le nostre piazze i giovani, poco qualificati dalla scuola, che vi soggiornano. 

A nessuno, sano di mente, verrebbe in mente di allargare il ruolo dell’autorità giudiziaria (che è il garante dei diritti) dandole ulteriori facoltà di intervenire nelle gestioni aziendali.

Se, quindi, è così intuitivo che «allargare i diritti» è una formula senza costrutto, una follia comunicazionale, perché gente che, per altri versi, conosciamo come ragionevole e posata, la adotta come una bandiera? Pensiamo a Bersani, solido, spietato burocrate dell’exPci, dotato di una naturale bonarietà. Pensiamo al raziocinante Cuperlo, prezioso consigliere alla presidenza del consiglio in anni non lontani, e a tanti altri che si prodigano su questo terreno dichiarando a destra e a manca che il problema non è l’abolizione dell’art. 18, ma, appunto, l’allargamento dei diritti.

Se questo accade, non accade per caso. Dalle parti della sinistra Pd, si è capito che quella sull’art. 18 è la madre di tutte le battaglie del renzismo. La sua vittoria determinerebbe la fine di quel poco o tanto di potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende, e, per li rami, le possibili influenze che gli eredi di quella che fu una grande armata, il Pci, riescono ancora ad avere sul mondo produttivo nazionale. 

Probabilmente, lo sa anche la massa dei disoccupati che l’«allargamento dei diritti» è una bugia che può solo prolungare il loro tragico stato rendendolo permanente. Meglio spazzarla via dalla scena il prima possibile.




In una visione moderna riesce sempre più difficile parlare del lavoro come di un diritto.. e ciò non perchè si voglia sottovalutarne l'importanza, ma per via dei tempi che hanno imposto una globalizzazione quasi selvaggia... condizionando tutti i paesi.. soprattutto il nostro finanche privo di risorse energetiche.

In realtà il tema dell'articolo 18, come vuole far intendere Domenico, è sicuramente la madre di tutte le battaglie del renzismo, ma rimane anche un vessillo per chi, come la CGIL, non pare ricercare ulteriori alternative per la sua lotta contro un sistema e la sua classe imprenditrice. 

La guerra odierna interna in seno al PD ...è infuriata anche in forza del fatto che.. lo stesso giovane segretario, usa questa contesa per avversare ulteriormente le poche forze a lui ostili all'interno del Partito. … Forze che, in realtà, poggiano ancora i loro valori sui principi di una classe lavoratrice non più adeguabile all'allargamento di alcuni diritti dei lavoratori. 

Il potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende non è più quello di prima ed il confronto con una realtà industriale moderna globalizzata, non può che prescindere da un articolo che pone un freno alla stessa competizione tra le aziende. Tuttavia sarà necessario studiare modelli alternativi per rendere maggiore sicurezza al lavoratore, il quale non potrà mai più pensare di ottenere le certezze del passato... se non attraverso alternative più flessibili. 
Vincenzo cacopardo

23 set 2014

Il “rischio” dell'impresa....e l'art 18


di vincenzo cacopardo
Si parla oggi dell'articolo 18 facendone una questione di estrema importanza e guardandone solo un aspetto slegato da una primaria importanza relativa all'impresa: Se è vero che il lavoratore dipendente deve avere le proprie garanzie al fine di non pagare il prezzo altissimo della perdita del suo lavoro, riesce ancora più difficile pensare che un magistrato possa decidere sulle decisioni di una impresa che affronta la sua rischiosa avventura. In ogni iniziativa industriale vi è la possibilità che si verifichino fatti negativi... che non vi siano gli esiti voluti e si è costretti a subire eventi negativi...Questa è la sfera in cui è rinchiuso il “rischio”!

All'impresa ed all'imprenditore appartiene il “rischio”: il rischio di intraprendere, di investire capitali, di mettere in produzione il suo prodotto derivante da un'idea. Se questo rischio ha un motivo di esistere in un'attività industriale..lo stesso dovrebbe ammettersi nella scelta di chi deve collaborarvi per il lavoro da svolgere e cioè... sia che essi siano operai o impiegati di concetto o persino dirigenti....La scelta di costoro è inevitabilmente connessa ad un rischio oltre che alla loro opera.

Ora ...se si ammette che chi vuole intraprendere una iniziativa industriale.. sta rischiando..dovrebbe di conseguenza ammettersi che la scelta del suo personale collaborativo è un altro rischio e deve potersi operare con estrema libertà e senza vincoli particolari...Libertà di operare sui prodotti, ma anche la libertà di una scelta collaborativa più libera..

