19 apr 2014

Dove mai andrà il nuovo Partito del Cavaliere?



QUELL’ABBRACCIO MORTALE 
di vincenzo cacopardo
Adesso che Sivio Berlusconi si è fatto avvolgere dal mortale abbraccio di Matteo Renzi..dove potrà andare il Partito di Forza Italia? Quali programmi potrà mai sostenere se non gli stessi di quelli di Renzi? Quali riforme …se non le stesse che sta portando avanti in complicità con il Partito Democratico?
Il messaggio del nuovo (antico) Partito di Forza Italia non esiste! Esiste solo l’immagine della sua guida e dei tanti seguaci che cercano ostinatamente di restare appesi al percorso di una politica che ormai appartiene solo a Renzi, il quale ha chiaramente tolto ogni speranza comunicativa al Cavaliere anche per il fatto che lo stesso risulta dialetticamente menomato da una sentenza che lo penalizza inequivocabilmente.
Se Silvio Berlusconi, sia pure per l’età avanzata, resta handicappato nel percorso di una comunicazione, l’attività comunicativa dell’alleato Renzi prosegue a valanga oscurando sempre più quella dell’anziano leader di un Partito che non sembra trovare una figura alternativa capace di attrarre l’attenzione e dettare un nuovo percorso…Perché.. almeno.. di un percorso nuovo si ha bisogno.. quando si viene oscurati nell’ambito di una comunicazione!
La nuova Forza Italia non è esattamente un Partito, ma si identifica solo nella figura del Cavaliere. Ma più si stringe l’abbraccio tra il Cavaliere ed il nuovo premier, più si mette in evidenza la freschezza del giovane capo del governo che con l’aggiunta dei suoi slogan riesce in una comunicazione tanto simulata..quanto empatica ed emotiva che toglie ogni spazio a Silvio Berlusconi.
Più il Cavaliere sposa il progetto delle riforme di Renzi, maggiore sarà il cammino del suo nuovo Partito verso una fatale debacle. Un percorso politico quasi da suicidio…ormai precluso dal fatale abbraccio col giovane Matteo che gli impedisce qualunque ulteriore iniziativa propagandistica. 

Un articolo di Domenico Cacopardo sull'amministrazione della capitale

di domenico Cacopardo
Quasi quotidianamente, Roma torna all’attenzione per problemi propri che finiscono per coinvolgere il Paese. La capitale è l’espressione più diretta dei guai in cui versa la Stato italiano in tutte le sue articolazioni.
Nei mesi scorsi, abbiamo raccontato il disinteresse di Polizia municipale, Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di finanza nei confronti del commercio illegale di prodotti taroccati. Non mancano in proposito i celebrativi comunicati stampa della Guardia di finanza sui sequestri effettuati nel territorio nazionale. Ma, se qualcuno dei lettori romani avrà voglia di passare da Ponte Sant’Angelo in questi giorni, vedrà lo spettacolo che abbiamogiàdenunciato. Abbiamo aggiunto anche un suggerimento pratico per i comandi delle forze dell’ordine: invece di mandare una pattuglia con due uomini da un lato solo del ponte, occorre mandare più uomini contemporaneamente ai due lati. Ovviamente, nulla è accaduto, anche se l’inutile suggerimento tecnico, costituisce, nel caso qualche giudice intendesse occuparsi della questione, la dimostrazione di un’omissione di atti di ufficio da parte di chi è responsabile del settore.
Mercoledì, finalmente, il prefetto di Roma Pecoraro s’è deciso e ha risposto al capo della Polizia Pansa, autore di una incredibile dichiarazione sul poliziotto cretino che sarebbe più o meno inavvertitamente salito sul corpo di una dimostrante distesa in terra. Il dialetto di Pansa fa il paio con quello del giudice Esposito e le esternazioni di entrambi si iscrivono d’ufficio nella storia della deteriore napolitanità. Nessuno che ricordi di essere investito di una pubblica funzione e obbligato ad assumere atteggiamenti dignitosi se non solenni.
Sono le manifestazioni frequenti uno dei guai peggiori di Roma. Per gli abitanti, ma soprattutto per i visitatori. In anno in cui veniamo a sapere che l’Italia è scesa al terzo posto nel turismo, dopo Francia e Spagna, ci permettiamo di chiudere gli occhi sul ruolo devastante che gruppi di scombinati svolgono nel dissuadere gli stranieri a visitare il bel paese.
La questione, che costa miliardi e migliaia di posti di lavoro, non può più essere gestita col diritto mite, variamente invocato da settori politici, culturali e giudiziari pronti a chiudere gli occhi e a lasciar fare. L’esempio di Torino (notav) dovrebbe essere seguito e se si ci sono giudici penali che hanno, nonostante imponenti scorte, paura li si solleciti a passare al civile.
La democrazia, per sopravvivere, non può essere paralitica.
Infine, il comune di Roma. Onorando le peggiori previsioni sulla sua sindacatura, dopo una serie di episodi curiosi e più o menoimbarazzanti, il professor Marino rinuncia al proprio assessore al bilancio (una magistrato della Corte dei conti) e ai tagli da essa proposti.
Non si illuda, il professore reduce dall’America, di avere trovato il modo di eludere le esigenze della finanza pubblica: fatalmente, se non affronta energicamente il problema delle dissipazioni del suo comune e degli illegittimi pagamenti ai suoi impiegati, può prepararsi a un altro inglorioso ritorno a casa: non troverà più dirigenti dei Ds pronti a offrirgli una candidatura al Senato.


18 apr 2014

Renzi: astuzia, fretta e loquacità…



“QUEI CAMBIAMENTI IN CORSO D’OPERA”
di vincenzo cacopardo
La sua ruota della fortuna continua a girare..Il suo sembra essere un eterno gioco..come quello a cui partecipò anni addietro...
L’abolizione del Senato e delle province si avvia in una direzione alquanto rischiosa. 
Renzi usa l’astuzia proponendo una prima fase attraverso i poteri che il premierato gli rende. Il furbo sindaco d’Italia è perfettamente al corrente che il rafforzamento di un esecutivo è poco amato da buona parte della politica.. a differenza dei tagli per l’abolizione del Senato e delle province che, uniti agli ottanta euro per i lavoratori sotto i venticinquemila euro annui, gli serviranno per ottenere un grande consenso per consolidare il proprio potere.

