di domenico Cacopardo
Era
l’appuntamento cruciale di quest’inizio d’anno, quello
dell’elezione del presidente della Repubblica, e Matteo Renzi l’ha
superato brillantemente. Sembrava che la coperta fosse troppo corta:
il patto del Nazareno era la chiave di volta delle riforme ma apriva
alla minoranza del Pd un varco capace di mettere in discussione la
«leadership» di Renzi nel governo e nel partito.
Poiché la
politica è una scienza esatta e solo pochi, tra essi il «premier»,
riescono a interpretarne correttamente tutte le regole, compresi
teoremi e postulati, era evidente che per risolvere il problema della
presidenza della Repubblica era, prima di tutto, necessario
ricompattare il Pd, la base di partenza per la conquista e la
gestione del potere. Quindi, bando alle pregiudiziali e candidatura
di Mattarella con cui sono state tappate tante bocche emittenti aria,
ma purtuttavia capaci di esprimere un voto in Parlamento.
Si dice il
«metodo». Certo, il metodo. Ma se l’unico candidato possibile,
gradito al Pd, destra, centro e sinistre, non piace al cavaliere? E
perché?
E il perché
che chiarisce il no di Berlusconi: s’era illuso, l’excavaliere
che, dentro il metodo della condivisione, ci potesse essere una
enfatica conferma del Patto del Nazareno con la concessione di una
specie di veto nei confronti di chi non gli fosse gradito. Se, però
si interrogano in «camera caritatis» le persone capaci di
intendere, di volere e di capire, gente alla Verdini e alla Letta, si
capirebbe subito che nel Patto non c’era niente di simile e che
l’idea di Berlusconi era solo un’illusione, alimentata dai soliti
adulatori, da coloro ch’erano interessati a ritagliarsi uno spazio
purchessia e da coloro che non capivano i termini del problema.
Come
sempre è prevalsa una mezza via, la scheda bianca, che non ha
impedito a un numero importante (almeno 39) di grandi elettori di
Forza Italia di smarcarsi e di votare Mattarella.
Quello
che è incomprensibile è il cammino di Alfano.
Ma
come, l’excavaliere è in vita (politica) per la respirazione
artificiale che gli pratica un giorno sì e uno no Matteo Renzi e tu
ti sposti verso di lui, sperando in un abbraccio che non ti può dare
nulla, non ti può promettere nulla, non ti può garantire quello che
vuoi cioè la sopravvivenza (politica)?
E
poi, quando Berlusconi si infila nel «cul de sac» del no
(paradossale la telefonata a Mattarella «La stimo, l’apprezzo, ma
non posso votarla per il metodo», un altro, ennesimo autogol), tu,
Alfano lo segui, dimenticando di essere il ministro dell’interno di
questo governo il cui presidente si chiama Renzi, il regista cioè
dell’elezione?
E
non si capisce nemmeno Sacconi, un politico di grande esperienza che
ancora sabato mattina si poneva di traverso, come si trattasse di una
ripicca (sempre il metodo) di fronte alla chiara, indiscutibile
vittoria del candidato.
Certo
tra alcuni socialisti e Mattarella non corre buon sangue e diciamo il
perché senza giri di parole o ipocrisie. La questione risale alla
candidatura di Claudio Martelli come capolista del partito socialista
in Sicilia. L’alleanza con Pannella e le promesse in materia di
rigore carcerario, si trasformarono in una specie di plebiscito di
voti in suo favore. Voti mafiosi di sicuro, come in odore di mafia
erano alcuni dei dirigenti locali del Psi. «I voti si contano e non
si odorano» era il ritornello di quei giorni.
Un’operazione
riscattata poi dalla chiamata a Roma di Falcone, dall’aggravamento
del carcere duro per i mafiosi e dal contrastato progetto di una
procura nazionale antimafia (la ragione questa, molto probabilmente,
dell’assassinio del candidato più forte, Giovanni Falcone, e della
strage dei suoi accompagnatori, a cominciare dalla moglie).
Così
Lima tradì
gli impegni e fu alla mercé
della
vendetta dei sanguinari capi bastone e si accentuò quella
separazione, quel contrasto tra Stato e mafia, inutilmente messo in
discussione ai nostri giorni. E sbaglia, per ignoranza di fatti e
circostanze, Stefania Craxi accusando Mattarella, l’uomo del
rinnovamento politico, di pregiudiziale antisocialismo.
L’antisocialismo di Mattarella riguardava quel ceto contiguo con i
Ciancimino e i Lima che portava sì voti al partito, ma quattrini e
potere nelle proprie tasche. Mattarella è stato il protagonista
della rigenerazione della Democrazia Cristiana siciliana, dalla
segreteria regionale di Campione alla presidenza dello stesso di un
governo di centro-sinistra non sospettabile di contiguità.