Il datore di lavoro, quindi, rischia anche nella scelta del collaboratore...alla stessa maniera di come il collaboratore rischia nella sua permanenza nell'attività lavorativa. La flessibilità rimane, perciò, la base per poter affrontare ogni iniziativa.. il cui genere.. comporta continui rischi. La scelta dei collaboratori (operai o impiegati che siano) deve poter restare libera nella scelta qualitativa e nell'impegno temporale poiché connessa all'azzardo che l'impresa affronta.

Da parte di chi collabora per l'iniziativa si vuole però una sicurezza al fine di non ritrovarsi senza un lavoro ed alcuna fonte di retribuzione....certezza oggi impossibile da garantire proprio perchè connaturata al “rischio” che l'impresa oggi corre..ancor più che nel passato. D'altronde anche il datore di lavoro.. se fallisse.. non avrebbe alcuna certezza sul suo futuro..anzi verrebbe sommerso da pignoramenti e persino rischiare di finire in galera. L'unica via in tal senso, per rendere più forza e responsabilità ad ambedue, potrebbe solo essere quella che lega l'impiegato al datore in un'opera di collaborazione che renda ad ambedue vantaggi economici relativi ai risultati della stessa azienda.

Una via difficile da trovare... se non attraverso un'attenta ricerca che possa offrire vantaggi economici di collaborazione, ma mai sicure garanzie temporali di lavoro a fronte degli evidenti rischi.       

22 set 2014

L'Europa ribolle..



di vincenzo cacopardo
Tutta la politica internazionale è in fermento..ovunque..in ogni parte d'Europa pare esservi quel desiderio indipendentista che esalta gli animi più esaltati. Dopo il referendum che ha visto la vittoria dell'unione in Scozia...sembra che la polizia sia dovuta intervenire diverse volte per sedare le ostilità tra gruppi di sostenitori dell'indipendenza e gruppi a favore dell'unione.. un risultato che pone al 45% gli sconfitti..deve comunque far pensare

In Spagna intanto...il premier spagnolo Mariano Rajoy, ha persino elogiato il discorso pronunciato dal capo del governo della regione autonoma spagnola della Catalogna e dopo la diffusione dei risultati nella Scozia ha anche elogiato il senso della democrazia del primo ministro britannico David Cameron, il quale avrebbe anche potuto bloccare il referendum. La richiesta di un voto di referendum pare persino più forte in Catalogna ancora più che in Scozia..non si esclude quindi una misura che potrebbe essere adottata al più presto.

L'effetto Scozia sembra arrivare dappertutto... persino in India, dove la regione indipendentista del Kashmir è tornata all'attacco nel rivendicare la sua autonomia.

Anche Matteo Salvini, di rientro da Edimburgo, si è proposto per sostenere il referendum sull'indipendenza del Veneto e della Lombardia. Lamentandosi di uno stato che vessa di continuo i cittadini, annuncia di voler andare avanti..poichè bombardato da richieste che giungono persino da ogni parte del territorio del nostro Paese. Salvini scommete anche su una indipendenza del Sud asserendo che anche nel meridione si chiede più autonomia e meno dipendenza dallo Stato tiranno: le sorprese non arrivano solo dalla Scozia!
Insomma... sembra esservi un gran desiderio di indipendenza che non calza esattamente con l'opera di costruzione che si sarebbe voluta nell'azione di edificazione di un' Europa..Ciò proprio per i molti errori commessi da coloro che hanno sempre visto questa unione più come una unione economica finanziaria e senza una precisa logica che guardasse ad uno sviluppo territoriale più aggregato e costruttivo dei diversi territori.

Sono passati più circa sessant'anni da quando un lungimirante Schuman propose “la comunità europea del carbone e dell'acciaio”...una proposta che rappresentava il preludio a quella Europa dei sei. Questi anni hanno visto un progresso smisurato e l'affermazione economica e culturale di alcune comunità rispetto ad altre, un progresso ed un cambiamento che non può essere sottovalutato quando si affronta una unione di questa portata.
Si ha la sensazione che si sia tirata fin troppo la corda sottovalutando le cultura dei paesi dove principi e valori etnici sono finiti con l'esplodere in reazione ai gravosi impegni dettati dall'agenda dei paesi economicamente più forti nell'establishment della Comunità Europea.