Le riforme sembrano davvero insignificanti se poste in termini di miglioramento delle funzioni istituzionali. Non sono utili a migliorare, ma solo a dare l’apparenza di un ridimensionamento delle spese, un risparmio che.. come pare ormai provato.. risulta addirittura esiguo.  Ma è ancora più stupefacente e desta maggiore inquietudine, il fatto di non riuscire a vedere un vero percorso costituzionale futuro di tutto questo suo progetto.

In questo modo Renzi tende a distrarre il cittadino da ogni giudizio sul pericolo che una democrazia corre per via di quel potere di comando affidato e concentrato su un’unica figura. Una figura che appropriandosi del governo, attraverso i mezzi della comunicazione e dell’informazione, riesce persino a manipolare dissensi e confronti di opinione. Così facendo.. lui e la sua corte..costringono un fondamentale principio democratico.. sostenendo la priorità di ogni azione governativa.

E’ chiaro che l'avventuroso Premier conta molto sulla possibilità di cambiare in corso d’opera alcuni punti sulle impostazioni delle riforme costituzionali (come del resto ha già fatto). Questa opportunità gli è offerta dalla mancanza totale di una seria opposizione..rendendogli quel decisionismo che, nel contempo, gli permette di ostentare con innata loquacità i suoi continui slogan… Ma desidera anche voler chiudere questo suo periodo aureo di cambiamento.. prima che avanzi un diverso orizzonte..e questa potrebbe essere la ragione della sua fretta…
Lui sa di essere protetto dal Capo dello Stato ed assecondato dalla Comunità Europea per il piano di bilancio economico del paese. Gioca molto sulla forza che gli ha reso l’infausta politica del passato ed in più non teme alcuna costrizione dall’interno del suo Partito, quindi non si pone alcun dubbio sui propri limiti, anche perché, la sua ambizione non fa che tutelarlo da ogni perplessità.


17 apr 2014

Un appunto al nuovo articolo del consigliere Cacopardo sul lavoro di Matteo Renzi

di domenico Cacopardo
Sono passate poche settimane dall’insediamento di Matteo Renzi a palazzo Chigi e il panorama politico nazionale è completamente cambiato. Chi ancora pochi mesi fa era al vertice dello Stato o dei partiti è fuori gioco o quasi, ancorato a un tempo che non tornerà e di cui non c’è alcun rimpianto. Li abbiamo visti operare, puntare tutto sul berlusconismo e sull’antiberlusconismo, sostenendosi a vicenda, mentre la Repubblica rimaneva immobile davanti ai suoi problemi.
Questa staticità è confermata dall’elegiaca rievocazione di Berlinguer realizzata da Veltroni: gli errori del capo del Pci non sono sfiorati consegnando agli spettatori un’immagine inattendibile di un politico che ha perduto molte battaglie. Finché le disperse truppe dell’exPci non riusciranno a fare i conti critici con il passato, per loro sarà difficile riconquistare un posto al tavolo delle decisioni.
In questo mondo sclerotizzato, irrompe il giovane sindaco di Firenze e spariglia le carte con una capacità mediatica superiore a quella del mago della comunicazione Berlusconi. Il suo successo è reale e percepibile ogni giorno. Certo, il compito del premier è facilitato dal crollo della vecchia classe dirigente, ma l’elemento più coinvolgente è la ripresa del discorso riformista abbandonato dall’Italia dei partiti alla fine degli anni ’80.
La stessa escalation di aggressività di Beppe Grillo (privo, e si vede, del suo guru preferito), il ricorso a frasi sempre più forti, la perdita del controllo del proprio cervello e della propria lingua, mostrano una profonda insicurezza nei confronti della novità Renzi, al suo linguaggio diretto e alla simpatia che riscuote tra gli italiani.
Certo, non è tutt’oro il luccichio di primo ministro. Ci sono stati e ci sono problemi seri, sia all’interno del governo, per la disarmante pochezza di molti ministri (e sottopancia), per alcune dichiarazioni demagogiche, non ultime quelle sulla burocrazia, sugli alti dirigenti e sui manager, per alcuni provvedimenti in itinere molto discutibili. Tra essi, il medesimo disegno di legge di riforma del Senato appare come un arzigogolo da apprendisti legislatori piuttosto che un progetto ben ragionato e coerente. Non c’è una ragione plausibile per non abolire tout-court il Senato, liberando risorse e tempo nell’iter dei provvedimenti sui quali il nuovo organismo dovrebbe pronunciarsi. Il pragmatismo che governa il  capo del governo lo spingerà, al momento giusto a correggere il tiro. Di fondo, la direzione di marcia è giusta: quello che conta, infatti, è avere abolito il diritto di veto della Cgil e della sinistra interna ed esterna al Pd. Le azioni privilegiate nelle mani di queste aree politiche sono ormai fuori corso. La necessità di non avere nemici a sinistra, di riverire alcuni esponenti del radicalismo senile, di non muovere nulla senza il consenso di personaggi dello spettacolo, del cinema, della cultura è stata cancellata d’un tratto, restituendo la priorità alle urgenti necessità del Paese.
E Giorgio Napolitano, riflettendoci, di questo cambiamento è stato il primo, inascoltato interprete. Colui che ha saputo andare al di là dei veti tradizionali, navigando in mare aperto.
Non c’è dubbio, siamo entrati nel terzo millennio.