In
Sicilia, in particolare in Sicilia, alle sigle non corrispondono
sempre comportamenti coerenti. E questa frammistione ha riguardato, a
parte i repubblicani, notoriamente succubi di ambienti mafiosi,
democristiani socialisti e comunisti. A proposito di questi ultimi,
Roma fu costretta a mandare La Torre a Palermo per mettere ordine nei
rapporti tra partito e cooperative e tra queste e sistema di imprese
mafiose. Una presenza e un’azione, quella di La Torre che gli costò
la vita.
Ma
con i rancori, sbagliati, non si costruisce il futuro. Ed è di
futuro che abbiamo bisogno.
Un
breve bilancio. Renzi ha vinto, ma deve guardarsi dalla risacca dei
suoi stessi sodali interni. Non hanno rinfoderato le armi, anzi, si
sentono vincitori e sono prodighi di dichiarazioni bellicose sui vari
dossier in movimento tra Camera e Senato.
Berlusconi
deve ragionare, come sa fare nei momenti migliori: per sopravvivere,
dopo la sconfitta e il crollo di «leadership», deve sperare nella
risurrezione del Nazareno (il patto).
Alfano,
e con lui Sacconi, debbono regolare gli orologi sul 2015 e operare
perché i tre anni di legislatura che abbiamo davanti siano spesi per
consolidare il processo riformista e l’area centrale (questa è
geografia) della politica italiana.
Quell’area
di cui c’è assoluta necessità perché gli estremismi siano
contenuti e battuti ancora una volta come serve alla Nazione.
Una
analisi convincente e più che condivisibile quella che Domenico affronta con
grande intuito e consapevolezza dei fatti.
Al
di là della ridicola figura di Alfano che, senza ombra di dubbio, ha
dimostrato di non avere quel giusto carattere politico e di essere
fin troppo legato ai ricordi del suo vecchio Partito, quello di cui non riesco ad essere
convinto è l'atteggiamento da parte dei dissidenti all'interno
del PD..i quali, seppur contenti del prestigioso nome di Mattarella,
hanno davanti sempre una serie di normative istituzionali e
costituzionali da portare avanti delle quali... fino al giorno prima..non
erano per nulla convinti.
La
domanda è quindi quella di capire fino a che punto questa base di
dissidenti potrà continuare l'opera di rinnovamento delle riforme
poichè...ormai appagata in parte dalla nomina di un presidente della
Repubblica ben visto...potrebbero aver perso ogni considerazione del proprio pensiero. Insomma...le riforme sono una cosa,
l'elezione di un Capo dello Stato un'altra.
Vi
è poi una domanda da porsi sulla quale è difficile poter
rispondere..e cioè perchè mai Renzi, seppur astutamente, abbia
tirato fuori una figura come Mattarella che in qualità di giudice
della Corte Costituzionale, potrebbe opporsi su parecchi punti circa
le ultime riforme costituzionali e la particolare legge elettorale proposta. Un
punto che collima con il tradimento sull'implicito percorso portato
avanti fino al giorno prima con Berlusconi ed il patto del Nazareno. Credo che sull'indirizzo di questa nomina una grossa parte l'abbia svolta lo stesso Napolitano in dialogo col giovane Premier...
Renzi
ha preferito ricompattare le truppe del suo Partito?..Certo, ma a che
prezzo? Comunque prima di cantare vittoria da un lato o da un
altro... sarebbe preferibile attendere un riscontro nel breve futuro...In
tutta questa storia vi sono alcune cose da comprendere a fondo. E'
comunque chiaro che un Premier che assume contemporaneamente la
carica di segretario del partito, oltre che l'evidente (ma
costantemente sottovalutato) conflitto, non poteva che stravincere su
questa elezione...Lo stesso sarebbe successo ..se al contrario
..fosse stato Berlusconi a comandare una destra con un'ampia
maggioranza in qualità di Premier.
Con
le anomalie continue di questo Paese si riescono a costruire leggende
ed esaltazioni che in realtà dovrebbero magnificarsi meno.
Dobbiamo.. quindi.. pensare che l'ala dei dissidenti in seno al partito del Premier
soggiacerà per il solo fatto che si sia nominata una buona figura di
garante delle Istituzioni? Il
mio sentore adesso è quello di una percezione di disagio da parte di
NCD.. che non tarderà a rispondere destabilizzando il quadro
politico. ..Una logica reazione dopo il contenimento verso una
prassi politica deontologica che ha coinvolto in pieno il ministro
degli Interni..ma che ha inciso negativamente sul suo Partito.
vincenzo cacopardo