Non vorrei che.. il più dotto cugino Domenico, con il quale mi confronto sempre volentieri, dovesse,  un domani, con meno ottimismo.. esprimersi in altro senso sul lavoro del sindaco d’Italia Renzi. Avendo lui stesso,  sottolineato.. nel passato.. le difficoltà di questo governo composto da quelli che ha definito come “apprendisti” e  dichiarando adesso “discutibile” una riforma come quella del Senato.
Io.. a questa..aggiungerei quella relativa alle Provincie (sulla quale potremmo anche attenderci confusione sulle future competenze ed altrettanta inefficienza sul meccanismo) e quella poco democratica del sistema elettorale. Messe insieme tutte e tre danno sicuramente un quadro assai chiaro…e cioè quello di voler intrappolare una democrazia in favore di un primario potere governativo stabilito dall’alto.
Il cugino Domenico richiama giustamente il momento storico politico che ha visto il crollo di una certa classe politica aiutando non poco il cammino di Renzi..ma è proprio il risoluto pragmatismo del nuovo Premier a destare serie preoccupazioni  da parte di chi dovrebbe vedere la politica come mezzo per il raggiungimento di una sana funzione costruttiva...il resto è tutto più facile: --Chiunque con la forza risoluta di un assolutismo può cambiare un sistema...molto più difficile è farlo tenendo fede ai principi di una democrazia!
Ora… sia il forte pragmatismo che il decisionismo di chi oggi pretende di approcciarsi ai temi della politica in modo assai sintetico e tranchant..anzichè con il dovuto rispetto e la necessaria umiltà, fanno tanto pensare ad un cambiamento che somigli più ad un processo di “restaurazione”.
Quando un politico avanza così determinato ..per quello che oggi dovrebbe rappresentare un cambiamento epocale.. senza un serio scambio in seno al suo stesso Partito, parlando continuamente per slogan..a volte demagogicamente..e persino con quel “remarque”  populista simile a quello di Grillo, assai poco potrà contare il linguaggio diretto e la simpatia che riscuote, quando ciò viene dettato da una comunicazione che lascia dubbi e che poco può spartire con la logica di programmi funzionali...
Per finire… poi.. sul merito delle sopracitate riforme che continuano a convincere poco e che possono attrarre solo per l’ignoranza dei tanti cittadini che non conoscono bene i meccanismi delle istituzioni, né quale deve essere il vero fine di una società democratica.. o a chi si illude che col solo pragmatismo si possono superare le problematiche di una indispensabile crescita che necessita principalmente di nuove idee.
vincenzo cacopardo




15 apr 2014

UN RICHIAMO DI BANKITALIA AL GOVERNO


Il  vicedirettore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini, nel corso di un'audizione sul Def davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, pare aver dichiarato: "è importante che l'azione riformatrice sia nei fatti incisiva e coerente". Signorini ha inoltre spiegato  che i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review non sarebbero sufficienti, da soli, a conseguire gli obiettivi programmatici, qualora dovessero finanziare lo sgravio dell'Irpef per dare copertura agli esborsi connessi con programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente. Ciò pone molti dubbi su una "spending rewiew” che potrebbe non bastare  per il 2015.

Il vicedirettore afferma la necessità di dover assicurare la sostenibilità del debito pubblico che non è imposta solo dall'obbligo di rispettare le regole che abbiamo con l’Europa e nemmeno per conservare la fiducia dei mercati, conquistata con estremo sacrificio, ma soprattutto come requisito fondamentale della buona e prudente amministrazione della cosa pubblica.

Per l’alto funzionario dunque la possibilità di ridurre il peso del debito sul Pil non dipende solo da una gestione prudente delle finanze, ma anche dalla capacità di crescita dell'economia. Un richiamo a chi pensa che con tagli e prudenza della spesa possa risolversi in toto un problema che riguarda lo sviluppo di un Paese come il nostro che necessita di una crescita che può trovare sbocchi soprattutto con le idee  spingendo su intraprese innovative.

vincenzo cacopardo

Una chiosa al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Dell'Utri

di domenico Cacopardo

Il più potente dei bracci destri di Silvio Berlusconi, il più intelligente, il più vicino, Marcello Dell’Utri viene catturato a Beirut come uno sprovveduto dilettante. Un telefono consente agli inquirenti italiani di localizzarlo. Non è difficile trovare il luogo in cui si nasconde (per modo di dire): uno degli hotel più belli della città, cinque stelle, nei quali s’è registrato con il suo nome e cognome, con un normalissimo passaporto italiano.
Questo modo di fuggire e nascondersi fa venire in mente “I soliti ignoti” di Monicelli e l’attore Carlo Pisacane, che interpreta il personaggio di Capannelle, l’attempato componente della banda che, alla fine, si contenta di un piatto di minestra.
A dire il vero, già da qualche giorno la stampa nazionale scriveva che il latitante, in attesa della decisione della Corte di cassazione, s’era rifugiato proprio a Beirut.
La polizia libanese, allertata da quella italiana, lo cattura facilmente e lo conduce alla Centrale, dove è trattenuto in quella che lui stesso definisce una foresteria.
Sulle prossime mosse dei fantastici Gmen italiani e del governo libanese, i telegiornali formulano le più approfondite ipotesi, intervistando esperti di diritto internazionale, dalle opinioni, ovviamente, divergenti.
Domenica sera, per esempio, un serioso professore spiegava che il trattato vigente tra Italia e Libano prevede l’estradizione in caso di mandato di cattura per reati che siano contemplati anche dalla legge libanese.
Un altro aggiungeva che anche in quel paese vige il reato di associazione a delinquere, anche se altrimenti denominato. Quindi, l’estradizione sarebbe sicura.
La realtà è ben diversa.
La Corte d ‘Appello di Palermo ha adottato la misura cautelare per un reato, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, che non esiste in altri ordinamenti nazionali. La condanna di primo e secondo grado di Dell’Utri è motivata dal concorso esterno, ignoto alle altre nazioni, anche perché risultato di una elaborazione giurisprudenziale.
Abbiamo scritto che per l’estradizione, il reato deve essere contemplato in entrambi gli ordinamenti.
Per l’ospite della Centrale di polizia di Beirut non è così.
Quindi, pensare a Capannelle è del tutto improprio. Le possibilità che il latitante-catturato sia estradato in Italia sono limitate. Andandosene a Beirut, via Tel Aviv, Marcello Dell’Utri ha scelto una via abbastanza sicura e, probabilmente, studiata adeguatamente nei mesi scorsi. Ed è possibile che l’appoggio di Putin presso Gemayel (fatto trapelare dalle solite fonti bene informate) ci sia effettivamente.
Resta solo una domanda: perché i media lasciano intendere che l’estradizione è (quasi) cosa fatta, quando, riflettendo, si capisce che ci saranno dei problemi e che il nostro uomo è meno fesso di quanto si voglia far pensare? E non potrebbe essere altrimenti, visto che il Tribunale e la Corte d’appello di Palermo l’hanno ritenuto l’uomo di collegamento tra la mafia e Berlusconi.
La risposta è semplice: strategia comunicativa, in modo che se e quando Beirut dirà di no, l’opinione pubblica se la prenderà con i libanesi invece che con chi doveva prevenire e vigilare e non ha prevenuto e vigilato.


Più che giusto e brillante l’esame del cugino Domenico. Un articolo che mi permette di aggiungere quanto importante sia la forza di tali strategie comunicative.. e quanto ancora più rilevante sia trovarne i veri responsabili.
La fuga in Libano (sicuramente studiata ad arte) si sarebbe potuta prevedere. Con astuzia, Dell’Utri, ha messo in evidenza la sua scomparsa attraverso facili riscontri, lo ha fatto volutamente in modo da far credere di non aver nulla da temere, dichiarando dapprima  personali problemi di salute, salvo dopo asserire di trovarsi in Libano per una campagna elettorale in favore di un suo amico politico. Nessuno oggi potrebbe incolparlo di essere davvero fuggito al destino di un provvedimento della giustizia, non essendosi nascosto.
Qualunque sia stata la circostanza..quella dell’amico del Cavaliere.. è sicuramente una fuga da un Paese che ancora ritiene un reato come quello del "concorso esterno" poco chiaro e molto discutibile. 
Sarebbe opportuno riscontrare in questo reato una seria colpevolezza: o si è manifestamente aderenti al sistema mafioso o no! Quel “concorrere” potrebbe identificarsi in una compartecipazione spesso fumosa sulla quale..chiunque.. può rimestarvi attraverso inganni.. persino di comodo.

Con ciò non mi permetto, avendo scarsa conoscenza degli atti che riguardano il processo a Dell’Utri, di coniugare alcun attestato di innocenza o colpevolezza, ma solo di porre luce su un reato che lascia ancora aperti parecchi dubbi, oltre che in tante altre Nazioni, persino nell’ambito della nostra giurisprudenza. 
vincenzo cacopardo      

14 apr 2014

RENZI-GRILLO: SIMILI NELL' ASSOLUTISMO

Cosa vuol dire cambiamento….
di vincenzo cacopardo

Cosa vuol dire cambiamento… quando con tanta forza si vogliono imporre riforme additando chi non le condivide come un antiriformista? Cosa significa cambiare in meglio..quando si tende a voler escludere la voce dei tanti opponendovi una fermezza ed una determinazione che poco si sposano con una politica che si dovrebbe democratica? Ed infine..come si può pretendere una collaborazione da parte dei cittadini..quando sono proprio loro gli eterni esclusi da un qualunque consenso sulle regole del gioco di cui si parla?
Quando il giovane sindaco d’Italia, continuando a parlare con slogan e con adulazione verso i cittadini, predica in favore dei tagli, sembra sottovalutare l’importanza di una utile funzione che la politica deve avere per raggiungere il risultato primario del suo stesso compito: Qualunque taglio, se non coerente ed utile allo scopo, non potrà che risultare superfluo se non addirittura ritorcersi contro il funzionamento delle stesse istituzioni..potendo persino, un domani.. rendersi più costoso.
Quale differenza dunque può esistere tra Renzi e Grillo..quando l’uno si ritrova determinato con lo stesso assolutismo dell’altro?..Se Grillo, nella sua opera di cambiamento, pare tirarsi indietro da ogni governabilità, Renzi pretende di cambiare il Paese con la forza di un decisionismo illimitato. Grillo non dimostra superbia, ma timore unito a programmi spesso demagogici, Renzi, al contrario, finisce col dimostrarsi privo di umiltà, con programmi più fattibili e sempre più populisti, ma senza un utile riscontro con una politica più funzionale.
In questa analisi io riscontro molta più pericolosità nell’opera di Renzi che nella fantasia virtualistica di Grillo....ciò proprio per il fatto che Renzi ha potuto impadronirsi di un premierato..a cui Grillo, sicuramente meno ambizioso, in questo momento, non sembra bramare.
Tutte le riforme del nuovo sindaco d’Italia sono studiate ad arte per chiudere definitivamente la strada ad una politica più libera nel pensiero e questo.. proprio per salvaguardare una governabilità sicura. Al contrario di Grillo, che predica in favore una fantasiosa democrazia diretta, Renzi colloca la governabilità in cima alla politica, ponendo ancora una volta forti limiti alla democrazia.
Ambedue non lavorano per una ricerca più appropriata verso un equilibrio che possa riscontrare ulteriori formule…e questo oggi…dovrebbe accendere il pensiero dei tanti che guardano alla politica in senso più logico e funzionale non privo di una necessaria dose di umiltà: Cambiare è più che necessario, ma cambiare in peggio od in modo illogico, potrebbe arrecare maggior danno al processo di crescita dell’intero Paese.


13 apr 2014

Una analisi sul nuovo articolo del Consigliere Cacopardo sulla Costituzione. 12/4/2014



di domenico Cacopardo

Nata dall’intesa delle tre scuole di pensiero politico-istituzionale dominanti, la cattolica, la socialista e la comunista, la Costituzione italiana presenta contraddizioni concettuali e di incoerenze sostanziali. Di certo non è un documento liberale, capace di garantire i diritti di cittadinanza e di intrapresa, stabilendo i doveri di solidarietà e di cooperazione. In parte ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, in parte alle esigenze ideologiche del marxismo vincitore sui campi di battaglia dell’Est, è di difficile applicazione.
Non che i problemi della legge fondamentale non fossero presenti ai Padri costituenti: chi veniva dall’esperienza prefascista (Vittorio Emanuele Orlando, Nitti, Croce e Ruini, per esempio) segnalò i pericoli insiti nella formulazione degli articoli. Non fu ascoltato: prevalsero le discipline di partito.
Un altro elemento fondativo della Costituzione era il timore che uomini e movimenti di tipo fascista potessero aprirsi un varco nell’impianto politico repubblicano riportando il Paese ai tempi del ventennio fascista.
Questa ragione ispirò diversi punti cruciali, dal procedimento rigido di modifica, al bicameralismo, all’idea del potere diffuso con le Regioni. Il tutto fu aggravato, nel 2001, dalla modifica del titolo V, curata da Franco Bassanini, e mai abbastanza deprecata per i guai insolubili di cui fu portatrice, nel nome di un regionalismo, succedaneo nostrano del federalismo, auspicato anche da alcune destre.
Basti il rifiuto della guerra come strumento di definizione delle controversie internazionali: una petizione di principio coerente con il pacifismo cattolico e con l’ipocrisia dei regimi dell’Est, per i quali qualsiasi guerra era difensiva perché volta a tutelare i loro interessi. Un rifiuto, questo della guerra, ampiamente violato, a partire dall’attacco Nato alla Jugoslaviasino alla partecipazione italiana alle missioni in Iraq (Prima e Seconda guerra del Golfo) e in Afghanistan.
Ma ci sono tanti altri esempi, da segnalare: l’oscuro significato del “fondata sul lavoro”, una frase che ha dato la stura alla peggiore retorica sindacale, ma che, di fatto e di diritto, non significa nulla di preciso. L’altrettanto oscuro il senso della statuizione dei “doveri di solidarietà politica, economica e sociale.”
Dannoso per la comunità nazionale è il principio dell’art. 4, laddove la “Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”. Quest’idea di un “diritto al lavoro” era propria delle società socialiste di scuola sovietica e non è stato mai attuato, visto che è impossibile farlo in un’economia di mercato.
La sua dannosità è nel fatto che il cittadino può ritenere effettivo il suo diritto al lavoro e inadempienti le autorità che non lo rendono tale. Per renderlo effettivo, bisognerebbe risolvere il problema di “chi paga” e di “chi lavora”.
Le vestali della Costituzione debbono arrendersi: il loro mito, il loro vangelo è un documento da modificare e aggiornare. Il potere di ricatto che è conferito a tante minoranze dovrà essere abolito. Quando lo sarà, riprenderemo il cammino democratico cui abbiamo diritto.



Potere di ricatto delle minoranze…o un bavaglio per farle tacere definitivamente? Il cugino offre pane per i miei denti!
Ricordiamoci l’importanza di lasciare libero il pensiero delle minoranze, e se per un desiderio di governabilità imposto dall’alto, si vuole tendere ad ingabbiare la voce dei piccoli…addio ad ogni principio di democrazia! Ci sarebbe da domandarsi perchè mai nessuno promuove la ricerca di percorsi più innovativi che possano lasciare più libera l’azione dinamica di un dialogo politico per i programmi e per le normative adatte, separandole.. con equilibrio.. da un ruolo governativo da ricercare in altra forma.. Ad esempio...cominciando e disciplinare meglio i Partiti... Forse perché fa tanto comodo continuare a mantenere certi conflitti?

Pur d’accordo sull’indispensabile rinnovamento della Carta, non posso condividere un modo di discriminare e catalogare chi è o non è d’accordo con i principi che la guidano, poiché servirebbe soltanto ad alimentare il continuo gioco delle contrapposizioni tendendo a sviare l’immedesimazione di una ricerca più utile. 
Senza intaccare quei principi di base che ne hanno ispirato la ragione e dando forza a quei contenuti che dovrebbero sempre proteggere l’alto valore di una vera democrazia, si dovrebbe lavorare per rimodernare la nostra Costituzione. 

Considerato che i problemi della politica si concentrano essenzialmente sulla mancanza di utili regole per una adeguata funzionalità del sistema e, premesso che le basi per le riforme primarie della politica devono prendere spunto dal testo della nostra Costituzione, bisognerebbe poter provvedere.
Alcuni suoi articoli risultano oggi obsoleti poiché non tengono conto del cambiamento storico culturale che il nostro Paese ha avuto in questi sessant’anni.  

Articoli della Costituzione, sia sui principi fondamentali che quelli sui diritti e doveri dei cittadini  suonano superati ed assai lontani da una società che si vuole moderna ed innovata. Altri, nel loro testo, non entrando nel merito del tema in modo approfondito, finiscono col trasmettere un indirizzo  poco chiaro. 

La nostra Carta appare volutamente scritta al fine di poter dare continua possibilità di rivedere in chiave moderna i suoi articoli…quindi rinnovabile.
Volendomi collegare a ciò che ha scritto il cugino Domenico sull’articolo 1… ad esempio.. interpretando questo articolo chiunque, oggi, potrebbe riscontrarvi una curiosa ipocrisia, poiché, già da parecchi anni, con le crisi economiche ed i nuovi modelli di sviluppo, non può più evidenziarsi un preciso fondamento basato sul lavoro ma, forse,  solo sul profitto di pochi, sicuramente su un modello di nuove regole nel campo del lavoro ben diverso da quello esistente in un tessuto imprenditoriale del 1947. Oggi il concetto è ben diverso poichè manca  una vera possibilità di lavoro!
Un articolo che oggi appare alquanto retorico, costruito su una passata ideologia comunista che i Costituenti hanno inteso formulare in favore della classe lavoratrice di quel tempo. Meglio sarebbe oggi:fondata sulla libertà, sul rispetto e sulla pari dignità.

Ma si potrebbero individuare altre anomalie circa il terzo,…. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica” In via teorica tutto ciò potrebbe sembrare realistico ma, se, per quanto riguarda la pari dignità sociale, la distinzione di sesso e di razza e di lingua, non si può che essere d’accordo, non ci pare che, oggi, possiamo davvero esserlo davanti all’attuale esercizio dell’espressione politica e della legge. Pochissimi cittadini sono, oggi, in grado di comunicare le proprie opinioni politiche se non attraverso la forza di precise risorse finanziarie o soggiacendo agli interessi dei Partiti. Inoltre, fino a quando non si studiano nuovi percorsi e regole capaci di individuare un rapporto di equilibrio tra il potere politico parlamentare, quello esecutivo e l’ordine giudiziario, le opinioni politiche difficilmente potranno essere libere nel loro pensiero.
Senza le regole dettate dai nuovi principi della stessa Carta, sia i Partiti che la  Magistratura, potrebbero condizionare fortemente qualunque opinione politica voluta dal cittadino.

E si potrebbe, poi, continuare.... riscontrandosi con altri articoli vecchi e persino contradditori malgrado le buone intenzioni, che non potranno mai agevolare un percorso della politica funzionale, ad esempio, nella parte dell’Ordinamento della Repubblica Titolo 1, riguardo alle funzioni del Parlamento, dove l’articolo 67 recita: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato .Curiosa teoria, poiché tutti sanno che un vincolo vi è ed è sempre più evidente: quello dettato dai Partiti e dai loro leaders. Questa retorica e ipocrita prassi di voler ancora considerare il parlamentare libero nella sua scelta, viene continuamente smentita da un suo chiaro condizionamento ad una forza di Partito che spesso lo favorisce anche nella elezione, soggiacendolo ad un preciso interesse. Ogni nuova legge elettorale potrà seguire questo articolo, solo se si apporterà la necessaria riforma.

E poi ancora…..sulla parte seconda Titolo primo (più facilmente rinnovabile) in riferimento alle Camere ed allo sproporzionato numero di deputati, sulla loro ripetuta elezione, sul sistema di elezione degli stessi, sulla formazione delle leggi e sull’uso esagerato dei decreti legge che alterano e riducono la vera attività del Parlamento. Chiaro sintomo di una Repubblica parlamentare in crisi.

Per arrivare persino….alle strane singolarità del Titolo quarto, allorquando, attraverso l’articolo 104 in riferimento alla Magistratura ed alla istituzione del Consiglio superiore, si pone un’anomalia. Anomalia costituita da un difficile posizionamento di ciò che dovrebbe figurare come un”ordine” indipendente, ma che, eletto per due terzi da magistrati ordinari, finisce col rappresentare un vero e proprio potere. Potere fortissimo, poiché in grado di limitare la libertà delle persone, potere sostanzialmente in contrapposizione a quello politico che agisce in rappresentanza del popolo. 

Ma in via di principio questa Carta esprime dei valori importanti anche se poi non se ne conseguono i risultati.
La nostra Costituzione, che come scopo dovrebbe avere il compito di guidare e fornire una traccia al complesso di norme per meglio definire la struttura dello Stato, non sembra avere oggi un giusto funzionamento che la porti al raggiungimento del suo desiderato fine. In se, essa potrebbe apparire perfetta nella rappresentazione dei valori per la determinazione di una democrazia, ma può solo idealizzarne il raggiungimento.
La passata Assemblea Costituente che ebbe il compito di porre le norme fondamentali dell’ordinamento dello Stato,  determinò le regole per una concezione politica in opposizione ad una visione di assolutismo, riconoscendo la validità di uno Stato fondato sulle norme e sui poteri. Ma qualunque norma o confine di potere, dopo la smisurata e sregolata crescita economica e sociale di questi sessant’anni, non potrebbe che essere rivisitata affinché non possano continuare a riscontrarsi ulteriori anomalie dovute ad un progresso che ha alterato gli stessi valori della società. Anomalie che non potranno mai dare innovazione al percorso di una politica che si vorrebbe efficiente e costruttiva.
Una carta costituzionale che, per una sua utile modernizzazione, non dovrebbe esimersi dall’osservare in lungimiranza un possibile sistema funzionale basato su principi più moderni in proiezione delle normative e della suddivisione dei poteri. Una carta costituzionale utile ed indispensabile, ma sicuramente da rinnovare, poiché non potrebbe mai essere richiesto un suo stravolgimento.

vincenzo cacopardo

Breve commento alla nuova posta di Paolo Speciale su Papa Bergoglio

L'Illuminismo di Papa Francesco
 di paolo Speciale
Traggo spunto da un articolo di Piero Ostellino sul Corriere della Sera di oggi per indurre chi l'ha già letto e chi lo leggerà ad un approfondimento speculativo – a proposito di Illuminismo – sui contenuti in esso presenti anche in chiave filosofico-kantiana, essendovi un preciso richiamo alle dissertazioni del celebre pensatore tedesco.
Ostellino esordisce con un noto e prevedibile “savoir faire” giornalistico che sembra non poter prescindere dal paventare la perdita di un diffuso consenso, invero più affine alla politica e che poco si addice alla sua vena tendenzialmente controcorrente, attribuendo a Papa Bergoglio l'esercizio di una “demagogia pre-moderna” che costituirebbe, a suo dire, sostanzialmente l'immagine di una Chiesa che “pensa di moralizzare la politica con i “pater noster”.
Di qui la contrapposizione tra chi professa il -rispolverato - moderno liberalismo dell'ex direttore del Corriere ed il Pastore di una Chiesa che, dopo la lunga fase woitiliana da più parti ritenuta conservatrice sul piano spirituale- dottrinale, manterrebbe comunque la propria linea diretta e di corrispondenza d'amorosi sensi con le classi sociali meno abbienti, in una banalissima quanto inconsistente analogia con le teorie di origine marxista su cui il Papa si è già espresso chiaramente qualche giorno fa.
Peccato però che tentare di politicizzare Bergoglio è impresa non facile. Ed ancor meno facile è porlo nella storica e sempre più desueta antitesi tra fede e ragione: negare la concreta ed indiscutibile sintonia tra esse sussistente sarebbe infatti come negare la valenza concettuale dei numerosi trattati del suo sinottico predecessore Benedetto XVI.
Ecco perchè oggi possiamo finalmente constatare la provvidenziale esistenza di un popolo che razionalmente crede, privando opportunamente così lo storico Illuminismo di quell'elemento - sino a poco tempo fa caratterizzante – di tipo materialista, meramente contingente.
E' proprio lo stesso Kant, infatti, suo malgrado, nel suo trattato sull'uso della ragione, che ci fa comprendere meglio quale sia oggi il ministero – messaggio trasmesso da Papa Francesco; esso è rivoluzionario e, tuttavia, parimenti ispirato alla più semplice interpretazione delle Sacre Scritture.
La nuova figura ecclesiastica incarnata da Bergoglio infatti, supera la dicotomia kantiana tra l'uso privato e non libero della ragione da parte del catechista e l'uso pubblico e libero della stessa facoltà dello studioso che parla al mondo, laddove constatiamo in lui il catechista libero, che trasmette agli altri uomini, servendosi di una ragione “illuminata” dalla fede, la consapevolezza di poter scegliere, proprio grazie a questa stessa “ragione”, quale strada seguire.



Condivido e aggiungo con maggior semplicità:
Al di là di ogni ragione illuminata, la figura del Papa odierno Francesco è sicuramente il risultato di un cambiamento voluto dalla stessa Chiesa.. che sembra aver percepito l’importanza di una guida simile alla figura di Cristo, giusto per il difficile momento storico che attraversa il mondo intero. Ma come mai questa figura così umile e caritatevole tocca i cuori e la sensibilità di tanti uomini?... Se non perché si volge alla gente esprimendo l’importante sentimento dell’amore come ugualmente fece Cristo? Io credo che Papa Francesco tocca l’animo umano... parlando anche di speranza, esponendosi meno ad una funzione di venerazione nei confronti del Creatore….Ed ecco che il mondo, raggiunto da una prevalente sensibilità umana, si risveglia in una speranza…e nel desiderio di costruire un futuro attraverso l’amore verso il prossimo.


Con particolare umiltà, il Pastore tocca spesso  temi che coinvolgono l’essere umano inserito nel contesto di una società succube di un sistema tendente a costringerne la stessa natura. Un sistema che incide sulla condotta sociale rendendo l’uomo ipocrita e dissimulatore quasi naturalmente.   
Ma l’accento di Papa Bergoglio è preciso e tende a distinguere la stessa natura umana, deprecando il modello di quegli uomini che con una mano offrono denaro alla Chiesa e con l’altra rubano allo Stato. La sua “esortazione apostolica”, è spesso diretta ad una cultura politica che oggi pone la società in uno stato di difficile crescita. Il pericolo costante della doppiezza e della falsità è per lui ben più gravoso e difficile da superare rispetto a quello di un singolo peccato…Un Papa che, attraverso quella "ragione" (illuminata o no) apostrofata dall'amico Paolo, sembra comunque guidare la speranza di un nuova politica.
vincenzo cacopardo

12 apr 2014

Le mura di Gerico e la strategia dei piccoli partiti

di vincenzo cacopardo

Nella logica del momento politico del Paese ..i Partiti più piccoli ..dovrebbe muoversi tutti a difesa dell’opera di perforazione delle truppe di Grillo: il maglio di sfondamento verso la spessa porta che tiene chiuse le mura dell’antica fortezza, dovrebbe essere accompagnato e sorretto dai tanti piccoli Partiti e movimenti che altrimenti rischierebbero di restare per sempre tagliati fuori e divisi dalle granitiche mura a difesa delle riforme volute da Renzi e soci.
Questo non perché si voglia per via di principio essere contro le riforme, ma al contrario… proprio perché queste le si vorrebbero utili e funzionali e non di chiusura verso chi, attraverso il pensiero, potrebbe apportare idee.. precludendo ogni libero contributo al tema del cambiamento.
La strategia vincente per i piccoli Partiti non potrebbe che essere questa.. Diversa, invece, la valutazione di un definitivo legame con il grosso Movimento 5 stelle che.. pur  rappresentando l’unica forza in campo alla quale unirsi per un deciso mutamento, non sembrerebbe completarsi nel percorso di rinnovamento più utile corrispondente alla realtà di un mondo in evoluzione.
Il Movimento 5 stelle appare drogato da una visione troppo demagogica e dal pensiero dispotico di Grillo e Casaleggio che nella loro concezione virtualistica della politica, impongono regole assolute all’interno del loro Movimento. La loro visione democratica diretta.. appare, invero, assai antidemocratica e poco risolutiva…  ma  sicuramente convincente in quell’opera di rottura.
La sopraindicata strategia dei piccoli partiti deve perciò muoversi con le truppe di tale Movimento al fine di scardinare la spessa porta d’ingresso sostenuta dalle imponenti mura.  
A differenza degli israeliti che cinsero d'assedio le mura della città di Gerico che poi crollarono, i piccoli movimenti ed i piccoli Partiti dovrebbero guidare ed accompagnare l’ingresso del Movimento 5 stelle attraverso lo sfondamento della principale porta d’ingresso (evitando di distruggere le istituzioni), salvo poi staccarsene per le proposte alternative al cambiamento.
Per adesso la vera battaglia che si dovrebbe operare è quella di accompagnare l’ingresso evitando la dispersione delle forze che dovrebbero unite contrastare i principi di un bipolarismo di chiusura definitiva (vedasi legge elettorale e monocameralismo).
Il rischio alternativo è quello di un attacco sconclusionato del grande Movimento alle irriducibili mura…un attacco non risolutivo che potrebbe compromettere definitivamente ogni altro successivo attacco a difesa della democrazia del paese.   



breve osservazione al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sulla "strada riformista"

Con Renzi la strada riformista, aperta dal Psi, nella Conferenza di Rimini del 1982 (il tema illustrato da Claudio Martelli “Il merito e il bisogno”), continuata da Bettino Craxi finché gli è stato possibile, è stata ripresa. In modo confuso, ma volenteroso, in virtù di una capacità comunicativa che è figlia dell’avvento di Silvio Berlusconi del 1994.
Libero dai legacci dell’ex-cavaliere (niente conflitto di interessi, almeno sino a ora; niente corte dei miracoli, anche se …; niente velinismo, anche se …), Renzi è a suo perfetto agio nel palcoscenico mediatico nazionale, con le giuste dosi di sicurezza, di sicumera, di arroganza e di incoscienza.
Pensate alle questione dei manager pubblici. Dice il premier: «Troveranno lavoro nel privato!» Ma il problema (forse non se n’è nemmeno reso conto) è che i manager privati che ha interpellato non hanno accettato posti ministeriali e, in questo clima di caccia alle streghe per le retribuzioni (niente di più demagogico), non accetteranno incarichi pubblici. Se qualcuno accetterà non sarà certo di primo livello.
E pensate alla questione dei primi collaboratori del governo, il segretario generale di palazzo Chigi, il capo del dipartimento affari legislativi, i capi di gabinetto. La legge in vigore prevede, per questi incarichi, un magistrato delle giurisdizioni superiori, un dirigente generale (dello Stato), un avvocato dello Stato o un professore di ruolo di materie giuridiche.
Segretario generale della presidenza del Consiglio è il dottor Mauro Bonaretti, laurea in economia e commercio, già direttore generale del comune di Reggio Emilia. Per questo incarico, la legge consente, come eccezione, la nomina di un estraneo alla pubblica Amministrazione. Tuttavia, vista la qualità degli altri nominabili, dovrebbe trattarsi di persona di fama e curriculum paragonabili. Invece niente, nemmeno una laurea in legge, tipica per la natura delle incombenze da svolgere.
Il tamtam di palazzo fa sapere che il provvedimento, bocciato dalla Corte dei conti (per difetto di qualifiche), di nomina di Antonella Manzione, già comandante dei vigili urbani di Firenze, e prima all’ufficio commercio, tributi e attività produttive del comune di Serravezza, a capo del dipartimento affari legislativi della presidenza è farina dell’emerito Bonaretti. Non parliamo della squadra di giovanissimi consiglieri parlamentari diventati capi di gabinetto qua e là: non sanno le giovani marmotte del governo che quella dei consiglieri parlamentari è la lobby più potente della capitale, perché fertilizzata dalla frequentazione di deputati e senatori, da retribuzioni esagerate e da un invidiabile spirito di corpo. Che non impedisce loro di ambire, al momento dell’addio (in anticipo sull’età canonica), alla nomina a consiglieri di Stato, condizione necessaria per lucrare il tfr di Camera o Senato, la relativa (pazzesca) pensione e la non disprezzabile retribuzione, appunto, di consigliere di Stato.
Queste osservazioni costituiscono la causa delle preoccupazioni che desta Renzi col suo modo di fare. Non è tanto l’innovazione delle regole e l’ostracismo ai parrucconi (Deodato, ex capo del dipartimento affari legislativi, però ha solo 47 anni), quanto l’incapacità di percepire la natura, lo spessore e le difficoltà di governare una Nazione come l’Italia.


Osservazioni più che valide, ma che… sia per l’enorme ignoranza di chi osserva la politica unicamente in direzione di uno spettacolo mediatico…. sia per la solita aspettativa dei tanti che vedono in Renzi il nuovo messia della politica, non sembrano trovare più udito..nè spazio.. nel Paese Italia dove tutto pare ormai possibile.
Una Nazione che vive ormai nella copia di sistemi sub culturali.. esprimendo solo immagine e deformazione del pensiero. Gli occhi bendati e la mente inconsapevole di un popolo che guarda con cinismo ad un'unica prospettiva personale.
Renzi taglia ma non aiuta le idee! Comunica tanto, ma concretizza molto meno! Tende troppo facilmente a distruggere, preoccupandosi meno di rendere funzionamento! Si compiace di avere una sua squadra da imporre curandosi e meno delle qualità occorrenti. Vedremo. 

11 apr 2014

il "deja vu" di Domenico Cacopardo


di domenico Cacopardo
La sensazione è il deja vu, ma l’enfasi espressa sul Def e sui tagli ha un sapore diverso, frutto della capacità di persuasione di Matteo Renzi (in piena campagna elettorale), e di alcune scelte ben precise di politica fiscale.
Mancano molte cose utili che potrebbero dare un positivo choc alla comunità nazionale, prima fra tutte l’abolizione dell’Irap. La presenza a via XX Settembre di un professionista di alta qualità come Padoan è, però, una rassicurante garanzia di serietà. È il resto che preoccupa: la scelta di un alieno come Cottarelli per la spending review, l’effettiva realtà delle amministrazioni pubbliche, nazionale, regionali e comunali, il dilettantismo goliardico di diversi ministri, il medesimo premier, un simpatico Giamburrasca senza senso dei limiti, danno l’idea di una divertente (e drammatica) avventura fine a se stessa, incapace di incidere sulla situazione politica, istituzionale ed economica.
Anche perché, quando qualcuno prova a intervenire nella discussione, come ha fatto Bersani per le riforme istituzionali, emerge tutta l’inconsistenza del gruppo dirigente del Pd, il cui pensionamento è stato raccolto come una mela matura dal boy-scoutfiorentino.
Non approfondiremo il contenuto del Def: questo giornale se n’è occupato con dovizia di particolari, spiegando che si tratta di un piano triennale che deve essere implementato, per diventare operativo, da un complesso di norme, alla cui scrittura, oltre che i team di Padoan e di Poletti, metteranno mano i carneadi di cui sono stati riempiti i gabinetti dei ministeri e di palazzo Chigi.
Torneremo sul clima politico, che è poi la parte più evidente della fase di passaggio nella quale siamo immersi: dopo vent’anni in mezzo al guado, ci siamo avvicinati alla riva, anche se sappiamo che contiene gravi insidie non superabili con la goliardica superficialità del nostro timoniere.
Ebbene, al di là dei mal di pancia di un piccolo pezzettino di Pd, il problema dell’oggi è la decisione del Tribunale di sorveglianza sul futuro prossimo di Berlusconi e le sue conseguenze sulla politica di Forza Italia.
Tra le varie possibilità emerse nei giorni scorsi, la più attendibile è quella di un affidamento ai servizi sociali che gli consenta un limitatissimo diritto di parola e di tribuna. In questo caso, gli scossoni sulla situazione parlamentare sarebbero ridotti e il patto Berlusconi-Renzi potrebbe reggere.
Il ragazzo fiorentino, allevato a pane e volpe, ha già preparato, però, le contromisure a un eventuale rottura.
In realtà, di fronte a lui rimane solo un avversario, Mangiafuoco-Grillo, vecchio uomo di spettacolo più che di sostanza, che per quell’inspiegabile rapporto tra il pubblico e un istrione, è diventato l’interprete di un pezzo di Italia, incapace di ragionare seriamente sui termini delle questioni nelle quali ci dibattiamo ma emotivamente pronto a schiaffeggiare chiunque prospetti un ragionamento serio, responsabile e privo di demagogia.
Quest’idea di due personaggi che, isolatamente, occupano il proscenio italiano è sconfortante. Accostata alle altre preoccupazioni, fa rimanere gli italiani col fiato sospeso e gli osservatori internazionali con tutte le loro vecchie, esagerate diffidenze.